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Benedetto XVI conferma solennemente: I RESTI NELLA TOMBA SONO VERAMENTE DI SAN PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 04/07/2009 18:42
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29/06/2009 16:09

Benedetto XVI conferma solennemente: I RESTI NELLA TOMBA SONO VERAMENTE DI SAN PAOLO

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"Sarebbero veramente i resti di San Paolo":

Con “profonda emozione” Benedetto XVI ha annunciato che alcune analisi scientifiche confermano i dati della tradizione secondo cui nella tomba sotto l’altare papale nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura vi è il corpo dell’apostolo. L’annuncio è stato dato proprio nella stessa Basilica, Omelia di Benedetto XVI per la chiusura dell’Anno Paolino , che hanno concluso l’Anno Paolino, per celebrare i 2000 anni della nascita dell’apostolo di Tarso.

Il Pontefice ha detto che la tomba è stata di recente “oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione”.

.... il Papa ha poi tratteggiato alcune caratteristiche del messaggio dell’apostolo Paolo che devono diventare dimensioni quotidiane per l’esistenza cristiana. “L’Anno Paolino si conclude – ha detto - ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a conoscere Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana”.



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VATICANO

Certo il ritrovamento del sarcofago di San Paolo

Il grande manufatto è emerso durante gli scavi nella basilica, a livello dei reperti dell’edificio costantiniano. Sarà ora il Papa a decidere se aprirlo.



Città del Vaticano (AsiaNews) –

“E’ assoluta” la certezza del ritrovamento del sarcofago di San Paolo, sotto la basilica romana che ne porta il nome. La certezza degli archeologi vaticani è stata espressa oggi da Giorgio Filippi, il dirigente dei Musei Vaticani che ha seguito gli scavi compiuti all’interno della chiesa, nel corso di una conferenza stampa che ha presentato i risultati dei lavori di scavo compiuti dal 2002 ad oggi.

Dal canto suo, il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della Basilica, ha definito “un dato incontrovertibile nella tradizione storica” il fatto che la basilica fosse sorta sulla tomba dell'Apostolo.

“La cronaca del Monastero - ha aggiunto - parla di un grande sarcofago marmoreo rinvenuto durante i lavori di ricostruzione della basilica dopo l'incendio del 1823, nell'area della Confessione, sotto le due lastre iscritte ‘Paulo Apostolo Mart(yri)’, di cui però non esiste traccia nella documentazione di scavo, a differenza degli altri sarcofagi che furono scoperti e rilevati nella stessa occasione”.

Ora, le indagini archeologiche compiute nell'area tradizionalmente considerata il luogo di sepoltura dell'apostolo sono iniziate nel 2002 e terminate il 22 settembre 2006 ed hanno permesso di riportare alla luce “un importante contesto stratificato, formato dall'abside della basilica costantiniana, inglobata nel transetto dell'edificio cosiddetto dei Tre Imperatori: sul pavimento di quest'ultimo, sotto l'altare papale, è stato riscoperto quel grande sarcofago del quale si erano perse le tracce e che veniva considerato fin dall'epoca teodosiana la Tomba di S. Paolo”.

È stato possibile, inoltre, rilevare le dimensioni del sarcofago: cassa lunga circa m. 2,55, larga circa m. 1,25 e alta m. 0,97; coperchio alto circa m. 0,30 e spesso nel bordo anteriore m. 0,12. La porzione dell'abside scoperta costituisce l'unica testimonianza visibile della Basilica attribuita comunemente a Costantino. Il sarcofago non è stato spostato dalla sua sede né sono ancora state esaminate tutte le sue pareti che sono ancora in parte murate e potrebbero nascondere altre iscrizioni.

Se, è stato infine riferito, è allo studio la possibile visita del sarcofago da parte del pubblico, spetta al Papa la decisione se aprire il sarcofago, che potrebbe anche essere un cenotafio, cioè vuoto.  

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Riguardo la scoperta della Tomba di san Paolo ne avevamo parlato in antecedenza in questo topic: Riportata alla luce la tomba di San Paolo
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A colloquio con il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo

La tomba di san Paolo fra storia e fede


di Mario Ponzi

"Lo ripeto e lo confermo:  la tomba di san Paolo non è stata mai aperta. Domani in conferenza stampa verrà confermato. E si vedrà che, in realtà, non c'è nulla da aggiungere, oltre quanto detto dal Papa. Se non per alcuni particolari tecnici, con i quali abbiamo poca dimestichezza. Ma per questo ci sarà il tecnico che ha eseguito materialmente il lavoro; darà tutti i particolari dell'operazione". Si augura, il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della basilica di San Paolo fuori le Mura, che l'incontro con i giornalisti nella Sala stampa della Santa Sede - in programma venerdì 3 luglio - serva a soddisfare la curiosità, e non solo quella mediatica, suscitata dall'annuncio di Benedetto XVI riguardo alla datazione dei resti da secoli custoditi nel sarcofago sotto l'altare della Confessione della Basilica di san Paolo.



Sul perché di tanti silenzi e di tanti segreti sulla vicenda il cardinale è molto esplicito:  "Anzitutto si tratta di annunci che spettano al Papa. Poi non volevamo ripetere gli errori commessi in passato in occasione del ritrovamento della tomba di san Pietro e delle sue ossa. Si venne a sapere delle indagini e subito si innescò una polemica che divise gli archeologi". Il cardinale si riferisce alla diatriba insorta in particolare tra il gesuita Antonio Ferrua, che dubitava dell'identificazione, e l'epigrafista Margherita Guarducci, che al contrario ne era certa. Si dovette attendere più di un ventennio il pronunciamento di Paolo vi:  "Anche le reliquie di san Pietro - disse Papa Montini il 26 giugno del 1968 - sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente, e ne diamo lode a chi vi ha impiegato attentissimo studio e lunga e grande fatica". E in quel tempo non esisteva la possibilità di usare una tecnica poi messa a punto:  il c14, cioè il radiocarbonio utilizzato per la datazione radiometrica di materiale di origine organica. In ogni caso, come lascia intendere il cardinale nel colloquio con "L'Osservatore Romano", vent'anni fa la prematura diffusione di apposite indagini sulla Sindone attraverso i media fu all'origine di polemiche proprio sulla datazione.

E dice il porporato:  "Quando circa due anni fa proposi al Papa la celebrazione di un anno da dedicare a san Paolo nella ricorrenza del bimillenario della morte - proposta devo dire accettata immediatamente e con gioia da Benedetto XVI - avanzai anche l'idea di una ricognizione del sarcofago. Da quasi due millenni è qui, e non è mai stato aperto per una verifica. C'è una concordanza incontrastata sul fatto che qui si conservano i resti di san Paolo. Ma non era stato mai controllato cosa vi fosse realmente. Il Papa accettò immediatamente e di buon grado anche questa proposta. Solo che si decise di rinviare l'operazione dopo la chiusura dell'Anno paolino per evitare di costringere i fedeli a pregare in un cantiere piuttosto che nella basilica. Per aprire il sarcofago sarà infatti necessario spostare non solo l'altare della Confessione, ma probabilmente anche il prezioso baldacchino, opera di Arnolfo di Cambio".

La tomba, come è noto, si trova proprio sotto l'altare. È incastrata in un muro di pietre e mattoni di circa un metro di spessore sui quattro lati. Una protezione necessaria perché "un tempo - ricorda l'arciprete - durante le frequenti esondazioni del Tevere l'acqua arrivava a minacciare il sarcofago. Per questo si decise di chiuderlo dentro una solida fortezza". Il Tevere oggi non costituisce più un pericolo e dunque "in pieno accordo con l'abate - perché è bene ricordare che la basilica papale è un tutt'uno con l'abbazia che la comprende - abbiamo ricavato un piccolo corridoio attraverso questo robusto muro e scoperto una delle facciate laterali del sarcofago. È una costruzione in marmo di Carrara grezzo, cioè non lavorato, non levigato. Questo, ma è solo una nostra supposizione, potrebbe significare che il sarcofago non era stato ancora decorato; doveva essere scalpellato e ornato con fregi e incisioni varie. Invece, con molta probabilità, l'opera non è stata subito completata e poi non c'è stato più modo di rifinire il sarcofago. Sopra c'è una pesante lastra di pietra che reca soltanto la scritta Paulo apostolo mart. Per renderlo raggiungibile ai fedeli abbiamo dovuto anche spostare un piccolo altare, dedicato a san Timoteo di Antiochia, del IV secolo. Per i pellegrini è stata una novità:  prima erano in pochi a scendere sotto l'ipogeo. Da quando abbiamo reso visibile il sarcofago, spesso e volentieri si forma una piccola ressa di persone tra quanti entrano, quanti si fermano a pregare dinanzi alla tomba dell'apostolo e quanti escono".

Ciò però non risolveva il problema di conoscere effettivamente il contenuto del sarcofago "e per questo - spiega il cardinale - dopo essermi consultato con gli esperti dei Musei Vaticani, ho formulato una proposta al Papa:  praticare un forellino sulla lastra che copre il sarcofago per esaminarne il contenuto. Non ricordo bene quale giorno fosse, ma sicuramente era nell'inverno tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, quando Ulderico Santamaria, un chimico docente di Scienza e tecnologia dei materiali presso l'università della Tuscia, direttore del Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani, eseguì, dopo un giuramento solenne di segretezza e sotto la diretta responsabilità degli esperti dei Musei Vaticani, il forellino sulla lastra, usando un piccolo trapano, simile a quello di un dentista. Introdusse una microsonda grazie alla quale fu possibile vedere, anche se per un piccolo raggio, cosa vi fosse. Con una micropinza, del tipo di quelle usate per le artroscopie e la microchirurgia, prelevò alcuni reperti. Li facemmo analizzare, in tutta segretezza per i motivi che ho prima accennato, presso un laboratorio specializzato in questo tipo di esami. Neppure al laboratorio rivelammo fonte e committente, sempre allo scopo di non influenzare minimamente l'esame, affinché fosse il più possibile obiettivo e scientificamente sicuro".

Dunque, tutto il lavoro è stato eseguito nel più assoluto riserbo. Pochissime le persone che ne erano a conoscenza. "Devono averlo fatto di notte - ci confida un impiegato - o comunque in un momento in cui la basilica e gli annessi uffici erano deserti. Nessuno di noi si è accorto o ha saputo nulla, sino a quando il Papa lo ha rivelato il 28 giugno scorso".



L'arciprete ha ribadito di aver "agito sempre in accordo con Benedetto XVI, anche quando non ho dato nessuna informazione a chi aveva cominciato a fiutare qualcosa". L'annuncio "mi ha come liberato di un peso enorme - ha detto ancora - che mi portavo dentro da oltre un anno. Del resto tutti noi, custodi del segreto, eravamo coscienti che dovesse essere proprio il Papa a darne conferma e a dire che quei resti erano attribuibili all'apostolo".

Ora l'attesa si sposta sui tempi di approfondimento dello studio, già realizzato, per procedere all'apertura del sarcofago. "Non prevedo tempi brevi - dice il porporato - perché il lavoro da fare non è poca cosa e la delicatezza del sito richiede tanta, tantissima prudenza".

Il colloquio con il cardinale si allarga poi alla Porta paolina, come è stata ribattezzata la terza porta della basilica aperta dal Papa per l'inaugurazione dell'Anno dedicato all'apostolo. "Io - spiega l'arciprete - avevo proposto di inaugurare l'Anno aprendo la Porta santa. Benedetto XVI al proposito è stato subito categorico:  la Porta santa si apre solo in occasione di un anno santo, mentre quello paolino è stato solo un anno tematico. Così ho proposto di aprire la terza delle cinque porte della basilica e l'abbiamo battezzata Porta paolina proprio per ricordare l'evento. Vista l'importanza che assumeva, abbiamo chiesto allo scultore Guido Veroi di abbellirla con delle formelle in bronzo". Veroi è un artista romano, autore tra l'altro del rovescio della famosa moneta da cinquecento lire in argento del 1957, nota come "le caravelle", e direttore dei lavori per la realizzazione della copia in bronzo del monumento equestre a Marco Aurelio, in sostituzione dell'originale marmoreo in piazza del Campidoglio nel periodo del restauro. Lo scultore ha inciso quattro formelle del peso di cinquanta chili ciascuna, e sei cartigli, tre in latino sull'anta sinistra e tre in greco sull'anta destra, "a significare - spiega il cardinale arciprete - la caratteristica ecumenica di questa basilica, e per sottolineare il desiderio e l'auspicio del ritorno all'unità delle Chiese di Oriente e di Occidente".

Il lavoro è durato circa un anno. Tra l'altro è stato prima necessario verificare la tenuta della porta, in considerazione dell'enorme peso che stava per essere aggiunto. "Fortunatamente - dice il porporato - il portone è robusto e i cardini sono possenti e dunque in grado di sopportare il peso".

Quando il Papa ha aperto la Porta, le formelle erano solo delle copie applicate temporaneamente. Il 28 giugno scorso ha potuto invece ammirare l'opera conclusa. Ricordiamo che la Porta paolina è stata simbolicamente chiusa dal cardinale arciprete il giorno successivo ai vespri presieduti dal Papa, quando cioè l'Anno paolino si è chiuso ufficialmente. "Chiuso ma non concluso. Tanto è vero - assicura il porporato - che la Porta paolina continuerà ad aprirsi ogni giorno affinché l'apostolo possa continuare ad accogliere ancora degnamente le sue "genti"".


(©L'Osservatore Romano - 3 luglio 2009)
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Illustrata in Vaticano l'indagine condotta nel sarcofago di San Paolo

Conferenza stampa del Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo



di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 3 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Anche se gli esami del Carbonio 14 realizzati recentemente nel sarcofago di San Paolo “non confermano” che si tratti effettivamente dei suoi resti, “non lo smentiscono nemmeno”. Lo ha affermato questo venerdì mattina l'Arciprete della Basilica romana di San Paolo fuori le Mura, il Cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo.

Il porporato ha offerto una conferenza stampa presso la Santa Sede dopo che Papa Benedetto XVI si è riferito nell'omel ia di chiusura dell'Anno Paolino alle ricerche svolte di recente nella Basilica, dove secondo la tradizione è custodita la tomba dell'Apostolo.

“E' stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino”, ha detto il Papa all'inizio della sua omelia. Vestiti come questi si trovavano solo nelle tombe importanti dei primi secoli.

Il Pontefice ha osservato che durante le ricerche gli scienziati hanno constatato la presenza di grani di incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree, e che “piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo”.

“Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo”, ha dichiarato.

Piccola e preziosa perforazione

Come ha spiegato il Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, per 20 secoli nessuno ha aperto il sarcofago. L'introduzione della piccola sonda “ha dato dei risultati non solo interessanti” ma che indicano che quanto è stato ritrovato “sembra appartenere a un sepolcro del I o del II secolo”.Secondo il porporato, sono stati trovati altri grani “che indicano anche un aspetto religioso”.L'Arciprete ha affermato che il sarcofago non è mai stato aperto ma perforato, e che forse in futuro si potrà compiere un'analisi più dettagliata: “aprire il sarcofago per vedere dentro sarebbe difficile. Occorre smontare l'altare papale”. Sono stati inoltre rinvenute placche di marmo introdotte sicuramente nella tomba “a scopo di difesa dal Tevere”. Su una di queste è scritto con caratteri primitivi “Paolo apostolo e martire”.

Alla conferenza stampa era presente anche il professor Ulderico Santamaria, direttore del Laboratorio diagnostico per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani, che ha partecipato alla ricerca scientifica.“L’uso di una sonda ha ridotto al minimo l’invasività dell’esame e i rischi di danneggiamento dell’interno, evitando l’ingresso di ossigeno nella tomba”, ha rivelato.

I minuscoli frammenti non permettono l'esame del DNA, che “richiede molto più materiale”. San Paolo è stato decapitato, secondo la tradizione nel luogo in cui si trova oggi l'abbazia delle Tre Fontane, sulla via Laurentina a Roma. Il suo corpo venne nascosto per vari secoli in un sarcofago familiare.

Solo dopo i l 313, quando Costantino concesse la libertà di religione nell'Impero romano, iniziò il culto pubblico e la tomba di San Paolo poté essere visitata.Si iniziò allora a costruire una chiesa costantiniana che poi divenne una basilica più grande e in seguito un grande cimitero pagano, che era situato presso la Porta Ostiense e divenne poi un cimitero cristiano. Lì sorge oggi la Basilica di San Paolo fuori le Mura.
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