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"Caritas in Veritate" - Carità nella Verità: nuova Enciclica Sociale di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2010 20:23
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30/06/2009 17:00

Benedetto XVI anticipa alcune considerazioni sulla sua Enciclica di prossima pubblicazione....

dice il Pontefice:

" Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale"



                  Caritas in Veritate

UDIENZA AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE"

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri della Fondazione "Centesimus Annus - Pro Pontifice" e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

  • DISCORSO DEL SANTO PADRE


  • Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

  • illustri e cari amici!


  • Grazie per questa vostra visita, che si colloca nel contesto della vostra annuale riunione. Vi saluto tutti con affetto e vi sono grato per quanto voi fate, con provata generosità, al servizio della Chiesa. Saluto e ringrazio il Conte Lorenzo Rossi di Montelera, vostro Presidente, che ha interpretato con fine sensibilità i vostri sentimenti, esponendo a grandi linee l’attività della Fondazione. Ringrazio anche coloro che, in lingue diverse, hanno voluto presentarmi l’attestato della comune devozione. L’odierno nostro incontro assume un significato e un valore particolare alla luce della situazione che vive in questo momento l’intera umanità.


  • In effetti, la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni. Bene ha fatto, quindi, la vostra Fondazione ad affrontare, nel Convegno internazionale svoltosi ieri, il tema della ricerca e della individuazione di quali siano i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana.

  • Sono lieto di apprendere che avete esaminato, in particolare, le interdipendenze tra istituzioni, società e mercato partendo, in accordo con l’Enciclica Centesimus annus del mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, dalla riflessione secondo la quale l’economia di mercato, intesa quale "sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia" (n. 42), può essere riconosciuta come via di progresso economico e civile solo se orientata al bene comune (cfr n. 43).

  • Tale visione però deve anche accompagnarsi all’altra riflessione secondo la quale la libertà nel settore dell’economia deve inquadrarsi "in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale", una libertà responsabile "il cui centro è etico e religioso" (n. 42). Opportunamente l’Enciclica menzionata afferma: "Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti" (n. 43).

  • Auspico che le indagini sviluppate nei vostri lavori, ispirandosi agli eterni principi del Vangelo, elaborino una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli.

  • Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale.

  • Prendo altresì atto con compiacimento di quanto state operando a favore del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), alle cui finalità, da voi condivise, attribuisco grande valore per un dialogo interreligioso sempre più fecondo.

  • Cari amici, grazie ancora una volta per la vostra visita; assicuro per ciascuno di voi un ricordo nella preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.


    [00928-01.01] [Testo originale: Italiano]

    www.vatican.va

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    30/06/2009 17:01

    Da un articolo ed intervista di Radio Vaticana del 1 maggio 2009 Festa di san Giuseppe lavoratore....


    La Chiesa festeggia San Giuseppe lavoratore. Il magistero sociale di Benedetto XVI sulla centralità della persona nell’economia

    Oggi, primo maggio, Festa internazionale del lavoro, la Chiesa ricorda San Giuseppe Lavoratore. Negli ultimi mesi, il Papa ha moltiplicato i suoi interventi sulla crisi economica, mettendo l’accento sul recupero di una dimensione etica del lavoro e sulla centralità della persona nei rapporti economici. Riflessioni che precedono l’annunciata pubblicazione della prima Enciclica sociale di Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Per rendere l’economia sana, è necessario costruire una nuova fiducia”: all’inizio del 2009, nel discorso al Corpo diplomatico l’8 gennaio scorso, Benedetto XVI sprona la comunità internazionale a non scoraggiarsi di fronte alla crisi economica ed indica i principi su cui fondare un sistema economico che rispetti la dignità dell’uomo:

    Cet objectif ne pourra être atteint que par la mise...

    “Questo obiettivo - è il suo richiamo - può essere realizzato solo attraverso l’attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana”. “So quanto ciò sia impegnativo - riconosce il Papa - ma non è un’utopia!”.

    Di politiche economiche, Benedetto XVI parla nell’udienza agli amministratori locali di Roma e Lazio, il 12 gennaio, e ribadisce che compito della Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, è formare la coscienza di tutti i cittadini di buona volontà:

    “Forse mai come oggi la società civile comprende che soltanto con stili di vita ispirati alla sobrietà, alla solidarietà ed alla responsabilità, è possibile costruire una società più giusta e un futuro migliore per tutti”.

    Per questo, spiega il Papa, è una “priorità inderogabile” ridurre l’individualismo e la difesa degli interessi di parte “per tendere insieme al bene di tutti, avendo particolarmente a cuore le attese dei soggetti più deboli della popolazione”. E un appello per una nuova cultura della solidarietà, Benedetto XVI lo lancia nell’udienza ai dirigenti del sindacato Cisl, il 31 gennaio:

    “Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società”.

    Di economia, Benedetto XVI parla ampiamente, il 26 febbraio scorso, nel tradizionale incontro di inizio Quaresima con il clero romano. Il Papa si sofferma sulle ragioni che, a partire dagli Stati Uniti, hanno portato alla crisi economica mondiale:

    “Bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria. Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, «mammona». Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione”.

    Il Pontefice non manca poi di esprimere la propria vicinanza ai lavoratori in difficoltà.
    All’Angelus del primo marzo, si rivolge ai dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, ai lavoratori dei territori del Sulcis in Sardegna e di Prato in Toscana, uniti da una preoccupante condizione di precarietà:

    “Desidero esprimere il mio incoraggiamento alle autorità sia politiche che civili, come anche agli imprenditori, affinché con il concorso di tutti si possa far fronte a questo delicato momento. C’è bisogno, infatti, di comune e forte impegno, ricordando che la priorità va data ai lavoratori e alle loro famiglie”.

    E sul magistero sociale di Benedetto XVI e la riscoperta dell’etica nel mondo dell’economia e del lavoro, Fabio Colagrande ha intervistato mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace:

    R. - C’è una riscoperta dell’etica e anche dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, non soltanto per un motivo etico. Ci sono degli economisti che stanno cercando di far capire al mondo dell’economia, e al mondo in generale, che i principi etici migliorano l’economia. Questo è un principio che si sta diffondendo ma che non tutti ancora hanno afferrato.

    D. - E quale effetto positivo può avere, ad esempio, questo richiamo ai principi della solidarietà e della responsabilità, per quanto riguarda il mondo del lavoro?

    R. - Intanto, il primato della persona umana nel mondo del lavoro: mi pare ampiamente sperimentato che un’attenzione alla persona migliora anche l’esito del lavoro, i frutti del lavoro. Non è stressando la persona all’inverosimile che si ottengono risultati migliori. Un altro aspetto, ad esempio, è la sinergia tra mondo del lavoro e famiglia. Mi pare siano tutte piste di ricerca e di esperienza che ci aiutano a capire come l’etica e la solidarietà non siano affatto in concorrenza con l’economia.

    D. - Nella sua esperienza di pastore, nota che gli amministratori, le istituzioni politiche, chi si occupa del lavoro, sappiano ascoltare i richiami etici che arrivano dalla Chiesa?

    R. - Mi pare che l’ascolto sia interessante, notevole nei momenti dell’emergenza. Quando passano i momenti dell’emergenza, si tende ad andare avanti come sempre, dimenticando che le situazioni cambiano e dimenticando soprattutto che il mondo dei giovani è in attesa che si offra anche un modello diverso di sviluppo e non soltanto posti di lavoro numericamente sufficienti: direi proprio un modello di vita, uno stile di vita diverso. In questo mi pare si faccia molta fatica. Paradossalmente, le emergenze diventano a volte l’occasione per tirare fuori il meglio di noi e anche per rimettere un po’ in crisi certi modi di vivere e di organizzarsi.

    D. - In questo senso, la preannunciata Enciclica dedicata ai temi sociali di Papa Benedetto XVI arriva proprio al momento giusto...

    R. - Io credo che a ormai 18 anni dalla Centesimus annus sia davvero provvidenziale che arrivi un’occasione di riflessione globale per la Chiesa e per tutte le persone di buona volontà, proprio perché dai tempi della Centesimus annus molte cose sono accadute. Quindi, c'è bisogno di sedersi e di riprendere in mano i principi e declinarli nel momento attuale.

    Radio Vaticana
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    30/06/2009 17:01

    Vi proponiamo l'indice stupendo (e lincato) tratto dal Blog dell'amica RAFFAELLA....
    vi invitiamo a consultarlo in attesa di leggere l'Enciclica...



    ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": ANTICIPAZIONI



    IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG

    La ricetta del Papa: “L’etica sia il centro dell’economia” (Galeazzi)

    Il Papa e l’enciclica sulla crisi: servono regole etiche (Vecchi)

    Papa Ratzinger annuncia l'enciclica. Benedetto XVI: "Economia e lavoro per una convivenza libera e solidale" (Lorenzoni)

    Economia e lavoro, pronta l'enciclica del Papa (Bobbio)

    SERVIZIO DI STEFANO MARIA PACI

    Il Papa: «Una libera economia per liberi uomini» (Tornielli)

    Il Papa: Nella mia enciclica traccerò i valori da difendere instancabilmente (Pinna)

    Il Papa annuncia la prossima uscita della sua enciclica dedicata al vasto tema dell'economia e del lavoro

    Il Papa: la mia enciclica sociale verterà su economia e diritti dei deboli

    Un’enciclica del Papa contro «paradisi fiscali e off shore» (Galeazzi)

    Card. Martino: L'Enciclica Sociale di Papa Benedetto XVI potrebbe uscire il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo

    Papa Ratzinger convoca un summit segreto su crisi ed enciclica sociale (Rodari)

    L’enciclica «Caritas in veritate» sarà la terza pubblicata da Benedetto XVI (Tornielli)

    Il Papa riscrive l’enciclica: sarà un testo anti crisi (Tornielli)

    Caritas in Veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI (Tempi)

    Da Benedetto XVI un assaggio della prossima enciclica. Commento di Carlo Marroni

    Card. Martino: l'Enciclica sociale potrebbe uscire nei primi mesi del 2009

    L'enciclica sulla dottrina sociale può aspettare. Ma non la scommessa sui paesi poveri (Magister)

    La crisi nelle Sacre Stanze. E il Papa scrive un’enciclica economica (Ingrao)

    Card. Bertone: "L'enciclica sociale uscirà in autunno. Per ora il titolo è Caritas in veritate" (Apcom)

    Verso l'enciclica sociale. Il Papa: «Sussidiarietà e lotta alla diseguaglianze» (Marroni)

    Lo sviluppo responsabile che piace al Papa: la globalizzazione nella nuova enciclica (Gentili)

    Prima enciclica sociale per il Papa (Tosatti per "La Stampa")

    Il Papa: «La scuola dia un’educazione etica». La prossima enciclica sarà dedicata ai temi sociali (Il Messaggero)

    Arcangelo Paglialunga commenta l'udienza generale di ieri e le anticipazioni sulla "Caritas in veritate"

    È la «Caritas in veritate» la nuova enciclica di Benedetto XVI (Bobbio per "L'Eco di Bergamo")

    "Caritas in veritate": sarà questo il titolo della prossima enciclica di Benedetto XVI (Nina Fabrizio per l'Ansa)

    CARITAS IN VERITATE: L'ENCICLICA SOCIALE DEL PAPA (Ansa)

    Il cardinale Bertone parla del rapporto con gli Ortodossi, della preghiera per gli Ebrei e dell'enciclica sociale del Papa...

    Card. Bertone: «Presto l'incontro del Papa con Alessio II». «Reciprocità con gli Ebrei nelle preghiere» (Eco di Bergamo)

    Presto la terza enciclica di Benedetto XVI: sarà dedicata ai temi sociali (Arcangelo Paglialunga)

    L'ENCICLICA SOCIALE DEL PAPA USCIRA' A PASQUA, ANCHE IN ARABO E CINESE

    Card. Bertone: "Il Papa prepara un´enciclica sociale" (Politi per "Repubblica")

    Ingrao (Panorama): l'enciclica sociale avrà la data del 1° maggio, festa di San Giuseppe lavoratore



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    30/06/2009 17:02

    Ultimi ritocchi per la 'Caritas in veritate'. Tra il 6 e il 7 luglio la presentazione. Alcuni stralci della terza e attesa Enciclica di Benedetto XVI

    Economia Globale: la Nuova Enciclica
    di Gian Guido Vecchi
    Corriere della Sera

    "Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali".

    L’ultima revisione di Benedetto XVI è ormai pronta, in queste ore si stanno rivendendo le ultime pagine della "Caritas in veritate", la terza enciclica del Papa "dedicata al vasto tema dell’economia e del lavoro" che porterà la data del 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, e sarà presentata tra il 6 e il 7 luglio.
     
    Il Pontefice ha consultato una quantità di esperti, tra economisti e prelati, ma rispetto all’ultima bozza di aprile ha compiuto la stesura definitiva da solo, parola per parola. In Vaticano si dice ne abbia portata una copia con sé pure nel viaggio in Terra Santa, il mese scorso. L’Enciclica, rinviata per tener conto della crisi e "rispondere in base agli elementi reali", richiama la necessità di "una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione approfondita e lungimirante sul modello di sviluppo".

    La globalizzazione non è il male ma neppure si regola da sé: se governata con "nuove regole" può diventare un’opportunità. E nel "nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale" che ha "modificato il potere politico degli Stati", il testo suggerisce "una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere", invita i sindacati a "instaurare nuove sinergie a livello internazionale" per affrontare "la riduzione delle reti di sicurezza sociale" e invoca "la presenza di una vera autorità politica mondiale", sulle tracce della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII: non un super-Stato né semplicemente l’Onu, ma un modello internazionale di governo della globalizzazione, un’autorità "che dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune e impegnarsi nella promozione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità della verità".
     
    Caritas in veritate, appunto: "Il principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa". Benedetto XVI riconduce tutto ai suoi fondamenti teologici e teoretici.

    Fin dall’incipit: "La carità della verità, che Gesù Cristo ci ha mostrato con tutta la sua vita terrena e, soprattutto, con la Sua morte e risurrezione, è la principale risorsa a servizio del vero sviluppo di ogni singolo uomo e dell’umanità intera". La crisi, ha osservato il Papa, "è nata da un deficit di etica nelle strutture economiche". Un sistema infettato dalla cupidigia. Ma l’economia "ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento", o è contro l’uomo o lo distrugge.

    Di qui la necessità di un codice etico comune: fondato sulla "verità ad un tempo della fede e della ragione", una verità che quindi è accessibile a tutti, "la luce attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità". La ricerca della "giustizia" e del "bene comune" derivano da qui. Benedetto XVI parla di "responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, che tenga conto di tutti gli impatti sociali del suo agire". Fermo restando che anzitutto c’è la responsabilità personale: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune".

    Tutto si tiene, lotta alla fame e difesa della vita e attenzione allo "stato di salute ecologica del pianeta", visto che "i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri verso la persona": perché "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo nella sua integrità". Il Papa all’inizio richiama la "Populorum progressio" di Paolo VI, che nel ’67 denunciò la disuguaglianza tra Paesi ricchi e poveri, ma l’Enciclica recepisce anche la Humanae vitae, contro aborto e contraccezione. Così "l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo" e "se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono". Del resto sviluppo economico e crescita demografica corrispondono. E una "apertura moralmente responsabile" alla vita rappresenta "una ricchezza sociale ed economica".

    Detto questo, "la carità nella verità chiede urgenti riforme per affrontare con coraggio e senza indugio i grandi problemi dell’ingiustizia nello sviluppo dei popoli".

    Dopo più di quarant’anni dalla "Populorum progressio" lo sviluppo che doveva essere "estensibile a tutti" è stato "e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". La fame, anzitutto: "Dare da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa". E "alimentazione e accesso all’acqua" sono "diritti universali".

    E i Paesi poveri devono essere sostenuti e coinvolti nei processi decisionali. La crisi preoccupa, ma "dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui costruire un futuro migliore". 'Oikonomia' significa "legge" o "amministrazione" dell’oikos, la casa: "Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia".

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    02/07/2009 08:32

    La nuova Enciclica del Papa sarà presentata il 7 luglio

    In Sala Stampa Vaticana dai Cardinali Martino e Cordes



    CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 1° luglio 2009 (ZENIT.org).- La nuova Enciclica del Papa "Caritas in veritate" sarà presentata il 7 luglio, alle ore 11.30, in Sala Stampa vaticana.

    Quattro gli interventi previsti: quello del Cardinale Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace; del Cardinale Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum; di mons. Giampaolo Crepaldi, Segretario di Giustizia e Pace, e del prof. Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all’Università di Bologna e consultore del medesimo dicastero pontificio.

    Il testo a disposizione dei giornalisti sarà in sei lingue: italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo e portoghese.
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    03/07/2009 16:21

    Nuova Enciclica per approfondire la “Populorum Progressio”

    di Flavio Felice* 



    ROMA, giovedì, 2 luglio 2009 (ZENIT.org).- Lunedì, 29 giugno 2009, festa solenne dei santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha firmato la sua terza enciclica, la prima del suo Magistero sociale. 


    Lo scorso 13 giugno, durante l'udienza concessa ai soci e ai corsisti della Fondazione «Centesimus Annus», il Papa aveva sostenuto la necessità di ripensare i «paradigmi economico-finanziari dominanti negli ultimi anni». Secondo il pontefice, proprio «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni». 


    Il pontefice, parlando di economia di mercato, cita un passaggio decisivo della Centesimus annus del 1991, ritenendo che «la libertà nel settore dell'economia deve inquadrarsi in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale, una libertà responsabile il cui centro è etico e religioso». A questo punto del discorso, il Papa ricorda ai presenti l'imminente pubblicazione dell'Enciclica dedicata all'economia, al lavoro e allo sviluppo: la Caritas in veritate. L’enciclica sociale sullo sviluppo che nelle intenzioni del Pontefice celebra ed aggiorna la Populorum progressio (1967) di Paolo VI. È stata proprio l’enciclica di Paolo VI ad insistere, oltre che sull’apprezzamento della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione dell’uomo, anche sul "dovere gravissimo", che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di "aiutare i Paesi in via di sviluppo". 


    Con riferimento all’enciclica firmata oggi (ieri n.d.r.), Benedetto XVI disse ai soci e ai corsisti della Fondazione Centesimus Annus: «Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell'economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale». Nell'occasione, Benedetto XVI cita un passaggio della «Centesimus Annus»: «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti». 


    Mercato, proprietà, impresa, profitto, lavoro assumono un significato cristianamente consistente nella misura in cui il centro è Cristo; Cristo redentore che, rivelando Dio all’uomo, rivela l’uomo all’uomo. Il mercato dunque può assumere i caratteri cristiani della “relazionalità”, la proprietà assume la cifra della “responsabilità”, con il lavoro l’uomo – creato ad immagine e somiglianza del Padre-Creatore – “soggettivamente” partecipa in un certo senso all’“opera creatrice” del Padre-Creatore, l’impresa è la “comunità” di lavoro nella quale sperimenta il suo profondo legame con l’umanità intera ed il profitto è uno dei tanti (ma indispensabile) “parametri” per misurare la corretta (responsabile) allocazione dei beni della terra. 


    Al centro della riflessione della Caritas in veritate troviamo la questione dello sviluppo integrale della persona, ricordiamo quanto riconosciuto e proposto da Giovanni Paolo II e ripreso dallo stesso Benedetto XVI durante l’udienza del 13 giugno: «un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia». 


    Il senso di queste affermazioni, confermate e rafforzate da Benedetto XVI, incontra un caposaldo della tradizione dell’“economia sociale di mercato”: le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in un vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono e ssere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate. In questa prospettiva, una sana “economia di mercato”, “economia d’impresa”, “economia libera” – ovvero un capitalismo rettamente inteso – sono sempre limitate da un ordine giuridico che le regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi che, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, interagiscono con esse e le influenzano, essendone esse stesse influenzate. 


    L’economia di mercato è sempre plasmata dalla cultura nella quale essa vive, e a sua volta, è influenzata dalle azioni e dalle abitudini quotidiane di coloro che la pongono in essere, poiché le azioni dei singoli influenzano la qualità della vita all’interno della società. È questo il “personalismo metodologico” che ha pervaso il Magistero sociale di Wojt yla e che continuerà a plasmare la cura pastorale di Benedetto XVI anche in ambito socio-economico. 


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    * Flavio Felice è docente di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense e di Filosofia dell'Impresa alla LUISS Guido Carli di Roma. Direttore della Fondazione Novae Terrae e presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton è autore di “Appunti di dottrina sociale della Chiesa”, insieme a P. Asolan (Rubbettino 2008) e di “L’economia sociale di mercato” (Rubbettino 2008).

    [L’articolo in questione è stato pubblicato anche dal sito del Centro Tocqueville-Acton al link: www.cattolici-liberali.com/pubblicazioni/OpinionieCommenti/2009/NuovaEnciclica.aspx]

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    In edicola il 7 Luglio con ‘Famiglia Cristiana’ l’Enciclica ‘Caritas in Veritate’

    CITTA’ DEL VATICANO - La terza Enciclica di Benedetto XVI, 'Caritas in Veritate' - che uscirà martedì 7 luglio -, sarà in allegato al prossimo numero di 'Famiglia Cristiana'. "Riprendendo la tematiche sociali contenute nella ‘Populorum progressio’, scritta dal Servo di Dio Paolo VI nel 1967, questa Enciclica - che porta la data 29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo - scrive il Papa -, intende approfondire alcuni aspetti dello sviluppo integrale nella nostra epoca, alla luce della carità nella verità. Affido alla vostra preghiera questo ulteriore contributo che la Chiesa offre all'umanità nel suo impegno per un progresso sostenibile, nel pieno rispetto della dignità umana e delle reali esigenze di tutti". Il testo, che sarà reso pubblico martedì con una conferenza stampa in Vaticano, sarà disponibile con 'Famiglia Cristiana' dal 9 luglio, in edicola o in parrocchia, a 1,5 euro più il costo della rivista (1,95 euro). Nelle prossime settimane, inoltre, sarà possibile richiedere l'Enciclica prenotandola in parrocchia o, per gli abbonati al settimanale, inviando la cartolina allegata al numero del settimanale che ricevono a casa. Ulteriori richieste possono essere inoltrate all'indirizzo e-mail: vpc@stpauls.it, o telefonare al Servizio Clienti 02-48027575.
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                                               Presentata la terza enciclica di Benedetto XVI

                             La carità nella verità
                                                       

    Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato:  nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede. Solo nella verità la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" e "forza di liberazione nelle vicende sempre nuove della storia" afferma il documento papale, che rilegge la Populorum progressio di Paolo VI evidenziando l'attualità del suo messaggio a oltre quarant'anni dalla pubblicazione. "Il progresso - riconosce il Pontefice - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere, "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". L'enciclica non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro. O quando sperequazioni e speculazioni sottraggono a intere popolazioni il diritto al cibo e all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche. Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici". Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi:  non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - senza forme di gratuità e solidarietà "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa". Si tratta, in definitiva, di governare la globalizzazione realizzando una autentica "civilizzazione dell'economia".


     

    IL TESTO ITALIANO
    DEL DOCUMENTO PAPALE


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    [Modificato da Cattolico_Romano 07/07/2009 20:22]
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    07/07/2009 20:25

    Speranza e realismo


    Realismo e speranza, nonostante la crisi economica mondiale. Ecco la terza enciclica di Benedetto XVI in brevissima sintesi o, meglio, secondo l'approssimazione sommaria a un testo tanto importante e ricco quanto lunga è stata la sua elaborazione. Per continuare una tradizione di documenti papali avviata nel 1891 dalla celebre Rerum novarum di Leone XIII e poi sviluppata con vigore nel 1931 dalle due encicliche di Pio XI successive alla grande depressione economica e finanziaria manifestatasi due anni prima:  la Quadragesimo anno e la quasi sconosciuta Nova impendet sulla gravità della crisi e sulla follia della corsa agli armamenti, che manifestò già allora acuta percezione di un problema ancora attuale. Sino ad arrivare agli insegnamenti sociali di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
    In questa serie la Caritas in veritate si inserisce sottolineando, anche in questo ambito, la continuità tra la tradizione anteriore e quella successiva al Vaticano II. Richiamandosi in modo particolare alle encicliche del predecessore e soprattutto alle due ultime montiniane, che quaranta giorni prima di morire Paolo VI ricordò come specialmente espressive del suo pontificato:  la Populorum progressio, punto di riferimento continuo e quasi sottotesto di questo documento benedettino, e la Humanae vitae, della quale viene ripresa esplicitamente anche la lettura sociale, come un quarantennio fa avvenne soprattutto nel Terzo mondo a fronte della bufera di critiche, anche all'interno della Chiesa, che nelle ricche società occidentali investirono l'enciclica paolina e sembrarono quasi travolgerla.
    A reggere tutto l'impianto della Caritas in veritate, indirizzata non usualmente ai cattolici e "a tutti gli uomini di buona volontà", è il rapporto tra i due termini del titolo. Connessi con tale forza che da esso viene fatta discendere la possibilità di uno sviluppo integrale della persona e dell'umanità:  assicurato appunto solo dalla "carità nella verità", cioè dall'amore di Cristo. Come mostra con chiarezza l'introduzione. All'interno di questa cornice teologica l'enciclica disegna una summa socialis vigile e aggiornata, che smentisce - se ce ne fosse ancora bisogno - l'immagine di un Papa soltanto teologo chiuso nelle sue stanze e conferma invece quanto Benedetto XVI sia attento, come teologo e pastore, alla realtà contemporanea in tutti i suoi aspetti.
    A spiccare nel testo è dunque, a prima vista, l'attenzione ai fenomeni della mondializzazione e della tecnocrazia, di per sé neutri ma soggetti a degenerazioni a causa - "in termini di fede" specifica il Papa - del peccato delle origini. Uno sguardo meno fuggevole coglie tuttavia la fiducia nella possibilità di uno sviluppo davvero umano, quello che già Paolo VI vedeva racchiuso nel disegno della provvidenza divina, e segno, in qualche modo, del cammino progressivo dalla città dell'uomo a quella di Dio. L'atteggiamento di Benedetto XVI non può dunque essere qualificato come pessimistico a priori, come alcuni vorrebbero, ma nemmeno è assimilabile a ingenui e irresponsabili ottimismi, perché si fonda piuttosto sulla fiducia tipicamente cattolica in una ragione aperta alla presenza del divino.
    Così la sfera economica e la tecnica appartengono all'attività umana e non vanno demonizzate, ma neppure lasciate a se stesse perché devono essere vincolate al bene comune, e cioè governate dal punto di vista etico. Per limitarsi a un solo esempio, il puro fenomeno della globalizzazione non rende di per sé gli uomini fratelli, cosicché con evidenza sono necessarie regole e logiche che la indirizzino.
    Se allora la dimensione economica può - e, anzi, deve - essere umana, se il momento storico è propizio per abbandonare ideologie che soprattutto nel secolo scorso hanno lasciato dietro di sé soltanto rovine, allora davvero è venuto il momento di approfittare dell'occasione offerta dalla crisi mondiale per uscirne insieme, i credenti con le donne e gli uomini di buona volontà. A tutti infatti il Papa scrive che bisogna vivere come una famiglia, sotto lo sguardo del Creatore.

    g. m. v.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    07/07/2009 20:27

      L'introduzione della «Caritas in veritate»

    L'uomo verso la città di Dio


    1.La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore - "caritas" - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza:  in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr. Gv 8, 22). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, "si compiace della verità" (1 Cor 13, 6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico:  amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr. Gv 14, 6).

    2. La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l'insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr. Mt 22, 36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni:  rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni:  rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa - ammaestrata dal Vangelo - la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (cfr. 1 Gv 4, 8.16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, "Dio è carità" (Deus caritas est):  dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.

    Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l'irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della "veritas in caritate" (Ef 4, 15), ma anche in quella, inversa e complementare, della "caritas in veritate". La verità va cercata, trovata ed espressa nell'"economia" della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio.

    3. Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità:  ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme "Agápe" e "Lógos":  Carità e Verità, Amore e Parola.

    4. Perché piena di verità, la carità può essere dall'uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è "lógos" che crea "diá-logos" e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell'amore:  è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell'attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività.

    5. La carità è amore ricevuto e donato. Essa è "grazia" (cháris). La sua scaturigine è l'amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo. È amore che dal Figlio discende su di noi. È amore creatore, per cui noi siamo; è amore redentore, per cui siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo (cfr. Gv 13, 1) e "riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (Rm 5, 5). Destinatari dell'amore di Dio, gli uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità.

    A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa. Essa è "caritas in veritate in re sociali":  annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. È, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere sociale, un'adeguata soluzione dei gravi problemi socio-economici che affliggono l'umanità, hanno bisogno di questa verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali.

    6. "Caritas in veritate" è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione:  la giustizia e il bene comune.

    La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius:  ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del "mio" all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è "suo", ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso "donare" all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità:  la giustizia è "inseparabile dalla carità" (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 22:  aas 59, 1967, 268; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 69), intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, "la misura minima" di essa (Discorso per la giornata dello sviluppo, 23 agosto 1968:  aas 60, 1968, 626-627), parte integrante di quell'amore "coi fatti e nella verità" (1 Gv 3, 18), a cui esorta l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia:  il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s'adopera per la costruzione della "città dell'uomo" secondo diritto e giustizia. Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 aas 94, 2002, 132-140). La "città dell'uomo" non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.

    7. Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone:  il bene comune. È il bene di quel "noi-tutti", formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 26). Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale - possiamo anche dire politica - della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis. Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno. L'azione dell'uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni (cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963:  aas 55, 1963, 268-270), così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio.

    8. Pubblicando nel 1967 l'Enciclica Populorum progressio, il mio venerato predecessore Paolo VI ha illuminato il grande tema dello sviluppo dei popoli con lo splendore della verità e con la luce soave della carità di Cristo. Egli ha affermato che l'annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo (cfr. n. 16:  l.c., 265) e ci ha lasciato la consegna di camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra intelligenza (cfr. ibid., 82:  l.c., 297), vale a dire con l'ardore della carità e la sapienza della verità. È la verità originaria dell'amore di Dio, grazia a noi donata, che apre la nostra vita al dono e rende possibile sperare in uno "sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" (Ibid., 42:  l.c., 278), in un passaggio "da condizioni meno umane a condizioni più umane" (Ibid., 20:  l.c., 267), ottenuto vincendo le difficoltà che inevitabilmente si incontrano lungo il cammino.

    A oltre quarant'anni dalla pubblicazione dell'Enciclica, intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande Pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell'ora presente. Questo processo di attualizzazione iniziò con l'Enciclica Sollicitudo rei socialis, con cui il Servo di Dio Giovanni Paolo II volle commemorare la pubblicazione della Populorum progressio in occasione del suo ventennale. Fino ad allora, una simile commemorazione era stata riservata solo alla Rerum novarum. Passati altri vent'anni, esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea", che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione.

    9. L'amore nella verità - caritas in veritate - è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12, 21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà.

    La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 4:  aas 63, 1971, 403-404; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 1° maggio 1991, 43:  aas 83, 1991, 847) e non pretende "minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati" (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 13:  l.c., 263-264). Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori - talora nemmeno i significati - con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8, 32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l'annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio:  essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l'accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli (cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 76).




    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    Per leggere l'enciclica


    Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. (12)

    La Chiesa propone con forza il collegamento tra etica della vita e etica sociale. (15)

    Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata. (17)

    L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. (21)

    Continua "lo scandalo di disuguaglianze clamorose". La corruzione e l'illegalità sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, vecchi e nuovi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale. (22)

    Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno. (25)

    L'insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sì che le organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficoltà a svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. (25)

    L'estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall'assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. (25)

    Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità. (25)

    Il problema dell'insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. (27)

    È necessario che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni. (27)

    Uno degli aspetti più evidenti dello sviluppo odierno è l'importanza del tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli. (28)

    Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale. (28)

    Preoccupanti sono tanto le legislazioni che prevedono l'eutanasia quanto le pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico. (28)

    La carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima dall'interno. Il sapere non è mai solo opera dell'intelligenza. (30)

    Le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e di distinzione. (31)

    I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. (32)

    L'abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori o la rinuncia a meccanismi di ridistribuzione del reddito per far acquisire al Paese maggiore competitività internazionale impediscono l'affermarsi di uno sviluppo di lunga durata. (32)

    All'elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo anche quello dell'economia. (34)

    Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave. (35)

    I poveri non sono da considerarsi un "fardello", bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico. (35)

    L'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. (36)

    Nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. (36)

    Ogni decisione  economica  ha  una conseguenza di carattere morale. (37)

    Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d'impresa e dunque un'attenzione sensibile alla civilizzazione dell'economia. (38)

    La vittoria sul sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. (39)

    La gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa:  i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. (40)

    Non è però lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile. (40)

    La concezione più ampia di imprenditorialità favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con travaso di competenze dal mondo non profit a quello profit e viceversa, da quello pubblico a quello proprio della società civile, da quello delle economie avanzate a quello dei Paesi in via di sviluppo. (41)

    Considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico. (44)

    L'economia  ha  bisogno dell'etica per il suo corretto funzionamento; non di  un'etica  qualsiasi, bensì di un'etica amica della persona. (45)

    Si sviluppa una "finanza etica", soprattutto mediante il microcredito e, più in generale, la microfinanza. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno. (45)

    In questi ultimi decenni è andata emergendo un'ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. Essa è costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto ai Paesi arretrati; da fondazioni che sono espressione di singole imprese; da gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dal variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione. (46)

    Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l'umanità intera. (48)

    La comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri. (49)

    Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico. (49)

    Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. (57)

    La cooperazione allo sviluppo non deve riguardare la sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione di incontro culturale e umano. (59)

    Una solidarietà più ampia a livello internazionale si esprime innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un maggiore accesso all'educazione. (61)

    Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione. (62)

    Nella considerazione dei problemi dello sviluppo, non si può non mettere in evidenza il nesso diretto tra povertà e disoccupazione. I poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano. (63)

    Il contesto globale in cui si svolge il lavoro richiede anche che le organizzazioni sindacali nazionali, prevalentemente chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti, volgano lo sguardo anche verso i non iscritti e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati. (64)

    C'è dunque una precisa responsabilità sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell'impresa. (66)

    È fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l'urgenza della riforma sia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che dell'architettura economica e finanziaria internazionale. (67)

    Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l'assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell'uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. (74)

    La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo. (75)

    Lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un'"unità di anima e corpo", nata dall'amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. (76)


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    07/07/2009 20:51

    Un nuovo progetto di sviluppo globale


    di Francesco M. Valiante

    Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato:  nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede.

    Già le premesse sgombrano il campo da equivoci e confusioni di ruolo. La Chiesa non ha in tasca "soluzioni tecniche" ai drammatici problemi della crisi mondiale né "pretende minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati". Tuttavia non rinuncia alla sua "missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua
    dignità, della sua vocazione".

    Nasce da qui la sua dottrina sociale, che è appunto caritas in veritate in re sociali, "annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società".

    Solo nella verità - "da qualsiasi sapere provenga" precisa il documento richiamando la necessità del dialogo tra fede e ragione - la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" ed "elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane". Senza di essa, invece, rischia di scivolare nel sentimentalismo o finire preda di manipolazioni che ne stravolgono il significato, trasformandola nel suo esatto contrario. La verità, si legge nell'enciclica, "esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia". Forza che trova il suo sbocco naturale nella giustizia - "chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro" ricorda il Papa - e nel bene comune, che della carità rappresenta "la via istituzionale" e "politica".

    Su questa base concettuale - in continuità con le due precedenti encicliche Deus caritas est e Spe salvi - la riflessione di Benedetto XVI propone una rilettura della Populorum progressio di Paolo VI, il cui messaggio è ancora attuale a distanza di oltre quarant'anni dalla pubblicazione. Tanto da spingere il Papa a definirla "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea, che illumina il
    cammino dell'umanità in via di unificazione". Ma in realtà è l'intero insegnamento sociale dei Pontefici - innestato nella "tradizione sempre vitale della Chiesa" e illuminato soprattutto dal Concilio Vaticano II - a fare da sfondo alla Caritas in veritate. Che dunque, al pari del testo montiniano, non può essere letta al di fuori di questo corpus di riferimento senza ridursi a un documento privo di radici o a un semplice elenco di "dati sociologici".

    In questa prospettiva le intuizioni della Populorum progressio - che ignorava i recenti sviluppi della globalizzazione ma ne ha anticipato profeticamente avvento e dinamiche - rivelano una sorprendente modernità. Anche perché mostrano quanto poco si è fatto in questi quarant'anni e quanto resta da fare per dar voce ai "popoli della fame" che ancora oggi "interpellano in maniera drammatica i popoli dell'opulenza", come scriveva nel 1967 Papa Montini. Il quale avvertiva, in particolare, che l'autentico sviluppo riguarda la persona nella sua integralità - "se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo" - e dipende dalla realizzazione di una reale fraternità tra i popoli.

    Alla verifica dei fatti le preoccupazioni di Paolo VI si sono rivelate fondate. "Il progresso - riconosce Benedetto XVI - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere per molte popolazioni del mondo "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi". La denuncia del Pontefice è netta e circostanziata:  nel mondo aumentano le disuguaglianze, nascono nuove povertà, permangono illegalità e corruzione, sono disattesi i diritti dei lavoratori, vengono sfruttate indiscriminatamente le risorse della terra. Per questo continua a essere "un dovere" per la comunità internazionale la "riprogettazione globale dello sviluppo" a partire da "una nuova sintesi umanistica". Occorrono realismo, fiducia e speranza - suggerisce il Papa - per affrontare soprattutto le inedite responsabilità derivanti dalla crisi economica, che può trasformarsi così in "occasione di discernimento e di nuova progettualità".

    L'enciclica evita le secche ideologiche e le disquisizioni accademiche - nel testo non compaiono mai termini come capitalismo, socialismo, comunismo, proprietà privata - ma non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro, con la conseguente creazione di "situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale". O quando sperequazioni agrarie, speculazioni e irresponsabilità internazionali sottraggono a intere popolazioni il diritto all'alimentazione e l'accesso all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico - basate sull'erronea convinzione che l'aumento della popolazione sia la causa del sottosviluppo - giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche in nome di un malinteso "progresso culturale". Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, la sua integrità". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici".

    Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi:  non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - il "principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto entro la normale attività economica". Senza forme di solidarietà e fiducia reciproca - afferma - "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico". Si tratta, in definitiva, di realizzare "una forma concreta e profonda di democrazia economica" attraverso l'apertura dei rapporti mercantili ad attività produttive che - superando la tradizionale distinzione tra imprese profit e non profit - perseguano fini solidaristici con "quote di gratuità e comunione":  un'opera di "civilizzazione dell'economia" - la definisce il Pontefice - che risponde a "un'esigenza della stessa ragione economica" oltre che della verità e della carità.

    Per governare la globalizzazione Benedetto XVI invoca anche una rivalutazione del ruolo dei poteri pubblici nazionali. E chiede per le imprese "una più ampia responsabilità sociale" che tenga conto del "significato morale, oltre che economico" delle scelte di gestione e di investimento. Riproponendo il legame tra "ecologia ambientale" ed "ecologia umana", richiama a "un governo responsabile della natura" soprattutto attraverso oculate politiche energetiche e nuovi stili di vita più sobri. In ogni caso - avverte - il progresso tecnico deve sempre trovare un orizzonte di senso, evitando quella "mentalità tecnicistica" in base alla quale il vero coincide con il fattibile. Anche qui la strada indicata è quella di una riconciliazione tra fede e ragione sul terreno della difesa della vita - manipolazioni genetiche ed eutanasia preoccupano in particolare il Papa - e del futuro dell'uomo.

    L'enciclica riafferma poi lo stretto rapporto tra sviluppo dei popoli e tutela dei diritti. Per la religione, in particolare, il Pontefice reclama libertà e "statuto di cittadinanza" nella sfera pubblica, invitando alla collaborazione credenti e non credenti. In questo contesto rilancia il principio di sussidiarietà come l'"antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista", ma al tempo stesso rinnova agli Stati più avanzati la richiesta di destinare maggiori aiuti allo sviluppo dei Paesi poveri.

    Quanto al sistema finanziario globale - messo sul banco degli imputati per l'attuale crisi economica - Benedetto XVI auspica che esso recuperi i suoi fondamenti etici e torni a essere "uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza e allo sviluppo".

    Nell'immediato chiede soprattutto una regolamentazione del settore in grado di "garantire i soggetti più deboli e impedire scandalose speculazioni". Ma l'orizzonte dell'enciclica va oltre le visioni di corto respiro, per invocare una riforma complessiva dell'architettura economica e finanziaria internazionale che proceda di pari passo con quella dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con la creazione di un'"Autorità politica mondiale" - sulla scia dell'analoga richiesta fatta a suo tempo da Giovanni XXIII - ordinata alla realizzazione del bene comune e di "un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità".


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    07/07/2009 20:53

    Progresso è difesa della vita


    Il 29 giugno 1978, solennità dei santi Pietro e Paolo. Per il XV anniversario della sua incoronazione Paolo VI pronunciò un'omelia che costituisce un vero e proprio bilancio dell'intero pontificato. È l'ultimo grande discorso pubblico di Papa Montini e in un passaggio - che qui di seguito riportiamo - richiama alcuni punti della Populorum progressio e dell'Humanae vitae ai quali l'odierna Caritas in veritate si richiama in modo esplicito e continuo.

    Noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con parole gravissime che "Dio, padrone della Vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita"! (Gaudium et spes, 51). E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l'assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa.

    Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento.
    Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con l'enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967).

    Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ammoniva che "la vita, una volta concepita, dev'essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti" (51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna quando, dieci anni fa, promanammo l'enciclica Humanae Vitae (25 luglio):  ispirato all'intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno. Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell'aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano!

    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    07/07/2009 20:55

    Presentata la «Caritas in veritate»

    L'enciclica più attesa


    Sala stampa affollata come nelle grandi occasioni per la presentazione della Caritas in veritate, l'enciclica sociale di Benedetto XVI. Oltre duecento inviati di testate internazionali, una ventina di emittenti televisive, altrettante radiofoniche, decine di fotografi, cardinali, arcivescovi e vescovi in prima fila oltreché al tavolo della presentazione. Senza ombra di dubbio la Caritas in veritate un record lo ha già stabilito:  è l'enciclica più attesa della storia recente della Chiesa. Attesa non solo in ordine di tempo di pubblicazione - della sua uscita si parlava ormai da quasi due anni - ma anche per quanto riguarda i contenuti, nonostante le indiscrezioni dei media - "a volte molto fantasiose" come ha detto proprio questa mattina monsignor Crepaldi - e i numerosi accenni fatti dal Papa stesso in varie occasioni.



    Sta di fatto che questa mattina, martedì 7 luglio, l'aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, era gremita. I cardinali Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor unum, l'arcivescovo-vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, sino alla vigilia segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all'università di Bologna, hanno presentato ufficialmente l'enciclica.

    Dei loro interventi preordinati pubblichiamo ampie sintesi in questa pagina. Tuttavia le domande poste successivamente dai giornalisti presenti hanno chiamato i relatori a ulteriori approfondimenti su alcune questioni:  le più ricorrenti quelle relative alla possibile identificazione dell'enciclica come pro o contro il capitalismo, all'individuazione delle organizzazioni internazionali da rifondare come destinatarie del documento papale, ai motivi che avrebbero indotto a non citare mai l'indebitamento dei Paesi più poveri, le situazioni di guerra, ai possibili presupposti etici del capitalismo, sino all'evoluzione complessiva dell'enciclica.

    Alternandosi, i relatori hanno sostanzialmente ribadito intanto che nessun documento pontificio si può considerare pro o contro qualcosa o qualcuno. Dunque non sarebbe corretto definire questa enciclica più o meno anticapitalista; e ciò non cambia anche se nel testo non si usa mai la parola capitalismo. Secondo Zamagni il documento è da interpretare come un qualcosa che invita ad andare oltre queste categorie. Così come non si parla esplicitamente di Paesi indebitati perché - come ha sottolineato il cardinale Cordes - il Papa chiede di cambiare quelle regole finanziarie che inducono l'indebitamento dei Paesi poveri:  abbattere i loro debiti rientrerebbe nella logica degli interventi umanitari per l'immediato, i quali non risolvono il problema di fondo. Inutile dunque continuare a chiedere l'abbattimento del debito se non si cambiano le regole; se così non fosse dopo un certo numero di anni si ripresenterebbe la situazione dell'indebitamento.

    In questo senso la richiesta anche di una riforma delle Nazioni Unite. L'enciclica - ha spiegato il cardinale Martino - non chiede un supergoverno mondiale. Ma non lo chiede neppure la Santa Sede quando auspica un cambiamento dell'Onu, "invocandone anzi una maggiore autorità e una maggiore rappresentatività". Un atteggiamento - ha fatto notare monsignor Crepaldi - non nuovo nella storia della Chiesa "poiché già Giovanni XXIII, prima di scrivere la Pacem in terris, auspicò proprio un cambiamento nelle organizzazioni internazionali".

    Quanto alla genesi dell'enciclica è stato spiegato che la stesura non ha richiesto più di due anni di lavoro. Per quanto riguarda il sopraggiungere della crisi economico-finanziaria "quello che è accaduto - ha spiegato il cardinale Martino - era stato definito come possibile se le cose non fossero cambiate. E non sono cambiate. E avrebbero detto che l'encliclica sarebbe stata profetica". (
    mario ponzi)


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    07/07/2009 20:56

    Il cardinale Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

    Uno sviluppo umano integrale


    di Renato Raffaele Martino

    Cardinale, presidente del Pontificio Consiglio
    della Giustizia e della Pace


    La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un'enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione che siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII e arriva dopo diciotto anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, durante i quali grandi cambiamenti sono avvenuti nella società.
    Le ideologie politiche, che avevano caratterizzato l'epoca precedente al 1989, sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della tecnica.

    Secondo elemento:  l'accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati, da un lato, dalla fine dei blocchi contrapposti e, dall'altro, dalla rete informatica e telematica mondiale.

    Terzo elemento di cambiamento:  le religioni. Molti osservatori notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione, si contrappone un laicismo militante, e talvolta esasperato, che tende a estromettere la religione dalla sfera pubblica.

    Quarto e ultimo cambiamento:  l'emergenza di alcuni grandi Paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in sé, ma dirompente e che ha bisogno di essere bene indirizzato. Torna qui il problema della governance internazionale.

    Queste quattro grandi novità basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All'origine della Caritas in veritate, c'è, però, un altro motivo. Essa infatti inizialmente era stata pensata come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio di Paolo VI.

    Il tema della Caritas in veritate non è lo "sviluppo dei popoli", ma "lo sviluppo umano integrale", senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire, quindi, che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche.

    La Caritas in veritate dimostra con chiarezza non solo che il pontificato di Paolo VI non ha rappresentato nessun "arretramento" nei confronti della Dottrina sociale della Chiesa, come troppo spesso si è detto, ma che questo Papa ha contribuito in modo significativo ad impostare la visione della Dottrina sociale della Chiesa sulla scia della Gaudium et spes e della tradizione precedente e ha costituito le basi, su cui si è poi potuto inserire Giovanni Paolo II.

    A parte l'utilizzo di alcuni spunti particolari relativi alle problematiche specifiche dello sviluppo dei Paesi poveri, la Caritas in veritate fa proprie tre prospettive di ampio respiro, contenute nell'enciclica di Paolo VI. La prima è l'idea che "il mondo soffre per mancanza di pensiero". La Caritas in veritate sviluppa questo spunto articolando il tema della verità dello sviluppo e nello sviluppo fino a sottolineare l'esigenza di una interdisciplinarità ordinata dei saperi e delle competenze a servizio dello sviluppo umano. La seconda è l'idea che "non vi è umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto" e anche la Caritas in veritate si muove nella prospettiva di un umanesimo veramente integrale. Il traguardo di uno sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini è ancora davanti a noi. La terza è che all'origine del sottosviluppo c'è una mancanza di fraternità. Anche Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità quando invitava ad operare "con tutto il loro cuore e tutta la loro intelligenza".

    La Caritas in veritate parla anche della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto e i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell'enciclica non è questo, però la Caritas in veritate non si è sottratta alla problematica. L'ha affrontata, non in senso tecnico, ma valutandola alla luce dei principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa e all'interno di una visione più generale dell'economia, dei suoi fini e della responsabilità dei suoi attori. La crisi in atto mette in evidenza, secondo la Caritas in veritate, che la necessità di ripensare il modello economico cosiddetto "occidentale", richiesta dalla Centesimus annus, non è stata attuata fino in fondo.



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    07/07/2009 20:58

      Il cardinale Cordes, presidente di Cor Unum

    Non è una «terza via»


    di Paul Josef Cordes

    Cardinale, presidente
    del Pontificio Consiglio «Cor Unum»


    La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, sulla teologia della carità, conteneva indicazioni sulla dottrina sociale. Ora siamo di fronte a un testo dedicato interamente a questa materia. Ma balza agli occhi che il concetto centrale resta la caritas, intesa come amore divino manifestato in Cristo.

    La Chiesa è stata costituita per essere sacramento di salvezza per tutti i popoli. La sua missione la strappa a un malinteso ricorrente:  secolarizzarla fino a farne un agente politico. La Chiesa ispira, ma non fa politica. La Chiesa non è un partito né un attore politicizzante. Lo stesso cardinale Ratzinger si è opposto negli anni '80 a questo possibile malinteso.

    Questo implica che la dottrina sociale della Chiesa non è una "terza via", cioè un programma politico da realizzare per giungere a una società perfetta. Chi la pensa così rischia paradossalmente di preparare una teocrazia, dove i principi validi nel discorso della fede diventano tout court principi da applicare al vivere sociale, sia per chi crede, sia per chi non crede, abbracciando anche la violenza. Di fronte a tali errori, la Chiesa salvaguarda, insieme alla libertà religiosa, la giusta autonomia dell'ordine creato.

    In positivo, l'enciclica Caritas in veritate esprime il significato della dottrina sociale della Chiesa in diverse parti, quando ne va del rapporto tra evangelizzazione e promozione umana. Mentre finora l'accento della dottrina sociale era piuttosto sull'azione per promuovere la giustizia, ora si avvicina in senso lato alla pastorale:  la dottrina sociale è affermata elemento dell'evangelizzazione. Cioè l'annuncio di Cristo morto e risorto che la Chiesa proclama lungo i secoli ha una sua attualizzazione anche rispetto al vivere sociale.

    Quest'affermazione contiene due aspetti. Non possiamo leggere la dottrina sociale fuori dal contesto del Vangelo e del suo annuncio. La dottrina sociale, come mostra questa enciclica, nasce e si interpreta alla luce della rivelazione. D'altra parte, la dottrina sociale non si identifica con l'evangelizzazione, ma ne è un elemento. Il Vangelo riguarda il vivere dell'uomo anche in relazioni sociali e in istituzioni che da queste relazioni nascono, ma non si può restringere l'uomo al suo vivere sociale. E dunque la dottrina sociale della Chiesa non può sostituire tutta l'opera di annuncio del Vangelo.

    Nella logica di questa enciclica si affaccia prepotentemente un ulteriore passaggio, forse una terza fase della riflessione della dottrina sociale. Non è un caso se si è posta la carità come punto di snodo:  dunque la carità divina cui risponde come atto umano una virtù teologale. L'uomo non si pone solo come obiettivo di un processo, ma come il soggetto di questo processo. L'uomo che ha conosciuto Cristo si fa attore di cambiamento perché la dottrina sociale non resti lettera morta.




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    07/07/2009 20:59

    L'arcivescovo Giampaolo Crepaldi

    Le principali novità


    di Giampaolo Crepaldi

    Arcivescovo-vescovo di Trieste

    Il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l'annuncio di Cristo. Da ciò derivano le importanti precisazioni della Caritas in veritate sulla natura della dottrina sociale.
    La prima riguarda la sua appartenenza alla Tradizione viva della Chiesa. La seconda è che il punto di vista non è la realtà sociologicamente intesa, ma la fede apostolica. Queste importanti precisazioni di Benedetto XVI provengono dalla considerazione dell'importanza fondativa della Verità e dell'Amore per l'organizzazione sociale.

    Altra novità:  i due fondamentali diritti alla vita e alla libertà religiosa trovano per la prima volta un'esplicita e corposa collocazione in un'enciclica sociale. Non che nelle precedenti encicliche fossero stati trascurati, ma certamente qui sono organicamente collegati con il tema dello sviluppo e la Caritas in veritate ne mette in evidenza le ricadute negative anche di ordine economico e politico sullo sviluppo quando non venissero rispettati. Nella Caritas in veritate la cosiddetta "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale". La procreazione e la sessualità, l'aborto e l'eutanasia, le manipolazioni dell'identità umana e la selezione eugenetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l'accoglienza del debole. Queste indicazioni della Caritas in veritate non hanno solo valore esortativo, ma invitano ad un nuovo pensiero e a una nuova prassi per lo sviluppo che tengano conto delle sistematiche interconnessioni tra i temi antropologici legati alla vita e alla dignità umana e quelli economici, sociali e culturali relativi allo sviluppo.

    Ci sono inoltre nell'enciclica due tematiche nuove. La prima è quella dell'ambiente richiamata anche dalle encicliche sociali di Giovanni Paolo II. La Caritas in veritate propone un'impostazione in termini di precedenza del ricevere sul fare:  da una natura come deposito di risorse materiali alla natura vista come parola creata. I due diritti alla vita e alla libertà religiosa, sono strettamente collegati dalla Caritas in veritate con l'ecologia ambientale. Questa, infatti, deve liberarsi da alcune ipoteche ideologiche che consistono nel trascurare la superiore dignità della persona umana e nel considerare la natura solo materialisticamente prodotta dal caso o dalla necessità. Tentazioni ideologiche oggi presenti in molte versioni dell'ecologismo. L'impegno per l'ambiente non sarà pienamente fruttuoso se non verrà sistematicamente associato al diritto alla vita della persona umana.

    L'altro tema nuovo è l'ampia trattazione del problema della tecnica:  è la prima volta che un'enciclica affronta in modo così organico questo tema, dopo gli approfondimenti antropologici sulla tecnica della Laborem exercens di Giovanni Paolo II. L'idea di fondo è che la crisi delle grandi ideologie politiche abbia lasciato il campo alla nuova ideologia della tecnica o, possiamo dire, alla "tecnicità" come mentalità. Si tratta della più grande sfida al principio della precedenza del ricevere sul fare. La mentalità esclusivamente tecnica, infatti, riduce tutto a puro fare. Per questo essa si sposa bene con la cultura nichilista e relativista.



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    07/07/2009 21:00

    L'economista Stefano Zamagni

    Un nuovo ordine economico


    di Stefano Zamagni

    Università di Bologna

    Tre sono i principali fattori strutturali dell'attuale crisi. Il primo concerne il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi consolidatosi nell'ultimo trentennio.
    A partire dalla metà degli anni '70 del secolo scorso, i Paesi occidentali hanno condizionato le loro promesse in materia pensionistica a investimenti che dipendevano dalla profittabilità sostenibile dei nuovi strumenti finanziari. Al tempo stesso, la creazione di questi strumenti ha via via esposto l'economia reale ai capricci della finanza, generando il bisogno crescente di destinare alla remunerazione dei risparmi in essi investiti quote crescenti di valore aggiunto.

    Il secondo fattore è la diffusione a livello di cultura popolare dell'ethos dell'efficienza come criterio ultimo di giudizio e di giustificazione della realtà economica. Per un verso, ciò ha finito col legittimare l'avidità - che è la forma più nota e più diffusa di avarizia - come una sorta di virtù civica. Per l'altro esso è all'origine dell'alternanza sistematica di avidità e panico.

    La terza causa ha a che vedere con la matrice culturale che si è andata consolidando negli ultimi decenni sull'onda del processo di globalizzazione e dall'avvento della terza rivoluzione industriale:  quella delle tecnologie info-telematiche, della quale due aspetti specifici sono rilevanti. Il primo riguarda la presa d'atto che alla base dell'economia capitalistica è presente una seria contraddizione di tipo pragmatico. Quella capitalistica è certamente un'economia di mercato, cioè un assetto istituzionale in cui sono presenti e operativi i due principi basilari della modernità:  la libertà di agire e fare impresa; l'eguaglianza di tutti di fronte alla legge.

    Al tempo stesso, però l'impresa capitalistica è andata edificandosi nel corso degli ultimi tre secoli sul principio di gerarchia. Ha preso così corpo un sistema di produzione in cui vi è una struttura centralizzata alla quale un certo numero di individui cedono, in cambio di un prezzo (salario), alcuni dei loro beni e servizi, che una volta entrati nell'impresa sfuggono al controllo di quanti li hanno forniti.

    Il secondo aspetto riguarda l'insoddisfazione, sempre più diffusa, circa il modo di interpretare il principio di libertà, e le sue tre dimensioni costitutive:  autonomia, immunità, capacitazione (capacità di azione). Mentre l'approccio liberal-liberista vale ad assicurare la prima e la seconda l'approccio stato-centrico, vuoi nella versione dell'economia mista vuoi in quella del socialismo di mercato, tende a privilegiare la seconda e la terza a scapito della prima. La sfida da raccogliere è allora quella di fare stare insieme tutte e tre le dimensioni della libertà.

    È dunque quanto mai opportuna l'insistenza della Caritas in veritate sulla necessità di attuare una governance globale, di tipo sussidiario e poliarchico. Ciò implica il rifiuto di dare vita a una sorta di superstato e l'urgenza di completare e aggiornare l'opera svolta nel 1944 a Bretton Woods quando si disegnò il nuovo ordine economico internazionale. Si tratta di affiancare all'attuale assemblea delle Nazioni unite una seconda assemblea in cui siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale; dare vita al Consiglio di sicurezza socio-economica delle Nazioni unite in appoggio a quelle di sicurezza militare; istituire una Organizzazione mondiale delle migrazioni e una Organizzazione mondiale per l'ambiente; intervenire sul Fondo monetario internazionale per affrontare il problema di una valuta globale e realizzare la riforma delle riserve monetarie globali, come è stato proposto dalla conferenza delle Nazioni unite del 23 giugno scorso.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    08/07/2009 16:53

    Carità e verità: la Chiesa ispira ma non fa politica

    Il Cardinale Paul Josef Cordes presenta la nuova enciclica del Papa



    di Carmen Elena Villa

    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Nella sua enciclica, pubblicata questo martedì, Benedetto XVI non pretende di fare politica ma di fornire degli spunti di riflessione presentando la “carità nella verità” come il giusto orientamento per la vita personale e comunitaria.
    Lo ha affermato il Cardinale Paul Josef Cordes, in occasione della presentazione in Sala Stampa vaticana della enciclica “Caritas in Veritate”. Due termini chiave nel magistero sociale pontificio, che mostrano ancora tutta la loro attualità, ha sottolineato il porporato.

    L'obiettivo della dottrina sociale della Chiesa

    Il Cardinale Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, l'organismo vaticano che si occupa della promozione umana e cristiana attraverso la carità e il sostegno ai più bisognosi, ha affermato che il testo papale mette in luce nuovamente il ruolo della Chiesa nella promozione dell'assistenza sociale. Secondo il porporato l'enciclica “inspira ma non fa politica”, e non rappresenta una “terza via” rispetto al comunismo e al capitalismo finalizzata al raggiungimento di una società perfetta o di un “paradiso terrestre”.Il Cardinale ha precisato che la dottrina sociale della Chiesa è un elemento di evangelizzazione: “Cioè l'annuncio di Cristo morto e risorto che la Chiesa proclama lungo i secoli” e che “ha una attualizzazione anche rispetto al vivere sociale”.Per questo ha assicurato che l'enciclica non può essere letta al di fuori del contesto del Vangelo, che “riguarda il vivere dell’uomo anche in relazioni sociali e in istituzioni che da queste relazioni nascono".

    Tuttavia, ha spiegato, “non si può restringere l’uomo al suo vivere sociale”.Il Cardinale Cordes ha evidenziato che la Rivelazione deve essere un elemento chiave nel tema sociale: “I principi della dottrina sociale non sono dunque rimasti meramente filosofici, ma hanno la loro origine in Cristo e nella sua Parola”. Secondo il porporato, la nuova enciclica tratta in maniera più esplicita e pratica il tema della carità, già affrontato su un piano più teorico dal Papa nella sua prima enciclica "Deus caritas est", definendolo come “la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. Piuttosto che essere un sistema ideologico o un manife sto politico privo d'anima, la dottrina sociale “impegna invece in primo luogo il cristiano a 'incarnare' la sua fede”, ha detto il Cardinale.

    "La carità – scrive il Papa nell'ultima enciclica – manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico ad ogni impegno nel mondo".

    Il primo capitale, l'uomo

    Il presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” ha quindi messo in risalto la visione dell'essere umano che emerge dalla dottrina sociale e che viene ribadita in questa enciclica: “ "Il primo capitale da salvaguardare e da valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità”. Per questo, assicura il Papa, "la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica”.Tuttavia, l'uomo non può essere inserito all'interno di un orizzonte solamente terreno, interessat o solo ai beni materiali, lasciando in secondo piano le questioni morali: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune", afferma il Papa.

    In questa maniera, il Pontefice ha approfondito quanto già affermato nella “Deus caritas est”, dove mette in rilievo le caratteristiche di coloro che lavorano negli organismi caritatevoli. Pur affermando che la società è ferita dal peccato, il Papa assicura che “non c' è società nuova senza uomini nuovi”. Il Cardinale Cordes ha quindi osservato come il Papa abbia voluto concludere la sua enciclica sottolineando l'importanza della preghiera in una vita plasmata dalla carità: “Dio rinnova il cuore dell’uomo perché questi possa dedicarsi a vivere nella carità e nella giustizia”.

    “Perciò i cristiani – ha affermato il porporato – non stanno semplicemente alla finestra a guardare o a protestare, contagiati dalla moderna cultura della denuncia (Kultur des Einspruchs), ma si lasciano convertire per costruire, in Dio, una cultura nuova. Questo vale anche per i membri della Chiesa, singoli o associati”.
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    Le grandi novità dell’Enciclica “Caritas in Veritate”

    La "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale"



    di Antonio Gaspari

    ROMA, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Da oltre un anno i mass media di tutto il mondo hanno cercato di fornire anticipazioni e dettagli dell’Enciclica sociale di Benedetto XVI. In molti casi hanno raccontato cose fantasiose.

    Adesso che l’Enciclica è uscita, bisogna valutarne le novità e precisarne le sfide.In particolare, a spiegarne il progetto culturale e le rilevanti novità, è stato monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, appena nominato dal Santo Padre, Arcivescovo di Trieste.Intervenendo nella Sala Stampa vaticana martedì 6 lugl io, monsignor Crepaldi ha indicato la grammatica dell’Enciclica con la frase “il ricevere precede il fare” spiegando che la ‘Caritas in Veritate’ propone una vera e propria "conversione" verso una nuova sapienza sociale. Nel contesto in cui dai doveri nascono i diritti, il neo Arcivescovo di Trieste ha affermato che “bisogna convertirsi a vedere l’economia e il lavoro, la famiglia e la comunità, la legge naturale posta in noi ed il creato posto davanti a noi e per noi, come una chiamata” perchè secondo la dottrina cristiana lo sviluppo è una “vocazione” che implica “una assunzione solidale di responsabilità per il bene comune”.Per fare in modo che la società sarà una vera comunità, le cui relazioni siano dettate dalla fraternità, la “Caritas in Veritate” ritiene che la verità e l’a more abbiano una forza sociale fondamentale.

    L’Enciclica di Benedetto XVI sostiene che “la società ha bisogno di verità e di amore” ed “il cristianesimo è la religione della Verità e dell’Amore”, per questo motivo “il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l’annuncio di Cristo”.Verità e amore sono fondanti per l’organizzazione sociale e svolgono una funzione di "purificazione" per l’economia e per la politica.Monsignor Crepaldi ha sottolineato che, per la prima volta in una Enciclica sociale, il diritto alla vita e alla libertà religiosa trovano una esplicita e corposa collocazione in relazione allo sviluppo.

    Nella “Caritas in Veritate” (ai punti 28, 44 e 75) la cosiddetta "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale". “ La procreazione e la sessualità - ha aggiunto -, l’aborto e l’eutanasia, le manipolazioni dell’identità umana e la selezione eugenetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l’accoglienza del debole”.

    L’Enciclica ribadisce che “non sarà più possibile, impostare programmi di sviluppo solo di tipo economico-produttivo che non tengano sistematicamente conto anche della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito”.Altra tematica nuova è quella dell’ambiente. Il Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha sostenuto che “l’ecologia ambientale deve liberarsi da alcune ipoteche ideologiche (presenti in molte versio ni dell’ecologismo) che consistono nel trascurare la superiore dignità della persona umana e nel considerare la natura solo materialisticamente prodotta dal caso o dalla necessità”.

    “L’impegno per l’ambiente – ha affermato mons. Crepaldi – non sarà pienamente fruttuoso se non verrà sistematicamente associato al diritto alla vita della persona umana, primo elemento di una ecologia umana che faccia da cornice di senso per una ecologia ambientale”.Novità assoluta anche la trattazione che l’Enciclica svolge nei confronti del problema della tecnica che spesso sfocia in una mentalità che può chiamarsi "tecnicità".

    “Il rischio – ha rilevato mons. Crepaldi – è che la mentalità esclusivamente tecnica, riduca tutto a puro fare e si sposi con la cultura nichilista e relativista”.Per il neo Arcivesco vo di Trieste la “Caritas in Veritate” è una grande proposta culturale e di mentalità a servizio dell’autentico sviluppo, perchè le risorse da utilizzare per lo sviluppo non sono solo economiche, ma immateriali e culturali, di mentalità e di volontà.

    In questo contesto si richiede una nuova prospettiva sull’uomo che solo il Dio che è Verità e Amore può dare.Monsignor Crepaldi ha precisato che “verità e amore sono gratuiti, superano la semplice dimensione della fattibilità e ci aprono alla dimensione dell’indisponibile”.

    Si tratta del principio secondo cui la reciprocità propria della fraternità entra pienamente dentro i meccanismi economici ed è motivo di ridistribuzione, di giustizia sociale e di solidarietà non successivamente o a latere degli stessi.

    E’ in questo cont esto che la gratuità della verità e dell’amore conducono verso il vero sviluppo anche perché eliminano riduzionismi e visioni interessate. In conclusione, monsignor Crepaldi ha constatato che l’Enciclica ha il grande merito di togliere di mezzo visioni obsolete, schemi di analisi superati, semplificazioni di problemi complessi, quali: un eccessivo riduzionismo Nord-Sud dei problemi dello sviluppo, dopo il crollo del riduzionismo Est-Ovest; una frequente sottovalutazione dei problemi culturali del sottosviluppo; un ecologismo spesso separato da una completa visione della persona umana; l’attenzione verso i problemi economici in senso stretto più che verso quelli istituzionali; una visione assistenzialista e non sussidiaria dello sviluppo. L’attenzione è ancora una volta indirizzata all’uomo concreto, oggetto di verità e di amore ed esso stesso capace di verità e di amore.

    Alla domanda sul perchè si sia dovuti aspettare tanto per l'uscita dell’Enciclica, monsignor Crepaldi ha raccontato che “La Centesimus annus, l’ultima Enciclica sociale pubblicata da Giovanni Paolo II, impiegò 5 anni ad uscire, mentre la “Caritas in Veritate” ha impiegato solo due anni e mezzo.Sul perchè il tema della pace non sia stato affrontato a fondo, il segretario del Pontificio Consiglio ha risposto che si tratta di “una Enciclica e non di una enciclopedia”.

    D’altro canto, quando ci fu l’anniversario della “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, alla richiesta di scrivere un eventuale Enciclica, l’allora Pontefice Giovanni Paolo II rispose che i Messaggi annuali per la Pace sono già una corposa Enciclica.
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