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«La vita è uguale per tutti» di Paola Binetti

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2009 07:52
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01/07/2009 07:52

«La vita è uguale per tutti» di Paola Binetti

Le ragioni laiche per opporsi all'eutanasia


Viene presentato il primo luglio presso l'Istituto Luigi Sturzo a Roma il volume di Paola Binetti La vita è uguale per tutti. La legge italiana e la dignità della persona (Mondadori, Milano, 2009, pagine 132, euro 14). Tra gli interventi è previsto quello dell'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
 

di Laura Palazzani

Sono molti i fatti di cronaca che hanno sollecitato l'opinione pubblica, oltre agli esperti del settore, a porsi interrogativi sulle questioni etiche e giuridiche relative al fine vita. I casi di Terri Schiavo, Piergiorgio Welby e Eluana Englaro hanno interpellato le nostre coscienze e messo concretamente in evidenza davanti ai nostri occhi la problematicità della questione bioetica del rifiuto delle terapie. È lecito staccare il respiratore artificiale a un malato di sclerosi laterale amiotrofica, completamente paralizzato, ma capace di manifestare la propria volontà e di dare il consenso informato? È lecito sospendere alimentazione e idratazione a un paziente in stato vegetativo persistente?

Il volume di Paola Binetti, a partire da una rigorosa ricostruzione di tali casi emblematici, accompagna il lettore alla ricerca di risposte a queste domande ineludibili, complesse, laceranti. Nel testo sono esposte, con chiarezza e profondità, ma anche delicata sensibilità, le ragioni di chi ritiene legittimo, anzi doveroso, il rifiuto delle terapie in nome dell'autodeterminazione individuale, appellandosi al "diritto di morire" quando la vita è ritenuta "non degna di essere vissuta". L'autrice discute criticamente ogni argomentazione delle teorie libertarie e utilitariste che, esaltando autonomia e qualità di vita, legittimano l'eutanasia:  a livello psicologico, mostrando che il desiderio di morire nasconde spesso la richiesta di aiuto a lenire le sofferenze e a essere accompagnati nel morire; sul piano etico, giustificando il dovere di vivere (per sé e per gli altri), essendo la vita un dono (in quanto data da altri) e un compito, proiettato verso la società e verso il futuro; sul piano giuridico, evidenziando le contraddizioni della esaltazione di un diritto che, negando la vita, nega la stessa libertà individuale.

Intorno al dibattito sul fine vita si gioca oggi lo scontro tra l'individualismo autoreferenziale e l'utilitarismo pragmatico da un lato e la solidarietà sociale dall'altro. Binetti intende mettere in evidenza, in questo libro, quali sono le ragioni laiche che sostengono la fede di chi crede, orientate al riconoscimento della dignità intrinseca della vita umana sino all'ultimo istante e alla giustificazione dell'aiuto a vivere e non invece a morire. Ragioni filosofiche, nella direzione del recupero del senso della vita oltre le spinte volontaristiche e il calcolo utilitaristico; ragioni etiche, che riscoprono nell'uomo la natura relazionale, la propensione alla relazione di cura nei confronti di chi è fragile, vulnerabile e bisognoso; ragioni giuridiche, che richiamano il significato originario del diritto, a difesa della vita e non della morte.

In questa cornice teoretica, si possono cogliere - a parere dell'autrice - le chiavi interpretative dei casi di cronaca, che non possono essere vissuti solo emotivamente, ma devono anche indurre a riflessioni critiche razionali. Sospendere idratazione e alimentazione per individui (come Englaro) in stato vegetativo persistente - stato di cui non è dimostrabile scientificamente  con certezza la irreversibilità, ma semmai solo la scarsa probabilità di recupero della coscienza - è considerata una "eutanasia omissiva":  idratare e alimentare non costituiscono accanimento terapeutico, ossia cure sproporzionate (futili e gravose), ma una assistenza ordinaria dovuta a tutti i soggetti che si trovano in condizioni  analoghe.  Sospendere  la  respirazione artificiale a pazienti affetti da malattie neurodegenerative progressive a esito infausto (come Welby) è un'altra forma eutanasica, che mette in evidenza la priorità del volere del paziente rispetto alla responsabilità terapeutica del medico.

L'autrice sottolinea, attraverso i casi e l'analisi filosofica, come il "lasciar morire" rimandi a una responsabilità morale, sia per chi desidera morire anticipatamente rifiutando le cure, sia per chi omette di intervenire per salvare la vita, e cioè il medico. Questa linea di pensiero emerge in modo argomentato, critico, dialettico e dialogico nel costante confronto con il pluralismo che investe sia l'ambito scientifico, sia quello etico e giuridico, oltre che politico.

Ma l'originalità del volume, oltre all'intreccio tra astrazione filosofica e concretezza casistica, consiste nel metodo di approccio bioetico scelto:  un metodo induttivo e narrativo. Con un approccio che non vuole partire dall'enunciazione delle teorie astratte e dalla deduzione logica di principi, ma intende muoversi dalla storia e dall'esperienza delle persone, "mettendosi nei panni degli altri"; che si propone di mettere a fuoco non solo la razionalità dei principi, ma anche la disponibilità d'animo virtuosa, l'impegno personale e attivo ad agire nella concretezza della realtà.

Non basta enunciare la solidarietà in senso prescrittivo a priori, fondandola su un solido sistema filosofico che si oppone all'individualismo e all'utilitarismo, ma bisogna praticarla, viverla, sperimentarla in prima persona, a posteriori. Binetti stimola il lettore a comprendere che solo prendendosi concretamente cura degli altri - anche e soprattutto coloro che sono in condizioni di malattia e sofferenza, di dipendenza e debolezza - è possibile superare quella "frettolosa indifferenza" e quella "soffocante solitudine" che caratterizza la società in cui viviamo e che ci allontana dai valori autenticamente umani.

Questa è la via che può portare a prevenire l'eutanasia, la richiesta di morire e di essere aiutati a morire:  e la politica può dare un contributo nella direzione dell'incremento delle cure palliative - che anche se non guariscono, alleviano il dolore - nella moltiplicazione di luoghi e strutture di assistenza per pazienti in stato vegetativo o in condizioni di malattie inguaribili e per le loro famiglie, nella formazione del personale sanitario e della società al significato della solidarietà, della dedizione all'altro, della cura e del prendersi cura.



(©L'Osservatore Romano - 30 giugno 1 luglio 2009)
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