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Paolo di Tarso tra storia e contemporaneità

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2009 21:04
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07/07/2009 21:04

Incontro in Turchia

Paolo di Tarso tra storia e contemporaneità


di Egidio Picucci

Chi ha familiarità con il cristianesimo sa che l'evangelizzazione d'Europa è partita dalla Turchia, come sa anche che Paolo non è stato rappresentativo di se stesso, ma della comunità d'Antiochia che non solo lo scelse e lo inviò, ma in parte gli fece conoscere "quello che vi ho trasmesso", come scrisse lui stesso ai Corinti. Come Paolo, tanti altri annunciatori, pellegrini, commercianti, schiavi, monaci, soldati, missionari si sono mossi dall'Anatolia per evangelizzare terre lontane. Il monachesimo occidentale, benemerito della trasmissione della cultura antica e della salvaguardia del creato, ha radici cappadoci. L'intera cristianità ha pertanto un grosso debito storico verso questa terra che ha tenuto a battesimo le prime comunità cristiane. C'è di più:  circa i tre quarti dei libri del Nuovo Testamento sono stati scritti per le piccole comunità dell'allora Asia Minore o sono partiti da essa. È d'obbligo, allora, considerare la Turchia un po' come il prolungamento della Terra Santa, a cui assomiglia per tanti aspetti, compreso quello di ospitare oggi un esiguo numero di cristiani.



Proprio partendo da queste considerazioni, vent'anni fa un gruppo di studiosi, spinti dall'attuale vicario apostolico dell'Anatolia, Luigi Padovese, cappuccino, allora preside dell'istituto francescano di spiritualità dell'Antonianum di Roma, decise di organizzare a Efeso e a Tarso incontri di studio - simposi - per approfondire alcune tematiche legate a due protagonisti dell'evangelizzazione della Chiesa primitiva:  Paolo e Giovanni. Situazioni contingenti hanno impedito di portare avanti gli incontri su Giovanni - interessanti anche perché nel loro nome furono strappate concessioni impensabili, come poter celebrare l'eucaristia sulla tomba dell'apostolo - ma continuano quelli su Paolo, l'ultimo dei quali si è svolto recentemente a Iskenderun, dove risiede il vicario apostolico dell'Anatolia.

Tema di quest'anno è stato "Paolo di Tarso, storia, archeologia, recezione", sviluppato da diciannove professori provenienti da atenei italiani, tedeschi e greci.

Alle vaste panoramiche offerte dall'enumerazione e dalle indagini archeologiche sui porti di approdo e di imbarco di Paolo - stando alle fonti, pare siano quattordici - sono seguite riflessioni che hanno permesso di spaziare sulla missione di Paolo - un "vulcano che erompe" l'ha definito l'esegeta tedesco Udo Schnelle - nell'ambito delle origini cristiane, argomento che ha offerto l'occasione di sottolineare come "l'imprevisto evento" di Damasco abbia fatto capire a Paolo, cittadino romano per eredità paterna e discendente della tribù di Beniamino, che gli "era stato affidato da Dio il compito di annunciare il Figlio non tra i giudei, ma tra i gentili, tanto da potersi autodefinire esplicitamente e in termini non usuali "apostolo dei gentili", in quanto mandato non "da" loro, ma "a" loro".
 
Compito che svolse per un trentennio, utilizzando più volte e prima di altri - compresi gli evangelisti - le parole stesse di Gesù, ampliandole nelle Lettere, così importanti per la teologia che non si riuscirebbe nemmeno lontanamente a immaginare quale diversa fisionomia dottrinale avrebbe assunto il cristianesimo senza di esse.

Molte le riflessioni fatte sulla "recezione" nei Padri e negli scrittori ecclesiastici della teologia che Paolo ha espresso nelle Lettere, che sono in gran parte scritti d'occasione, talora biglietti volanti affidati a un amico o a un mercante di passaggio, dettati "vagando di luogo in luogo", come lui stesso confida ai Corinti, i quali riconobbero che, se la sua parola era "spregevole, le lettere erano gravi e forti". Nella primitiva comunità cristiana, esse "godevano di un'autorità simile a quella attribuita alle Sacre Scritture" e vi si faceva riferimento con una frequenza che sfocia nella familiarità, come dimostrano sia la cosiddetta Epistola a Diogneto, che le omelie e gli studi dei Padri, particolarmente di sant'Agostino, che se ne servì ampiamente nella controversia pelagiana e nei due scritti sulla menzogna, per evidenziare la norma cristiana di dire sempre la verità.

Come i precedenti simposi, anche quello di quest'anno ha inteso far uscire gli scritti dell'apostolo dal livello dell'annuncio che se ne fa nella liturgia. Non è un caso, perciò, che Burhanettin Kocamaz, sindaco di Tarso, abbia deciso che il prossimo anno sarà lui a organizzare il simposio che favorirà un "rimpatrio" virtuale del suo concittadino più illustre perché lo conoscano specialmente i giovani, che a Tarso frequentano scuole di alta specializzazione.


(©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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