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Ricordo di Gino Filippini per quaranta anni missionario laico in Africa

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2009 08:36
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05/06/2009 08:36

Ricordo di Gino Filippini per quaranta anni missionario laico in Africa

Un cristiano al fianco dei calpestati


di Giuseppe Caramazza

Sul tavolo della sua stanza a Korogocho, una delle baraccopoli di Nairobi, in Kenya, Gino Filippini ha lasciato un foglio con queste parole:  Thank you to all of you. Mungu akipenda tutaonana soon. Mungu awalinde! ("Grazie a tutti voi. Se Dio vorrà, ci vedremo presto. Dio abbia cura di voi!"). Gino, la sua gente non la rivedrà più. Rientrato in Italia nel settembre scorso, è morto a Brescia il 28 novembre seguente. Gino Filippini ha votato la sua vita alla missione. Da laico, ha percorso le strade dei più poveri in Africa, testimone vivo di quel Vangelo consunto che teneva sempre con sé.

Gino Filippini era nato a Rezzato, in provincia di Brescia, il 17 giugno 1939. Maturò da giovane il desiderio di spendere la sua vita come missionario laico in Africa. Dal 1972 al 1983 lavorò a fianco dei Padri Bianchi a Kiremba, in Burundi - era il tempo del primo genocidio - e poi a Nyabimata, in Rwanda. Qui dette inizio a un'esperienza d'inserimento missionario nel mondo rurale. Dal 1983 al 1992, Gino seguì vari progetti che puntavano all'autosufficienza economica delle comunità con cui lavorò in Congo (allora Zaire), Uganda e Tanzania. In Kenya arrivò nel 1994. Da sempre al fianco della gente, Gino si affacciò alla realtà delle aree urbane, dove la maggioranza della popolazione africana si stava radunando.



Il suo primo impatto con la città non fu dei più fortunati. Nel 1992 era rientrato in Italia per assistere il papà malato di cancro. Mentre era in Italia, incontrò padre Gianni Nobili, un missionario comboniano con cui aveva collaborato in Congo. Padre Gianni era in quel tempo impegnato nella pastorale nelle baraccopoli della capitale keniota e lo invitò a passare qualche giorno con lui, a Korogocho, una baraccopoli seguita dalla comunità comboniana di Kariobangi. Gino andò a trovare il suo vecchio compagno di missione, ma non fu entusiasta della visita. "Io a Korogocho non ci verrò mai", disse poco prima di ripartire verso l'Italia. Dopo la morte del padre, come era sua abitudine, si prese un tempo di riflessione e preghiera. Ne emerse deciso a continuare il suo impegno missionario nelle baraccopoli. Tornò a Nairobi e iniziò a vivere con la comunità comboniana presso la chiesa di Saint John, all'interno di Korogocho. In quella baraccopoli, visse gli ultimi 15 anni della sua vita.

Molti degli abitanti di Korogocho vivono in una discarica, Mukuru, dove cercano tra i rifiuti cose da riciclare o rivendere a basso costo. È tra queste persone che Gino lavorò con entusiasmo, organizzando la raccolta differenziata e offrendo le sue capacità per dar vita al Mukuru Recycling Project - progetto per un sistematico riciclo di materiale di scarto - e sostenendo il Bega Kwa Bega - spalla a spalla, in swahili - una cooperativa con varie attività di sviluppo. Divenne anche il punto di riferimento di altri missionari laici che si avvicendarono nelle baraccopoli di Nairobi. La discarica trasformò la sua vita, ma ne causò anche la morte. Il cancro alle vie respiratorie lo ha quasi certamente contratto lì a Mukuru, dove i fumi delle immondizie incendiate appestano l'aria e provocano la morte di tanti tra i baraccati. Anche in questo Gino ha condiviso sino in fondo il destino dei fratelli che serviva.

Il suo impegno non ebbe confini definiti. Si impegnò con le prostitute, i ragazzi di strada, in discarica, con gli alcolisti e i malati di Aids e infine nelle scuole con il progetto Education for Life, educazione per la vita. Era rimasto colpito dall'epidemia di Aids. Decise di impegnarsi ad aiutare i giovani a capire il pericolo che correvano. Decise anche che doveva dedicarsi alla prevenzione. Gino preparò un gruppo di giovani, guidati da George Otieno, per sensibilizzare sia gli studenti che i professori al problema. Il programma Education for life è un metodo per aiutare i giovani a scegliere la vita. Gino aveva capito che l'epidemia Aids era il risultato della negazione dei valori vitali tradizionali e di un vuoto culturale. Gino, aiutato da Gianfranco Morino, un chirurgo che da venti anni lavora a Nairobi, ha portato avanti questo suo lavoro tra mille difficoltà. Gli ultimi anni a Korogocho sono stati molto duri e difficili per Gino. Eppure lui credeva in questo progetto. Pochi giorni prima di morire dette le ultime consegne a George Otieno perché questo programma di vita potesse continuare.

Il passaggio dalla missione rurale a quella urbana fu molto duro. Si trattava di cambiare stile di vita, metodo pastorale e organizzare il lavoro in modo nuovo. Gino affrontò tutto questo con la sua solita attenzione alla vita spirituale. "Sorretto da una fede rocciosa, nutrita dal Vangelo e dal libro I Salmi di Turoldo e Ravasi. Non mancava mai alla giornata di preghiera settimanale. Amava il Vangelo sine glossa. La sua vita era un Vangelo vivente, pane spezzato e mangiato dai poveri. È questa ricerca continua di nuove strade che ha fatto di lui un grande missionario con una passione per l'Africa, con una passione per l'uomo, soprattutto per l'uomo calpestato e oppresso", così lo ricorda padre Alex Zanotelli, che con Gino ha vissuto i primi anni dell'esperienza in baraccopoli.

Nel 2001 rimase per un periodo l'unico missionario presente a Korogocho. Così tutti a chiedergli:  "Come fai, solo a Korogocho?". La sua risposta era sempre la stessa:  "Solo? Sono in mezzo a centomila persone. A volte noi bianchi non vediamo che noi stessi. Gli altri è come se non esistessero... A Korogocho noi missionari siamo ospiti di una comunità che ci accoglie. In fondo siamo solo comparse:  rimaniamo qualche anno, a differenza dei baraccati che ci stanno tutta la vita".

Uno dei tanti doni speciali di Gino era la capacità di mettere insieme le persone, di ascoltare le ragioni dell'uno e dell'altro, di far prevalere il dialogo. "Sognatore ma non esaltato; discreto, ma efficace; laico, ma non sposato; di grande fede senza essere clericale; volontario, ma non appartenente ad alcuna organizzazione. La sua era una curiosità intensa e profonda per la vita umana:  la naturale bellezza della vita. Aveva una lucidità che gli derivava da una profonda conoscenza dei problemi, insieme a una rara capacità pratica di mettere in opera soluzioni e all'attitudine verso le relazioni con gli altri. Le sue non erano mai decisioni dall'alto". Lo ricorda così Fabrizio Floris, volontario dell'associazione Amani che Gino aveva introdotto alla realtà keniota.

Alla notizia della sua morte, molti missionari che lo hanno conosciuto e visto lavorare non hanno potuto fare a meno di pensare a lui come alla figura missionaria laica più significativa degli ultimi anni, al pari di Annalena Tonelli, uccisa nel 2003 in Somalia. Poco prima di morire, Annalena aveva scritto:  "Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza un versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio". È esattamente ciò che è stato anche Gino. Un uomo profondamente innamorato del Vangelo, che ha dedicato quaranta anni di vita missionaria all'Africa, quaranta anni per i più poveri.


(©L'Osservatore Romano - 5 giugno 2009)
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