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Per una pastorale del matrimonio indissolubile

Ultimo Aggiornamento: 27/01/2010 11:47
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Per una pastorale della famiglia

La priorità dell'educazione


di Inos Biffi

Uno dei segni più evidenti e sorprendenti della riuscita dell'evangelizzazione nell'ambito coniugale fu l'instaurazione del matrimonio indissolubile, secondo il progetto di Cristo. Si venne così istituendo una forma inedita nel modo di concepire l'amore dell'uomo e della donna, conforme all'esempio dell'"inizio" - così Cristo stesso lo aveva chiamato - che ebbe come conseguenza un nuovo modello di famiglia.

Tale modello non fu l'esito di un confronto con le esigenze e la sensibilità della cultura del tempo:  se l'evangelizzazione si fosse stemperata nel dialogo - che talvolta oggi viene prospettato non come mezzo ma come fine - essa non sarebbe affatto riuscita. Al contrario, il matrimonio indissolubile e la famiglia stabile furono la risultanza di una radicale e netta trasformazione della mentalità diffusa e del costume corrente. Trasformazione certamente laboriosa, progressiva e, si potrebbe dire, non mai definitiva, ma da cui sorse una cultura nuova:  la cultura cristiana, che si tradusse in una varietà di istituzioni che assunsero l'impronta del Vangelo.



Si sa che l'espressione e soprattutto il concetto di cultura cristiana oggi non ricevono cordiale e simpatica accoglienza. Sembrerebbe anzi che sia un progresso liberarsi dalla svolta costantiniana - per usare un'espressione, storicamente fondata e valida, ma in genere caricata di negatività, soprattutto negli ultimi decenni - per vivere finalmente la dimensione della cosiddetta laicità.

In realtà, è proprio il progressivo disgregarsi della cultura cristiana che maggiormente dovrebbe preoccupare i credenti e, in particolare, i pastori d'anime. Sarebbe confortante se, per esempio, si facesse largo la convinzione che senza cultura cristiana non c'è futuro. E, infatti, come si fa a non vedere che, con l'offuscarsi di quanto è sorto e si è costituito in forza del Vangelo, i credenti vengono esposti alla deriva? Che a motivo di questo clima di annebbiamento e di corrosione delle istituzioni, sorte grazie all'evangelizzazione, vengono a introdursi tacitamente e poi a imporsi ineluttabilmente nuovi modelli di vita e d'esperienza?

Così, nel campo del matrimonio, sembrò a non pochi cattolici che la legislazione della possibilità del divorzio fosse un atteggiamento di liberazione civile, a cui potevano ricorrere i non cristiani, mentre i cristiani avrebbero potuto proseguire tranquillamente nella loro scelta del matrimonio indissolubile. Il ragionamento aveva tutta l'apparenza d'essere avveduto e intelligente, ma non lo era, poiché dimenticava che, con la legislazione sul divorzio, mentre via via si demoliva la cultura cristiana in merito, s'insinuava progressivamente e fatalmente nei credenti stessi - e in particolare nelle nuove generazioni - un altro modello di matrimonio, oltre quello dell'amore coniugale indissolubile, e cioè il modello coniugale divorzista. Ed è quanto sta ormai avvenendo.

Ma qui vorremmo riflettere sulla nuova figura di famiglia che si sta diffondendo nella mentalità comune e che non può non toccare gli stessi cristiani:  una figura anche naturalmente distorta, che appare come l'inevitabile ricaduta del frantumarsi del matrimonio indissolubile.
La pastorale è attenta giustamente alla condizione ecclesiale dei divorziati, dibatte sulla loro possibilità di ricevere l'Eucaristia, e discute sui loro diritti nella comunità cristiana. Credo, però, che la prima preoccupazione della Chiesa debba riguardare l'immagine della famiglia alterata col divorzio, e quindi il diritto dei figli, che per questo motivo si sono trovati privi di quella "pace familiare" (pax familiae) - così la chiama Tommaso d'Aquino - senza la quale non può avvenire una normale educazione.

E proprio a proposito dell'educazione è molto interessante quanto esattamente insegna san Tommaso. Egli ripete che il fine compiuto del matrimonio non è semplicemente quello di generare dei figli, dal momento che tale generazione può avvenire anche fuori del matrimonio, ma è l'educazione dei figli stessi, che invece fuori dal matrimonio sarebbe precaria e incerta.

Ciò a cui mira per natura il matrimonio "non è puramente la generazione della prole, ma è la trasmissione della vita e insieme la sua promozione (promotio) fino al raggiungimento di uno stato umano perfetto". E aggiunge Tommaso d'Aquino che "il figlio non potrebbe essere istruito ed educato", se fosse privo di riferimenti estremamente precisi e concreti, cioè "se non avesse dei genitori determinati e certi (determinati et certi)", che in modo diverso concorrono all'educazione. Così, l'atteggiamento della madre si distingue rispetto a quello del padre per il suo stile di maggiore tenerezza e premurosità - circa prolem mater est magis officiosa - peraltro tenendo presente che tale impegno educativo non si esaurisce in breve:  "Il figlio ha bisogno della cura dei genitori per lungo tempo (usque ad longum tempus)".

Ancora san Tommaso, nel Commento alle Sentenze riportate nel Supplementum della Summa Theologiae, afferma che "quando si parla di prole si deve intendere non solo la sua procreazione, ma anche la sua educazione, alla quale è ordinato tutto il lavoro che insieme compiono l'uomo e la donna uniti in matrimonio". La procreazione come tale si limita a conferire l'esistenza, mentre l'intento dell'educazione è quello della "disciplina", consistente nell'"educazione e istruzione" (educatio et instructio), che esigono una "comunione indivisa" e "un assiduo stare insieme (diuturna commansio)" dei genitori. Tommaso d'Aquino non ignora certamente che sia possibile un'opera formativa fuori dal contesto fisico familiare; d'altronde, lui stesso dall'infanzia fino all'adolescenza fu oblato a Montecassino.

Sappiamo poi tutti sia che per diverse circostanze ci può essere una provvida e talora necessaria supplenza dei genitori nell'educazione, sia che a questa stessa educazione concorrono, oltre a quelli del padre e della madre, altri formativi e positivi riferimenti nell'ambito della medesima famiglia o in un ambito extrafamiliare, e sia che l'"assiduo stare insieme" non è sempre agevolmente e uniformemente attuabile. Senza dire che neppure a questo è in modo sicuro garantito il successo educativo.

Aggiungiamo che l'unità familiare educativa non può certo essere intesa né chiusa in se stessa né autosufficiente in vista della formazione. Rimane però il principio - che non ci appare affatto sorpassato - della famiglia, e quindi dei genitori stabilmente uniti, come contesto e risorsa naturale e normale per l'educazione, che segue la generazione.

Ed è quanto la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mobile, che moltiplica i "padri" e le "madri" e fa sì che oggi gli "orfani" siano non quelli che ne sono privi, ma quelli che ne hanno troppi e in eccedenza, che li abbiano diversi a giorni o a tempi alterni, e che essi siano considerati come degli oggetti facilmente trasferibili.

Non è astratto il rischio che proprio questa sovrabbondanza di genitori a intermittenza e queste inevitabili interferenze e intrecci di rapporti, mentre generano interne conflittualità, smarrimenti e confusioni, contribuiscano a loro volta a creare e a imprimere nei figli stessi una tipologia alterata di famiglia, alla quale va in qualche modo assimilata la stessa convivenza, a causa della sua precarietà. Di solito ci si appella al "diritto" dei coniugi alla propria felicità affettiva e quindi alla loro "libertà" di divorziare. Senonché, su questo diritto, se così lo si vuole chiamare, dei genitori, deve prevalere il diritto dei figli, che si trovano a subire una situazione per loro innaturale.

Anche, se pur non soprattutto, su questo tema dell'immagine della famiglia devono essere attenti i pastori, con il richiamare la stretta connessione tra il matrimonio indissolubile e l'educazione dei figli; tra il matrimonio secondo il Vangelo e l'azione educativa della famiglia. La questione della comunione ai divorziati e del loro statuto nella comunità cristiana viene dopo.

Il declinare dunque - in nome di una pretesa e liberante laicità - della cultura cristiana, di cui fanno parte tanto il matrimonio indissolubile quanto la famiglia chiara e consistente che ne deriva, non solo altera l'identità e lo stile coniugale di un discepolo di Cristo, ma con le sue dissociazioni pregiudica e compromette l'equilibrio educativo che la famiglia è chiamata a fornire secondo il diritto naturale, fermo restando che la stessa natura è risanata e perfezionata dalla grazia.


(©L'Osservatore Romano - 2 luglio 2009)
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