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L'autentico realismo si trova nella fede

Ultimo Aggiornamento: 22/05/2009 18:05
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22/05/2009 18:05

Per superare il dualismo tra esegesi e teologia nell'interpretazione della Scrittura

L'autentico realismo si trova nella fede


In occasione del solenne atto accademico per il centenario della fondazione del Pontificio Istituto Biblico il cardinale prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica e Gran Cancelliere della Pontificia Università Gregoriana ha tenuto un intervento del quale riportiamo alcuni brani.



di Zenon Grocholewski

La rilevanza e la responsabilità del Pontificio Istituto Biblico scaturiscono principalmente da due fattori:  l'importanza della Sacra Scrittura e della sua corretta interpretazione, nonché la delicatezza e complessità di tale interpretazione e trasmissione del suo messaggio. "L'interpretazione della Sacra Scrittura è di importanza capitale per la fede cristiana e per la vita della Chiesa", ha notato Benedetto XVI nel Discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica il 23 aprile scorso (Cb).
Questa importanza, come pure il ruolo vitale della Bibbia per la vita cristiana, traspariva, del resto, fortemente durante l'assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi - che si è svolta dal 5 al 26 ottobre 2008 - il cui tema era proprio "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa", e trova un'eco rigogliosa nei documenti del Sinodo già pubblicati.

L'importanza della Parola di Dio e della retta interpretazione è fondata sul fatto che "tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, invisibile e trascendente Autore" (Cb), e quindi le Scritture "insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere" (Dei Verbum, 11). Di conseguenza, solo chi costruisce la propria vita sulla Parola di Dio, la costruisce sulla roccia (cfr. Matteo, 7, 24-27; Luca, 6, 46-49), ed è veramente realista. Di questo realismo ha parlato il Santo Padre nella sua meditazione nell'aula del Sinodo il 6 ottobre 2008, concludendo:  "Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza".

L'impegno del Biblicum è molto delicato e non facile. Per interpretare la Bibbia e ricavare da essa il genuino insegnamento salvifico, non bastano, infatti, le capacità intellettuali, ma ci vuole la fede, un vero ascolto, la preghiera, la docilità allo Spirito Santo, un forte senso ecclesiale, la seria considerazione della Tradizione e ottemperanza alla voce del Magistero (cfr. Dei Verbum, 10).

Nell'intervento del 14 ottobre 2008 durante il Sinodo dei vescovi (Sv), il Santo Padre ha osservato:  "La Dei Verbum 12 offre due indicazioni metodologiche per un adeguato lavoro esegetico. In primo luogo, conferma la necessità dell'uso del metodo storico-critico (...) Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica". "Tuttavia - continua il Pontefice - questa storia ha un'altra dimensione, quella dell'azione divina. Di conseguenza la Dei Verbum parla di un secondo livello metodologico necessario per una interpretazione giusta delle parole, che sono nello stesso tempo parole umane e Parola divina. Il Concilio dice (...) che la Scrittura è da interpretare nello stesso spirito nel quale è stata scritta e indica di conseguenza tre elementi metodologici fondamentali al fine di tener conto della dimensione divina, pneumatologica della Bibbia:  si deve cioè 1) interpretare il testo tenendo presente l'unità di tutta la Scrittura (...); 2) si deve poi tener presente la viva tradizione di tutta la Chiesa, e finalmente 3) bisogna osservare "l'analogia della fede" ossia la "coesione delle singole verità di fede tra di loro e con il piano complessivo della Rivelazione e la pienezza della divina economia in esso racchiusa".

"Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica, di una esegesi adeguata a questo Libro". Il Santo Padre osserva poi realisticamente:  "Mentre circa il primo livello l'attuale esegesi accademica lavora a un altissimo livello e ci dona realmente aiuto, la stessa cosa non si può dire circa l'altro livello. Spesso questo secondo livello, il livello costituito dai tre elementi teologici indicati dalla Dei Verbum, appare quasi assente. E questo ha conseguenze piuttosto gravi" (Sv).

Benedetto XVI non ha omesso di indicare queste "conseguenze piuttosto gravi":  "La prima conseguenza dell'assenza di questo secondo livello metodologico è che la Bibbia diventa un libro solo del passato (...) e l'esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura. (...) C'è anche una seconda conseguenza ancora più grave:  dove scompare l'ermeneutica della fede indicata dalla Dei Verbum, appare necessariamente un altro tipo di ermeneutica, un'ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo tale ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, si deve spiegare da dove viene tale impressione e ridurre tutto all'elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini. (...) Questo avviene perché manca un'ermeneutica della fede:  si afferma allora un'ermeneutica filosofica profana, che nega la possibilità dell'ingresso e della presenza reale del Divino nella storia. La conseguenza dell'assenza del secondo livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi scientifica e lectio divina" (Sv). Il Santo Padre ha concluso nell'aula del Sinodo, dicendo:  "Dove l'esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l'anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento. Perciò per la vita e per la missione della Chiesa, per il futuro della fede, è assolutamente necessario superare questo dualismo tra esegesi e teologia. (...) Sarà quindi necessario allargare la formazione dei futuri esegeti in questo senso, per aprire realmente i tesori della Scrittura al mondo di oggi e a tutti noi".

La stessa preoccupazione del Pontefice viene espressa nel Discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica del 23 aprile scorso. Qui il Santo Padre ha esplicitato più chiaramente il suo pensiero circa l'aspetto ecclesiale dell'operato esegetico, mettendo in rilievo il ruolo del Magistero e della Tradizione vivente della Chiesa. Al riguardo ha osservato:  "Per rispettare la coerenza della fede della Chiesa l'esegeta cattolico deve essere attento a percepire la Parola di Dio in questi testi, all'interno della stessa fede della Chiesa". "Questa norma - ha precisato - è decisiva per precisare il corretto e reciproco rapporto tra l'esegesi e il Magistero della Chiesa. L'esegeta cattolico non si sente soltanto membro della comunità scientifica, ma anche e soprattutto membro della comunità dei credenti di tutti i tempi".

Circa la relazione tra la Tradizione e la Sacra Scrittura il Pontefice ha riferito l'insegnamento della Dei Verbum 9, ancorato proprio nella Tradizione della Chiesa:  "La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano, in un certo qual modo, una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo; invece la Sacra Tradizione trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono esser accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza".

Riguardo a questi tre elementi - la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa - pare perentoria la constatazione (riassuntiva) della Dei Verbum 10:  "La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. (...) L'ufficio poi d'interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. (...) È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime".



(©L'Osservatore Romano - 22-23 maggio 2009)
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