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A trent'anni dal primo viaggio in Polonia di Giovanni Paolo II

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2009 08:32
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10/06/2009 08:22

A trent'anni dal primo viaggio in Polonia di Giovanni Paolo II

Le radici della nuova Europa


di Andrzej Koprowski

Ogni viaggio internazionale del Papa è un incrocio dell'universalità della Chiesa con la concretezza della vita delle Chiese particolari che svolgono la loro missione in contesti culturali, sociali e politici ben precisi. Il Romano Pontefice guarda alla situazione delle diverse società e Chiese particolari dalla prospettiva del Vangelo e dell'esperienza della Chiesa universale. Con la sua presenza e le sue parole cerca di aiutarle nel loro cammino.

Il primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia (2-10 giugno 1979) ebbe un significato speciale. Fece seguito al viaggio in Messico - più precisamente in Repubblica Dominicana, Messico e Bahamas - e allo storico incontro con la terza conferenza generale dell'episcopato latinoamericano. Non fu solo un ritorno del Papa polacco in patria, ma un viaggio apostolico del successore di Pietro oltre la Cortina di ferro, in un Paese del blocco sovietico.

Il cardinale Roberto Tucci ricorda che per l'ambiente vaticano e i collaboratori di Papa Wojtyla fu un'occasione per comprendere meglio lo specifico del pontificato, il modo di vedere insieme il messaggio teologico inserito nella realtà culturale e sociale delle persone e della società civile. Un'occasione per vedere il cristianesimo come un lievito indispensabile per dare un senso umano ai sistemi culturali, sociali e politici. Il contrasto con l'ideologia atea del blocco sovietico e con la situazione delle popolazioni destinate dal trattato di Yalta al socialismo reale era evidente.

Durante il primo viaggio polacco Giovanni Paolo II toccò tutti i fondamenti teologici come base non solo della vita personale, ma anche comunitaria, sociale, culturale, per organizzare la vita pubblica, economica, politica:  "Cercare tutto quello che è necessario al bene dell'uomo, il quale deve trovare dappertutto la coscienza e la certezza della sua autentica cittadinanza" - disse il Papa a Balice il 10 giugno - "in qualunque sistema di relazioni e di forze".

E a Varsavia Giovanni Paolo II aveva subito sottolineato che la "Chiesa ha portato alla Polonia Cristo, cioè la chiave per la comprensione di quella grande e fondamentale realtà che è l'uomo". La visita si svolse in un clima straordinario, ma anche carico di tensioni politiche, soprattutto durante gli incontri con il mondo del lavoro a Jasna Góra e a Nowa Huta. "Il cristianesimo e la Chiesa - disse Papa Wojtyla - non hanno paura del mondo del lavoro. Non hanno paura del sistema basato sul lavoro. Il Papa non ha paura degli uomini del lavoro (...) Attraverso le proprie esperienze di lavoro, oso dire, il Papa ha imparato nuovamente il Vangelo. Si è accorto e si è convinto, quanto profondamente nel Vangelo sia incisa la problematica contemporanea del lavoro umano. Come sia impossibile risolverla fino in fondo senza il Vangelo".

Il regime, il Governo e i capi del partito ebbero paura del viaggio. Temevano che la visita del Papa provocasse manifestazioni e disordini. In realtà, furono giorni pieni di gioia e di serenità. Per la prima volta da decenni la gente - credenti e non credenti - si trovò insieme, in comunione, libera. Riscoprì la propria dignità. Non fu contro il regime. Semplicemente, il regime sparì dalla prospettiva. Come la sporcizia sul vetro di una macchina tolta dal tergicristallo.

L'elezione del cardinale di Cracovia come successore di Pietro il 16 ottobre 1978 e il suo primo viaggio in Polonia diedero impulso al profondo processo di trasformazione della società polacca. Un processo mentale, ma anche culturale e sociale che portò fino al movimento di Solidarnosc, fino a un rinnovarsi della speranza che si può vivere in modo più degno, più umano, più libero. Che si devono cambiare le strutture oppressive ed economicamente e socialmente inefficaci.

Il processo di maturazione non riguardò solo la Polonia. Già nel secondo giorno della visita, a Gniezno - prima sede vescovile del Paese - Giovanni Paolo II ricordò che la Chiesa ha cominciato il suo cammino missionario e la sua vita dal Cenacolo della Pentecoste. "Non è forse disegno provvidenziale che egli sveli gli sviluppi che proprio qui, in questa parte dell'Europa, ha conosciuto la ricca architettura del tempio dello Spirito Santo? Non vuole forse Cristo, non dispone forse lo Spirito Santo, che questo Papa polacco, Papa slavo, proprio ora manifesti l'unità spirituale dell'Europa cristiana (...) composta dalle due grandi tradizioni:  dell'Occidente e dell'Oriente? (...) Egli viene per parlare davanti a tutta la Chiesa, all'Europa e al mondo, di queste nazioni e popolazioni spesso dimenticate (...) Viene per indicare le strade che in vari modi riportano verso il cenacolo di Pentecoste, verso la Croce e la Risurrezione".

Il Papa salutò i pellegrini provenienti dalle diverse parti del blocco sovietico, menzionò i lituani, i cechi, gli slovacchi, i croati, gli sloveni, i moldavi, i russi, i bulgari, gli ucraini, i serbi lusaziani. Oggi non ricordiamo il clima politico e non è facile capire come queste parole portarono non solo conforto alle rispettive popolazioni, ma provocarono anche la rabbia politica del "grande fratello". Il cardinale Stefan Wyszynski ascoltava con un sorriso e diceva a bassa voce:  "Karolku, Karolku, stai attento. Fermati. Non fare un passo di più...".

Il trentesimo anniversario del primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia ha un significato non solo per la Chiesa polacca. La rinascita della Chiesa nei diversi Paesi dell'Europa dell'Est, i cambiamenti di mentalità e di situazione politica che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino, il processo di allargamento dell'Unione europea con tutte le sue difficoltà e debolezze - di cui abbiamo avuto una chiara espressione in questi giorni nella scarsa partecipazione alle elezioni - segnano le tappe di un cammino che ha le sue radici in quel viaggio pastorale.


(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2009)
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A trent'anni di distanza il cardinale Stanislaw Dziwisz racconta il primo viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia

E al ritorno il Papa dormì quattordici ore filate



Dopo quella visita i polacchi hanno drizzato la schiena
E il presidente Reagan telefonò al Pontefice che i sovietici non si potevano permettere di invadere il Paese

A trent'anni dalla prima visita di Giovanni Paolo II in Polonia, il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo metropolita di Cracovia, ha rilasciato una lunga intervista all'agenzia cattolica polacca Kai. Riportiamo integralmente il testo pubblicato in buona parte da "Avvenire" il 31 maggio in un servizio curato da Luigi Geninazzi.

di Marcin Przeciszewski e Tomasz Królak

Il 10 giugno di trent'anni fa si concludeva il primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia. Stanislaw Dziwisz, come segretario personale del Papa, fu il più diretto testimone di tutti i preparativi all'evento. Al cardinale arcivescovo di Cracovia abbiamo chiesto un ricordo di quel viaggio.

Quando Giovanni Paolo II cominciò a pensare a una possibile visita nella sua patria?

Già da cardinale Karol Wojtyla dava grande importanza al novecentesimo anniversario della morte di san Stanislao e da tempo preparava le celebrazioni. Aveva trasmesso gli inviti a tutti i cardinali che partecipavano al conclave dell'agosto 1978 e subito dopo invitò a Cracovia anche Giovanni Paolo I. Perciò, fin dal momento della sua elezione al soglio di Pietro, è stato per lui ovvio fare tutto il possibile per venire in Polonia a celebrare l'anniversario. Sentiva l'essere a Cracovia come un dovere morale anche se si rendeva conto che non sarebbe stato facile da realizzare. 

Pensava che le autorità comuniste polacche non avrebbero facilmente ingoiato un simile boccone?

Quando hanno saputo di questa richiesta i governanti polacchi hanno reagito negativamente. Ma intanto Giovanni Paolo II aveva ricevuto l'invito a visitare il Messico. Lo accolse con piacere. Per lui l'America Latina era molto importante in relazione alla teologia della liberazione, al tentativo di percepire la dottrina sociale della Chiesa nell'ottica dell'ideologia marxista. E diceva:  se posso andare in Messico, un Paese che ha la costituzione più anticlericale del mondo, allora anche il Governo polacco non potrà dirmi di no. Si ricordava bene che le autorità comuniste non avevano permesso la visita di Paolo VI. Intuiva però che a lui non avrebbero potuto impedirlo.

Quando iniziarono le trattative?

Abbastanza presto. Il negoziato fu condotto dal segretario della Conferenza episcopale polacca, monsignor Bronislaw Dabrowski. Alla fine Varsavia diede il via libera ma a una condizione:  la visita del Papa non doveva avvenire in coincidenza con l'anniversario di san Stanislao, a maggio. Il Santo Padre rispose:  va bene, vuol dire che arriverò il mese dopo, a giugno.

E per quanto riguarda l'itinerario della visita, ci furono difficoltà?

Venne stabilito che il Papa non sarebbe potuto andare al di là della Vistola, nelle regioni della Polonia orientale. E fu esclusa anche la Slesia. In linea di massima le autorità volevano che la visita fosse il più breve possibile e molto limitata negli spostamenti.

Alla fine le difficoltà furono superate. Giovanni Paolo II pensava alle possibili ripercussioni del suo viaggio? Si rendeva conto che sarebbe stato così determinante per il corso degli eventi in Polonia?

Nessuno le poteva prevedere. Lui era convinto che la nazione polacca, così fortemente radicata nella fede, meritasse la visita del Papa. Oggi senza dubbio possiamo dire che il suo primo pellegrinaggio in Polonia è stato il più importante di tutti i viaggi papali perché ha innescato un processo di cambiamenti incredibili a livello mondiale. Tutto iniziò in quei giorni.

Come si preparò il Papa a questo viaggio?

Scrisse da solo tutti i testi dei discorsi e delle omelie. Il ruolo della sezione polacca della Segreteria di Stato fu solo quello di controllare le citazioni. Non usava nessun appunto, gli bastava la memoria. Era organizzato in modo perfetto e scriveva molto velocemente:  un lungo discorso non gli prendeva più di un'ora e mezzo di preparazione. Per un discorso breve bastava un'ora. E leggeva moltissimo. Riusciva a fare più cose contemporaneamente.

Il tema principale del pellegrinaggio fu l'effusione dello Spirito Santo. Venne richiamato in quasi tutti i discorsi del Papa. Fu una scelta consultata con i collaboratori?

Giovanni Paolo II era un visionario, come molti artisti. Sapeva cosa dire e cosa la nazione aspettava che dicesse. Sapeva presentare questi temi alla luce della fede e dell'insegnamento della Chiesa. In più il periodo coincideva con la Pentecoste.

Ma Giovanni Paolo II si rendeva conto che il discorso pronunciato a Gniezno - là dove affermava che la missione del Papa slavo era quella di far riscoprire all'Europa l'unità fra Occidente e Oriente - metteva in discussione l'Ostpolitik vaticana che di fatto accettava la situazione esistente?

Giovanni Paolo II ha sempre rifiutato la dottrina del "compromesso storico" secondo cui l'Occidente e anche la Chiesa avrebbero dovuto considerare il marxismo come un elemento decisivo dello sviluppo della storia. Lui era convinto che il futuro non appartenesse né al marxismo né alla lotta di classe. In questo senso cambiò decisamente la politica vaticana. Il cambiamento di prospettiva ha fatto riflettere molti ambienti e chiedersi se realmente il marxismo fosse così forte. Con la stessa determinazione Giovanni Paolo II si oppose ai tentativi di includere l'analisi marxista nella dottrina sociale della Chiesa nell'ambito della teologia della liberazione. Per lui lo sviluppo dell'umanità passava per la possibilità di scegliere e i diritti dell'uomo. Lui era a favore dei diritti della persona e dell'intoccabile dignità dell'uomo. Il discorso di Gniezno segnò l'inizio della caduta della cortina di ferro che allora divideva l'Europa. Il crollo del Muro è cominciato lì, non a Berlino!

Ma non c'erano preoccupazioni anche in Vaticano per il fatto che Giovanni Paolo II stesse andando troppo lontano?

Una così forte dichiarazione a favore di questi diritti ha in effetti spaventato alcuni, fra i quali anche uomini di Chiesa.

Non le dispiace che oggi tutti parlino del Muro di Berlino e non di Gniezno o di Solidarnosc?

Bisogna parlare di fatti storici. La caduta del Muro era la conseguenza del processo iniziato nel 1979 in Polonia, e ripeto:  lo smantellamento della cortina di ferro cominciò il 3 giugno 1979 a Gniezno.

A Cracovia, nel corso di quel primo viaggio, il Papa si affacciò alla finestra dell'arcivescovado parlando con i giovani, un dialogo che si sarebbe poi ripetuto a ogni sua visita in Polonia. Fu qualcosa di programmato? 

No, fu un'iniziativa assolutamente spontanea. Migliaia di persone aspettavano sotto la finestra e chiamavano il Papa. Bisognava in qualche modo farsi vedere. Il Santo Padre prese la decisione da solo, contro qualcuno del suo entourage che lo sconsigliava per motivi di sicurezza.

A suo avviso, qual è il senso più profondo del suo primo pellegrinaggio in Polonia?

Dopo questa visita la Polonia non è stata più la stessa. La gente ha drizzato la schiena, non aveva più paura.

Solidarnosc nacque come frutto naturale di questa liberazione?

Giovanni Paolo II ha liberato l'energia interiore del popolo. In questo senso ha posto le basi spirituali per la nascita di Solidarnosc l'anno dopo.

Al suo rientro in Vaticano Giovanni Paolo II fece qualche commento sulla visita?

Non diceva nulla perché aveva perso la voce. Al suo rientro era molto stanco, dormì per quattordici ore filate.

Parliamo dello stato di guerra, introdotto dal generale Jaruzelski nel dicembre 1981. Quale fu la reazione del Papa?

Giovanni Paolo II raramente dimostrava la sua preoccupazione. Però alzò forte la voce nella basilica di San Pietro alla presenza della delegazione polacca con alla testa il presidente Jablonski. Questo avvenne nell'ottobre del 1982 in occasione della canonizzazione di padre Kolbe. Il Papa disse:  "La nazione non si merita quello che gli avete fatto".

Ma Giovanni Paolo II aveva preso in considerazione la possibilità di un'invasione sovietica della Polonia?

Nessuno la prendeva seriamente in considerazione, dato che i sovietici erano già impegnati in Afghanistan. Sapevamo che l'Unione Sovietica non se lo poteva permettere. Su questo avevamo notizie precise direttamente dalla Casa Bianca, le abbiamo ricevute da Zbigniew Brzezinski (all'epoca consigliere per la sicurezza nazionale, ndr) e dallo stesso presidente Reagan il quale chiamò personalmente il Papa.

Qual era il rapporto di Giovanni Paolo II con il generale Jaruzelski? Lui continua a dire che lo stato di guerra fu il male minore rispetto all'invasione sovietica.

Il Papa non ha mai accolto una simile interpretazione. Rispettava l'intelligenza e la cultura di Jaruzelski ma non era d'accordo con lui su nulla. Il generale guardava esclusivamente a Est. Al contrario di Edward Gierek, il quale salutando il Papa alla fine del suo viaggio disse:  "Qui a Varsavia soffiano i venti dell'Est e dell'Ovest. Santo Padre, lei sostenga quelli dell'Ovest".

Passiamo all'attualità. Per quando ci possiamo aspettare la canonizzazione di Giovanni Paolo II?

Questo dipende direttamente da Benedetto XVI. Mi sembra comunque che le cose vadano molto bene. Il procedimento per il miracolo è già in moto. E sarà decisivo il riconoscimento dell'eroicità delle virtù di Karol Wojtyla. Speriamo che il diavolo non ci metta la coda.

Lei, Eminenza, ha sentito qualche volta la presenza del diavolo?

Sì, l'ho sentita. Nel modo più forte quando il diavolo è stato scacciato da una giovane donna. Ero presente, so cosa vuol dire. È terribile avvertire la presenza di una forza così grande e incontrollabile. Ho visto come la maltrattava fisicamente, ho sentito la voce con cui lei gridava. Accadde dopo un'udienza generale. Giovanni Paolo II recitò gli esorcismi, ma niente. Allora disse che il giorno dopo avrebbe celebrato la messa secondo le intenzioni di questa ragazza. E dopo questa messa lei improvvisamente si ritrovò come fosse un'altra persona, tutto era sparito. Prima non ci credevo, pensavo si trattasse di una malattia psichica. Invece Satana esiste.

E come riconoscere la sua presenza nel mondo?

Satana esiste, anche se l'ideologia dominante ritiene che siano tutte favole. Oggi il demonio lavora affinché gli uomini credano che lui non esiste. È un metodo quanto mai perfido.


(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2009)
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