Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 

"Caritas in Veritate" - Carità nella Verità: nuova Enciclica Sociale di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2010 20:23
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
08/07/2009 17:00

L'apertura alla vita è il cuore del vero sviluppo

Papa Benedetto e la crisi economica nella sua terza enciclica



di Padre Thomas Rosica, C.S.B.*

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Quest'oggi a mezzogiorno, ora di Roma, Papa Benedetto XVI ha pubblicato la terza lettera enciclica del suo pontificato, “Caritas in Veritate” (La Carità nella Verità), un documento di grande respiro sulla dottrina sociale della Chiesa. L'enciclica di 60 pagine, suddivisa in 79 paragrafi, affronta molte altre questioni oltre all'etica dell'economia contemporanea e alla crisi economica globale, che certamente hanno influenzato Benedetto XVI nella preparazione del testo annunciato con largo anticipo. Questo opus magnum segue da vicino le precedenti due encicliche del pontificato di Ratzinger: "Deus Caritas Est" (Dio è amore); “Spe Salvi” (Nella Speranza siamo stati salvati), e ora l'analisi papale sui tempi attuali.

Benedetto XVI non è un Papa dalle frasi ad effetto e l'enciclica di oggi ne è la prova vivente. Chi cerca delle facili risposte alla crisi economica attuale è meglio che non si avvicini a questo documento per avere facili e rapide soluzioni. Il testo papale di oggi è voluminoso, denso, pieno di sfumature e complesso, e invita tutti a una seria riflessione sulla storia della dottrina sociale dei Pontefici, con particolare attenzione al documento post-conciliare "Popolorum Progressio", che racchiude la ricca dottrina sociale di Papa Paolo VI.

Questo testo monumentale del 1967 analizzava l'economia su un piano globale e trattava dei diritti dei lavoratori a organizzarsi in sindacati e ad avere un impiego sicuro, e della necessità di condizioni lavorative decenti. In questo testo del 2009, il Papa affronta in profondità temi come: fraternità, sviluppo economico e società civile; sviluppo dei popoli, diritti e doveri e ambiente; collaborazione della famiglia umana; sviluppo dei popoli e tecnica.Queste sono le diverse aree in cui si articola il testo di Benedetto che va contro l'indole della società contemporanea e che un lettore, che ha un rapporto problematico con la Chiesa, l'autorità, la verità e la vita umana, potrebbe facilmente rigettare. A mio avviso, queste aree costituiscono il punto cruciale della crisi economica e dello stato critico delle cose nel mondo odierno, facendo capire al di là di ogni ombra di dubbio che la crisi economica è in sostanza una crisi morale.


Due sono gli importanti leitmotiv di questo pontificato: il relativismo morale e l'esclusione di Dio dalla società e dalla vita umana. Nell'enciclica di oggi, Benedetto scrive: “Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni”.

Negli ultimi quattro anni, Benedetto ha ripetuto continuamente che il rifiuto ideologico di Dio e un'ateismo dell'indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare allo stesso tempo i valori umani, sono tra i principali ostacoli allo sviluppo odierno. Nell'enciclica di oggi lo afferma chiaramente: “L'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”.

Secondo le parole di Benedetto: “L'anelito del cristiano è che tutta la famiglia umana possa invocare Dio come 'Padre nostro!'. Insieme al Figlio unigenito, possano tutti gli uomini im parare a pregare il Padre e a chiedere a Lui, con le parole che Gesù stesso ci ha insegnato, di saperLo santificare vivendo secondo la sua volontà, e poi di avere il pane quotidiano necessario, la comprensione e la generosità verso i debitori, di non essere messi troppo alla prova e di essere liberati dal male”.


Queste parole non provengono dal dizionario del politically correct o del falso inclusivimo, ma sgorgano dalla mente e dal cuore di uno dei più grandi pensatori del nostro tempo.

Un altro ambito che farà sicuramente esitare molti lettori o che verrà semplicemente rigettato è quello riguradante la dignità e il rispetto della vita umana, “che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli”.

Benedetto scrive: “Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale”.
“L'apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società s'avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”.

Forse questa frase sintetizza in modo mirabile la crisi e l'enciclica: “I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani”.



-------

*Padre Thomas Rosica, C.S.B., è responsabile esec utivo della Salt and Light Catholic Media Foundation and Television Network in Canada e consultore del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
08/07/2009 17:01

Un’Enciclica che guarda al futuro con il realismo della sapienza cristiana

di Stefano Fontana*



ROMA, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

L’enciclica sociale Caritas in veritate di Benedetto XVI, presentata stamattina in Vaticano, trasforma la dottrina sociale della Chiesa nientemeno che nel rapporto tra la Chiesa e il Mondo, dato che essa tratta de “lo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”, dilatando all’estremo il tema dello sviluppo della Populorum progressio di Paolo VI della quale ricorda il quarantesimo anniversario.

E’ quindi una grande enciclica di ampio respiro, perfettamente inserita nel pontificato di Benedetto XVI, che non solo ha fatto dei due termini carità e verità il cuore del suo magistero - essendo essi, secondo lui, il cuore stesso del cristianesimo - , ma ha anche posto nel modo pi&ugr ave; radicale il tema di “Dio nel mondo”, ossia se il cristianesimo sia solo utile o anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. Il papa pensa che sia indispensabile e in questa enciclica dice perché.

E’ un’enciclica coraggiosa, quindi, in quanto elimina ogni possibile perplessità sul ruolo pubblico della fede cristiana e sul fatto che da essa derivi una coerente visione della vita, in concorrenza con altre visioni. Il mondo, secondo la Caritas in veritate non è solo da accompagnare nel dialogo e mediante una carità senza verità, ma è da salvare mediante la carità nella verità. Per ottenere questo risultato il papa ha da un lato “riabilitato” Paolo VI e dall’altro ha indicato il punto di vista teologico dal quale la Chiesa deve considerare i fatti sociali. Si tratta di due puntualizzazioni dal grande valore strategico che il cardinale Martino e i l vescovo Crepaldi, presentando stamattina l’enciclica in Sala stampa della Santa Sede, hanno astutamente ben evidenziato.

L’intero primo capitolo dell’enciclica è dedicato a Paolo VI, appunto per ricordare la sua Populorum progressio del 1967. Paolo VI non era incerto sul valore della dottrina sociale della Chiesa, come molti hanno detto e continuano a dire, e non ha per nulla ridimensionato l’importanza di una presenza pubblica del cristianesimo nella storia. Anzi, dice Benedetto XVI, egli ha gettato le basi del grande rilancio che di lì a poco avrebbe fatto Giovanni Paolo II. Viene così tolto di mezzo uno dei principali argomenti dei teologi che hanno contestato il presunto carattere ideologico della dottrina sociale della Chiesa. Essendo Paolo VI il papa del Concilio, va da sé che le precisazioni della nuova enciclica riguardano la valutazione di un intero periodo. Queste affermazioni del papa hanno la s tessa importanza della condanna dell’ermeneutica della frattura circa il Vaticano II da lui fatta nel dicembre 2005. La Caritas in veritate, infatti, afferma che non esistono due dottrine sociali una preconciliare ed una postconciliare, ma un’unica dottrina sociale della Chiesa. Pio IX o Leone XIII non si erano sbagliati.

Quanto alla visione teologica da cui partire, il papa chiarisce che questa è la fede apostolica e non qualche problema sociologicamente inteso. Insomma la Chiesa non parte “dal mondo” ma dalla fede degli apostoli. Solo così essa può essere utile al mondo. Questa è la prospettiva centrale di tutta l’enciclica e spiega l’insieme delle valutazioni che vi sono contenute. Che lo sviluppo vero non possa tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia; che non si possa lottare per la salvaguardia della natura dimenticando la superiorit&agrav e; della persona umana nel creato; che l’eugenetica è molto più preoccupante della diminuzione della biodiversità nell’ecosistema; che l’aborto e l’eutanasia corrodono il senso della legge e impediscono all’origine l’accoglienza dei più deboli, rappresentando una ferita alla comunità umana dalle enormi conseguenze di degrado; che l’economia abbia bisogno di gratuità e che questa non si deve aggiungere alla fine o a latere dell’attività economica ma deve essere elemento di solidarietà dall’interno dei processi economici, dato che ormai, tra l’altro, l’attività redistributiva dello Stato è pressoché impossibile.

Queste ed altre valutazioni l’enciclica le trae dal Vangelo e mentre con il Vangelo illumina queste realtà – società, economia, politica - le restituisce anche a se stesse, all’autonomia della loro dignità, riscontrando impensate convergenze tra la visione cristiana e i bisogni autentici della società umana. Pensiamo, per esempio, all’economia: la globalizzazione impedisce di fatto agli Stati di organizzare la solidarietà “dopo” la produzione. Bisogna organizzare la solidarietà già dentro la produzione come cerca di fare per esempio, tra mille contraddizioni, il movimento della responsabilità sociale dell’impresa. Qui si incontrano i bisogni concreti dell’economia globalizzata di oggi e le indicazioni della fede cristiana secondo le quali l’economia è sempre un fatto umano e comunitario e quindi la dimensione etica non la riguarda solo “dopo” ma fin dall’inizio.

In questa enciclica per la prima volta vengono trattati in modo sistematico i temi della globalizzazione, del rispetto dell’ambiente, della bioetica e della sua centralità sociale, che n elle precedenti encicliche erano stati solo sfiorati. E’ un’enciclica che guarda decisamente al futuro con il coraggio del realismo della sapienza cristiana. Lo schema Nord-Sud è superato, dice Benedetto XVI, la responsabilità del sottosviluppo non è solo di alcuni ma di tanti, compresi i paesi emergenti e le élites di quelli poveri, talvolta anche le organizzazioni umanitarie e gli organismi internazionali sembrano più interessati al proprio benessere e a quello delle proprie burocrazie che non allo sviluppo dei poveri, il turismo sessuale è sostenuto non solo dai paesi da dove partono i “clienti, ma anche da quelli che lo ospitano, la corruzione la si ritrova in tutta la filiera degli aiuti umanitari, se i paesi occidentali sbagliano a proteggere eccessivamente la proprietà intellettuale specialmente per i farmaci nelle culture dei paesi arretrati ci sono superstizioni e visioni ancestrali che bloccano lo svilup po, e così via. E’ un’enciclica che condanna le ideologie del passato ed anche quelle nuove: dall’ecologismo al terzomondismo. Essa affronta però soprattutto una ideologia, l’ideologia della tecnica, alla quale è dedicato l’intero capitolo sesto. Dopo il crollo delle ideologie politiche si è consolidata l’ideologia della tecnica, tanto più pericolosa in quanto si alimenta di una cultura relativista, alimentandola a sua volta.

Il punto di vista centrale dell’enciclica è stato riassunto dal vescovo Crepaldi, che l’ha presentata stamane in Vaticano, come la “prevalenza del ricevere sul fare”. E siamo così tornati al problema di fondo: senza Dio gli uomini sono frutto del caso e della necessità e nulla possono ricevere. Ma il mondo – il mercato come la comunità politica – ha bisogno di presupposti che esso stesso non si sa dare. La pretesa crist iana rimane sempre la stessa.

---------------

*Stefano Fontana è Direttore dell’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa e consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
08/07/2009 17:06

Sintesi dell'Enciclica sociale di Benedetto XVI

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la sintesi non ufficiale dell'Enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in Veritate”, distribuita dalla Sala Stampa vaticana.

                                                                                   * * *

 "La Carità nella verità, di cui Gesù s’è fatto testimone" è "la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera": inizia, così, Caritas in Veritate, Enciclica indirizzata al mondo cattolico e "a tutti gli uomini di buona volontà".

Nell’Introduzione, il Papa ricorda che "la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa". D’altro canto, dato "il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico", va coniugata con la verità. E avverte: "Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali". (1-4)

Lo sviluppo ha bisogno della verità. Senza di essa, afferma il Pontefice, "l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società". (5) Benedetto XVI si sofferma su due "criteri orientativi dell’azione morale" che derivano dal principio "carità nella verità": la giustizia e il bene comune. Ogni cristiano è chiamato alla carità anche attraverso una "via istituzionale" che incida nella vita de lla polis, del vivere sociale. (6-7) La Chiesa, ribadisce, "non ha soluzioni tecniche da offrire", ha però "una missione di verità da compiere" per "una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione". (8-9)

Il primo capitolo del documento è dedicato al Messaggio della Populorum Progressio di Paolo VI. "Senza la prospettiva di una vita eterna – avverte il Papa – il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro". Senza Dio, lo sviluppo viene negato, "disumanizzato".(10-12)

Paolo VI, si legge, ribadì "l’imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia".(13) Nell’Enciclica Humanae Vitae, Papa Montini "indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale". Anche oggi, "la C hiesa propone con forza questo collegamento". (14-15) Il Papa spiega il concetto di vocazione presente nella Populorum Progressio. "Lo sviluppo è vocazione" giacché "nasce da un appello trascendente". Ed è davvero "integrale", sottolinea, quando è "volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo". "La fede cristiana – soggiunge – si occupa dello sviluppo non contando su privilegi o su posizioni di potere", "ma solo su Cristo". (16-18) Il Pontefice evidenzia che "le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale". Sono innanzitutto nella volontà, nel pensiero e ancor più "nella mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli". "La società sempre più globalizzata – rileva – ci rende vicini, ma non ci rende fratelli". Bisogna allora mobilitarsi, affinch&eacu te; l’economia evolva "verso esiti pienamente umani". (19-20)

Nel secondo capitolo, il Papa entra nel vivo dello Sviluppo umano nel nostro tempo. L’esclusivo obiettivo del profitto "senza il bene comune come fine ultimo – osserva – rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Ed enumera alcune distorsioni dello sviluppo: un’attività finanziaria "per lo più speculativa", i flussi migratori "spesso solo provocati" e poi mal gestiti e, ancora, "lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra". Dinnanzi a tali problemi interconnessi, il Papa invoca "una nuova sintesi umanistica". La crisi "ci obbliga a riprogettare il nostro cammino". (21)

Lo sviluppo, constata il Papa, è oggi "policentrico". "Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità" e nas cono nuove povertà. La corruzione, è il suo rammarico, è presente in Paesi ricchi e poveri; a volte grandi imprese transnazionali non rispettano i diritti dei lavoratori. D’altronde, "gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità" dei donatori e dei fruitori. Al contempo, denuncia il Pontefice, "ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario". (22)

Dopo la fine dei "blocchi", viene ricordato, Giovanni Paolo II aveva chiesto "una riprogettazione globale dello sviluppo", ma questo "è avvenuto solo in parte". C’è oggi "una rinnovata valutazione" del ruolo dei "pubblici poteri dello Stato", ed è auspicabile una partecipazione della società civile alla politica nazionale e internazionale. Rivolge poi l’attenzione alla delocalizzazione di produzioni di basso costo da parte dei Paesi ricchi. "Questi processi – è il suo monito – hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale" con "grave pericolo per i diritti dei lavoratori". A ciò si aggiunge che "i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi". D’altronde, si verifica anche che "i governi per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali". Ricorda perciò ai governanti che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità". (23-25)

Sul piano culturale, prosegue, le possibilità di interazioni apro no nuove prospettive di dialogo, ma vi è un duplice pericolo. In primo luogo, un eclettismo culturale in cui le culture vengono "considerate sostanzialmente equivalenti". Il pericolo opposto è "l’appiattimento culturale", "l’omologazione degli stili di vita". (26) Rivolge così il pensiero allo scandalo della fame. Manca, denuncia il Papa, "un assetto di istituzioni economiche in grado" di fronteggiare tale emergenza. Auspica il ricorso a "nuove frontiere" nelle tecniche di produzione agricola e un’equa riforma agraria nei Paesi in via di Sviluppo. (27)

Benedetto XVI tiene a sottolineare che il rispetto per la vita "non può in alcun modo essere disgiunto" dallo sviluppo dei popoli. In varie parti del mondo, avverte, perdurano pratiche di controllo demografico che "giungono a imporre anche l’aborto". Nei Paesi sviluppati si è diffusa una "mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale". Inoltre, prosegue, vi è "il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati" a "politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione" del controllo delle nascite. Preoccupanti sono pure le "legislazioni che prevedono l’eutanasia". "Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita – avverte – finisce per non trovare più" motivazioni ed energie "per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo" (28).

Altro aspetto legato allo sviluppo è il diritto alla libertà religiosa. Le violenze, scrive il Papa, "frenano lo sviluppo autentico", ciò "si applica specialmente al terrorismo a sfondo fondamentalista". Al tempo stesso, la pro mozione dell’ateismo da parte di molti Paesi "contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane". (29) Per lo sviluppo, prosegue, serve l’interazione dei diversi livelli del sapere armonizzati dalla carità. (30-31)

Il Papa auspica, quindi, che le scelte economiche attuali continuino "a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro" per tutti. Benedetto XVI mette in guardia da un’economia "del breve e talvolta brevissimo termine" che determina "l’abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori" per far acquisire ad un Paese "maggiore competitività internazionale". Per questo, esorta una correzione delle disfunzioni del modello di sviluppo come richiede oggi anche lo "stato di salute ecologica del pianeta". E conclude sulla globalizzazione: "Senza la guida della carit&ag rave; nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni". E’ necessario, perciò, "un impegno inedito e creativo". (32-33)

Fraternità, Sviluppo economico e società civile è il tema del terzo capitolo dell’Enciclica, che si apre con un elogio dell’esperienza del dono, spesso non riconosciuta "a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza". La convinzione di autonomia dell’economia dalle "influenze di carattere morale – rileva il Papa – ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo". Lo sviluppo, "se vuole essere autenticamente umano", deve invece "fare spazio al principio di gratuità". (34) Ciò vale in particolare per il mercato.

"Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca – è il suo monito – il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica". Il mercato, ribadisce, "non può contare solo su se stesso", "deve attingere energie morali da altri soggetti" e non deve considerare i poveri un "fardello, bensì una risorsa". Il mercato non deve diventare "luogo della sopraffazione del forte sul debole". E soggiunge: la logica mercantile va "finalizzata al perseguimento del bene comune di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica". Il Papa precisa che il mercato non è negativo per natura. Dunque, ad essere chiamato in causa è l’uomo, "la sua coscienza morale e la sua responsabilità". L’attuale crisi, conclude il Papa, mostra che i "tradizionali principi dell’etica sociale" - trasparenza, onestà e responsabilità - "non possono venire trascurati". Al contempo, ricorda che l’economia non elimina il ruolo degli Stati ed ha bisogno di "leggi giuste". Riprendendo la Centesimus Annus, indica la "necessità di un sistema a tre soggetti": mercato, Stato e società civile e incoraggia una "civilizzazione dell’economia". Servono "forme economiche solidali". Mercato e politica necessitano "di persone aperte al dono reciproco". (35-39)

La crisi attuale, annota, richiede anche dei "profondi cambiamenti" per l’impresa. La sua gestione "non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari", ma "deve anche farsi carico" della comunità locale. Il Papa fa riferimento ai manager che spesso "rispondono solo alle indicazioni degli azionisti" ed in vita ad evitare un impiego "speculativo" delle risorse finanziarie. (40-41)

Il capitolo si chiude con una nuova valutazione del fenomeno globalizzazione, da non intendere solo come "processo socio-economico". "Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti – esorta – procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità". Alla globalizzazione serve "un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza" capace di "correggerne le disfunzioni". C’è, aggiunge, "la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza", ma la diffusione del benessere non va frenato "con progetti egoistici, protezionistici". (42)

Nel quarto capitolo, l’Enciclica sviluppa il tema dello Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente. Si nota, osserva, "la rivendicazione del diritto al superfluo" nelle società opulente, mentre mancano cibo e acqua in certe regioni sottosviluppate. "I diritti individuali svincolati da un quadro di doveri", rileva, "impazziscono". Diritti e doveri, precisa, rimandano ad un quadro etico. Se invece "trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini" possono essere "cambiati in ogni momento". Governi e organismi internazionali non possono dimenticare "l’oggettività e l’indisponibilità" dei diritti. (43) Al riguardo, si sofferma sulle "problematiche connesse con la crescita demografica". E’ "scorretto", afferma, "considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo". Riafferma che la sessualità non si può "ridurre a mero fatto edonistico e ludico". Né si può regolare la sessualità con politiche materialistiche & quot;di forzata pianificazione delle nascite". Sottolinea poi che "l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica". Gli Stati, scrive, "sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità della famiglia". (44)

"L’economia – ribadisce ancora – ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona". La stessa centralità della persona, afferma, deve essere il principio guida "negli interventi per lo sviluppo" della cooperazione internazionale, che devono sempre coinvolgere i beneficiari. "Gli organismi internazionali – esorta il Papa – dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici", "spesso troppo costosi". Capita a volte, constata, che "i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche". Di qui l’invito ad una "piena trasparenza" sui fondi ricevuti (45-47).

Gli ultimi paragrafi del capitolo sono dedicati all’ambiente. Per il credente, la natura è un dono di Dio da usare responsabilmente. In tale contesto, si sofferma sulle problematiche energetiche. "L’accaparramento delle risorse" da parte di Stati e gruppi di potere, denuncia il Pontefice, costituisce "un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri". La comunità internazionale deve perciò "trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili". "Le società tecnologicamente avanzate – aggiunge – possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico", mentre deve "avanzare la ricerca di energie alternative".

Infondo, esorta il Papa, "è necessario u n effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita". Uno stile che oggi, in molte parti del mondo "è incline all’edonismo e al consumismo". Il problema decisivo, prosegue, "è la complessiva tenuta morale della società". E avverte: "Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale" la "coscienza umana finisce per perdere il concetto di ecologia umana" e quello di ecologia ambientale. (48-52)

La collaborazione della famiglia umana è il cuore del quinto capitolo, in cui Benedetto XVI evidenzia che "lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia". D’altronde, si legge, la religione cristiana può contribuire allo sviluppo "solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica". Con "la negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione", la politica "assume un volto opprimente e aggressivo". E avverte: "Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo" tra la ragione e la fede. Rottura che "comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità". (53-56)

Il Papa fa quindi riferimento al principio di sussidiarietà, che offre un aiuto alla persona "attraverso l’autonomia dei corpi intermedi". La sussidiarietà, spiega, "è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista" ed è adatta ad umanizzare la globalizzazione. Gli aiuti internazionali, constata, "possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza", per questo vanno erogati coinvolgendo i soggetti della società civile e non solo i governi. "Troppo spesso", infatti, "gli aiuti sono valsi a cre are soltanto mercati marginali per i prodotti" dei Paesi in via di sviluppo. (57-58) Esorta poi gli Stati ricchi a "destinare maggiori quote" del Pil per lo sviluppo, rispettando gli impegni presi. Ed auspica un maggiore accesso all’educazione e ancor più alla "formazione completa della persona" rilevando che, cedendo al relativismo, si diventa più poveri. Un esempio, scrive, ci è offerto dal fenomeno perverso del turismo sessuale. "E’ doloroso constatare – osserva – che ciò si svolge spesso con l’avallo dei governi locali, con il silenzio di quelli da cui provengono i turisti e con la complicità di tanti operatori del settore". (59-61)

Affronta poi il fenomeno "epocale" delle migrazioni. "Nessun Paese da solo – è il suo monito – può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori". Ogni migr ante, soggiunge, "è una persona umana" che "possiede diritti che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione". Il Papa chiede che i lavoratori stranieri non siano considerati come una merce ed evidenzia il "nesso diretto tra povertà e disoccupazione". Invoca un lavoro decente per tutti e invita i sindacati, distinti dalla politica, a volgere lo sguardo verso i lavoratori dei Paesi dove i diritti sociali vengono violati. (62-64)

La finanza, ripete, "dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato" allo sviluppo. E aggiunge: "Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività". Il Papa chiede inoltre "una regolamentazione del settore" per garantire i soggetti più deboli. (65-66).

L’ultimo paragrafo del capitolo il Pontefice lo dedica "all’urgenza della riforma" dell’Onu e "dell’architettura economica e finanziaria internazionale". Urge "la presenza di una vera Autorità politica mondiale" che si attenga "in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà". Un’Autorità, afferma, che goda di "potere effettivo". E conclude con l’appello ad istituire "un grado superiore di ordinamento internazionale" per governare la globalizzazione. (67)

Il sesto ed ultimo capitolo è incentrato sul tema dello Sviluppo dei popoli e la tecnica. Il Papa mette in guardia dalla "pretesa prometeica" secondo cui "l’umanità ritiene di potersi ricreare avvalendosi dei ‘prodigi’ della tecnologia". La tecnica, è il suo monito, non può avere una "libertà assoluta". Rileva come "il process o di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica". (68-72) Connessi con lo sviluppo tecnologico sono i mezzi di comunicazione sociale chiamati a promuovere "la dignità della persona e dei popoli". (73)

Campo primario "della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica", spiega il Papa che aggiunge: "La ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza". La questione sociale diventa "questione antropologica". La ricerca sugli embrioni, la clonazione, è il rammarico del Pontefice, "sono promosse dall’attuale cultura" che "crede di aver svelato ogni mistero". Il Papa paventa "una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite". (74-75) Viene quindi ribadito che "lo svilupp o deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale". Infine, l’esortazione del Papa ad avere un "cuore nuovo" per "superare la visione materialistica degli avvenimenti umani". (76-77)

Nella Conclusione dell’Enciclica, il Papa sottolinea che lo sviluppo "ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera", di "amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace". (78-79)
[Modificato da Cattolico_Romano 08/07/2009 17:06]
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
09/07/2009 18:37

L'apprezzamento degli episcopati per l'enciclica di Benedetto XVI

La «Caritas in veritate» dagli Stati Uniti all'Europa


Roma, 9. Dagli Stati Uniti all'Europa sono molteplici gli interventi di gratitudine e apprezzamento dei vescovi per la nuova enciclica di Benedetto XVI. La Caritas in veritate sarà fra l'altro al centro della riflessione dei segretari generali del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee) che fino al 13 luglio saranno riuniti nel Centro per gli esercizi spirituali di Bryuchovychi, presso Leopoli, in Ucraina.

La terza enciclica di Benedetto XVI è una utile guida per trovare risposte a questioni morali, economiche e sociali del mondo contemporaneo nella ricerca della verità:  sono le parole di commento del cardinale Francis Eugene George, arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d'America, contenute in una nota pubblicata nel sito dell'episcopato, che accompagna la lettura di alcuni passaggi del documento. L'enciclica - si legge nella nota - afferma che sono stati fatti dei progressi nello sviluppo mondiale ma che bisogna affrontare anche altre sfide causate dai problemi emergenti nella società globale. Il documento - è spiegato - offre riflessioni sulla vocazione dello sviluppo umano così come sui principi morali su cui deve basarsi l'economia mondiale. Il documento, inoltre, sfida le imprese commerciali, i Governi, i sindacati e i singoli individui, a riesaminare le loro responsabilità economiche alla luce della carità governata dalla verità. È un'esortazione - è proseguito - a vedere il rapporto fra ecologia umana e ambientale e a legare la carità e la verità alla ricerca della giustizia del bene e dello sviluppo. Il papa - conclude la nota - evidenzia le responsabilità e i limiti del Governo e del mercato, sfida le ideologie tradizionali di destra e sinistra e invita tutti a pensare e ad agire in modo nuovo.

Come già riferito, la Caritas in veritate sarà uno dei due temi centrali dell'incontro promosso dal Ccee. L'altro argomento di riflessione sarà "Il sacerdote:  la sua vita e la sua missione". In particolare sull'enciclica offrirà una riflessione padre Hans Langendörfer, segretario generale della Conferenza episcopale di Germania. L'incontro si svolge fra l'altro su invito congiunto della Conferenza episcopale ucraina (di rito latino) e del Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica (di rito bizantino).

La Conferenza episcopale di Germania, in un intervento del presidente della commissione sociale, l'arcivescovo di München und Freising, Reinhard Marx, afferma che "la nuova enciclica sociale di Benedetto XVI è un punto esclamativo morale". "Un'enciclica - ha commentato l'arcivescovo - non è né un testo scientifico, sebbene debba essere scientificamente fondata nelle proprie affermazioni, né una predica, né un programma politico, ma un orientamento vincolante a livello dottrinale per formare la politica, la società e l'economia". "Il Papa - ha sottolineato - ci ha dato questo orientamento al momento giusto:  un orientamento che tutti devono concretizzare".

L'arcivescovo di Westminster e primate di Inghilterra e Galles, Vincent Gerard Nichols, ha definito l'enciclica "un'applicazione potente e completa della visione della fede cristiana per i problemi complessi dello sviluppo umano". "La nostra speranza - ha affermato il presule - è che venga letta da molti. L'enciclica merita uno studio accurato. Essa si inserisce con fermezza nella tradizione dell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa e soprattutto nella tradizione dell'umanesimo cristiano espresso così chiaramente da Paolo VI nella Populorum progressio". L'arcivescovo ha poi annunciato che i vescovi inglesi hanno organizzato per il 21 ottobre una giornata dedicata all'enciclica nella City di Londra e più in particolare all'insegnamento sociale della Chiesa e all'economia di mercato.

In un altro comunicato, i vescovi d'Irlanda scrivono che l'enciclica "mette in luce l'inseparabile legame tra amore e verità" e, citando alcuni passi del documento, evidenziano che "senza verità la carità degenera in sentimentalismo e l'amore diventa un guscio vuoto da riempire in modo arbitrario". "Per tale motivo i cristiani - ribadiscono - devono essere pronti a proclamare questo amore all'umanità".

Per i vescovi del Belgio "il Papa nell'enciclica chiede una nuova riflessione sul senso dell'economia, delle sue finalità e una revisione etica del modello di sviluppo". "Il documento - è sottolineato - ricorda inoltre agli uomini che un'economia mondializzata che si sviluppa al di fuori dei valori morali, è destinata all'impasse". "Senza cadere - prosegue la nota - nel gioco della politica partigiana, la Chiesa non aspira a servire il capitalismo selvaggio, non propone soluzioni tecniche e non vuole entrare nelle decisioni dei Governi, ma ha una missione di verità da compiere a favore di una società a misura d'uomo e della sua dignità".

Il presidente della Conferenza episcopale d'Olanda, il vescovo di Rotterdam, Adrianus Herman van Luyn, rileva che "gli abusi e gli eccessi del sistema economico attuale che il Papa denuncia, sono i principali ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una giustizia sociale globale". Il presule aggiunge che Benedetto XVI "interviene con decisione, fornendo importanti linee guida sia per la sfera privata che per quella pubblica con la sua richiesta di riallineamento globale dei sistemi economici".

Infine, i vescovi del Portogallo, riferendosi al documento, parlano "di un arazzo intessuto di fili di carità e verità". Il vescovo ausiliare del patriarcato di Lisboa, Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, presidente della commissione episcopale della pastorale sociale, ha affermato che si tratta "di un trattato sulla crescita morale di ciascun individuo e sullo sviluppo in senso cristiano dell'intera umanità. Dinanzi a essa ci sentiamo come di fronte a un bellissimo arazzo intessuto con fili di carità e di verità".


(©L'Osservatore Romano - 10 luglio 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
09/07/2009 18:42

"Caritas in Veritate": un documento morale, non politico

Il Papa fornisce una base etica per affrontare la crisi


di Carl Anderson*

NEW HAVEN (Connecticut, Stati Uniti), mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Molto prima che ci fossero una "sinistra" o una "destra" c'era il Vangelo, e molto dopo che queste etichette politiche saranno cadute nell'oblio il Vangelo rimarrà. Alla luce di ciò, è incredibilmente importante che si guardi all'Enciclica di Benedetto XVI
Caritas in Veritate come a un documento che dovrebbe modellare la nostra prospettiva.

Potremmo riassumere il pensiero del Papa sull'economia in questo modo: ognuno di noi de ve rispondere alla domanda di Cristo "Chi dite che io sia?", e se, con Pietro, rispondiamo "Il Messia", allora questo dovrebbe essere l'asse della nostra vita. La nostra realtà più importante deve essere la verità delle nostre relazioni. In questo modo, possiamo capire come la legge e i profeti possano essere riassunti nei due comandamenti di Cristo: amare totalmente Dio e amare il prossimo come noi stessi. In questo modo possiamo parlare di "caritas in veritate".

Una volta che abbiamo accettato Cristo e questi due comandamenti, non possiamo più porre la domanda di Caino: "Sono forse il guardiano di mio fratello?". Dobbiamo invece capire che il nostro esercizio della libertà non può voler dire accumulare più ricchezza possibile. Piuttosto, tutto ciò che facciamo in libertà deve riflettere quella realtà, e tutte le nostre azioni devono tener conto degli eff etti che possono avere sugli altri. Non abbiamo bisogno di guardare oltre le prime due parole del "Padre nostro", che Papa Benedetto XVI cita alla fine di questo documento, per renderci conto della comune famiglia umana alla quale apparteniamo.

A questo scopo, dovremmo ricordare vari elementi importanti. In primo luogo dovremmo chiederci non come questa Enciclica convalidi la nostra visione del mondo, ma piuttosto come questa visione dovrebbe cambiare in risposta a questo documento.

I commentatori dovrebbero evitare la tentazione di cercare di analizzare l'Enciclica dal proprio punto di vista o attraverso una lente politica. La tesi del Papa mostra chiaramente che una base etica deve trascendere la politica, e come il documento esprime in modo esplicito le soluzioni tecniche appartengono ai policy makers.

In secondo luogo, il mondo merita un'economia di mercato con una coscienza, come hanno dimostrato lo scorso anno gli eventi dell'ec onomia globale. In un intervento del 1985 Papa Benedetto XVI ha criticato il marxismo perché escludeva Dio e un giusto ruolo umano, e quindi per il fatto di essere troppo "deterministico". Avvertiva che anche le economie di mercato rischiavano di collassare se escludevano o ignoravano a loro volta la componente etica del decision making individuale. Gli avvenimenti recenti hanno sicuramente confermato la sua conclusione, e dunque questa Enciclica e la sua esortazione a un sistema morale sono ancora più irrefutabili.

In terzo luogo, mentre il dibattito in tutto il mondo si concentra sulle soluzioni tecniche alla crisi economica, Papa Benedetto XVI ci chiede di riconsiderare le vere basi del nostro sistema - e di costruire sulla roccia dell'etica piuttosto che sulla sabbia del determinismo.In quarto luogo, il Papa ci chiama a una realtà economica che deve rispettare la vita di ogni persona - anche della più piccol a e indifesa. Questo è notevole e opportuno, come il fatto che abbia sottolineato il ruolo necessario che deve avere la religione nella sfera pubblica.

Quinto aspetto, questa Enciclica è sia un documento Cattolico che un documento cattolico. Considerarla solo da un punto di vista nazionale sarebbe fuorviante tanto quanto considerarla a livello politico. Si prenda ad esempio l'appello del Papa a una giusta "ridistribuzione". Dubito che qualcuno possa indicare un Paese che non ridistribuisce la ricchezza dei suoi cittadini in qualche modo. Il Papa si chiede se, indipendentemente dal Paese, questo sia fatto in modo corretto. Quanti di noi vivono in Paesi economicamente forti, con uno standard di vita che va ben al di là di ciò che buona parte del mondo può immaginare, devono fermarsi a riflettere su questo. Abbiamo sicuramente la responsabilità di aiutare il nostro prossimo. Possiamo e dovremmo fare di più.Ma non siamo i soli. E' giusto che un "Presidente" di un Paese di un angolo povero del mondo depositi miliardi di dollari su un conto bancario svizzero mentre il suo popolo vive con un dollaro al giorno? E' giusto che un popolo muoia di fame mentre un'oligarchia diventa sempre più ricca? Tutti hanno il diritto al cibo e ai servizi di base.

Un cristiano deve essere una persona per gli altri. In realtà non solo i cristiani, ma tutte le persone sono chiamate a vivere in questo modo.Per troppo tempo, troppe persone si sono comportate in modo da essere fedeli solo a se stesse. Abbiamo visto tutti i risultati di un comportamento di questo tipo, e sappiamo che è un modello povero - a livello etico ed economico.

Ora la gente cerca una bussola morale, e sa che Papa Benedetto XVI ne ha una. Ma se una bussola può indicare la via, spetta a noi seguirla.


* * *


*Carl Anderson è il cavaliere supremo d ei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
09/07/2009 18:44

Entusiasmo per l'Enciclica "Caritas in veritate"

di Antonio Gaspari

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- E' stata pubblicata e diffusa da poco più di 24 ore, ma c'è già entusiasmo intorno all'Enciclica sociale Caritas in Veritate.

In un comunicato recapitato a ZENIT, l'Associazione Scienza & Vita ha espresso il proprio apprezzamento, soprattutto nella parte in cui si sostiene che "la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo".

Seco ndo l'associazione, la considerazione che "l'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica" contenuta nell'Enciclica richiama tutti all'attenzione sulla centralità della persona nella riflessione bioetica e sulle ineludibili ricadute in ambito sociale ed economico. I presidenti Bruno Dallapiccola e Lucio Romano hanno sottolineato che "la difesa della vita umana, la condanna dell'assolutismo della tecnica, la deriva eugenetica e della mens eutanasica, il rischio della negazione della dignità umana, così come il ribadire la centralità di ogni persona e lo sviluppo umano integrale, rappresentano le parole chiave su cui si fonda il nostro agire".

Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli (Associazione cattolica lavoratori italiani), ha affermato che la "civilizzazione dell'economia" e il "lavoro decente", ma anche l'immigrazione e il rapporto "fondamentale" tra carità e verità, che "pone le fondamenta per un impegno sociale chiamato a cambiare il mondo", sono gli aspetti principali dell'Enciclica del Papa."Non si può vivere la carità, sembra spiegarci Benedetto XVI, senza impegnarsi per il cambiamento della società - ha aggiunto -. E' l'amore per la verità che porta chi opera la carità a impegnarsi 'politicamente' per lo sviluppo umano".

"L'Enciclica - ha sottolineato Olivero - pone elementi innovativi riguardo alla visione dell'economia".

L'invito alla "civilizzazione dell'economia" porta a superare la logica mercato-Stato, creando nuove forme di democrazia, partecipazione, redistribuzione e socialità nell'attività economica. Un principio che "non solo scardina la tradizionale visione dell'economia capitalistica, ma allarga anche le responsabilità della societ&ag rave; civile".

In merito all'immigrazione, il presidente delle Acli ha concluso che "il Papa ribadisce qui alcuni principi fondamentali per affrontare il tema dell'immigrazione: i lavoratori stranieri non sono una minaccia ma una risorsa per l'economia, senza per questo poter essere ridotti a 'mera forza lavoro'. L'immigrazione è un fenomeno epocale da gestire con lungimiranza e nella consapevolezza che esiste una sola famiglia umana".

Il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), Salvatore Martinez, ha salutato con gratitudine e profondo interesse la nuova Enciclica del Papa, precisando che "ripropone una sfida ineludibile: il valore trascendente dell'uomo, non mercificabile, né mai soggiacente all'imperio del mercato, delle tecnologie e della scienza che sembrano avere preso il posto delle ideologie disumanizzanti del Novecento. In tale direzione l'Enciclica ripropone il valore sociale delle religioni; segnatamen te del ruolo del cristianesimo come ‘religione dell'umano'".

Secondo Martinez, l'Enciclica "esorta a passare dall'assolutismo della tecnica e del positivismo all'assolutismo dell'amore, di un amore vero, reale, integrale, che non esclude Dio, ma che include ed esalta la verità di Dio sull'uomo".

Il presidente nazionale del RnS condivide l'invito dell'Enciclica: "Non sarà vera globalizzazione se la persona umana non sarà accolta, difesa, promossa nella globalità del suo essere, a partire dalla famiglia e proseguendo con un rinnovato impegno educativo alla solidarietà e alla sussidiarietà". Per Martinez "non ci saranno sviluppo plenario e bene comune e universale senza l'elevazione spirituale dell'uomo, senza ‘un'etica delle virtù' che rinnovi la cifra del sentire e dell'agire umano. Istituzioni, strutture sociali, culture hanno bisogno di un nuovo ethòs, che s egni una profonda stagione di conversione e di rinnovamento degli stili di vita sociali".

"È tempo - ha concluso il presidente del RnS - di un profondo rinnovamento spirituale! ‘La Chiesa e il mondo hanno bisogno di rinnovamento', gridava il Pontefice ai giovani radunati a Sydney lo scorso anno. Ora Benedetto XVI ci dà le ragioni di questo impegno al quale tutti e ciascuno siamo chiamati".Per Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, la Caritas in veritate ribadisce in maniera magistrale che "non c'è vero sviluppo senza il rispetto del diritto alla vita".

A suo avviso, il pensiero di Madre Teresa secondo cui "i bambini a cui viene impedito di nascere sono i più poveri tra i poveri" trova nella nuova Enciclica una sistemazione culturale definitiva".

Casini ha precisato che "il collegamento tra la questione della vita nascente e morente con la questione de i diritti umani e della solidarietà anche a livello internazionale mostra la natura centrale, fondativa del diritto alla vita rispetto all'architettura complessiva degli Stati e delle relazioni internazionali".Per questo motivo, ha osservato, "il Movimento per la Vita ringrazia Benedetto XVI per la profondità del suo insegnamento"
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
09/07/2009 18:45

Un esperto propone il Nobel per l'Economia al Papa

La sua Enciclica "Caritas in veritate" denuncia il crollo della natalità


ROMA, mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- In un'intervista pubblicata dal "Corriere della Sera" questo mercoledì, l'economista Ettore Gotti Tedeschi, esponente dei maggiori gruppi bancari mondiali, ha proposto di conferire a Papa Benedetto XVI il Nobel per l'Economia.

Secondo Gotti Tedeschi, il merito del Pontefice è stato quello di scrivere chiaramente nell'Enciclica Caritas in Veritate che la crisi economica è figlia del crollo della natalità.

Nell'intervista, il banchiere, che è anche commentatore de "L'Osservatore Romano", ha spiegato che "l'insufficiente crescita economica è dovuta al crollo della natalità nei Paesi sviluppati (anche se i n modo differenziato tra Stati Uniti ed Europa)".Il crollo delle nascite ha portato alla crescita dei costi fissi, come le tasse, e alla diminuzione del risparmio e degli asset finanziari, ma - ha affermato Gotti Tedeschi - "molti analisti hanno preferito non approfondire l'origine ‘originale' della crisi" perché "toccare il tema della natalità è un tabù, c'è una forma di negazionismo".

"E' un tema connotato ‘morale' - ha precisato il banchiere -, perciò non scientifico, quasi stupido, per fanatici religiosi".In questo contesto, Gotti Tedeschi ha sottolineato che il Papa "è stato l'unico a mettere in relazione crisi e crollo della natalità", e proprio per questo "merita il Nobel per l'Economia".
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
10/07/2009 14:56

Benedetto XVI invita a ripensare al concetto di felicità

di Tommaso Cozzi*

ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).-

L'enciclica "
Caritas in Veritate" può apparire come un ammonimento nei confronti di soggetti ed istituzioni preposti alla gestione della "cosa comune": governi, istituzioni finanziarie, organismi internazionali, ecc... Tali aspetti sono stati trattati da Benedetto XVI con il chiaro scopo di affrontare, tra gli altri, il tema del bene comune. Tuttavia vi sono aspetti rilevanti che riguardano l'uomo nella sua essenza ed individualità, nella sua umanità più diretta ed immediata. Tali aspetti riguardano il concetto di "felicità".

Il mondo tecnicizzato del nostro tempo tende a far coincidere il concetto di felicità con il raggiungimento del benessere materiale attraverso la disponibilità  e l'acquisizione di beni, risorse, utilità  e servizi, e a confondere la felicità  individuale e privata con il benessere collettivo. Il diritto innegabile di tutti gli individui alla felicità  si è sempre più trasformato nell'imperativo edonistico del "dover essere felice" ad ogni costo. Quanto questa idea di felicità  sia diventata oggi uno degli assi portanti del sistema economico è sotto gli occhi di tutti, alimentando le insicurezze, le insoddisfazioni ed il senso di inferiorità  che sembrano caratterizzare l'identità  dell'uomo moderno. Per altri versi, appare evidente la dissociazione tra il crescente progresso economico ed il benessere individuale, l'aumento esponenziale di nuove forme di disagio nelle società  occidentali, nonché la bassa correlazione esistente tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e le condizioni o circostanze esterne, fortunate o sfortunate, con le quali si confronta la nostra vita.

Appare pertanto coerente quanto evidenziato nel Cap. 6 della "Caritas in Veritate" (Lo sviluppo dei popoli e la tecnica) con il contenuto del Cap. 7, par. 2 (La parabola del buon samaritano) del "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI laddove si legge: "L'attualità della parabola è ovvia. Se l'applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell'Africa - e non solo dell'Africa - ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vicenda storica, con il nostro stile di vita, abbiamo contribuito e tuttora contribuiamo a spogliarle e perché (...) abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio (pp. 234-236). "Si, dobbiamo dare aiuti materiali e dobbiamo esaminare il nostro genere di vita. Ma diamo sempre troppo poco se diamo solo materia. E non troviamo anche intorno a noi l'uomo spogliato e martoriato? Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote pur nell'abbondanza di beni materiali".

Parallelamente al par. 68 dell'enciclica si legge "Il tema dello sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello dello sviluppo di ogni singolo uomo. La persona umana per sua natura è dinamicamente protesa al proprio sviluppo" . E ancora, al n. 70 "Lo sviluppo tecnologico può indurre l'idea dell'autosufficienza della tecnica stessa quando l'uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire".

In sostanza Benedetto XVI si interroga e ci interroga sul senso ultimo dell'agire umano, con spec ifico riferimento all'utilizzo di tutti quegli strumenti, di tutti quei mezzi predisposti non solo allo sviluppo economico, ma, attraverso esso ed in conseguenza di esso, allo sviluppo dell'uomo e cioè alla sua intima felicità.Qual è il ruolo giocato dalle imprese nell'utilizzo delle tecnologie, intese non solo in senso "meccanico", ma anche in senso manageriale (la "tecnic" di gestione delle imprese e degli uomini)?

La moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L'economia, infatti, è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passat o anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.

Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscen ze di base (tecniche e metodi dei "saperi"), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità.

Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all'esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell'umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini af follano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione.

Cosa fare in concreto traendo spunto dalla "Caritas in Veritate"?

Già la Centesimus Annus indicava delle vie, peraltro condivise da quanti propongono una visione umanizzante dei processi economici (cfr A. Sen): fissare obiettivi che siano simultaneamente di valore economico e di valore antropologico, ma che siano, soprattutto, concretamente realizzabili. In altri termini gli obiettivi, affinché siano veri e carismatici (cioè significativi nel fine ultimo e "donanti", più che "facenti"), dovranno essere, nel futuro più prossimo ed immediato, pianificati in termini di risultato economico e di significato umano e che non siano irraggiungibili. Si propone, insomma, una sorta di "contratto implicito nell'umanità e per l'umanità".

* Il prof. Tommaso Cozzi è docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università di Bari.
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
10/07/2009 14:59

Senza difesa della vita non c'è sviluppo

Il direttore dell'Istituto Acton commenta l'Enciclica "Caritas in Veritate"


di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Innumerevoli i commenti all'Enciclica "
Caritas in Veritate", diffusa dalla Santa Sede martedì 7 luglio. Tra questi, molto interessante è quello di Kishore Jayabalan, direttore dell'Istituto Acton, la sede romana dell'Acton Institute, intervistato da ZENIT.

Qual è il suo parere complessivo sull'Enciclica "Caritas in Veritate"?

Jayabalan: La mia prima reazione è stata pensare che è un documento lungo e non facile da leggere e riassumere velocemente. Ma appena ho cominciato a leggere e rileggere ne ho apprezzato la g rande portata e il significato.

La base etica e morale per l'economia di mercato è molto spesso trascurata. Anche i suoi sostenitori tendono a presentare argomenti utilitaristici a favore del mercato, mentre gli avversari tendono a biasimare il libero scambio di beni e servizi per tutti i tipi di fenomeni culturali che hanno poco a che fare con l'economia stessa. Quando le cose vanno bene e tutti guadagnano soldi nessuno vuole sentir parlare di avidità e materialismo, ma una volta che la bolla scoppia ognuno sembra diventare un moralista e un profeta con un sorprendente senno di poi. Questo è quello che Benedetto ha definito "moralismo a buon mercato".

In realtà il Papa ci ricorda la necessità di rendere più etica e virtuosa la nostra vita quotidiana. Quindi, in questa Enciclica, Benedetto XVI realizza che non ha alcun senso esprimere solo condanne, e sceglie invece di sfidare le persone a impegnarsi spiritualme nte e intellettualmente, con una "fede veramente adulta". I frutti di questa Enciclica si vedranno nel momento in cui gli esperti nei settori della finanza e dell'economia comprenderanno e cercheranno di applicare questo nuovo modo di pensare e di agire.

Quali sono i punti che lei ha più apprezzato? E quali quelli innovativi?

Jayabalan: In un recente passato ho lavorato su questioni ambientali presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e per questo ho molto apprezzato la sezione dell'Enciclica che parla di ecologia, soprattutto nella parte in cui si criticano gli abusi come l'idolatria pagana della natura. In molti modi, le questioni ambientali sono al centro del dibattito antropologico perché ci impongono di pensare e di distinguere tra il Creatore e il suo ordine della creazione. L'invito dell'Enciclica a un'ecologia umana che difenda la vita, in particolare quella dei concepiti, la giustizia sociale e anche lo svi luppo a livello internazionale è stato molto apprezzato.

Da quanto ho letto, uno degli aspetti più innovativi dell'Enciclica è costituito dai punti n. 3, 11 e 20, in cui il Pontefice parla di "respiro umano universale". E' la prima volta che un tale concetto viene utilizzato per descrivere come la verità salva la carità dal fideismo, in altre parole si chiarisce come la verità ci liberi da una visione deterministica della fede, che negherebbe la libertà umana. Nel punto 11 il contesto è quello della vita eterna, che ci chiede di riconoscere "beni superiori", al di là di quelli dell'accumulo della ricchezza. Nel punto 20 vengono presentati i vari aspetti relativi allo sviluppo umano integrale, che danno "la respirazione e la direzione nello spazio" per le nostre attività sociali. Pensare in termini di "respiro umano universale" è un argomento che si contrappo ne alla visione di una pianificazione e di un controllo centralizzato, il che è un innovativo modo di comprendere gli aspetti spirituali della ragione umana e della libertà.

Come sono state le reazioni negli Stati Uniti?

Jayabalan: Negli Stati Uniti i commenti all'Enciclica sono stati vari. Gli oppositori all'economia di mercato hanno visto l'Enciclica come un attacco contro il capitalismo, una visione in cui il capitalismo viene visto al di fuori del regno della legge, della politica e della morale. Una concezione ideologica che non descrive la realtà del settore bancario e finanziario di oggi. Altri, come il New York Times, hanno descritto l'Enciclica di Benedetto XVI come un appello a un "nuovo ordine economico mondiale" non solo in un senso etico o morale, ma anche strutturale. Altri ancora stanno cercando di capire come l'Enciclica potrebbe influire sui comportamenti quotidiani per le operazioni di business e della finanza. Considerando che la Caritas in Veritate ha solo tre giorni di vita, è ovviamente troppo presto per saperlo.

Conosce le reazioni all'Enciclica in India ?

Jayabalan: No, perché non sono stato in India nel corso degli ultimi due giorni, ma posso immaginare che Paesi come l'India e la Cina, che hanno sperimentato un'incredibile crescita economica negli ultimi 20 anni, si troveranno d'accordo con l'Enciclica soprattutto nei passaggi in cui si denunciano i costi umani delle politiche utilitaristiche. Credo che ci sia anche un po' di risentimento e di fastidio nei confronti degli oppositori del capitalismo, proprio nel momento in cui questi Paesi stanno per compiere un salto per diventare Nazioni sviluppate.Le parole del Papa sulla sacralità di ogni vita umana, soprattutto nella sua prima fase e indipendentemente dal sesso, nel contesto delle politiche di sviluppo, dovrebbero essere benvenute in Pae si come l'India e la Cina che sono stati spesso oggetto di severissime politiche di controllo della popolazione. Purtroppo molti sostenitori delle politiche di riduzione delle nascite fondano le loro tesi sul concetto di "sviluppo sostenibile" e rappresentano le ONG e le istituzioni internazionali finanziate dalle Nazioni sviluppate. Nell'Enciclica il Papa spiega che la libertà religiosa è un contributo per lo sviluppo e per il bene comune. In questo modo si cerca di far capire quanto sia sbagliato impedire alla Chiesa cattolica la predicazione della sua missione. Ancora di recente, infatti, la Chiesa cristiana è stata oggetto di attacchi e persecuzioni.

L'Enciclica indica il crollo demografico e la riduzione delle nascite come la causa centrale della crisi economica. Qual è il suo parere in proposito?

Jayabalan: La mentalità per il controllo demografico e il conseguente crollo delle nascite è un fenomeno ch e tocca tutto il mondo. Ho già ricordato le politiche anti-natalità in Cina e in India, ma per quanto ne so non vi è una Nazione al mondo che abbia una percentuale di fertilità in crescita. In alcuni Paesi europei come l'Italia e la Spagna, la percentuale è così bassa che la popolazione originaria è in via di riduzione. Si tratta naturalmente di politiche deleterie che generano cattive conseguenze economiche e sociali, come per esempio gravi tensioni sui sistemi pensionistici e sui mercati immobiliari.
 
A questo proposito c'è uno studio di David P. Goldman, pubblicato sulla rivista First Things ("Demographics and Depression", maggio 2009,
http://www.firstthings.com/article/2009/05/demographics--depression-1243457089) in cui si spiega come il crollo demografico generi e contribuisca alle crisi economiche e alla depressione. I sistemi sociali entrano in crisi soprattutto quando ci sono troppi anziani la cui capacità produttiva è ovviamente ridotta. L'editorialista canadese della rivista, Mark Steyn, ha precisato che quando le popolazioni perdono il primordiale istinto alla riproduzione si perde anche la volontà di difendere se stessi, di creare ricchezza e, in generale, di migliorare la società. Papa Benedetto XVI non usa lo stesso linguaggio nella sua nuova Enciclica, ma sembra essere d'accordo con l'analisi generale.
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
12/07/2009 16:48

Caritas in veritate

Anche Machiavelli sarebbe d'accordo con il Papa


di Ettore Gotti Tedeschi

Una enciclica sociale è senza tempo perché affronta, in periodi diversi e condizioni che cambiano, un problema sempre prioritario:  l'esigenza di dare un senso alle azioni umane. Esigenza che si soddisfa cercando e trovando la verità. Per questo motivo, la Caritas in veritate nei suoi principi è senza tempo:  potrebbe essere stata scritta un secolo fa, così come potrebbe esserlo fra cento anni. Ma un testo papale di questo genere intende ovviamente anche rispondere ai problemi dei tempi in cui nasce.

Quando nel marzo 1891 Leone xiii pubblicò la Rerum novarum, molti vollero interpretarla in chiave anticapitalistica per le considerazioni che conteneva sugli eccessi della concentrazione del potere economico. Ma proprio nello stesso periodo, nel luglio 1890, il Governo statunitense aveva promulgato lo Sherman Act per regolare i monopoli che impedivano al mercato di funzionare. Era una curiosa coincidenza tra valutazione economica e giudizio morale che lascia intendere come le leggi dell'economia non possano prescindere da una naturale conformità con i principi etici.

Allo stesso modo si può interpretare la Caritas in veritate. Consapevole delle origini dell'attuale situazione economica, Benedetto XVI propone la sua analisi e mette in guardia sulla pericolosità di una crescita egoistica, consumistica e insostenibile. La stessa crescita fittizia che ha portato in questi anni a distruggere ricchezza e indebolire l'uomo. Curiosamente, come era avvenuto alla fine del xix secolo, anche questa volta è dagli Stati Uniti che è venuta un'indiretta adesione all'insegnamento del Pontefice. Il presidente Obama - riproponendo la complementarità tra valutazione economica e morale - ha infatti affermato che gli americani devono smetterla di vivere al di sopra delle proprie possibilità.

Ma quanto durerà l'attenzione alle raccomandazioni contenute nella Caritas in veritate? Il suo richiamo verrà dimenticato appena terminata l'emergenza? Il testo è stato pubblicato in un momento di grave recessione economica originata da una forte crisi dei valori morali. Tutti sono ora molto attenti e si dichiarano d'accordo con il suo messaggio. Ma ci vuole altro per consentire allo spirito dell'enciclica di radicarsi. È necessario comprendere cosa significhi in pratica applicare l'etica all'economia. È forse inutile sperare in un cambiamento delle persone a motivo di un ciclo economico negativo. Molti di quelli che oggi riconoscono l'importanza dell'etica in economia, appena ieri dileggiavano lo stesso richiamo, sottolineando l'esclusiva importanza di produrre profitto. E ignorando che l'aspetto etico riguarda soprattutto come e perché il profitto viene generato.

Le proposte della Caritas in veritate potranno quindi essere accettate e trovare realizzazione anche nei periodi successivi alla crisi attuale se si riconoscerà che esse corrispondono a un concreto interesse generale e individuale. Ci si deve cioè convincere che l'etica in economia produce risultati migliori. E ciò non è affatto impossibile se si regola la competizione sleale. Non è difficile dimostrare che l'etica applicata produce maggiore ricchezza, che è persino un vantaggio competitivo, che realizza risultati più sostenibili nel tempo. Il comportamento etico implica costi minori - si pensi solo a quelli di controllo - e permette di creare valore crescente grazie alla trasparenza e alla fiducia che a loro volta producono più certezze e meno rischi.

Qualcuno diffonde ancora l'idea che la civilizzazione dell'economia - l'applicazione cioè di principi etici alle attività economiche - significhi minore produzione di ricchezza, rallentamento del processo economico, meno vantaggi competitivi e una scarsa attenzione alla misurazione dei risultati in base al profitto. In realtà è vero il contrario.

È la mancanza di etica a produrre rischi di distruzione di ricchezza, e la storia della crisi attuale non dovrebbe lasciare dubbi in proposito. È lo spreco di risorse a generare perdite per la comunità. È lo sviluppo truccato a innescare diseconomie e ingiustizie. È l'asservimento del cittadino agli esclusivi bisogni dello Stato a dare vita alla debolezza e alla conseguente sfiducia verso le istituzioni.

L'insegnamento della Caritas in veritate - a partire dalla fondamentale introduzione - può quindi trovare una concretissima e utilissima applicazione. Perché, come Niccolò Machiavelli dichiara nei Discorsi (III, I), "è solenne principio che per riformare una società in decadenza è necessario riportarla ai principi che le hanno dato l'azione". Anche lui sarebbe d'accordo con il Papa.


(©L'Osservatore Romano - 12 luglio 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
14/07/2009 12:52

Un'enciclica innovativa

Fiducia, gratuità e dono


Il 13 luglio si è svolto a Roma, nella sede del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, l'incontro "La nuova enciclica Caritas in veritate. Itinerari di ricerca per la cultura universitaria" organizzato dall'Ufficio di pastorale universitaria del Vicariato di Roma. Pubblichiamo una riflessione di uno dei partecipanti alla tavola rotonda.


di Leonardo Becchetti

La nuova enciclica Caritas in veritate conferma che "la fedeltà dinamica a una luce ricevuta" rende la dottrina sociale capace di aggiornare le proprie riflessioni seguendo le novità del panorama socioeconomico e non rimanendo ancorati a principi ritenuti immutabili. Il testo è talmente innovativo che dalle prime reazioni della stampa e di alcuni commentatori sembra che non tutti dispongano delle necessarie categorie culturali per interpretarla.

Un vecchio modo di fare e concepire l'economia è quello di pensare che le cose del mondo debbano essere gestite da un ristretto gruppo di diplomatici e di esperti, di "pianificatori benevolenti" che lavorano per il bene comune. Da questo punto di vista l'enciclica allarga gli orizzonti proponendo novità fondamentali sia nella concezione degli attori sia nella valutazione degli ingredienti fondamentali nella visione profetica di un sistema economico orientato al bene comune e allo sviluppo integrale della persona.

Per sgombrare il campo dall'interpretazione errata Benedetto XVI scrive:  "Lungo la storia, spesso si è ritenuto che la creazione di istituzioni fosse sufficiente a garantire all'umanità il soddisfacimento del diritto allo sviluppo. Purtroppo, si è riposta un'eccessiva fiducia in tali istituzioni, quasi che esse potessero conseguire l'obiettivo desiderato in maniera automatica. In realtà, le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione e, quindi, comporta una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti".

Non esistono insomma regole o pianificatori benevolenti al riparo dei quali si può agire a piacere o ci si può sentire in grado di trasformare magicamente i propri egoismi in bene comune. Le buone regole e le buone istituzioni sono ovviamente necessarie ma la soluzione dei problemi passa attraverso ricchezza delle scelte, responsabilità e comportamenti di imprese, cittadini consumatori e risparmiatori e corpi intermedi che sanno coniugare creazione di valore economico e sociale.

Nell'ambito della concezione dell'impresa il punto saliente è il superamento del riduzionismo economicista che vede come unica impresa possibile quella che massimizza il profitto. L'enciclica sottolinea che "occorre che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico. Le tante espressioni di economia che traggono origine da iniziative religiose e laicali dimostrano che ciò è concretamente possibile".

Essa inoltre comprende pienamente la ricchezza dell'interazione tra imprese sociali e imprese for profit quando afferma che "serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d'impresa e dunque un'attenzione sensibile alla civilizzazione dell'economia". Resta sullo sfondo (ma ben presente) l'intuizione che un'economia più civile è un luogo nel quale più facilmente le singole persone possono raggiungere quella soddisfazione di vita e quella realizzazione integrale della persona che sono fondamentali per la realizzazione del bene comune.

In tale contesto emerge un pieno riconoscimento del ruolo chiave delle nuove forme d'impresa nel creare quei valori che consentono al mercato di sopravvivere quando si sottolinea l'importanza di "forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione" e si afferma che "Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità".

I riconoscimenti non si fermano qui perché l'enciclica descrive con dettaglio alcuni di questi nuovi operatori quando parla di "forme nuove di commercializzazione di prodotti provenienti da aree depresse del pianeta per garantire una retribuzione decente ai produttori" e di "banche che propongono conti e fondi di investimento cosiddetti "etici"". L'enciclica riconosce che nell'economia contemporanea "si sviluppa una "finanza etica", soprattutto mediante il microcredito e, più in generale, la microfinanza. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno. I loro effetti positivi si fanno sentire anche nelle aree meno sviluppate della terra".

Giustamente a questo punto - di fronte alle tante imitazioni di un fenomeno ormai divenuto di moda - si sollecita anche l'attenzione a forme di possibile sfruttamento del termine etico sottolineando come sia bene "elaborare anche un valido criterio di discernimento".

Tuttavia, imprese responsabili - per potersi affermare - hanno necessariamente bisogno di cittadini che consumano e risparmiano in maniera responsabile. In questo caso, riprendendo un pensiero già sviluppato in precedenza nel Compendio della dottrina sociale si auspica che "la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti".

Sempre su questo punto si afferma che "la sperimentazione di nuove forme di finanza destinate a favorire progetti di sviluppo" è un'esperienza positiva che va approfondita e incoraggiata "richiamando la stessa responsabilità del risparmiatore". La riflessione sull'argomento si chiude in modo sistematico constatando che "La interconnessione mondiale ha fatto emergere un nuovo potere politico, quello dei consumatori e delle loro associazioni. Si tratta di un fenomeno da approfondire, che contiene elementi positivi da incentivare e anche eccessi da evitare. È bene che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico".

La chiave di volta di tutta la riflessione dell'enciclica si trova, a mio avviso, nel riconoscimento che, se vogliamo che l'etica s'incarni nell'agire economico quotidiano, dobbiamo riconoscere che gratuità, dono e reciprocità non sono momenti secondari o successivi all'agire economico ma devono permearlo dall'interno. In modo ancor più stringente si afferma - facendo tesoro di molte recenti scoperte scientifiche dell'economia sperimentale e degli stessi insegnamenti tratti dalla crisi finanziaria - che il mercato e il sistema economico hanno bisogno di fiducia, gratuità e dono per poter funzionare correttamente e che è la società civile - attraverso l'interazione feconda di imprese sociali, imprese for profit socialmente responsabili, consumatori e risparmiatori solidali - a produrre quei valori di cui il mercato ha assolutamente bisogno per sopravvivere.

Non c'è dunque un prima e un dopo, una zona franca libera da considerazioni morali nella quale le imprese, pur di massimizzare il profitto, sono libere di creare effetti negativi per tutti gli altri attori del sistema confidando poi nella filantropia per risolvere i problemi sorti nel percorso. È proprio questo tipo di errore di fondo che ha creato le premesse della gravissima crisi che stiamo vivendo. Solo dando forza alle energie e sinergie positive tra istituzioni, regole e attori responsabili possiamo uscirne veramente fuori.


(©L'Osservatore Romano - 13-14 luglio 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
14/07/2009 19:51

"Caritas in Veritate": la sua collocazione nella tradizione

Intervista al professore di dottrina sociale p. Thomas Williams


di Kathleen Naab

ROMA, domenica, 12 luglio 2009 (ZENIT.org).-

La nuova Enciclica non è né di "destra", né di "sinistra". È un appello agli uomini e alle donne di buona volontà ad "esplorare attivamente nuove strade per promuovere uno sviluppo sostenibile", spiega un professore di Dottrina Sociale della Chiesa dell'Università Regina Apostolorum di Roma.

Il Legionario di Cristo p. Thomas D. Williams ha parlato con ZENIT della nuova Enciclica "Caritas in Veritate", la terza di Benedetto XVI e da lungo attesa, che tratta dello sviluppo umano integrale come elemento essenziale della Dottrina Sociale della Chiesa. Il testo dell'Enciclica, firmato il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, è stato reso pubblico il 7 luglio dal Vaticano.In questa intervista, p. Williams dà una collocazione della "Caritas in Veritate" nell'ambito della Dottrina Sociale della Chiesa e ne illustra i punti salienti.

Che cosa ha voluto realizzare Benedetto XVI con questa Enciclica?

Padre Williams: Il suo intento è stato molteplice. Questa Enciclica doveva essere originariamente pubblicata due anni fa, in commemorazione del 40° anniversario dell'Enciclica sociale di Paolo VI "Populorum progressio" del 1967. Tuttavia, diverse difficoltà, relative al testo stesso ma anche alla sopraggiunta crisi economica mondiale, hanno ritardato significativamente la pubblicazione del documento. Benedetto XVI evidenzia comunque alcuni importanti contributi dell'Enciclica di Paolo VI, che è notoriamente di difficile lettura e comprensione. Il Papa sottolinea, ad esempio, l'insistenza di Paolo VI sull'indispensabile ruolo del Vangelo nella costruzione di una società libera e giusta. Allo stesso modo, osserva l'importante enfasi data da Paolo VI alla dimensione globale della giustizia sociale e "l'ideale cristiano di una unica famiglia dei popoli".

Questo spiega l'idea del Papa che la "Populorum progressio" meriti di essere considerata la "Rerum novarum" dell'epoca moderna?

Padre Williams: In parte sì. Fondamentalmente, Benedetto XVI è consapevole che la grande Enciclica leonina trattava specificatamente il problema economico della rivoluzione post-industriale e la risposta socialista al problema. A tale situazione Leone XIII aveva risposto affermando il diritto naturale alla proprietà privata, i difetti radicali della soluzione socialista e la necessità per le associazioni dei lavoratori di controbilanciare la durezza del sistema capitalistico.

La "Populorum progressio", d'altro canto, si è incentrata invece sull'idea di sviluppo umano integrale: un concetto più ampio rispetto all'attenzione strettamente economica della "Rerum novarum" e che Benedetto XVI fa proprio nella "Caritas in Veritate". Il Papa osserva che solo una più profonda comprensione del bene della persona umana e della società può fornire le basi necessarie per la costruzione di una società veramente più giusta. Questo significa tenere conto non solo della dimensione economica, ma anche di quella culturale, affettiva, intellettuale, spirituale e religiosa dell'uomo.Egli ribadisce con forza che la Chiesa, in tutto il suo essere e agire, è impegnata nella promozione dello sviluppo integrale dell'uomo. Questo ha senso, naturalmente, solo se si comprende lo sviluppo umano nel contesto della vocazione temporale ed eterna della persona umana.

Questa Enciclica sarà vista come una vittoria per la "sinistra" o per la "destra"?

Padre Williams: Il Magistero papale giustamente non entra nelle categorie politiche, destra/sinistra o conservatori/progressisti. Sicuramente questa Enciclica contiene molte cose che, se decontestualizzate, potrebbero essere usate per sostenere una grande varietà di posizioni, finanche posizioni antitetiche. A tale proposito, è particolarmente importante seguire la richiesta dello stesso Papa, che cioè l'Enciclica sia letta all'interno del contesto della tradizione continua della Dottrina Sociale della Chiesa. È importante, come tutti i Papi hanno ribadito, individuare quelle parti dell'Enciclica che si inseriscono nella continua proclamazione, da parte della Chiesa, dei principi fondamentali di una giusta organizzazione della società e rappresentano i suggerimenti contingenti per raggiungere tale finalità.Benedetto XVI afferma chiaramente che l'obiettivo del rinnovamento sociale è la realizzazione dello sviluppo umano integrale secondo il bene comune. Ciò che effettivamente contribuisce a questo scopo deve essere accolto, e ciò che lo ostacola deve essere respinto. Inoltre, sebbene egli invochi l'intervento dello Stato nei mercati economici nazionali e mondiali, al contempo osserva che soluzioni meramente tecniche e istituzionali non saranno mai sufficienti, oltre a produrre deplorevoli sprechi delle burocrazie. Le sue parole dovrebbero servire come stimolo per gli uomini e le donne di buona volontà ad esplorare attivamente nuove strade per promuovere uno sviluppo sostenibile disperatamente necessario per il mondo in via di sviluppo.

Benedetto XVI individua nuove questioni sociali che devono essere affrontate nella nostra epoca?

Padre Williams: Ne evidenzia alcune. Anzitutto richiama la forte affermazione di Giovanni Paolo II del 1995 secondo cui le questioni sulla vita, soprattutto quella dell'aborto, si erano di fatto sostituite alle questioni dei lavoratori come tema di fondo di giustizia sociale dell'epoca contemporanea. Benedetto XVI si riferisce più volte al fondamentale legame tra etica della vita ed etica sociale, e osserva le lampanti contraddizioni in chi asserisce l'importanza della giustizia e della pace e allo stesso tempo tollera o persino promuove le offese al diritto fondamentale più importante, che è quello alla vita.Il Papa, inoltre, collega la libertà religiosa al progresso e allo sviluppo umano. Egli condanna i fondamentalismi religiosi - soprattutto nelle manifestazioni di violenza e terrorismo di natura religiosa - come sviluppi limitativi, mentre allo stesso tempo osserva che "la promozione programmata dell'indifferenza religiosa o dell'ateismo pratico" contrasta con il vero progresso umano, promuovendo una caricatura materialistica della realizzazione di un uomo privo di trascendenza.

Sebbene Benedetto XVI insista su una visione più ampia dello sviluppo che non si limiti ai meri aspetti economici e tecnologici, egli dedica comunque molte pagine a questi aspetti dello sviluppo. Vi è una contraddizione in questo?

Padre Williams: No. Benedetto XVI inizia con una premessa cara alla tradizione della Chiesa: che il progresso materiale non può mai essere la sola misura di un autentico sviluppo umano. Detto questo, la prosperità materiale rappresenta una componente essenziale del vero progresso e deve essere anch'essa presa in considerazione. La Chiesa non ha mai affermato che la povertà economica sia un bene da perseguire, l'ha sempre considerata un male da superare, e Benedetto XVI sviluppa tale obiettivo ed esplora una serie di possibili misure per raggiungerlo. In che modo ciò sia da realizzare è notoriamente una questione molto discussa, e Benedetto XVI osserva subito che "la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire". Egli tuttavia insiste sulla necessità di un fondamentale cambiamento comportamentale. L'egoismo, che sta alla base di molti problemi sociali ed economici del mondo moderno, sarà sempre un nemico del progresso umano.

In definitiva, l'Enciclica può essere letta come un "grido del cuore" del Papa per una maggiore umanizzazione dell'economia di mercato, dei regimi politici, delle istituzioni e della società civile e culturale. Ciò richiede, a livello personale, di abbandonare l'impostazione pragmatica, dando spazio a una coscienza cristiana ben formata. Ciò che egli dice esplicitamente in relazione alla salvaguardia dell'ambiente può ben essere applicato all'intero tema della sua lettera: "il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società".
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
17/07/2009 15:11

L’enciclica sociale di Benedetto XVI

ROMA, giovedì, 16 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento che monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, appena nominato dal Santo Padre nuovo Vescovo di Trieste, ha pronunciato mercoledì 15 luglio a Palazzo Montecitorio (sala Berlinguer).L’incontro con i parlamentari italiani per la presentazione dell’enciclica “Caritas in veritate” è stato organizzato dall’Associazione Persone e Reti.




                                                                                               * * *

La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un’enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali che, nella loro fase moderna, siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII ed arriva dopo 18 anni dall’ultima enciclica sociale, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Quasi un ventennio ci separa quindi dall’ultimo grande documento di dottrina sociale. Non che in questo ventennio l’insegnamento sociale dei Pontefici e della Chiesa si sia ritirato in secondo piano. Si pensi per esempio al Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004 o all’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI che contiene una parte centrale espressamente dedicata alla Dottrina sociale della Chiesa e che io, a suo tempo, ho definito una “piccola enciclica sociale”. Si pensi soprattutto al magistero ordinario di Benedetto XVI, su cui tornerò tra poco.

La scrittura di una enciclica, però, assume un valore particolare, rappresenta un sistematico passo in avanti dentro una tradizione che i pontefici assunsero in sé non per spirito di supplenza ma con la precisa convinzione di rispondere così alla loro missione apostolica e con l’intento di garantire alla religione cristiana il “diritto di cittadinanza” nella costruzione della società degli uomini.

Perché una nuova enciclica? Come sappiamo la Dottrina sociale della Chiesa ha una dimensione che permane ed una che muta con i tempi. Essa è l’incontro del Vangelo con i problemi sempre nuovi che l’umanità deve affrontare. Questi ultimi cambiano, ed oggi lo fanno ad una velocità sorprendente. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre, come anche la CV ci ricorda, ma ha il dovere di illuminare la storia umana con la luce della verità e il calore dell’amore di Gesù Cristo, ben sapendo che “se il Signore non costruisce la casa invano si affannano i costruttori”.

Se ci guardiamo indietro nel tempo e ripercorriamo questi vent’anni che ci separano dalla Centesimus annus ci accorgiamo che grandi cambiamenti sono avvenuti nella società degli uomini.

1 - Le ideologie politiche che avevano caratterizzato l’epoca precedente al 1989 sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della tecnica. In questi venti anni le possibilità di intervento della tecnica nella stessa identità della persona si sono purtroppo sposate con un riduzionismo delle possibilità conoscitive della ragione su cui Benedetto XVI sta impostando da tempo un lungo insegnamento. Questo scostamento tra capacità operative, che ormai riguardano la vita stessa, e quadro di senso che si assottiglia sempre di più è tra le preoccupazioni più vive dell’umanità di oggi e per questo la CV lo ha affrontato. Se nel vecchio mondo dei blocchi politici contrapposti la tecnica era asservita all’ideologia politica ora, che i blocchi non ci sono più e il panorama geopolitico è di gran lunga cambiato, la tecnica tende a liberarsi da ogni ipoteca. L’ideologia della tecnica tende a nutrire questo suo arbitrio con la cultura del relativismo, alimentandola a sua volta. L’arbitrio della tecnica è uno dei massimi problemi del mondo di oggi, come emerge in maniera evidente dalla CV.

2 - Un secondo elemento distingue l’epoca attuale da quella di venti anni fa: l’accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati da un lato dalla fine dei blocchi contrapposti e dall’altro dalla rete informatica e telematica mondiale. Iniziati nei primi anni Novanta del secolo scorso, questi due fenomeni hanno prodotto cambiamenti fondamentali in tutti gli aspetti della vita economica, sociale e politica. La Centesimus annus accennava al fenomeno, la CV lo affronta organicamente. L’enciclica analizza la globalizzazione non in un solo punto ma in tutto il testo, essendo questo un fenomeno, come oggi si dice, “trasversale”: economia e finanza, ambiente e famiglia, culture e religioni, migrazioni e tutela dei diritti dei lavoratori, tutti questi elementi, ed altri ancora, ne sono influenzati.

3 - Un terzo elemento di cambiamento riguarda le religioni. Molti osservatori notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione, si contrappone un laicismo militante e talvolta esasperato che tende ad estromettere la religione dalla sfera pubblica. Ne discendono conseguenze negative e spesso disastrose per il bene comune. La CV affronta il problema in più punti e lo vede come un capitolo molto importante per garantire all’umanità uno sviluppo degno dell’uomo.

4 - Un quarto ed ultimo cambiamento su cui voglio soffermarmi è l’emergenza di alcuni grandi paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in sé ma dirompente e che abbisogna di essere bene indirizzato. Torna qui, impellente, il problema della governance internazionale.

Queste quattro grandi novità accadute nel ventennio che ci separa dall’ultima enciclica sociale, novità rilevanti che hanno cambiato in profondità le dinamiche sociali mondiali, basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All’origine della CV c’è però un altro motivo che non vorrei venisse dimenticato. Inizialmente la CV era stata pensata dal Santo Padre come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio di Paolo VI. La redazione della CV ha richiesto più tempo e quindi la data del quarantennio della Populorum progressio – il 2007 – è stato superato. Ma questo non elimina l’importante collegamento con l’enciclica paolina, evidente già dal fatto che la CV viene detta una enciclica “sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”. Evidente poi per il primo capitolo dell’enciclica, dedicato proprio a riprendere la Populorum progressio, a rileggerne l’insegnamento dentro il magistero complessivo di Paolo VI. Il tema della CV non è lo “sviluppo dei popoli”, ma è “lo sviluppo umano integrale”, senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire quindi che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche. Alla Populorum progressio viene conferito lo stesso onore dato alla Rerum novarum: venire periodicamente ricordata e commentata. Essa è quindi la nuova Rerum novarum della famiglia umana globalizzata.

All’interno di questo umanesimo integrale la CV parla anche della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto e i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell’enciclica non è questo, però la CV non si è sottratta alla problematica. L’ha affrontata non in senso tecnico ma valutandola alla luce dei principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa e all’interno di una visione più generale dell’economia, dei suoi fini e della responsabilità dei suoi attori. La crisi in atto mette in evidenza, secondo la CV, che la necessità di ripensare anche il modello economico cosiddetto “occidentale” richiesta dalla Centesimus annus circa venti anni fa non è stato attuato fino in fondo. Dice questo, però, dopo aver chiarito che il problema dello sviluppo si è fatto policentrico e il quadro delle responsabilità, dei meriti e delle colpe, si è molto articolato. Secondo la CV, «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammi­no, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative.

La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente » (n. 21). Dall’enciclica emerge una visione in positivo, di incoraggiamento all’umanità perché possa trovare le risorse di verità e di volontà per superare le difficoltà. Non un incoraggiamento sentimentale, dato che nella CV vengono individuati con lucidità e preoccupazione tutti i principali problemi del sottosviluppo di vaste aree del pianeta. Ma un incoraggiamento fondato, consapevole e realistico perché nel mondo sono all’opera molti protagonisti ed attori di verità e di amore e perché il Dio che è Verità e Amore è sempre all’opera nella storia umana.

Nel titolo della CV appaiono i due termini fondamentali del magistero di Benedetto XVI, appunto la Carità e l’Amore. Questi due termini hanno segnato tutto il suo magistero in questi anni di pontificato in quanto rappresentano l’essenza stessa della rivelazione cristiana. Essi, nella loro connessione, sono il motivo fondamentale della dimensione storica e pubblica del cristianesimo, sono all’origine quindi della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti «Per questo stretto collegamento con la veri­tà, la carità può essere riconosciuta come espres­sione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta» (n. 3).

La Caritas in veritate è destinata a parlarci a lungo ed a lungo noi dovremo parlare di essa. Dopo circa venti anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la Chiesa riprende ancora in mano il bandolo della matassa della costruzione del mondo e trasforma la questione sociale nientemeno che nella questione dello “sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”. Così facendo la Dottrina sociale della Chiesa viene collocata laddove Chiesa e mondo si incontrano. Il paragrafo 34 dell’enciclica dice con chiarezza che dopo il peccato il mondo non sa costruirsi da solo. La Dottrina sociale, come diceva Giovanni Paolo II, è strumento di salvezza perché è annuncio di Cristo nelle realtà temporali. La Caritas in veritate ribadisce la “pretesa” cristiana: senza di me non potete fare nulla.

Senza la forza della carità e la luce della verità cristiane l’uomo non è capace di tenersi insieme, perde i propri pezzi, si contraddice, si scompone e si decompone. La pretesa cristiana è che solo Gesù Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli permette di “tenersi”, come un tutto. Una lettura della Caritas in veritate da questo punto di vista sarebbe molto interessante. Destra e sinistra, conservazione e progressismo, capitalismo e anticapitalismo, natura e cultura … queste ed altre separazioni e riduzioni vengono completamente sorvolate: la realtà è più di esse e la realtà è data dalla carità e dalla verità. Si pensi alla più frequente delle scomposizioni ideologiche: la separazione dei temi della vita e della famiglia da quelli della giustizia sociale e della pace. Separazione evidentissima, per esempio, nel riduzionismo ecologista o nello sviluppo dei popoli poveri collegato con l’aborto o la pianificazione riproduttiva forzata.

L’enciclica dice che tutto ciò va “tenuto insieme”. Si pensi alla frequente interpretazione dello sviluppo solo in termini quantitativi, a fronte di altre cause – qualitative – sia del sottosviluppo che del supersviluppo. L’ideologia della tecnica è il nuovo assolutismo (si veda il capitolo VI) perché separa: se tutti i problemi della persona umana si riducono a problemi psicologici risolvibili da tecnici “esperti” si finisce per non sapere nemmeno più cosa si intenda per sviluppo. L’uomo è unità di corpo e anima. La Caritas in veritate riconsegna allo spirito e alla vita eterna il loro posto nella costruzione della città terrena.

La pretesa cristiana è di riuscire a tenere insieme il tutto. Ma è anche quella di rispondere ad un bisogno, meglio ad una attesa. Anche questo secondo aspetto della pretesa cristiana c’è tutto nella Caritas in veritate. Senza negare i diversi livelli di verità e di competenza, e quindi senza negare anche i propri limiti, la Chiesa sa di annunciare la Parola definitiva e che questa Parola non si aggiunge dall’esterno come un’opinione, ma pretende di essere la risposta alle attese umane. Dio ha così il suo posto nel mondo e la Chiesa un suo “diritto di cittadinanza” . Che Dio abbia un posto nel mondo richiede che il mondo ne abbia bisogno anche per essere mondo, ossia per conseguire i suoi fini naturali, viceversa Dio è superfluo. Utile, magari, ma non indispensabile. Se Dio è solo utile allora il cristianesimo è solo etica. Se, invece, Dio è indispensabile allora la fede purifica la ragione e la carità purifica la giustizia. Purifica significa che le rende effettivamente ragione ed effettivamente carità. Come dire che senza la fede la ragione non riesce ad essere ragione e senza la carità la giustizia non riesce ad essere giustizia.

Non si comprenderà a fondo la Caritas in veritate se ci si soffermerà solo sui singoli capitoli tematici, senza tenere in conto la visione generale. Il tema vero dell’enciclica è il posto di Dio nel mondo. Per questo la Caritas in veritate è anche un bilancio politico e sociale della modernità e dei danni al vero sviluppo provocati dalla incapacità di cogliere ciò che non sia prodotto da noi. Il paragrafo 34 è tra i più belli – e più importanti - dell’enciclica in quanto parla della “stupefacente esperienza del dono”. La modernità, nella sua versione emergente, elimina la possibilità stessa di “ricevere” e di “accogliere” qualcosa di veramente nuovo e che “irrompe” nella nostra vita. Impedisce di cogliere la carità e l’amore che sono sempre quanto non si può prevedere e produrre. Toglie quindi a Dio il suo posto nel mondo, perché Dio è Carità e Amore. Toglie la possibilità di riconoscersi come “fratelli”, perché la vicinanza si può produrre – dice l’enciclica – ma la fraternità no. Qualcuno ha osservato che nell’enciclica si parla più di fraternità che di solidarietà. E’ vero. Non però per eliminare il termine solidarietà, ma per chiarirlo meglio alla luce della fede cristiana. La fraternità richiede un unico Padre e non può essere che un dono. La solidarietà corre il rischio del solidarismo e quindi della orizzontalità etica. Potremmo dire che la fraternità cristiana purifica la solidarietà umana.

Che rapporto c’è tra la prospettiva del dono e quella della libertà e della responsabilità? La Caritas in veritate colloca il tema dello sviluppo in questo ultimo ambito, non quello dei meccanismi ma quello della responsabilità. Questa non nasce da quanto produciamo noi, ma dall’accoglienza di doveri indisponibili. Al contrario la libertà sarebbe arbitraria e la responsabilità irresponsabile. Si legga con attenzione il paragrafo 43 sui diritti e sui doveri. Lì la modernità è purificata, ossia liberata da se stessa per essere più autenticamente se stessa. Da una modernità irresponsabile ad una modernità responsabile. Il sottosviluppo è prodotto. Ed è prodotto meno da carenza di risorse e più da carenza di pensiero e di cuore. Il pensiero e il cuore – se non ridotti ad opinione e a sentimento – ci mettono davanti a quanto ci interpella perché non prodotto da noi. Ci indicano il senso vero dello sviluppo da assumere liberamente e responsabilmente, senza affidarne la realizzazioni solo a burocrazie o a meccanismi.

La grandezza della Caritas in veritate sta nel suo respiro. Senza Dio, si legge nella Conclusione, l’uomo non sa dove andare e non sa nemmeno chi egli sia. Senza Dio l’economia è solo economia, la natura è solo un deposito di materiale, la famiglia solo un contratto, la vita solo una produzione di laboratorio, l’amore solo chimica e lo sviluppo solo una crescita. L’uomo ondeggia tra natura e cultura, ora intendendosi solo come natura ora solo cultura, senza vedere che la cultura è la vocazione della natura, ossia il compimento non arbitrario di quanto essa già attendeva.
[Modificato da Cattolico_Romano 17/07/2009 15:13]
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
17/07/2009 15:12

Lettera del Presidente Napolitano al Papa sulla "Caritas in Veritate"

"Un invito ad un ripensamento approfondito e sereno di molti aspetti della vita"


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 16 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la lettera del Presidente Giorgio Napolitano a Benedetto XVI in merito all'enciclica "Caritas in Veritate".
 
 
                                                          * * *

Ho letto con grande interesse la Sua terza enciclica Caritas in veritate che, rivolta anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, porta il Suo messaggio all’interno di società in cui vi è in questi anni apprensione ed incertezza non solo per le prospettive e per il futuro dell’economia mondiale e dello sviluppo, ma anche per i cambiamenti che si vanno delineando nei rapporti umani, nel mondo del lavoro e dell’impresa, nelle relazioni tra gli abitanti del pianeta e l’ambiente e le risorse naturali che per molto tempo sono state considerate inesauribili.

Sono certo che i temi centrali che riguardano la vita dell’uomo in rapporto ai suoi simili e le grandi questioni che toccano le nostre società, così come delineati nell’enciclica e collegati da quel filo rosso che Ella ha saputo così chiaramente rendere visibile nel testo, costituiranno uno stimolo ad una riflessione che potrà risultare benefica per tutti.

L’affermazione di Vostra Santità che oggi la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica costituisce in effetti un invito ad un ripensamento approfondito e sereno di molti aspetti della vita e del funzionamento degli aggregati umani, con particolare riferimento “al senso dell’economia e dei suoi fini” e alla necessità di una “revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.

Mi è gradita l’occasione, Santità, per ribadirLe le espressioni della mia più alta considerazione e della mia attenta partecipazione nel seguire lo svolgimento della Sua quotidiana ed estremamente impegnativa missione".

Roma, 16 luglio 2009

[Modificato da Cattolico_Romano 17/07/2009 15:14]
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
18/07/2009 07:17

Interpretazioni e fraintendimenti dell'ultima enciclica

La verità sul mercato


di Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo-vescovo eletto di Trieste

Uno degli aspetti della Caritas in veritate su cui si è maggiormente concentrata l'attenzione degli osservatori in questi primi giorni dopo la pubblicazione è la sua continuità (o meno) con la Centesimus annus a proposito della visione del ruolo del mercato e della natura del capitalismo. Su questo argomento i commentatori della nuova enciclica sociale di Benedetto XVI hanno espresso pareri diversi:  chi ne ha segnalato la continuità, chi la diversità e perfino l'opposizione.

È bene ricordare, innanzitutto, che nella  Centesimus annus, Giovanni Paolo II sosteneva che il mercato è prima di tutto un sistema di allocazione delle risorse economiche che però esiste sempre dentro un contesto di legami non solo economici. Anche la più avveduta scienza economica afferma che il mercato "perfetto", nel senso di perfettamente funzionante nei suoi meccanismi astratti e da manuale, non esiste. Il mercato non è mai solo una tecnica, pur avendo aspetti tecnici ineludibili. Il mercato ha aspetti tecnici, non è una tecnica.



Per questo motivo Giovanni Paolo II poteva ricordare l'importanza che nel governo del mercato avevano gli imprenditori e le famiglie, le culture e le religioni, gli Stati e la società civile e come il mercato dipendesse, alla fine, "dall'intero sistema socioculturale" (Centesimus annus, 39), dalla antropologia che ne stava alla base e, infine, dalla posizione assunta dall'uomo verso Dio. Per questo motivo egli poteva dire che il motivo ultimo del crollo dei regimi economici dell'Est europeo era di tipo antropologico e non solo tecnico (n. 24). Nella Centesimus annus si distingue tra il "sistema economico" e il "sistema etico culturale" e si afferma che il vero errore consiste nell'assolutizzare il primo e dimenticare il secondo (n. 39).

Qui si incontrano due caratteristiche del mercato:  da un lato non se ne può fare a meno perché si rinuncerebbe all'efficienza, dall'altro è inevitabilmente orientato. Non se ne può fare a meno perché non si può negare la razionalità economica, che è una dimensione della verità. Lo si deve orientare in quanto questa razionalità economica è insufficiente, essa ha bisogno di essere collocata dentro "l'intero sistema socioculturale". Che il mercato debba essere orientato non deriva solo da una esigenza etica esterna alla logica economica, ma appartiene alla stessa natura del mercato. Non esiste un mercato non orientato. Il materialismo o la cosiddetta "massimizzazione del profitto" sono forme di orientamento del mercato. Non appartengono al mercato come tecnica economica, appartengono al "sistema socioculturale" di riferimento.

Da queste considerazioni Giovanni Paolo II traeva poi il celebre giudizio sul capitalismo contenuto nel paragrafo 42 della Centesimus annus:  se questa parola indica "un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva", ma se indica invece "un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa".

La teoria della esclusiva tecnicità del mercato, compreso il rifiuto della necessità di un suo orientamento, non è una posizione scientifica e assiologicamente neutra, è una ideologia avente alla base la difesa di una libertà assoluta in campo economico. Questo capitalismo è inaccettabile, perché inaccettabile è il "sistema socioculturale" che lo sorregge.

Proprio perché non è solo tecnica, e a preservazione del mercato dalle derive ideologiche del tecnicismo, che in realtà risponde a una cultura della libertà individuale assoluta, Giovanni Paolo II auspicava che il capitalismo - che egli preferiva chiamare però "società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione" (n. 34) - si strutturasse in una vita economica a tre attori:  il privato, lo Stato e la società civile (n. 35), sia per rispettare il principio della "soggettività della società civile" (n. 13), sia per coniugare nel migliore dei modi la solidarietà e la sussidiarietà (n. 15).

Ora, a leggere il testo della Caritas in veritate di Benedetto XVI si riscontra una piena sintonia con questa impostazione, assieme a importanti approfondimenti e sviluppi.
La tesi di fondo secondo cui la carità non può mai contrapporsi alla verità o prescindere da essa ha anche una applicazione in economia. Significa che la logica economica ha una propria verità e che se non la si rispetta si finisce per fare più male che bene. Questo comporta il riconoscimento pieno della validità del mercato, che "non è il luogo della sopraffazione del forte sul debole" e la società non deve difendersi da esso "come se lo sviluppo di quest'ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani" (Caritas in veritate, 36). Comporta anche, però, la necessità di un suo orientamento, non solo per motivi etici, ma anche per motivi economici.

Il mercato, proprio perché non è mai solo un dato tecnico, per funzionare ha anche bisogno di "forme di solidarietà e di fiducia" (n. 35) senza le quali non può funzionare e che non può darsi da solo.
Il motivo di fondo è ancora quello indicato da Giovanni Paolo II, che risulta quindi confermato:  "Il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano" (n. 36). La tesi secondo cui l'etica ha a che fare con tutte le fasi dell'attività economica (n. 38) deriva da questo bisogno che il mercato ha di elementi che esso non sa darsi ed è una conferma di quanto Giovanni Paolo II aveva detto, per esempio, degli investimenti (n. 36).

Un punto su cui Benedetto XVI insiste di più è che non solo la giustizia deve interessare tutte le fasi della vita economica ma anche la gratuità, il dono e la fraternità (anche Giovanni Paolo II aveva parlato della alienazione come incapacità di "vivere il dono di sé" - Caritas in veritate, 40). Questi tre elementi vengono presentati nell'enciclica come derivanti sia dalla carità che dalla verità, e non solo dalla carità, come si potrebbe pensare. Anche la verità è infatti dono e gratuità - come più volte la Caritas in veritate dice, soprattutto nel paragrafo 34 - e non solo la carità. Quanto alla fraternità essa non possiamo costruirla noi, e quindi è essa stessa qualcosa che ci viene incontro come dono di verità e carità a un tempo.
Questa accentuazione della dimensione del dono è assolutamente conseguente alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, ma la Caritas in veritate la sviluppa di più, approfondendo l'indicazione della Centesimus annus circa il sistema a tre attori di cui ho già parlato più sopra.

La dinamica del dono è particolarmente presente nella economia della società civile, però è da auspicare una evoluzione verso un sistema di maggiore compenetrazione della dinamica del dono anche nel privato e nell'economia pubblica. La Caritas in veritate osserva che tale sistema è già presente nella realtà, reso necessario anche dalla globalizzazione, e parla della ristrettezza delle categorie di profit e non profit (n. 46), segnala molte esperienze di una economia della fraternità trasversali ai tre ambiti - parla di una "plurivalenza" della imprenditorialità con scambi e doni reciproci tra i diversi ambiti operativi (n. 41) - e ripetutamente dice che bisogna che elementi di dono e gratuità entrino in tutte le dimensioni della attività economica, soprattutto alla conclusione del paragrafo 36.

Qui andiamo oltre il semplice "terzo settore", oltre un sistema economico a tre attori e le indicazioni di Giovanni Paolo II risultano sviluppate ma, proprio per questo, anche confermate. Secondo Benedetto XVI - si diceva - questa esigenza di superamento dell'attuale organizzazione economica secondo la logica della fraternità nasce dalle stessi evoluzioni economico politiche legate alla globalizzazione. Questa ha fatto sì che la ricchezza prodotta in un certo spazio prendesse la strada del mondo intero e, quindi, che gli Stati entrassero in difficoltà nel loro compito di redistribuzione.

La giustizia economica non può essere più garantita mediante interventi redistributivi collocati dopo il processo economico da parte dello Stato. Vengono riprese qui importanti affermazioni di Giovanni Paolo II sulle molteplici importanti funzioni dello Stato e anche sulla necessità di prendere atto delle sue trasformazioni.
Anche Benedetto XVI invita a non decretare troppo affrettatamente la fine dello Stato nazionale, soprattutto in quei Paesi che non lo hanno ancora conosciuto, ma contemporaneamente prende atto delle trasformazioni in corso. Trasformazioni che richiedono che la redistribuzione e la giustizia entrino dentro il sistema economico piuttosto che collocarsi alla sua fine.

Possiamo quindi dire che sui temi del mercato e del capitalismo la Caritas in veritate si colloca in sintonia con la Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la conferma e la approfondisce, alla luce di quel fenomeno di portata epocale che è la globalizzazione, un fenomeno che all epoca in cui la Centesimus annus venne pubblicata non aveva ancora manifestato appieno il suo vero volto.


(©L'Osservatore Romano - 18 luglio 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
19/07/2009 07:46

L’ordoliberalismo di Benedetto XVI

di Flavio Felice*

ROMA, sabato, 18 luglio 2009 (ZENIT.org).-

La Caritas in veritate non vuole essere un trattato di economia, bensì un documento teologico-pastorale le cui argomentazioni si situano nel punto di congiunzione tra le scienze sociali e l’antropologia cristiana che le giudica e le raccorda. Nella lettura del documento, avvincente e complessa, abbiamo ritenuto opportuno limitarci all’analisi del concetto di mercato, consapevoli della parzialità della scelta e della limitatezza della riflessione.

Il paragrafo 34 dell’enciclica di Benedetto si apre con una dichiarazione il cui valore politico è sin troppo evidente, si consideri l’antiperfettismo di alcuni passi del The Federalist e i presupposti di alcuni padri del costituzionalismo moderno di marca anglosassone: “Talvolta, l’uomo moderno, è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. E’ questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi, che discende – per dirla in termini di fede – dal peccato delle origini”. Si tratta di una tale cristallina visione dell’uomo che agisce nella società, ben presente nella storia del pensiero cattolico, si pensi all’antiperfettismo di Sturzo, che consente al Magistero sociale di Benedetto di giudicare come parziali e talvolta infernali le diverse derive materialistiche del XIX secolo: “La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l’uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale”. E, d’altra parte: “La convinzione poi della esigenza di autonomia dell’economia, che non deve accettare ‘influenze’ di carattere morale, ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo”.

La riflessione socio-economica della Caritas in veritate non si discosta dall’insegnamento del suo immediato predecessore. I cardini sui quali poggia sono pur sempre il principio di solidarietà e di sussidiarietà. È stato merito di Giovanni Paolo II, ed è un tratto caratteristico del Magistero di Benedetto XVI, sin dalla Deus caritas est, aver mostrato la complementarietà dei due principi, evidenziando l’impossibilità di concepire la sussidiarietà a prescindere da una comprensione altrettanto consistente della solidarietà, dunque, della giustizia sociale.

La “soluzione personalista-relazionale”, ad esempio, proposta da Benedetto XVI sin dal Messaggio per la Pace del 2009, in pratica, incontra il principio di solidarietà sul terreno del principio di sussidiarietà: il tema dell’esercizio della giustizia commutativa non è disgiunto, bensì assume significato autentico nella pratica della virtù della giustizia distributiva. È questo il tema trattato da Benedetto XVI nel paragrafo 35 in merito alla complementarietà del mercato rispetto ad altre dimensioni della alla vita sociale. In primo luogo, scrive Benedetto, “Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici”. Il mercato ci viene presentato come la più alta forma di collaborazione tra persone che non condividono necessariamente gli stessi fini. Il mercato si fonda sul principio contrattualistico della “reciprocità”, esso ovviamente non è il dono e neppure la rapina; sappiamo bene che la vita degli uomini non si risolve nel mercato, ma relegare il mercato tra le relazioni utilitaristiche, oltre ad essere un errore logico e storico, appare sempre più un errore pratico e, alla lunga, potrebbe risolversi in un errore politico. La catallassi, il mercato, è la tipologia sociale propria degli uomini liberi che consapevolmente cum-petono per ottenere il miglior risultato possibile, in ordine all’allocazione di beni scarsi e disponibili; ciò che non è scarso e non è disponibile evidentemente non entra e non deve entrare nella logica di mercato.

È in questo contesto che Benedetto XVI pone l’accento sull’importanza della giustizia distributiva per l’esistenza della stessa economia di mercato, in quanto in grado di offrire i fattori extracontrattuali necessari affinché un contratto possa essere stipulato e al minor costo possibile: “Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare”. E continua: “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave”. È in questa atmosfera concettuale, oltre che pastorale, che emerge un’affermazione di grande valore propositivo: “Non si tratta solo di correggere delle disfunzioni mediante l’assistenza. I poveri non sono da considerare un ‘fardello’, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico”. In queste parole sono presenti tutti i temi affrontati da Giovanni Paolo II in Sollicitudo rei socialis (1987) e in Centesimus annus (1991). Argomenti che spinsero alcuni commentatori dell’epoca a parlare di barefoot capitalism, un capitalismo a piedi scalzi che ricorda le analisi dell’economista peruviano Hernando De Soto, ma anche quella decisamente più vicina a noi di “capitalismo popolare” di Luigi Sturzo.

Per questa ragione, il tema dell’integralità e dell’indivisibilità della libertà e con essa dello sviluppo umano è espresso da Benedetto XVI nella teorizzazione dell’impossibilità del mercato di auto fondarsi. È una questione particolarmente spigolosa che vede spesso in disaccordo anche coloro che sul significato “positivo e fondamentale del mercato” generalmente concordano. Il mercato per Benedetto XVI vive e prospera in forza delle virtù come l’onestà, la fiducia, la simpatia, ma non è in grado necessariamente di crearle da solo; e, qualora dovesse promuoverle, lo fa solo nella misura in cui i soggetti che vi operano scelgono di vivere secondo virtù e, così facendo, per usare un argomento tipicamente smithiano, anche inintenzionalmente finiscono per lubrificare i meccanismi del corpo sociale. Scrive Benedetto XVI: “È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle”.

La prospettiva di Benedetto XVI è sì un nuovo ordine mondiale, così come all’indomani della seconda guerra mondiale lo fu per i padri dell’“ordoliberalismo” alla Eucken, alla Böhm, alla Grossman-Dörth, alla Rüstov, alla Röpke, alla Müller-Armack, solo per citare alcuni tra gli intellettuali tedeschi che ricostruirono la Germania e posero le basi culturali ed istituzionali dell’Unione Europea. Si trattava, e nella riflessione di Benedetto XVI si tratta, ad ogni modo, di un’idea di ordine economico e di ordinamento politico mondiale anch’essi ispirati al principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, se non si vuole cadere nella trappola hobbesiana, di un Leviathan globale le cui prerogative sovrane non appaiano più circoscritte neppure dalle pur deboli barriere nazionali.

In definitiva, Benedetto XVI sembrerebbe rinviare al significato “ordolibelarale” di ordine e di ordinamento; “ordine” e “ordinamento” appaiono una variabile determinante per la definizione e l’apprezzamento di un dato mercato. È, in breve, l’idea che i succitati autori avevano dell’economia sociale di mercato (senza confonderla con ibridi nostrani o renani). Fuori da ogni logica dogmatica: statalista-dirigista o anarco-libertaria che sia, Benedetto XVI sembra ripeterci che non esiste il “mercato nudo e crudo”; per intenderci, è sterile soffermarsi sugli “stili economici”, così come denunciati da Eucken nei suoi Fondamenti dell’economia politica (1939). Il mercato è un sistema relazionale, la cui cifra “civile” è data dalla capacità dei regolatori di individuare con metodo cooperativo (partecipativo-democratico) le procedure che consentano agli operatori del mercato la condivisione delle medesime regole (n. 24). Per il rispetto di tali regole è necessario, sebbene nella logica antropologica espressa dalla DSC non ancora sufficiente, predisporre per via sussidiaria un sistema di istituzioni nazionali e sovranazionali che ne salvaguardi la certezza e la trasparenza operativa, avendo a cuore l’ampliamento dei margini di libertà integrale degli operatori, presupposto indispensabile per ogni forma di sviluppo.

In definitiva, la critica di Benedetto ai sistemi economici non si comprende al di fuori del dato antropologico di partenza (n. 25), e dell’implicito rifiuto dell’assunto secondo il quale è necessario liberare l’uomo dall’idea di Dio perché l’uomo possa essere libero. Quello antropologico è il vero problema della filosofia cristiana contemporanea e anche della Dottrina Sociale, anche se troppi interpreti lo sottovalutano, riducendo così gli insegnamenti della Chiesa a mere visioni sociologiche ad uso di particolari visioni politiche, non di rado estranee alle intenzioni magisteriali. Scrive Benedetto: “Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginale” (n. 4).

Appare con chiarezza che oggetto della critica al paradigma economico dominante non siano la proprietà privata, il mercato o il perseguimento del profitto, che Benedetto XVI, in sintonia con il suo predecessore invece ha saputo analizzare ed anche ridefinire, quanto il riduzionismo materialistico. Le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in uno vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono essere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate.

Quando un sistema sociale nega il valore trascendente della persona umana (in ambito politico, economico e culturale) si rivela da se stesso come disumano, e merita di essere criticato: “non può ‘avere solide basi una società che […] si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata’” (n. 15). In questa prospettiva, una sana economia di mercato è sempre limitata da un ordine giuridico che la regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi, che interagiscono con essa e la influenzano, essendone esse stesse influenzate.

---------

Il prof. Flavio Felice è Presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
19/07/2009 07:48

La dimensione teologico-pastorale della “Caritas in veritate”

di Paolo Asolan*


ROMA, sabato, 18 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Vari i timori che hanno accompagnato la gestazione dell’enciclica: su tutti, la persuasione diffusa e condivisa che i temi sociali non appartenessero alle corde profonde della teologia e della pastorale di Joseph Ratzinger. Un papa “teologo”: appassionato a questioni di fede e all’affermazione della verità soprattutto ad intra Ecclesiae, solo occasionalmente dedito a questioni ad extra Ecclesiae e soltanto quando si tratti di difendere la possibilità della religione di chiesa nel mondo e nella cultura post-moderni.

1.Carità nella verità: reciproca inclusione di teoria e prassi

Invece il primo dato, emergente fin dal titolo, è l’affermazione dell’unità profonda di verità e di carità, di fede creduta e di vita vissuta, di fides quae e di fides qua. Chi si occupa di teologia pastorale avrà tirato un sospiro di sollievo, ritrovando nella riflessioni introduttive (i nn. 1-7) il filo che trattiene inestricabilmente teoria e prassi, teologia speculativa e teologia pratica. Su tale filo si regge la teologicità non solo della teologia pastorale ma anche della Dottrina sociale della chiesa, nonchè la loro legittimità, tanto ad intra che ad extra. Il tema della reciproca inclusione di teoria e di prassi nonchè della loro specificità è giustificato dall’enciclica a partire da un’unità originaria del conoscere, che possiamo qui riassumere come unità di intelligenza e di amore. Già in Deus caritas est, 10 il papa dimostrava come questo fosse un dato che sporge non solo dall’esperienza umana elementare, ma pure dalla rivelazione cristiana. Si comprende così perchè la teologia si interessi di tutte le questioni pratiche umane, e dunque anche di quelle sociali. Che l’azione sia inscritta nella comprensione, è tanto dato originario dell’uomo quanto nota peculiare della Rivelazione cristiana, la cui attestazione non è mai solo informativa, ma sempre performativa: cioè conversione interiore e cambio della vita. Anche sociale.

2. La Dottrina sociale ha il suo “luogo” nella Tradizione della fede apostolica

“Appartiene da sempre alla verità della fede [...] che la Chiesa, essendo a servizio di Dio, è a servizio del mondo in termini di amore e di verità” (n.11). Tale dato originario è richiamato dal papa attraverso il rapporto che egli stabilisce tra l’enciclica, il Concilio, il magistero sociale precedente e soprattutto la Populorum progressio di Paolo VI (nn. 8-11 e l’intero primo capitolo), omaggiata di un impegnativo riconoscimento: “esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come ‘la Rerum novarum’ dell’epoca contemporanea” (n. 8). Questa unità tra pronunciamenti sociali diversi ma tutti con le medesime radici è spiegata dal papa come sviluppo della Tradizione della fede apostolica (n. 10). Si tratta di un tema “classico” e in fondo prevedibile in un pontefice che interpreta il Concilio entro l’ermeneutica della continuità.

Ciò che appare se non nuova almeno ribadita con fermezza, è l’uso di una tale ermeneutica per il corpus della Dottrina sociale. Il che può significare non tanto (come certamente si affanneranno a interpretare – e scrivere – altri, non noi) che al potenziale di emancipazione sociale iscritto nel cristianesimo si vuol mettere la museruola di una riduzione conservatrice, ma che nella chiesa non si è ancora sufficientemente compreso e agito intendendo la Dottrina sociale come “parte integrante della nuova evangelizzazione”. Dunque come un ambito che non può essere trascurato dalla ordinaria predicazione e dalla pastorale ordinaria delle comunità cristiane. La Dottrina sociale – nella sua valenza culturale e con la sua pretesa di offrire non solo precetti, ma anche una visione complessiva dell’uomo e della società, coestensiva alla visione cristiana della vita, è un capitolo strutturale del contributo che la fede cristiana può e desidera offrire al superamento della crisi della ragione moderna occidentale, ricollocando l’uomo nella sua costitutiva relazionalità sociale.

3. Una questione sociale complessa, non solo per via della globalizzazione

Tale “crisi antropologica” è in fondo alla base delle molte cose che non vanno anche in economia, politica e sistemi sociali vari (cfr. n. 34), cosicchè si potrebbe sostenere che la questione sociale oggi viene a coincidere con la “questione antropologica” di ruiniana memoria (cfr. n. 51). La carità nella verità vede urgente ricomporre un intero che sia di nuovo l’uomo-non-scisso: in cui, ad esempio, fede e ragione si sostengono e si “allargano” a vicenda, i regni di Dio tornano ad essere uno (e non uno nella mano destra e un altro nella sinistra, come sosteneva Lutero), l’anima e il corpo non si ignorano tra loro, l’individuo sia parte di una società, e più in generale l’uomo non tratti Dio da nemico.

Tali scissioni - per certi versi senz’altro all’origine della modernità, nonchè di quell’esito che è la differenziazione luhmanniana - necessitano di essere risignificate anche nella sfera sociale della vita a partire da un centro. Questo centro non può essere costitutito da un sottosistema-quale-che-sia (n.34).La religione cattolica ritiene che dall’incarnazione del Figlio di Dio in poi, un tale centro sia offerto a tutti: in forza dell’unione ipostatica Dio e l’uomo non sono scissi o separati tra loro, così che il papa può sorprendentemente ri-affermare che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo” (n. 8; PP n. 16).

Questo sviluppo ‘integrale’ si dà entro un’intelaiatura chel’enciclica tesse tra la questione della vita umana, quella del diritto al vangelo e quella sociale. Proprio ricalcando il magistero montiniano, Benedetto XVI lega Humanae vitae (HV), Evangelii nuntiandi (EN) e Populorum progressio (PP). La questione della vita umana (HV), del progresso sociale ed economico (PP) e del diritto al vangelo (EN) si saldano tra loro fondando la dignità inviolabile e l’effettiva possibilità dello sviluppo dei popoli e dei singoli a un livello che non rimanga puramente quello del potere e dell’economia (o del potere dell’economia). Per quanto affermato fin dall’inizio a proposito del legame tra tra teoria e prassi, risulta chiaro che una certa visione della procreazione umana porta implicito un certo legame o non-legame con il Dio rivelato dal vangelo e dunque un certo modello di rapporti sociali ed economici. E così via. Sarà a carico di chi rigetterà l’enciclica esplicitare il proprio apparato teorico a riguardo dell’antropologia e dell’evangelizzazione, implicito in quel rifiuto pratico; e sostenere la congruenza tra la sua posizione e quella espressa da Gesù, così come ci è stata trasmessa finora. Possibilmente, senza creare nuove scissioni.

4. Gv 21, 25 a

Cioè: “Vi sono ancora molte altre cose...” nell’enciclica che meriterebbero di essere riprese. Una osservazione si può ancora fare: quanto è bella la chiesa quando non parla solo di se stessa! Quando il sale o il lievito di cui essa dispone vengono immessi dentro la pasta che è la vita del mondo. Isolare le prese di posizione della Chiesa e trattarle come distillati da laboratorio, senza farli regire con situazioni e contesti concreti, non porta che a un’estenuazione del dato di fede. A dibattiti che, avvitandosi su se stessi, rendono incomprensibile se non inutile la fede, perchè privata del suo essenziale supposto che è non l'uomo astratto, ma quello reale (cfr. RH n. 14).

Che pena se la recezione dell’enciclica in Italia si limitasse al dibattito “meglio per la Chiesa lasciar perdere la bioetica e concentrarsi sulle questioni sociali”- come se non esistesse tra loro la connessione di cui sopra! Sarà interessante raccogliere le reazioni e i dibattiti di quanti sono impegnati nella pastorale sociale e nella Caritas, più o meno internationalis: ci aiuteranno a coniugare la carità nella verità? O si perpetueranno – anche qui – le “moderne” scissioni: carità/giustizia, evangelizzazione/promozione umana, impegno sociale/vita spirituale, cittadino/cristiano?

-------------

*Don Paolo Asolan insegna Teologia Pastorale all’Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense.
[Modificato da Cattolico_Romano 19/07/2009 07:49]
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
19/07/2009 07:50

Il quadro giuridico ed istituzionale del mercato di Benedetto XVI

 di Fabio G. Angelini*

ROMA, sabato, 18 luglio 2009 (ZENIT.org).-

La pubblicazione della prima enciclica sociale di Benedetto XVI a pochi giorni dal G8 dell’Aquila non pare essere una semplice coincidenza. Si tratta, infatti, di due eventi di straordinaria importanza perché saremo presto chiamati a scegliere quale modello di sviluppo vogliamo per i nostri figli.

E sul punto le opzioni a disposizione sembrano essere sostanzialmente due: ricercare, attraverso le azioni umane e gli strumenti economici, politici e sociali a nostra disposizione, la felicità umana nel solo benessere materiale; oppure, riconoscendo i limiti e la fallibilità della nostra conoscenza e degli strumenti in nostro possesso, concentrare gli sforzi nella ricerca di un modello di sviluppo integrale della persona, intesa sia nella sua dimensione materiale sia in quella spirituale.

L’enciclica “Caritas in veritate” [da una prima, sommaria e selettiva lettura], nel sottolineare come “senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”, indica una chiara visione dell’economia di mercato. Delinea un sistema economico quanto più lontano da logiche dirigistiche e statalistiche, incentrato invece sul libero scambio e su una concezione del mercato che, riconoscendo la propria fallibilità, si apre a valori come solidarietà, la gratuità, la fiducia.

Un mercato concepito in chiave meramente produttivistica ed utilitaristica, in cui la persona non è considerata nella sua integrità, a lungo andare si manifesta per quello che è, cioè, come uno strumento incapace di assicurare un sviluppo non meramente consumistico e materialistico. Al contrario, in una “economia sociale di mercato” [un mercato che assume la cultura delle regole come cifra di civiltà], l’uomo - con la sua azione, la sua creatività e la sua capacità di innovare - viene posto al centro dei processi di mercato, fino a divenirne il fine.

Per far questo però, il mercato non può bastare a se stesso. Esso necessità di altri strumenti quali gli ordinamenti giuridici, i sistemi di controllo sociale extragiuridici, un’etica che contempli la cultura delle regole ed un sistema d interventi pubblici conformi al mercato, capaci di perseguire efficacemente gli interessi “civili” dei singoli. Si tratta di strumenti che devono operare all’interno del sistema economico ed intervenire in chiave sussidiaria al fine di lubrificare gli ingranaggi del libero mercato. Da un lato, accrescendo la fiducia e la correttezza tra gli operatori e garantendo la coesione sociale, dall’altro, scongiurando il rischio concreto che nella trama delle relazioni di mercato l’uomo venga ridotto a mero contraente, perdendo di conseguenza quel valore intrinseco che è invece proprio di ogni singola persona indipendentemente da ciò che essa è in grado di scambiare nel mercato

I prodotti finanziari-assicurativi costruiti per distribuire il più possibile i rischi derivanti dall’erogazione del credito, la delocalizzazione industriale concepita non come strumento di solidarietà ma di sfruttamento a fini produttivi di manodopera a basso costo, le politiche pubbliche di incentivazione ai consumi delle famiglie finalizzate all’aumento del PIL anche in condizioni di crescita demografica pari a zero (si veda la vicenda dei mutui subprime), la perversa concorrenza “a ribasso” tra ordinamenti giuridici in ambito sovranazionale (specie in materia di diritti sociali), le politiche di deregulation anche in settori sensibili come la finanza e il credito, l’assenza nel diritto globale dell’economia di un soddisfacente bilanciamento tra valori economici e valori non economici, rappresentano strumenti distruttivi del mercato e cioè, gli esiti di un’economia concepita in modo slegata rispetto alla logica del dono che è invece immanente nell’economia di mercato auspicata da Benedetto XVI.

Quanto detto ci mette tutti nelle condizioni di riflettere sulle possibili exit strategies con una prospettiva parzialmente diversa rispetto a quella con cui siamo soliti analizzare l’attuale crisi economica. Ci invita ad abbandonare quella concezione che vorrebbe l’economia affrancata dalla morale e che nega l’utilità - entro certi limiti e a determinate condizioni - della politica, delle istituzioni e delle regole per il corretto funzionamento del mercato.

Nell’esperienza degli Stati nazionali, quando ancora i confini dello Stato e quelli del mercato coincidevano, non sempre la politica ha dato prova di saper governare l’economia senza lasciarsi prendere dalla tentazione dirigistica. Del pari, non sempre le regole sono state in grado di promuovere la libertà economica, assicurando un’efficace tutela degli interessi pubblici. Ma quando le caratteristiche dell’economia post-industriale e la globalizzazione hanno segnato la fine di questo modello, si è venuta a creare una situazione di ingovernabilità del sistema economico e di eccessiva conflittualità intersoggettiva in parte riconducibile alla frammentazione dei pubblici poteri il cui intervento si basa sempre più su meccanismi e procedure di tipo non democratico, slegato dal circuito della rappresentanza politica.

In questo mutato contesto, l’insufficienza dei tradizionali strumenti giuridico-istituzionali tesi a promuovere il corretto funzionamento del mercato (tra cui rientra tanto la finanza pubblica, quanto la disciplina dei mercati finanziari, i servizi pubblici e l’azione delle autorità indipendenti), accompagnata dall’affermazione di un nuovo sistema valoriale spiccatamente egoistico e indifferente al bene di chi mi passa accanto, hanno permesso che nel mercato globale si facesse largo una visione economicistica dell’esistenza da cui è scaturita una preoccupante confusione tra fini (la persona) e mezzi (l’economia). Perciò, se da un punto di vista culturale ed antropologico occorre soffermarsi sulla necessità di rinnovare il “contratto sociale” su cui si fonda il capitalismo, da un punto di vista giuridico-istituzionale, interrogarsi sulle possibili exit strategies significa avviare una riflessione su quali possano essere i mezzi attraverso cui, nonostante la globalizzazione e la persistente frammentarietà degli ordinamenti giuridici, assicurare al mercato oltre all’esercizio della virtù della giustizia commutativa, quella giusta dose di giustizia distributiva, senza la quale neppure la prima può essere esercitata. Si tratta, in altri termini, dell’affascinante tema della governance dell’economia globale e del problematico rapporto tra politica, diritto e mercato la cui soluzione non può che essere l’attuazione del principio di sussidiarietà.

L’ormai irreversibile crisi degli Stati nazionali, la frammentazione dei pubblici poteri e il nuovo rapporto tra società e diritto che ne è scaturito, la sussistenza di un articolato insieme di norme e regole e nel contempo di intersezioni fra diversi ordinamenti giuridici nazionali ed ultranazionali ove è assente qualsiasi forma di regolamentazione, deve spingere i potenti della terra verso il rafforzamento (anche politico) di una costituzione giuridico-istituzionale del mercato globale, favorendo il bilanciamento fra il libero mercato e quei valori extra economici il cui rispetto è essenziale per uno sviluppo equilibrato degli scambi e delle regolazioni in ambito sovranazionale.

Nell’impossibilità di immaginare la creazione di un vero e proprio Stato globale [ma anche la rischiosità che un simile evento comporterebbe], un passo importante (e forse più efficace) sarebbe quello di riflettere sulla possibilità di dar vita ad una vera e propria costituzione economica globale (a cui dovrebbero ancorarsi i global legal standards) capace di porre, nel rispetto della libertà dei singoli, poche e semplici regole a presidio degli interessi generali e del mercato stesso e di impedire che la concorrenza tra ordinamenti dia luogo ad una corsa al ribasso capace di stravolgere qualsiasi valore e tutela della persona. In questo nuovo contesto giuridico-istituzionale gli Stati nazionali (e, nel nostro caso, l’Europa) sarebbero chiamati ad intervenire, attraverso gli strumenti a propria disposizione, in chiave sussidiaria e conforme al mercato con l’unico fine di assicurare quella tutela della dimensione integrale della persona che tanto nelle economie chiuse quanto nella globalizzazione è mancata.

-------------

Fabio G. Angelini è Direttore del Centro Studi Tocqueville-Acton
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
22/07/2009 11:03

In un convegno romano sviluppo e mercato secondo l'enciclica «Caritas in veritate»

Una globalizzazione in equilibrio tra libertà e responsabilità


Si è svolto a Roma il convegno organizzato dalla fondazione Magna Carta "Oltre l'ideologia della crisi. Lo sviluppo, l'etica e il mercato nell'enciclica Caritas in veritate". Pubblichiamo, qui sotto, ampi stralci dell'intervento introduttivo del presidente onorario della fondazione e, a lato, le conclusioni del ministro italiano del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali.

di Gaetano Quagliariello

Non vi è dubbio che, di fronte alla più grande crisi economico-finanziaria dal 1929 a oggi, la Caritas in veritate rappresenti una chiave di lettura del rapporto tra cristianesimo e capitalismo, non a caso da lungo tempo attesa. L'argomento, d'altra parte, non può essere ridotto a un tema di stretta attualità:  esso, più o meno direttamente, attraversa la riflessione dei padri dell'economia classica, dalle maggiori aperture che si incontrano in Adam Smith e nella sua concezione del mercato come luogo che sa suscitare solidarietà e fiducia, alle chiusure di Mandeville e della sua Favola delle api; dalle radicali affermazioni di incompatibilità tra i due sistemi di pensiero che si incontrano nelle pagine di Socialismo di Von Mises, alle convincenti analisi etimologiche di Angelo Tosato che le smentiscono.

Al cospetto della crisi e della sua durezza, in molti avrebbero auspicato un'enciclica di rinnovata condanna nei confronti del modello capitalistico, e di rilancio di quelle letture della dottrina sociale della Chiesa di stampo pauperistico o, quantomeno, scettiche nei confronti dello sviluppo e delle sue potenzialità.
Costoro sono rimasti delusi. Il testo di Benedetto XVI, infatti, non solo rigetta qualsiasi critica radicale del capitalismo, ma realizza una conciliazione tra il cristianesimo e i principi dell'economia classica ancora più profonda e più "resistente" di quella che si incontra nelle encicliche a sfondo sociale del suo predecessore:  la Sollicitudo rei socialis e la Centesimus annus. In Caritas in veritate, a ben vedere, i motivi di critica del sistema capitalistico, che pure non mancano, rispondono a una logica interna propria di chi quel sistema non solo lo ha accettato ma ha anche operato uno sforzo serio per comprenderlo al fine di migliorarlo.
L'analisi è inserita in una cornice epocale che Benedetto XVI ricostruisce stabilendo una continuità e una rottura. La continuità, assicurata dal principio che lui stesso definisce di fedeltà dinamica, è quella con la Populorum progressio di Paolo VI. Vi sono alcune ragioni tematiche per affermare questa congiunzione. Ma vi è soprattutto una più profonda ragione analitica che attraversa l'intero pontificato di Benedetto XVI. Paolo VI, infatti, è il Papa del concilio. E Benedetto XVI, richiamandolo, vuole per l'appunto riaffermare come il Vaticano ii non costituisca affatto quel momento di svolta e di rottura a lungo accreditato dalle correnti cattoliche cosiddette "sociali", ma che, nella storia della Chiesa, vi sia una continuità più profonda che assorbe anche la lettura e l'interpretazione del concilio. Non a caso, quasi a ogni riferimento alla Populorum progressio ne corrisponde uno che richiama la Rerum novarum di Leone xiii.

A fronte di tale continuità interna alla Chiesa, l'enciclica coglie in profondità le conseguenze di lungo periodo che sono derivate dalla rottura dell'ordine bipolare:  conseguenze che in realtà solo oggi, dopo vent'anni, stanno sedimentando i loro effetti consentendo analisi non più meramente impressionistiche.
In questo documento, vi è una considerazione affatto pregiudiziale del cosiddetto fenomeno di globalizzazione, assunto come occasione da governare, in particolare per una riprogettazione dello sviluppo mondiale, che fin qui solo in piccola parte è stata colta. Certo la globalizzazione - come ci ricorda il Pontefice - presenta grandi difficoltà e pericoli, di fronte ai quali però la risposta non può e non deve essere il ritorno a forme di controllo statalista e di chiusura autarchica. Occorre piuttosto "prendere coscienza di quell'anima antropologica ed etica che spinge la globalizzazione stessa verso traguardi di umanizzazione solidale".

Ed è proprio sulla base di tali osservazioni che nell'enciclica si ritrova anche una riconsiderazione del ruolo degli Stati, ai quali circa quarant'anni fa la Populorum progressio assegnava ancora compiti centrali e che ora - si ammette in Caritas in veritate - non sono più in grado di fissare le priorità dell'economia né di governarne l'andamento. Da qui discendono analisi oggettive ed equilibrate sull'inevitabile ridimensionamento delle reti di sicurezza sociale, nonché sulle opportunità e i rischi legati a una più marcata mobilità lavorativa, conseguenza diretta del processo di globalizzazione. E tutto ciò, come si vedrà, senza indulgere verso frettolose e unilaterali liquidazioni dello Stato contemporaneo e del suo ruolo.

Questo nuovo contesto epocale, per essere affrontato - nella sfera economico-sociale così come nel più ampio ambito delle relazioni umane - porta il Pontefice a sottolineare con ancor più forza rispetto al passato il nesso necessario tra la libertà dell'uomo e la sua responsabilità. Il tema è proposto in numerosissimi punti dell'enciclica:  ancor più che dalla legge, la libertà che si può esercitare nella complessità del nuovo ordine mondiale deve essere temperata, aiutata, esaltata dalla responsabilità. E questo atteggiamento porta con sé il rifiuto di una spasmodica ricerca d'ampliamento della sfera dei diritti, i quali - ribadisce Benedetto XVI - valgono laddove trovano dei corrispondenti doveri.

In questo equilibrio va ricercata la differenza implicita tra individualismo e centralità della persona. L'individualismo presuppone la ricerca di un allargamento della sfera dell'autodeterminazione personale che prescinde da ogni fondamento, dalla considerazione degli altri e persino dai dati stessi della realtà inevitabilmente intrisi di una tradizione che si può certo criticare e innovare ma non ignorare. La centralità della persona, al contrario, presuppone la responsabilità nei confronti degli altri e in particolare nei confronti delle comunità all'interno delle quali la vicenda umana si inserisce. Tale relazione, in ogni caso, non cancella l'autonomia dell'individuo - come invece nella comunità proposta dai totalitarismi del xx secolo - perché "il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto".

È sulla base di questa analisi delle novità introdotte dal xxi secolo che vanno letti i brani dell'enciclica specificamente riferiti al sistema di libero mercato. Innanzi tutto vi si afferma il nesso inscindibile tra libertà economica e sviluppo umano:  "Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata". Quando il progresso non si ideologizza, scadendo in progressismo, esso racchiude la possibilità di un maggior benessere diffuso e, per questo, va ricercato con fiducia.

Vi è nell'enciclica, insomma, la consapevolezza che il mercato non è un luogo selvaggio:  ha delle regole sulle quali si può agire. Da qui, la volontà di rispettarne la logica di fondo, ma anche di condizionarne il funzionamento, affinché la centralità della persona possa affermarsi in tutte le sue fasi. Si cerca insomma di agire sui presupposti del processo economico per stabilire la centralità della persona, abbandonando la spasmodica ricerca di una tanto ideologica quanto utopistica uguaglianza sociale assoluta che stabilisca un'astratta perfezione.
Anche per questo, in Caritas in veritate la povertà viene trattata come un'opportunità di sviluppo, anziché essere cristallizzata come il risultato di un meccanismo iniquo.  E, in particolare nelle parti consacrate alla cooperazione internazionale, vi è un chiaro rigetto dell'assistenzialismo.

Questo tentativo di influenzare le regole del mercato in tutte le diverse fasi del suo ciclo porta da una parte a sollecitare una positiva e progressiva contaminazione tra i diversi tipi di impresa, senza erigere muri e barriere tra profit e non profit. È evidente che le diversità strutturali fra le imprese non possono annullarsi, ma esse - secondo la Caritas in veritate - devono sempre più integrarsi e scolorirsi. Così come - cosa ancora più importante - questa enciclica crea integrazione anche tra l'agire economico e l'agire politico. Viene meno insomma quella distinzione che a lungo ha legittimato l'intervento politico del cosiddetto riformatore cattolico. In Caritas in veritate non c'è più un "prima" e un "dopo":  non c'è il processo capitalistico che provoca ingiustizie e il riformatore cattolico che successivamente deve agire per mettervi riparo. E, conseguentemente, viene meno il ruolo dello Stato come grande distributore di equità. L'equità possibile, il rispetto per la persona, la capacità di sfuggire ai corporativismi che per Benedetto XVI hanno preso eccessivo spazio nel mondo sindacale, devono essere ricercati fin dalla definizione del mercato come luogo di incontro, di reciproca fiducia, di vantaggiosa commutazione. A questo deve tendere l'operato del politico ispirato dai principi cristiani. Ed è in questo compito di regolatore sulla base del primato della persona che lo Stato ritrova una sua funzione, anche a dispetto del mito dell'autonomia contrattuale come sinonimo di libertà personale.


Carità e verità camminano insieme


"La tesi di fondo secondo cui la carità non può mai contrapporsi alla verità o prescindere da essa ha anche applicazione in economia". A spiegarlo è l'arcivescovo vescovo eletto di Trieste, Giampaolo Crepaldi, che aveva anticipato ne "L'Osservatore Romano" del 18 luglio scorso il suo intervento al convegno organizzato a Roma dalla fondazione Magna Carta. "La logica economica ha una propria verità", ha sottolineato l'arcivescovo precisando che "questo comporta il riconoscimento pieno della validità del mercato". Secondo Benedetto XVI - ha continuato - "l'esigenza di superamento dell'attuale organizzazione economica secondo la logica della fraternità nasce dalle stesse evoluzioni economico-politiche legate alla globalizzazione. Questa ha fatto sì che la ricchezza prodotta in un certo spazio prendesse la strada del mondo intero e, quindi, che gli Stati entrassero in difficoltà nel loro compito di redistribuzione". Le trasformazioni in corso - ha concluso monsignor Crepaldi - "richiedono che la redistribuzione e la giustizia entrino dentro il sistema economico piuttosto che collocarsi alla sua fine".

Ai lavori del convegno - durante i quali è stata presentata un'edizione dell'enciclica di Benedetto XVI con l'introduzione dello stesso arcivescovo Crepaldi (Siena, Cantagalli, 2009, pagine 180, euro 8,50) - hanno partecipato anche il direttore dell'Istituto Bruno Leoni, Alberto Mingardi, il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli e il segretario generale della Confederazione italiana sindacati dei lavoratori, Raffaele Bonanni, il quale ha sottolineato come sia "prioritario tornare a uno sviluppo basato sulla produzione, su ciò che ogni popolo può dare di meglio, frutto della propria intelligenza più che di un apparato di mercato eterodiretto".


(©L'Osservatore Romano - 22 luglio 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
24/07/2009 07:04

Il ministro italiano dell'Economia e delle Finanze e il rettore della Pontificia Università Lateranense
a confronto sulla «Caritas in veritate»

Il mondo è globale Deve esserlo anche il pensiero


di Gabriele Nicolò

L'interesse non è il tasso di sconto, ma il bene generale:  è un messaggio forte quello contenuto nella Caritas in veritate e che il ministro italiano dell'Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, ha voluto sottolineare  con forza, riconoscendo  all'ultima enciclica di Benedetto XVI il valore di una vera e propria guida per la politica. All'analisi dei contenuti del documento è stato dedicato un incontro - mercoledì 21 a Roma - al quale, assieme a Tremonti, ha partecipato l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore della Pontificia Università Lateranense (del quale a lato pubblichiamo l'intervento).



La Caritas in veritate formula due criteri fondamentali. Il primo riconduce al concetto di poliarchia della società, ovvero non esiste un centro unico di riferimento, con la conseguente relativizzazione del nucleo Stato-nazione; il secondo riafferma il principio della centralità della persona umana nelle dinamiche sociali. Ma vi sono opportunità per applicare questi insegnamenti? Sì e numerose, secondo il ministro Tremonti, che ha affermato:  "Si sta arrivando a un nuovo Governo del mondo con spirito costruttivo e di pace". Non serve più "il vecchio sogno progressista dell'autosufficienza", piuttosto "un impegno per promuovere il bene comune della società".

Negli ultimi vent'anni il mondo è cambiato radicalmente:  si sono trasformate la sua struttura e la sua velocità. E non si può entrare e vivere in un contesto nuovo applicando le vecchie categorie. E la Caritas in veritate - ha sottolineato il ministro italiano - costituisce il primo, grande, organico documento di analisi e di riflessione sul nuovo mondo, che registra la cadute delle ideologie, intese come formule capaci di dominare l'esistente. Il ventennio appena trascorso, dunque, ha portato grandi cambiamenti. Si inizia con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, seguita, nel 1994, dal "mercatismo", inteso come onnipotenza del mercato, e dall'ingresso dell'Asia nell'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001. Poi nel 2007 comincia la crisi che ora conosciamo bene. "Sono vent'anni - ha ribadito Tremonti - che postulano un coerente cambiamento dei paradigmi. Se il mondo è globale, il pensiero non può restare uguale. Il pensiero non può essere solo mercantile, deve essere pensiero civile".

È anzitutto la globalizzazione ad aprire scenari inediti e a porre le fondamenta per una tabula mundi completamente rinnovata, dove affermare i valori di una civiltà che si sottragga a interessi personalistici, a logiche mercantili, alla filosofia del profitto fine a se stesso. L'enciclica coglie in pieno, ha osservato il ministro, le opportunità positive legate al processo di globalizzazione; nello stesso tempo, tuttavia, essa mette in luce le insidie derivanti da una cattiva gestione di tale processo, se all'interdipendenza tra gli uomini e i popoli non corrisponde l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze. E non solo è guida per la politica, la nuova enciclica, ma è anche un manuale per l'economia. La Caritas in veritate, infatti, ribadisce che l'essenza autentica dell'economia è l'etica:  tale principio sottende l'ineludibile importanza di valori di riferimento che siano spirituali, e non materiali. Solo muovendosi all'interno di questa dimensione, ha affermato Tremonti, è possibile servire in modo efficace e lungimirante il bene comune.

Il ministro ha individuato, nella storia moderna della Chiesa, tre date in particolare:  il 1891, con la Rerum novarum di Leone XIII; il 1967, con la Populorun progressio di Paolo VI, e il 2009 con la Caritas in veritate di Benedetto XVI. Tremonti ha posto l'accento sulla prima e la terza, ricordando che nel 1891 "non si era solo vicini alla fine del secolo, ma ci si affacciava a un nuovo mondo, con l'avvento delle masse, con l'uomo nuovo e il progresso". La Caritas in veritate arriva al termine di un ventennio in cui il mondo  ha cambiato il proprio volto,  cercando, pur  tra forti tensioni  e  aspri conflitti, di forgiare il modello di un governo globale.

In apertura dell'incontro l'arcivescovo Fisichella ha affermato che il ministro Tremonti è stato "tra i primi a far sentire la sua voce sulle regole etiche in materia di riforma della finanza, gettando un sasso nello stagno per richiamare a un impegno comune così importante come il progresso e lo sviluppo".



(©L'Osservatore Romano - 24 luglio 2009)
__________________________________________________

Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:41. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com