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L'esperienza sacerdotale del Curato d'Ars

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2009 10:02
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L'esperienza sacerdotale del Curato d'Ars, particolarmente significativa ed emblematica, viene rilanciata da quest'anno sacerdotale, e non deve essere lasciata cadere. E' una fonte e uno stimolo di grande preziosità ed efficacia per tutta la vita dei sacerdoti e di noi fedeli laici. Per conoscere meglio la figura del curato d'Ars ecco la biografia del Santo e qualche altra notizia sulla figura di questo grande sacerdote.







Vita del Santo Curato



Nato l’8 maggio 1786 a Dardilly, vicino a Lyon, in una famiglia di agricoltori, Giovanni-Maria Vianney ebbe un’infanzia segnata dal fervore e dall’amore dei suoi genitori.
La Rivoluzione francese influenzerà ben presto, tuttavia, la sua fanciullezza e adolescenza : farà la prima confessione ai piedi del grande orologio, nella sala
comune della sua casa natale e non nella chiesa del villaggio, e ad impartire l’assoluzione sarà un prete « clandestino ».


Due anni più tardi arriverà il momento della prima comunione, questa volta in un granaio, durante una Messa clandestina, celebrata da un prete « refrattario » (che non aveva giurato fedeltà alla Rivoluzione). A 17 anni Giovanni-Maria decide di rispondere alla chiamata di Dio: « Vorrei guadagnare delle anime al Buon Dio », confiderà alla madre, Maria Béluze. Ma per due anni suo padre si oppone a questo progetto : c’è bisogno di braccia per mandare avanti il lavoro dei campi.

Così è a 20 anni che Giovanni-Maria comincia a prepararsi al sacerdozio, presso l'abbé Balley, parroco d'Écully. le difficoltà che incontra contribuiscono a farlo crescere: passa dallo scoraggiamento alla speranza, si reca in pellegrinaggio a la Louvesc, sulla tomba di san Francesco Régis. È anche obbligato a disertare quando gli giunge la chiamata alle armi, per combattere nella guerra di Spagna. E tuttavia l’abbé Balley non manca costantemente di sostenerlo in tutti quegli anni di prove. Ordinato prete nel 1815, viene inviato come vicario ad Écully.

Nel 1818 viene mandato ad Ars. Là risveglia la fede dei parrocchiani con la sua predicazione, ma soprattutto attraverso la preghiera e il suo stile di vita. Si sente povero di fronte alla missione da compiere, ma si lascia afferrare dalla misericordia di Dio. Restaura ed abbellisce la chiesa, fonda un orfanotrofio (“La Provvidenza”) e si prende cura dei più poveri.


Molto presto la sua fama di confessore attira da lui numerosi pellegrini che cercano il perdono di Dio e la pace del cuore. Assalito da molte prove e combattimenti spirituali, conserva il suo cuore ben radicato nell’amore di Dio e dei fratelli. La sua unica preoccupazione è la salvezza delle anime. Le sue lezioni di catechismo e le sue omelie parlano soprattutto della bontà e della misericordia di Dio. Sacerdote che si consuma d’amore davanti al Santissimo Sacramento, si dona interamente a Dio, ai suoi parrocchiani e ai pellegrini. Muore il 4 agosto 1859, dopo essersi votato fino in fondo all’Amore. La sua povertà era sincera e reale. Sapeva che un giorno sarebbe morto come “prigioniero del confessionale”.

Per tre volte aveva tentato di fuggire dalla sua parrocchia, ritenendosi indegno della missione di parroco e pensando di essere più un impedimento alla Bontà di Dio che uno strumento del suo Amore. L’ultima volta fu meno di sei anni prima della morte. Fu ripreso nel mezzo della notte dai suoi parrocchiani che avevano fatto suonare le campane a martello. Ritornò allora alla sua chiesa e riprese a confessare, fin dall’una del mattino. Dirà il giorno dopo: “sono stato un bambino”. Alle sue esequie c’erano più di mille persone e tra esse il vescovo e tutti i preti della diocesi, venuti ad onorare colui che consideravano già il loro modello.


Beatificato l’8 gennaio 1905, nello stesso anno viene dichiarato “patrono dei preti francesi”. canonizzato nel 1925 da Pio XI (lo stesso anno di Santa Teresina del Bambino Gesù), nel 1929 sarà proclamato “patrono di tutti i parroci del mondo”. Il papa Giovanni Paolo II è venuto ad Ars nel 1986.


Oggi Ars accoglie ogni anno 450.000 pellegrini e il Santuario propone diverse attività. Nel 1986 è stato aperto un seminario, che forma i futuri preti alla scuola di Giovanni-Maria Vianney. Perché là dove passano i santi, Dio passa assieme a loro!

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IL MESSAGGIO DEL SANTO CURATO

Il messaggio che oggi ci offre il Santo Curato d’Ars, riassunto in alcuni punti…




Uomo di preghiera

Lunghi momenti di preghiera davanti tabernacolo, un’autentica intimità con Dio, un abbandono totale alla sua volontà, un volto trasfigurato…ecco quello che toccava il cuore di coloro che lo incontravano e che lasciava intravedere la profondità della sua vita di preghiera e della sua unione con Dio. Fu questa la sorgente di un’autentica amicizia con Dio e di una grande gioia : « Moi Dio, io vi amo, ed il mio unico desiderio è quello di amarvi fino all’ultimo sospiro della mia vita ». Tale amicizia sottintendeva una reciprocità: come due pezzi di cera, precisava Giovanni-Maria Vianney, che fusi insieme non possono più essere separati o identificati. La stessa cosa accade alla nostra anima con Dio, quando ci mettiamo in preghiera…


Al centro, l’Eucaristia celebrata ed adorata

« Egli è lì » esclamava il santo Curato, guardando il tabernacolo. Uomo dell’Eucaristia, celebrata ed adorata, affermava: « Non c’è niente di più grande dell’Eucaristia ». Ciò che maggiormente lo commuoveva era il constatare che Dio era lì, per noi, presente nel tabernacolo : « Egli ci attende ! ». La coscienza della presenza reale di Dio nel Santissimo Sacramento costituì per lui la più grande grazia e la più grande gioia. Donare Dio agli uomini e gli uomini a Dio : ecco perché il sacrificio eucaristico divenne ben presto il cuore delle sue giornate e della sua pastorale.


Assillo per la salvezza degli uomini

Questa espressione riassume più di ogni altra ciò che è stato il Santo Curato nei suoi 41 anni di presenza ad Ars. Egli era assillato dalla sua salvezza e da quella degli altri, in modo particolare di quelli che gli erano stati affidati e di quelli che venivano a lui. Come curato, Dio “me ne domanderà conto”, diceva. Che ognuno potesse gustare la gioia di conoscere Dio e di amarlo, di sapere che Egli ci ama…ecco la ragione dell’opera instancabile di Vianney.


Martire del confessionale

A partire dal 1830 migliaia di persone verranno ad Ars per confessarsi dal santo Curato. Nell’ultimo anno della sua vita saranno più di centomila… Inchiodato fino a 17 ore al giorno al suo confessionale, per riconciliare gli uomini con Dio e tra di loro, egli fu, come ha sottolineato Giovanni Paolo II, un autentico martire del confessionale. Afferrato dall’amore di Dio, stupito davanti alla vocazione dell’uomo, aveva coscienza della follia che consisteva nel volere essere separati da Dio. Per questo desiderava che ognuno fosse libero di poter gustare l’amore di Dio.


Al cuore della sua parrocchia, un uomo caritatevole

“Nessuno può immaginare quello che il Santo Curato ha fatto dal punto di vista sociale”, afferma uno dei suoi biografi. Vedendo in ogni suo fratello la presenza del Signore, egli non era mai stanco di soccorrere, aiutare, consolare le sofferenze e le ferite, al fine di permettere ad ognuno di essere libero e felice. Orfanotrofio, scuole, attenzione ai più poveri e ai malati, costruttore infaticabile…nulla gli sfugge. Accompagna le famiglie e cerca di proteggerle da tutto quello che può distruggerle (alcool, violenza, egoismo…).

Al cuore del suo villaggio egli si fa carico dell’uomo in tutte le sue dimensioni (umana, spirituale, sociale).


Patrono di tutti i parroci del mondo

Beatificato nel 1905, nello stesso anno – il 12 aprile – verrà dichiarato da san Pio X patrono dei preti francesi. Nel 1929, quattro anni dopo la sua canonizzazione, il Papa Pio XI lo proclamerà “patrono di tutti i parroci del mondo”. Il papa Giovanni Paolo II non si esprimerà diversamente quando ricorderà per tre volte che: “il Curato d’Ars rimane per tutti i paesi un modello senza pari per quanto riguarda il compimento del ministero e la santità del ministro”. “Oh, il prete è qualcosa di grande!”, affermava Giovanni-Maria Vianney, perché può donare Dio agli uomini e gli uomini a Dio: egli è il testimone della tenerezza del Padre verso ognuno e un artigiano di salvezza.

Il Curato d’Ars, un grande fratello nel sacerdozio, al quale ogni prete del mondo può venire ad affidare il suo ministero e la sua vita sacerdotale.


Un appello universale alla santità

“Io ti indicherò la via del Cielo” aveva risposto al piccolo pastore che gli aveva mostrato la strada che portava ad Ars, cioè “ti aiuterò a diventare un santo”. “Là dove passano i santi, Dio passa assieme a loro”, preciserà più tardi. Egli invita dunque ognuno a lasciarsi santificare da Dio, ad accogliere i mezzi che gli vengono offerti per questa unione con Dio, che inizia quaggiù e dura per tutta l’eternità.

 

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FATTI E DATE DELLA VITA DEL CURATO D’ARS…


Date importanti della vita del Curato d’Ars


- 8 maggio 1786 : Giovanni-Maria Vianney nasce a Dardilly, nei pressi di Lione. È il quarto di sei figli e l’infanzia la trascorrerà nella fattoria del padre, proprio durante uno dei periodi più burrascosi della Rivoluzione francese.

- 1806 : dopo aver manifestato il desiderio di diventare prete, Giovanni-Maria Vianney intraprende il suo cammino di formazione presso l’Abate Balley, nella canonica d’Écully.

- 23 giugno 1815 : dopo un itinerario lungo e talvolta difficile, viene ordinato diacono a Lione.

- 13 agosto 1815 : a Grenoble Mons. Simon lo ordina sacerdote. La prima nomina è come vicario dell’Abate Balley a Écully.

- 13 febbraio 1818, arriva ad Ars come vicario.

- 1821 : Ars ritorna ad essere una parrocchia e Giovanni-Maria Vianney ne diventa il parroco.

- A partire dal 1822, comincia a far restaurare ed abbellire la sua chiesa, un’opera che porterà avanti fino alla sua morte..

- 1823 : viene ristabilita la diocesi di Belley, da cui dipende Ars.

- 1824 : apre la Casa della Provvidenza con l’intenzione di farne una scuola gratuita per le ragazze ; più tardi essa diventerà un orfanotrofio.

- Verso il 1830 : comincia l’afflusso dei pellegrini e dei penitenti ad Ars. Essi continueranno ad affluire, sempre più numerosi, fino alla sua morte. A tal punto che il Curato d’Ars non potrà quasi più abbandonare la sua parrocchia e dovrà occuparsi esclusivamente dei parrocchiani e dei pellegrini.

- 1843 : il santo Curato viene colpito da una grave malattia, che precede la prima “fuga” da Ars. Ci saranno altre tre “fughe” davanti al crescente peso della cura d’anime e alla coscienza delle sue fragilità.

- Nel 1849, fonda la scuola per i ragazzi che affida ai Fratelli della Santa Famiglia di Belley.

- A partire dal 1853, un gruppo di missionari diocesani viene in aiuto del santo Curato, “prigioniero” del confessionale ed assalito dai pellegrini.

- 1858 : in quell’anno ad Ars si contano ben 100.000 pellegrini. Il Curato d’Ars passa fino a 17 ore al giorno nel confessionale.

- 4 agosto 1859 : il Curato d’Ars muore, sfinito, verso le 2 del mattino, nella sua canonica. www.arsnet.org/img-real/112b.jpg

- 8 gennaio 1905 : Pio X lo proclama beato e viene dichiarato « patrono dei preti francesi ».

- 31 maggio 1925 : Pio XI lo proclama santo.

- 1929 : Pio XI lo dichiara « patrono di tutti i parroci del mondo ».

- 6 ottobre 1986 : papa Giovanni Paolo II viene in pellegrinaggio ad Ars.

 

Tratto da Sanctuaire d'Ars

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Dopo la bufera rivoluzionaria nel secolo di Nietzsche e di Kierkegaard

Inquietudini e fughe del curato d'Ars


Il cardinale penitenziere maggiore emerito ha tenuto presso il collegio di San Norimberto a Roma una relazione sulla figura di san Giovanni Maria Vianney. Ne pubblichiamo alcuni stralci.

di James Francis Stafford

Nel 1857, due anni prima della morte di Jean-Marie Vianney, Richard Wagner aveva iniziato a lavorare alla sua ultima opera, il Parsifal. Friedrich Nietzsche, che era stato intimo amico e grande ammiratore del compositore, ruppe l'amicizia e lo criticò fortemente perché la conversione di un principe medievale all'ideale cattolico della castità era, secondo il filosofo, "un ripiegamento disperato verso il cristianesimo". Inoltre accusò Wagner di tradire "la sana sensualità" e di ritirarsi nel mondo irreale di Arthur Schopenhauer. In questo difficile clima culturale operò l'abbé Vianney, il curato d'Ars, del quale quest'anno ricorrono i centocinquanta anni dalla morte.

Ricostruendo la vicenda terrena del santo nel suo Lex levitarum, or, Preparation for the cure of souls, pubblicato nel 1905, John Cuthbert Hedley, il benedettino inglese che fu il secondo vescovo di Newport e Menevia nel Galles (1880-1895), scrisse che il santo era caratterizzato dalla "devozione pastorale". Per "devozione pastorale" Hedley intende principalmente "tre qualità:  l'amore di Dio, l'amore delle anime e ciò che io chiamerei l'istinto della conquista". Una conquista che viene dalla battaglia combattuta dal curato contro se stesso e contro il diavolo per tutti i quarantuno anni trascorsi ad Ars. La lotta iniziò nel 1818, con un abbraccio prima agli abitanti del piccolo villaggio e poi ai pellegrini che giungevano da tutto il mondo e che solo nell'ultimo anno di vita del curato, il 1859, furono oltre centomila.

Sin dall'inizio egli introdusse i suoi parrocchiani ai misteri di Cristo. In altre parole, usò ciò che oggi viene chiamano metodo mistagogico. Ma invece di utilizzare i sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia, la sua scelta fu quella di privilegiare la penitenza - che viene detto secondo Battesimo - e appunto l'Eucaristia, chiamando al contempo il suo popolo agli ideali ascetici che caratterizzano l'esistenza di quanti vivono questi misteri.



Jean-Marie arrivò ad Ars per la prima volta nel tardo pomeriggio del 9 febbraio 1818. Il paesaggio era reso invisibile da una nebbia invernale. Si perse quando oramai era giunto alla fase finale di un viaggio a piedi di trenta chilometri, iniziato a Ecully dove si trovava la sua prima parrocchia. Attraverso la folta foschia intravide dei giovani pastori che badavano al loro gregge e chiese indicazioni per arrivare al villaggio di Ars. La maggior parte dei bambini conoscevano solo il dialetto, ma tra loro ce ne era uno che parlava un po' meglio, Antoine Givre, fu lui a indicargli la strada. In segno di gratitudine, il curato gli rispose:  "Mio giovane amico, mi hai mostrato la strada per Ars, io ti mostrerò la strada per il paradiso". Poi procedette per la sua strada, non sapeva che dopo la sua morte, nel 1859, Antoine sarebbe stato il primo cittadino di Ars a seguirlo.

I pochi beni del nuovo curato, lo seguivano in un carro. Comprendevano qualche vestito, un comodino di legno e dei libri che gli erano stati lasciati dall'abbé Charles M. Balley, suo primo pastore e padre spirituale, morto nel 1817. L'abbé Francis Trochu parla nella sua biografia di altri due oggetti che erano stati trasportati nel carro:  un ombrello e uno specchio:  "Fino al giorno della sua morte lui, che era distaccato da tutte le cose materiali, insistette nel volere sulla mensola del camino lo specchio di Balley, perché in quello "si era riflesso il suo viso"". Due semplici oggetti - un ombrello e uno specchio - evidenziano la quotidianità che definiva il mondo del curato.

Perché focalizzare l'attenzione su questi due oggetti personali e non, per esempio, sul suo confessionale? Mi è stato detto che sia l'ombrello sia lo specchio si trovano ancora nella rettoria di Ars. Entrambi parlano dell'importanza del padre spirituale del curato, Balley, senza la cui amicizia e guida Jean-Marie Vianney non sarebbe mai stato chiamato dalla Chiesa all'ordinazione sacerdotale.

Questi due elementi terreni sono inoltre riconducibili a due virtù che il curato chiamò la sua gente a praticare. In particolare l'ombrello era un segno della devozione e della povertà non solo di Jean-Marie ma anche del suo pastore Balley. Nel 1815 quando Jean-Marie fu mandato come vicario della parrocchia nella quale Balley era pastore, i due diedero immediatamente vita a una comunità sacerdotale di preghiera quotidiana che durò fino alla morte - due anni più tardi - di Balley. Inoltre, insieme fecero frequenti pellegrinaggi al vicino santuario di Nostra Signora di Fourviéres, a Lione. Erano così poveri che possedevano solo un ombrello, che condividevano in caso di pioggia.

Come segnalavo prima, il biografo del curato d'Ars, l'abbé Francis Trochu, ha introdotto i capitoli sul suo ministero pastorale affermando che il trentunenne sacerdote aveva "l'istinto della conquista" e la "devozione pastorale", che rievoca la prima devozione descritta negli Atti degli apostoli:  "Erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui" (1, 14). Qui il termine "devoto" ha una valenza teologica, significa "tenersi fermamente" alla preghiera, che costituisce l'oggetto a cui aggrapparsi. La parola, che viene usata per descrivere la vita della comunità cristiana, esprime uno degli aspetti che contraddistingue il primo periodo del cristianesimo:  l'unità orante con il Padre attraverso la filiazione divina.

I capitoli successivi della biografia di Trochu elaborano le "conquiste":  la pratica eroica della preghiera, dell'umiltà, della pazienza e della mortificazione. Ognuna di queste pratiche sacerdotali richiamavano a una profonda interiorità.



Un tesoro lasciato da Jean-Marie Vianney è la preghiera che attesta proprio quest'ultimo aspetto:  "Ti amo, oh mio Dio, e il mio unico desiderio è di amarti fino all'ultimo respiro della mia vita. Ti amo, oh infinitamente amabile Dio, e preferirei morire amandoti piuttosto che vivere senza amarti. Ti amo, Signore, e la sola grazia che chiedo è di amarti per l'eternità (...) Dio mio, se la mia lingua non può dirTi ogni momento che Ti amo, voglio che il mio cuore Te lo ripeta tanto spesso quanto il mio respiro". Questa preghiera contiene un'invocazione ripetuta tre volte:  "Ti amo, oh Dio!".
Il curato ha potuto scrivere una preghiera di tale sorprendente semplicità solo grazie alla sua lunga e fedele esperienza di confessore.

Nel confessionale di Ars lui cristallizzò la sua viva fede:  al Padre che è in cielo espresse il desiderio di morire con l'amore di Dio, piuttosto che vivere senza di Lui. La sua ricerca della verità ha rappresentato non solo la nascita ma anche la morte della sua interiorità. Qui è evidente il ruolo dell'inquietudine nella disciplina del santo.

Tra le cose più difficili da comprendere nella vita e nel ministero del curato figurano i suoi tre tentativi di fuga da Ars. Il primo avvenne nel contesto delle calunnie che lo colpirono durante e dopo la rivoluzione del luglio del 1830, il secondo nel 1843, e l'ultimo nel 1853. Come comprendere queste "evasioni" o "fughe"?
Sembra che la crescente consapevolezza dell'inalienabilità della morte fosse il motivo principale dei suoi tre "dolorosi, misteriosi e perturbanti" tentativi di fuga da Ars. Ma in realtà era una prospettiva originale derivata da un'inclinazione sacerdotale. Sia Martin Heidegger sia Søren Kierkegaard collegano la quotidianità dell'irrequietezza unicamente alla morte. Il ministero sacerdotale del santo sviluppò una crescente consapevolezza del significato di una omelia medievale - citata da Heidegger in Essere e Tempo - secondo la quale "non appena un uomo entra nella vita, è già vecchio abbastanza per morire".

Riguardo all'origine e agli effetti dell'inquietudine di Jean-Marie nei confronti della morte, è importante sottolineare che vi era qualcosa che trascendeva le tesi di Heidegger e persino quelle di Kierkegaard. Questo è evidente nelle varie fasi della vita e del ministero del curato. Fede, speranza e carità sono le fondamenta di tutta la genuina inquietudine cristiana.
Nel 1843, il curato spiegò a un amico le origini della propria inquietudine che lo condusse al primo tentativo di "fuga" da Ars. "Ah, non è il lavoro (del ministero sacerdotale) che costa; ciò che mi terrorizza è il bilancio della mia vita come curato". Allo stesso tempo, confessò a un altro amico:  "Tu non sai cosa significa passare dalla cura delle anime al tribunale di Dio".

La sua inquietudine aveva le radici nell'esperienza di confessore. Ogni volta che entrava nel confessionale, iniziava la sua morte, perché viveva quello che Gesù voleva per quel penitente. Illuminante la descrizione che Hans Urs von Balthasar ha elaborato sull'inquietudine cristiana e anche l'applicazione di questa descrizione al compito confessionale del curato:  "Un cristiano può farsi carico ed essere solidale (con i peccatori) proprio nella misura in cui si è separato dal peccato. Può entrare nell'inquietudine, a nome del peccatore, nella misura in cui si sia, oggettivamente, liberato dall'angoscia del peccato".

Per decine d'anni egli ascoltò confessioni per diciotto ore al giorno. Nel villaggio di Ars, che contava all'incirca duecentotrenta anime quando il curato arrivò nel 1818, durante il suo ultimo anno di vita, nel 1859, giunsero più di centomila pellegrini. Perché andavano? I pellegrini sapevano che non sarebbero stati guardati "teoreticamente". Il curato non li guardava come un fisico osserva le particelle dell'atomo. C'era qualcosa di più nella sua presenza.

Io stesso ho sperimentato quel "qualcosa in più" alla presenza di madre Teresa di Calcutta. Lei stava visitando l'abbazia di Walburga, in Boulder, nel Colorado, alla fine degli anni Ottanta e dopo cena, passeggiò con noi, eravamo circa trenta persone. In quel momento avvertii qualcosa che solo lei apparentemente provò:  il mistero di essere separati quando avremmo dovuto essere uniti. Successivamente, percorrendo un corridoio, si fermò a lungo davanti a un crocifisso e poi, dopo un momento di silenzio, disse quietamente:  Sitio ("Ho sete").

Questa breve affermazione d'intensa preghiera, ha vinto il senso di angoscia radicata nella nostra fragile contingenza. Allo stesso modo, uno sguardo veloce alla profonda vita spirituale del curato, che era intrisa dell'amore di Dio e di Cristo, spronò migliaia di persone ad avere una più profonda fiducia.
Da un punto di vista di una personalità cattolica del medioevo, Mechtild di Magdeburgo:  "Amore senza conoscenza è oscurità per l'anima saggia. La conoscenza incompleta è come la sofferenza dell'Inferno". Mechtild insiste sull'abbraccio della morte, perché tale generoso abbandono alla volontà di Dio produce molti frutti, questo dono totale di sé a Dio può essere portato a completamento soltanto quando qualcuno, per obbedienza a Dio, risponde alla Sua chiamata alla morte.

L'obbedienza a Cristo fino alla morte, per il curato d'Ars significava consacrarsi  alla verità, tema che Benedetto XVI ha affrontato nell'omelia tenuta durante la messa del Crisma del Giovedì santo 2009, quando ha citato Gesù  all'ultima  cena,  "per  loro io consacro  me  stesso,  perché siano anch'essi consacrati nella verità". (Giovanni, 17, 19).
L'amore, richiamato nella preghiera citata precedentemente, fu donato generosamente dal curato. Chiunque lo incontrava ne era convinto. Tutti i testimoni parlano della sua straordinaria presenza e della generosità della sua persona. Il curato amò Dio senza lamentarsi, non poteva quindi ignorare coloro che Dio ama.



Notevole fu l'influenza che la santità del curato ebbe sulla gente del posto. Immediatamente dopo il suo arrivo ad Ars, i parrocchiani si resero conto del suo modo di fare. Nell'oscurità che precede l'alba, quando la sua piccola lanterna si poteva intravedere attraverso le modeste finestre dell'edificio, in molti scoprirono che potevano trovare il loro pastore prostrato in preghiera nella chiesa. Rimaneva lì fino all'alba. E questa sua abitudine a pregare proseguì per anni, fino a che il confessionale richiese la sua totale attenzione. Capitava che gli chiedessero in che modo pregasse. Lui glielo spiegava e loro memorizzavano la sua preghiera. "Mio Dio - invocò una volta nell'oscurità delle primissime ore del mattino - donami la conversione della mia parrocchia; sono disposto a soffrire tutta la mia vita, farò qualsiasi cosa che ti possa far piacere, mettimi tutto il peso che vorrai sulle spalle, sì anche per centinaia di anni sono pronto a resistere alle sofferenze più laceranti, ma fa che il mio popolo si converta".

Il curato amava raccontare la storia di un buon contadino che faceva parte dell'antica Compagnia del Santissimo Sacramento ad Ars. Il suo nome era Louis Chaffangeon. Fino a che non aveva visto pregare le donne, era soddisfatto di far parte del corteo che portava una candela nei giorni della benedizione o di partecipare alle processioni. Ma l'esempio delle donne operò in lui una profonda conversione.

Lasciamo raccontare al curato la sua storia:  "Un po' di anni fa morì un uomo della parrocchia, che era entrato in chiesa la mattina per pregare prima di andare fuori nei campi, lasciò la sua zappa fuori la porta e si perse totalmente in Dio. Un vicino che lavorava non lontano da lui, e lo vedeva solitamente nei campi, si meravigliò della sua assenza. Sulla strada per tornare a casa, guardò in chiesa, pensando che l'uomo potesse essere lì. Infatti lo trovò nella chiesa. "Ma che fai tutto il tempo qui?" chiese l'uomo. E l'altro gli rispose:  "Guardo il buon Dio, e lui guarda me"".

Grazie alla guida pastorale del curato, molti altri parrocchiani divennero contemplativi silenziosi davanti dell'Eucaristia. Entrando in chiesa il contadino scorse una piccola fiammella rossa davanti al tabernacolo. Si rese conto della Realtà divina davanti a lui. Attraverso l'esempio del curato e i suoi insegnamenti, capì che il suo mondo non era limitato al lavoro nei campi e che il tabernacolo ne faceva parte. Quest'uomo rappresenta soltanto uno degli abitanti di Ars che avevano interrotto la routine della vita quotidiana e erano stati scossi dalla guida spirituale di Jean-Marie.

Attraverso la santità, la preghiera, la penitenza e il senso della comunità, il curato aiutò la sua gente a superare il superficiale moralismo del giansenismo francese. Spronò gli uomini e le donne a uscire dalla quotidianità e dietro il suo esempio l'intera parrocchia cambiò direzione.

Concludo con tre raccomandazioni. L'istinto della conquista del curato d'Ars fu acceso dal suo amore per Dio attraverso la preghiera. Quotidianamente, la preghiera prolungata è essenziale per la vita del sacerdote con Dio, ma senza mortificazione è impossibile pregare. Inoltre, l'intera pratica della virtù dell'obbedienza durante la vita quotidiana nella Chiesa è una preparazione a dire fiat alla morte. Nell'obbedienza alla fede noi troviamo la nostra consolazione. Infine, la pratica dell'ascolto in confessionale conduce il sacerdote a una profonda condivisione nell'angoscia "mistica" di Cristo e "dell'infinita incongruenza della Croce".


(©L'Osservatore Romano - 18 luglio 2009)
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Il santuario sotto il cielo di san Giovanni Maria Vianney

Nel piccolo villaggio di un grande santo


da Ars
Marco Roncalli

Sta per calare il tramonto nella cittadella del sacerdozio. E non si vede troppa gente in giro. Preti a parte, che ad Ars sembrano non mancare mai. Alcuni sono soli e capita di vederli in clergyman, fermi nelle loro auto sotto i platani, mentre recitano il breviario. Altri indugiano a gruppetti fuori dal Foyer Sacerdotale Jean-Paul ii, lo spazio d'accoglienza gestito dalla società Saint Jean-Marie Vianney che li fa sentire a casa propria. Qualcuno è lì nel centro del paese, scatta l'ultima foto o esce dalla libreria religiosa, quasi davanti alla basilica costruita a ridosso della vecchia chiesa. Senti sempre ripetere che non ci sono vocazioni e a vedere tanti sacerdoti insieme, anche giovani, ti si rinfranca il cuore.

Non importa se sono volti anonimi di cui tutt'al più intuisci la provenienza, complici il dialetto veneto o la cadenza milanese, la lingua francese o polacca, i lineamenti orientali, dell'America Latina, dell'Africa. Sono gli stessi volti fugacemente incrociati lungo il giorno. Quando hai visto i loro occhi curiosi nella disadorna Maison du Saint Curé o il loro abbandono orante nella Cappella del Cuore edificata nel 1930, luogo di profondo raccoglimento. O quando li hai guardati in ginocchio sulla balaustra davanti all'urna con le spoglie dell'abbé nella sua chiesa parrocchiale e ti sei chiesto per chi stessero pregando. Un bagno spirituale la loro sosta nel piccolo borgo del grande santo, l'incontro con colui che è stato proclamato da Pio xi patrono universale dei parroci. Adesso torneranno a casa, o, meglio, nelle loro parrocchie.


 
Già, la parrocchia. Non aveva ragione don Primo Mazzolari a continuare a indicarla come la cellula indispensabile della Chiesa, il luogo privilegiato dell'annuncio cristiano, anche di fronte alle crisi di certi modelli bisognosi di rinnovamento, vuoi per il mutare dei tempi e dell'ecclesiologia? Me lo chiedo mentre penso che forse Bozzolo non è così lontana da Ars. E me lo chiedo ben convinto, con lo storico Philippe Boutry, di un fatto:  è attraverso le parrocchie che nella Francia dell'Ottocento passa il riassetto dei quadri della vita religiosa dopo l'uragano della Rivoluzione; lì si esprime la maggior parte della vita spirituale, che si nutre dei sacramenti - a cominciare dalla confessione e dalla comunione - spesso posti ai fedeli dai parroci con tale forza che pietà popolare e culto  cattolico finiscono per sovrapporsi.

Ecco perché, nonostante l'attenzione degli storici sia spesso concentrata sul volto più istituzionale della Chiesa - con i suoi vescovi, i fondatori di ordini e di opere, i suoi teologi - anche semplici preti di campagna, ma vicini ai loro piccoli greggi, hanno poi trovato interesse. Ne è un esempio proprio Jean-Marie-Baptiste Vianney:  alla guida per quarantuno anni di una piccola parrocchia rurale, l'ha santificata nella prospettiva di una conversione totalizzante, con un impegno tale da sacralizzare persino lo spazio del suo agire, trasformandolo in un santuario a cielo aperto, fuori dal tempo:  che è stato il suo, ma che è anche il nostro.

Arrivando ad Ars, alla vigilia e dopo la morte di Vianney, ma anche oggi, il pellegrino s'emozionava un po' mettendo i piedi su questo fazzoletto di terra benedetta dalla presenza di un santo vivo:  nella carne come nel ricordo. A sfuggirgli, piuttosto, dietro il volto del borgo, proprio le sequenze storiche che avevano avuto protagonista l'eccezionale pastore, capace di trasformare "la Siberia della diocesi di Lione" - dove era stato mandato perché era ritenuto un parroco poco affidabile - in una sorta di "Eldorado cristiano", per riprendere le parole di un pellegrino dell'Ottocento. Nulla, a ben guardare, predisponeva questo villaggio dell'Ain a tale avventura, portata a compimento in più momenti, fra il 1818 e il 1830, poi dopo la morte del curato d'Ars nel 1859, centocinquant'anni fa, un'avventura per certi versi ancora aperta.

Lontano geograficamente dal polo economico-sociale di Lione, il piccolo paese - nemmeno trecento abitanti per lo più contadini, piccoli proprietari e giornalieri chini su terre a lungo già beni ecclesiastici - costituì la realizzazione dei sogni degli abbés della Restaurazione. Eppure, per dar forza al sogno, Vianney capì che doveva trovare accanto a sé non solo lo sparuto mannello di anime affidatogli, ma anche quanti, allora, reggevano le sorti di istituzioni come il Comune, il consiglio municipale, i piccoli consigli delle realtà lavorative, pronti ad aderire alle sue mete, colpiti dalla sua credibilità persino nel condannare, senza farne una leggenda nera, il cabaret o il ballo, rare occasioni di socializzazione laica ma imperniate su feste depotenziate del loro significato religioso.

Ecco dunque l'innescarsi di un progetto totalizzante per la comunità che aveva visto svanire dietro di sé l'irruzione della pietà barocca e viveva le conseguenze dell'ondata rivoluzionaria ormai dimentica del sentire cattolico. Tutto inizia il 13 febbraio 1818 quando il giovane Jean-Marie-Baptiste arriva qui dove si apre la zona dei mille stagni, le Dombes modificate da generazioni di monaci, costellate di piccionaie, lavatoi, fattorie, chiese romaniche. Si narra che al giovane pastore cui aveva chiesto la strada per il villaggio Vianney avesse detto, con il suo grazie, la frase "e io ti mostrerò il cammino del cielo". Oggi una statua che i dépliant chiamano pomposamente "il monumento dell'incontro", ricorda quella prima lontana tappa, oggetto proprio in questi giorni di un approfondimento qui ad Ars da parte dei seminaristi del San Carlo di Lugano guidati dal teologo monsignor Ettore Malnati e dal vescovo di Belley-Ars, Guy Bagnard.

Un ingresso quello del curato - ça va sans dire - senza alcun festeggiamento. In ogni caso, varcato il limes dove tra i frutteti si trovavano sparse sì e no una quarantina di casupole di argilla e, dove, a mezza costa, si vedeva un edificio sormontato da travi che dovevano sostenere una campana - la sua chiesa - ecco Vianney inginocchiarsi e baciare la sua nuova terra. Cerchi di immaginarti la consapevolezza di un gesto devoto, ma pure i pensieri del prete contadino:  quelli di un uomo di trentadue anni, piccolo, magro, al quale i superiori avevano detto:  "Non c'è molto amor di Dio in quella  parrocchia;  voi  ce  ne metterete".
E provi a fantasticare sul suo primo ingresso nella canonica - ora trasformata in un piccolo museo - affacciata su un cortile dove è fermo, chissà da quanto, un antico carretto. Un piano terra con cucina e sala da pranzo e un piano superiore con tre stanze, le pareti di pietra, gli utensili, i libri, le tazze, una tonaca rattoppata; tutto lasciato lì come se il tempo si fosse fermato, come se l'acqua del Formans, il ruscello che tranquillo attraversa il paese, fosse sempre la stessa.

Più facile, liberandoci d'ogni immaginazione, dar conto di tutto quanto accadde dopo, magari attingendo alla valanga di libri dedicati al curato d'Ars, che, a partire dai "grandi vecchi" come l'abbé Alfred Monnin, suo commensale, o monsignor François Trochu, arriva ai nostri giorni. Senza dimenticare pagine nate dalla penna di autori celebri. Da Henri Ghéon a Jean de La Varende, da Michel de Saint-Pierre a Georges Bernanos, da Ernest Hello al poeta Jean Follain. Sino a Cristina Campo che in una lettera definì Vianney "una terribile aquila che ti rapisce nel suo forte becco ad altezze spaventose e poi, come l'uccello Roc che trasportava Sindbad, ti lascia cadere con la massima indifferenza; e peggio per te se non sai volare", aggiungendo "non mi stupisce che Simone [Weil] lo amasse tanto".

Nei fatti, Jean-Marie-Baptiste stilò quel che oggi si definirebbe il suo programma pastorale in più modi. Meditando ai piedi del tabernacolo, entrando nelle famiglie e condividendone i problemi, scuotendo l'indolenza con la predicazione:  "Sarebbe da augurarsi che tutti i parroci di campagna predicassero bene come lui", disse Lacordaire dopo aver ascoltato una sua omelia il 4 maggio 1845. E, ancora, facendosi prigioniero del suo confessionale nella vecchia sagrestia, offrendo con la sua persona la testimonianza di una vita povera, indicando nella comunione frequente il necessario alimento spirituale, rompendo così col dominante rigorismo di tendenza giansenista e gallicana che aveva fatto del sacramento il premio di una vita cristiana irreprensibile. Nonché intensificando i momenti pubblici - messe quotidiane, catechismo, vespri, preghiere della sera, letture devote, rosario, processioni, pellegrinaggi, rogazioni - della sua restaurazione spirituale per Ars, che andò a braccetto con quella materiale; diceva che "niente è troppo bello per Dio", e da qui vennero gli abbellimenti della chiesa, il campanile, il coro, le cappelle Jean-Baptiste nel 1823, Ecce Homo nel 1833, Sainte Philomène nel 1837.

Certo, c'è poi Vianney apostolo della carità, il fondatore della Provvidenza, la casa prima scuola gratuita, poi orfanotrofio a pochi passi dalla canonica, dove oggi le suore di San Giuseppe - venute ad Ars nel 1848 - invitano il visitatore a scoprire la cosiddetta madia miracolosa dalla quale il parroco prendeva il pane anche quando non sembrava esserci. E c'è il taumaturgo che già attorno alla metà del secolo attirava malati nel corpo e nello spirito, genitori angosciati dalla mortalità infantile - anche quelli di Marie-Joseph Lagrange, il fondatore dell'École biblique di Gerusalemme assai legato a Vianney - e poi folle sempre più grandi, sino alla morte, ed oltre.

Con numeri significativi che registrano dalle ottantamila presenze annue già nell'Ottocento al quasi mezzo milione di oggi:  specie in questo periodo giubilare in cui "ci si rallegra del dono che è la vita di un santo" per usare le parole di monsignor Bagnard. La vita di un santo prete vissuto fra Rivoluzione e Restaurazione, nel quale - ribadiva tempo fa il cardinale André Vingt-Trois - "ciò che è esemplare non è il luogo e il tempo in cui gli è toccato di vivere, ma l'amore pastorale per il suo popolo, la catechesi di tutti i giorni attraverso la predicazione e il catechismo per i piccoli e per i grandi, la misericordia offerta e elargita attraverso il sacramento della penitenza e la conversione della sua vita". Un santo, ancora, la cui celebrazione se l'ha esposto al rischio di risvegliare piccole frange di neoconformismo clericale di ritorno pronte a farlo ostaggio o involontario testimonial di nostalgie passatiste, ha in realtà offerto ai più l'occasione di scoperta straordinaria, e dentro di questa, la sorpresa di un'impensabile prossimità.

Tra i più, tanti giovani. Seminaristi che hanno scoperto nel profilo di questo prete il significato delle attese di Benedetto XVI circa l'anno sacerdotale, ma anche la devozione per lui di Karol Wojtyla - pellegrino ad Ars già nel 1947, poco dopo l'ordinazione sacerdotale - o del futuro Giovanni xxiii, giunto nella parrocchia del santo curato già nel 1905 e che da Pontefice firmò l'enciclica Sacerdotii nostri primordia a lui dedicata. E poi laici, come quelli che il 18 settembre parteciperanno al pellegrinaggio intitolato a san Francesco Régis. Infine, sacerdoti:  i molti incontrati nello scorcio di questa estate che sta finendo e i tanti attesi ad Ars per il ritiro sacerdotale internazionale che dal 27 settembre al 3 ottobre sarà predicato dal cardinale Christoph Schönborn su un tema centrale in questo anno voluto da Benedetto XVI:  "La gioia di essere sacerdote:   consacrato per la salvezza del mondo".


(©L'Osservatore Romano - 14-15 settembre 2009)
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