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L'ebreo senza volto

Ultimo Aggiornamento: 26/06/2009 16:12
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26/06/2009 16:12

L'ebreo senza volto


di Antonio Paolucci

Com'era il volto di san Paolo? Non lo sappiamo né possiamo saperlo. Il primo secolo dopo Cristo, almeno nella parte del mondo che l'apostolo evangelizzò, è gremito di ritratti perché l'arte greco-romana era naturalistica e illusionistica. Gli artisti erano affascinati dalla rappresentazione dei caratteri fisionomici e psicologici delle persone. E infatti centinaia, migliaia di ritratti sfilano davanti ai nostri occhi quando visitiamo le grandi collezioni di statuaria antica.

Sono uomini e donne, sono imperatori e generali, sono mercanti e liberti, soldati, atleti e gladiatori, coppie di coniugi che si danno la mano sul fronte dei sarcofagi, bambini e bambine che hanno lasciato prematuramente questo mondo consegnandoci, in mestizia, le loro amate sembianze.



Ma il ritratto di un ebreo non lo troverete mai. Non c'è, non può esserci. La cultura ebraica era ed è rigorosamente aniconica. Era interdetta la rappresentazione dell'immagine umana. San Paolo che era giudeo di legge e di sinagoga e che deve aver fatto molta fatica a scrivere (nella prima ai Colossesi) che Cristo è eicon ("immagine") del Dio vivente, avrebbe considerato con repulsione la rappresentazione del suo volto.

Il problema si pose fra il terzo e il quarto secolo quando una Chiesa ormai diffusa e strutturata giocò il grande e geniale azzardo che sta alla base di tutta la nostra storia artistica. Accettò e fece proprio il mondo delle immagini e lo accettò nelle forme in cui lo aveva elaborato la tradizione stilistica e iconografica ellenistico-romana. Avvenne così che Cristo buon pastore assumesse il volto di Febo Apollo o di Orfeo, che Daniele nella fossa dei leoni avesse le sembianze di Ercole, l'atleta nudo vittorioso.

Ma come rappresentare Pietro e Paolo, i principi degli apostoli, le colonne portanti della Chiesa, i fondamenti della gerarchia e della dottrina? Qualcuno ebbe una idea felice. Diede ai protoapostoli le sembianze dei protofilosofi. Così Paolo, calvo, barbato, l'aria grave e assorta dell'intellettuale, ebbe il volto di Platone (o forse di Plotino) e quello di Aristotele il pragmatico terrestre Pietro che ha il compito di guidare, nelle insidie del mondo, la Chiesa professante e combattente.

Nella più antica immagine conosciuta del martirio di san Paolo scolpita in un sarcofago di metà del iv secolo conservato nel Pio Cristiano dei Musei Vaticani, l'Apostolo delle genti risponde all'iconografia descritta. Calvo, barbato, vestito di abiti curiali come si conviene a un maestro, egli attende in piedi con stoica fermezza il colpo dell'armigero che sta sguainando la spada. Perché Paolo, in quanto cittadino romano, aveva diritto alla morte per decapitazione. Non poteva essere giustiziato con il supplizio infamante della croce riservato agli schiavi o, diremmo oggi, agli extracomunitari.

Il citato Martirio di san Paolo dà immagine alla mostra che, per il catalogo della Tau Editrice, Umberto Utro ha curato all'interno dei Musei Vaticani a conclusione dell'Anno paolino.



Sono più di centotrenta opere selezionate fra i tesori, spesso inediti o pochissimo noti, che i Musei, la Biblioteca Apostolica, la basilica di San Pietro conservano. Sono sarcofagi e sculture, argenti (come l'ampolla di fine IV secolo del Museo Cristiano di Benedetto XIV) e vetri dorati, bronzi e codici miniati, smalti e stampe.

Tutte queste opere parlano del volto dell'apostolo, della diffusione del suo messaggio, del rapporto iconografico e liturgico che lo lega a san Pietro fino dai primi secoli della storia cristiana, delle scoperte archeologiche emerse dalle recenti campagne di scavo nell'area della basilica di San Paolo fuori le Mura.
Il catalogo che accompagna la mostra rimarrà in bibliografia come l'antologia più aggiornata, all'anno 2009, di studi paolini. Per il coordinamento di Umberto Utro e con l'imprinting dell'arcivescovo Gianfranco Ravasi,  presidente  del  Pontificio  Consiglio della Cultura, al quale dobbiamo il saggio Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, una schiera di studiosi specialisti ha affrontato una vasta pluralità di argomenti.

Così Fabrizio Bisconti analizza la figura di Paolo nell'immaginario iconografico della tarda antichità. I colleghi dei Musei Vaticani e del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (Giorgio Filippi, Lucrezia Spera) ripropongono con approfondimenti e rettifiche importanti, la storia della Basilica paolina fra l'età teodosiana e l'alto medioevo anche alla luce delle risultanze degli ultimi scavi. Rosanna Barbera dà conto della raccolta epigrafica, Paolo Liverani parla delle visite degli imperatori cristiani alla tomba dell'Apostolo e della forma della primitiva basilica, Pietro Zander tenta il recupero di un perduto "itinerario paolino" nell'antico San Pietro costantiniano.



Ai saggi di archeologia, di filologia, di scrutinio del patrimonio artistico e documentario - i sarcofagi paleocristiani, i materiali manoscritti e a stampa, questi ultimi illustrati da monsignor Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana - si aggiungono interventi di carattere storico, letterario, teologico. Da Paolo nel pensiero della Chiesa antica di Prosper Grech a Sulle orme di san Paolo del metropolita ortodosso d'Italia e Malta Gennadios Zervos.

Fra tutti merita particolare attenzione lo scritto del padre gesuita Ferdinando Castelli sulla fortuna letteraria di Paolo nel Novecento. Nel secolo di tutte le rivoluzioni l'apostolo è stato oggetto ora di attrazione ora di odio. Per Nietzsche le sue epistole sono "dinamite" ma egli è anche il "disangelista", l'"antinunzio" e quasi, l'"anticristo". Mentre per André Gide san Paolo è colui che ha oscurato la gioia dei Vangeli.

Al contrario, per altri (Khalil Gibran, Dimitri Merejkowski, Taylor Coldwell, Pietro Citati) la conoscenza di Saulo di Tarso, "leone di Dio", è stupore di fronte alla santità, è ammirazione per colui che "fu il primo dopo l'Unico".

In realtà, come scrive in introduzione al catalogo il cardinale Giovanni Lajolo, "l'incontro con Paolo può non essere facile". È un incontro dal quale non si esce mai uguali.

Un'ultima considerazione. La mostra che i Musei Vaticani hanno organizzato al termine delle celebrazioni del bimillenario paolino viene inaugurata in contemporanea con la conclusione dei restauri nella Cappella parva dei Palazzi Apostolici, la Cappella che porta il nome dell'apostolo.

Una coincidenza, certo, ma le coincidenze - diceva il surrealista Breton - sono il segno di un ordine sepolto che un giorno ci sarà dato di comprendere. Non diversamente, a ben guardare, pensava lo stesso san Paolo quando scrisse, nella prima ai Corinzi:  "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto". Forse per questo, perché il mondo è una foresta di indecifrabili (per ora) enigmi, è accaduto che la mostra su san Paolo e l'inaugurazione della Cappella Paolina cadessero insieme.

All'estate del 2009 c'è la mostra allestita nel Pio Cristiano e c'è Saulo di Tarso che cade sulla via di Damasco affrescato, nella Cappella del Papa, da un Michelangelo che, ormai al termine della vita, si confronta con l'Assoluto e con la Storia. Un Michelangelo impegnato nell'ultimo duello con "l'affettuosa fantasia che l'arte mi fece idolo e monarca". C'è - nel san Paolo secondo Michelangelo - il Cristo che scende su Saulo caduto con la fatale irreparabile violenza del fulmine, il braccio teso verso il basso ad afferrarlo, a "tirarlo su", mentre il cielo di lapislazzuli popolato da tumultuose nubi di ignudi, si squarcia come per una immane catastrofe.

Il mistero della salvezza testimoniato e predicato dall'Apostolo delle genti, alluso, significato e confessato nelle opere d'arte e nei documenti esposti, non ha mai avuto una rappresentazione più brutale e definitiva di quella che Michelangelo Buonarroti, negli anni Quaranta del XVI secolo, mise in figura nella cappella del Papa.


(©L'Osservatore Romano - 26 giugno 2009)
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