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La liturgia come specchio di un'identità

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2009 08:56
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04/06/2009 08:56

Cristianità bizantina in Terra d'Otranto

La liturgia come specchio di un'identità


Pubblichiamo alcuni stralci dal volume La chiesa di S. Stefano a Soleto. Tradizioni bizantine e cultura tardogotica (Lecce, Argo, 2007, pagine 150, euro 30).

di Michel Berger e André Jacob

Situata nella parte meridionale della penisola salentina, a una ventina di chilometri a sud di Lecce, la piccola cittadina di Soleto, già ricordata da Plinio e, in epoca normanna, dal geografo arabo Idrisi e dal Catalogo dei baroni, fu negli ultimi secoli del medioevo e fino al chiudersi del Cinquecento un centro religioso e culturale italogreco di notevole rilevanza. Non è dunque un caso se proprio a Soleto si trova l'ultimo esempio di chiesa bizantina affrescata in Terra d'Otranto, quella di Santo Stefano.

L'importanza del monumento risiede in buona parte nel fatto che esso fu concepito tra la fine del medioevo e gli albori del rinascimento in un'epoca di transizione, quando si volle condensare l'essenza della tradizione bizantina di Terra d'Otranto. Gli affreschi dell'abside, di uno stile ibrido a sfondo gotico con accenti bizantineggianti e di impronta tipicamente provinciale, racchiudono l'essenza della tradizione teologica e liturgica locale, di cui costituiscono in qualche modo la sintesi e, nello stesso tempo, un punto terminale. Le altre pitture, basate anch'esse su programmi iconografici bizantini, sono eseguite, però, con taglio decisamente tardogotico di derivazione napoletana e, per la maggior parte, evidenziano una stretta parentela con gli affreschi coevi della basilica francescana di Santa Caterina a Galatina.

Il solo "carattere generico, oltre a quell'altrettanto generica esigenza di campire integralmente le pareti di figure", non può essere sufficiente per spiegare il trionfo della "bizantinità" nei modi in cui essa venne malgrado tutto affermata sulle pareti di Santo Stefano. Anzi, tale "generica esigenza" è ampiamente superata da un senso teologico e liturgico tutto bizantino:  forse fu proprio il progressivo isolamento a consentire ai greci salentini di testimoniare ancora con incisività e senso di appartenenza la loro cultura religiosa e letteraria alla fine del medioevo.

Questo deciso attaccamento alla tradizione bizantina si nutrì di un ricorso costante ai più noti e usuali commentari mistagogici, soprattutto all'Historia ecclesiastica e alla sua ultima redazione interpolata, la quale, per di più, fu elaborata e spessissime volte copiata proprio nel Salento. La liturgia era senz'altro lo specchio in cui meglio si rifletteva l'identità dei greci di Terra d'Otranto:  densa di simboli e geneticamente refrattaria alle infiltrazioni occidentali, costituì l'ambito da sfruttare al maggior grado possibile, anche se in maniera assai inconsueta, ricorrendo a un testo per loro davvero fondamentale, quale era appunto l'Historia ecclesiastica. Così, la prova manifesta, e la più spettacolare, del valore che il clero attribuiva allora a simili testi risiede precisamente nella preziosa testimonianza offerta dagli affreschi di Santo Stefano.

Senz'altro estranei a certe disquisizioni teologiche allora in voga a Bisanzio e alle allegorie artistiche da esse suscitate - si pensi alla figura del Cristo-angelo - i greci di Soleto privilegiarono il tipo iconografico più arcaico del Lògos preesistente quale immagine della Sapienza di Dio. L'originalità di tale elaborazione iconografica, realizzata sulla base di una tipologia apparentemente inconsueta pur se in perfetta conformità con le esigenze della tradizione bizantina, corrobora in modo univoco la consapevolezza di un pensiero teologico proprio, fortemente intriso di valenza liturgica.

Il significato attribuito all'immagine della Trinità nell'abside, in quanto illustrazione della sinergia delle tre persone divine esercitata nel corso dell'anafora eucaristica, ne è un'ulteriore, eloquente prova. Inoltre, a conferma della permanenza di una sensibilità squisitamente orientale, non va dimenticato il Simbolo di fede, trascritto nello stesso catino absidale, nel quale si afferma, in senso sacramentale, la koinonìa tòn àghion ovvero l'Eucaristia tesa alla remissione dei peccati, in ossequio a una riflessione teologica assai più sentita in Oriente che non in Occidente.

Non è dato sapere se il programma iconografico realizzato a Soleto sia stato ripreso in altri luoghi di culto della regione, ma non si può escludere a priori l'ipotesi di un più ampio irradiamento, in ambito locale, del modello ideale che esso rappresentava:  si pensi soltanto a quanti affreschi medievali sono stati distrutti o nascosti nel corso dei secoli successivi, in particolare, nel periodo barocco. D'altronde, alcune analogie con la disposizione dei cicli di Santo Stefano si riscontrano ancora, a cavaliere dei secoli XVI e XVIi, nella cappella ad aula unica e coperta da capriate lignee di Sant'Anna a Specchia Gallone, dove gli affreschi sono distribuiti in più registri orizzontali e in modo alquanto simile alla chiesa di Soleto.


(©L'Osservatore Romano - 4 giugno 2009)
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