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I cristiani e il servizio militare

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 14:48
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24/07/2009 14:48

I cristiani e il servizio militare

di Marta Sordi

Nel Nuovo Testamento non vi è traccia di condanna nei confronti del soldati del tempo. Fu l’eresia montanista a teorizzare il rifiuto della militia per i cristiani, ma questa non fu mai la dottrina della Grande Chiesa.

Nei primi due secoli del Cristianesimo nessuna obiezione di principio fu opposta al servizio militare. L’esortazione del Battista al soldati (Lc 3,14) era di accontentarsi dei loro stipendi senza cercare con la violenza e la calunnia guadagni abusivi. La lode rivolta da Cristo al centurione romano di Cafarnao (Lc 7,1-10) va innanzitutto alla sua fede, ma non c’e dubbio, per chi esamina il comportamento e le argomentazioni dello stesso centurione, che la sua fede è, in un certo senso, preparata e provocata dall’attitudine, acquisita nell’esercito, alla disciplina romana. Una lode esplicita di questa disciplina si trova nella Lettera al Corinzi di Clemente Romano (cap. 37): «Pensiamo al soldati che militano sotto i nostri capi, con quale disciplina, sottomissione e subordinazione ne eseguono i comandi. Non tutti sono proconsoli, né tribuni, né centurioni... ma ciascuno al proprio posto esegue i comandi dell’imperatore e dei superiori». E non dimentichiamo che il primo convertito dal paganesimo al cristianesimo è proprio un centurione romano, Cornello, secondo gli Atti degli Apostoli. Tertulliano, ormai montanista, è il primo a prendere posizione contro il servizio militare dei Cristiani.

Tra i testi più citati da parte dei moderni per dimostrare l’antimilitarismo dei Cristiani fin dai primi secoli — e la continuità nel Cristianesimo delle origini dell’obiezione di coscienza al servizio militare — ne ricordiamo tre: il De corona militis di Tertulliano, scritto nei primi decenni del III secolo per celebrare il rifiuto di un soldato cristiano di cingersi della corona in occasione di una liberalitas imperiale; la Tradizione Apostolica di Ippolito, dello stesso periodo; e gli Atti di Massimiliano, primo e unico sicuro “obiettore di coscienza” dell’antichità cristiana, del 295 d.C.

Non c’è dubbio che in questi testi il rifiuto e la condanna della militia sono chiari e inequivocabili: il soldato del De Corona non aveva in realtà rifiutato la militia, ma solo la corona, da lui ritenuta segno di idolatria. Ma Tertulliano prende spunto dall’episodio per domandarsi (11,1) an in totum Christianis militia conveniat («se ai cristiani si addica in generale il servizio militare») e per rispondere, con una serie di incalzanti argomentazioni che ipsum de castris lucis in castra tenebrarum nomen deferre transgressionis est («scrivere il proprio nome passando dall’accampamento della luce a quello delle tenebre e già una trasgressione») (11,4).

Per Tertulliano un cristiano non può diventare soldato senza commettere peccato; diverso per lui è il caso di chi, essendo già soldato, si converte al Cristianesimo. La stessa posizione si trova nel capitolo 16 della Tradizione di Ippolito: il catecumeno o il fedele che vogliono diventare soldati devono essere espulsi, perché hanno disprezzato Dio; quelli che sono già soldati non devono uccidere nessuno, neppure se ne ricevono l’ordine, e non devono giurare. Una tarda rielaborazione della Tradizione Apostolica di Ippolito sono i cosiddetti Canoni di Ippolito, databili a quanto sembra al IV sec. (cfr. in particolare Can. 71,72,74,75). Negli Atti (o Passio) di Massimiliano, infine, il giovane, figlio di un veterano, e per questo costretto ad arruolarsi, rifiuta il servizio militare affermando che a lui non è lecito militare perché e cristiano. Dopo aver confermato più volte il suo rifiuto davanti alle insistenze del proconsole Dione, viene da lui condannato a monte “quia indevoto animo militia recusasti” («poiché, con animo irrispettoso, hai rifiutato il servizio militare»).

La radicalità della posizione di Tertulliano e di Ippolito e della testimonianza personale di Massimiliano non sembra però condivisa dagli altri cristiani: sia nel De Corona, sia nella Passio di Massimiliano risulta chiaramente che nel momento in cui si verificano i due episodi, in un arco temporale di circa ottant’anni, i cristiani che militavano nell’esercito romano erano molti. Nel De Corona (1,4), commentando il gesto del soldato, Tertulliano dice: “solus scilicet fortis, inter tot fratres commilitones, solus Christianus” («di certo l’unico forte, tra tanti fratelli commilitoni, l’unico cristiano»). E a Massimiliano, che dichiara di non poter saeculo militare («prestar servizio militare nel mondo pagano») perché cristiano, Dione risponde tranquillamente: In sacro comitatu dominorum nostrorum Diocletiani et Maximiani, Costantii et Maximi, miltes Cristiani sunt et militant (Passio, 2) («Nella sacra corte dei nostri signori Diocleziano e Massimiano, Costanzo e Massimo ci sono soldati cristiani e prestano servizio»).

In effetti la vicenda di Massimiliano è di poco anteriore alla cosiddetta epurazione militare con cui Diocleziano, ispirato da Galerio, costrinse i soldati cristiani a sacrificare agli dei o ad abbandonare l’esercito, con una decisione che dopo quarant’anni di tolleranza apriva di nuovo la strada alla persecuzione anticristiana e ne era la prima avvisaglia. Lattanzio (De mortibus pers. 10) ed Eusebio (H. E. VIII, 4, 3) riferiscono che furono molti allora i cristiani che resero testimonianza alla loro fede, abbandonando l’esercito con la rinuncia all’honesta missio e ai privilegi che ne derivavano. L’epurazione militare rivela dunque chiaramente che erano molti i cristiani che, a differenza di Massimiliano, non sentivano la militia incompatibile con la loro fede e che, nello stesso tempo, non erano disposti a compromessi con la fede quando la richiesta del sacrificio agli dei li poneva di fronte a una scelta decisiva. In linea con questi soldati è il caso di Marino, ben attestato storicamente, non viziato da elementi leggendari e databile fra il 253 e il 257 (Eus. H.E. VII, 15). Ma c’è di più: la posizione radicale di Tertulliano e di Ippolito (il caso di Massimiliano è diverso, perché egli non pretende di assolutizzare la propria scelta) non è certamente quella della Grande Chiesa: di Ippolito è nota la posizione rigorista che lo indusse alla polemica contro Papa Callisto e lo portò ad alimentare in Roma uno scisma contro di lui; in quanto al De Corona di Tertulliano, si sa che esso esprime, come altri scritti polemici verso la Chiesa dello stesso periodo (ad esempio il De Idolatria), la scelta montanista dello scrittore africano. Quindi nel De Corona Tertulliano esprime la posizione sua e del suo gruppo, non la convinzione dei cristiani del suo tempo e della Chiesa, con la quale anzi polemizza apertamente. Nel passo già citato, dopo aver detto che rifiutando la corona il soldato si era mostrato come il solo cristiano fra tanti fratres commilitones (che avevano accettato la corona senza protestare), Tertulliano aggiunge “Plane superest, ut etiam martyria recusare meditentur, qui prophetias eiusdem spiritus sancti respuerunt” (ib. 1,4) («Resta di certo che si preparino a rifiutare anche il martirio, coloro che hanno rigettato le profezie dello stesso Spirito Santo»).
L’accenno alle profezie permette di inquadrare l’episodio nell’atmosfera di tensione alimentata dal Montanismo e avversata dalla Grande Chiesa. Peraltro, il soldato rifiuta la corona ritenendola simbolo idolatrico, ma non rifiuta la militia. Il rifiuto del servizio militare, a cui il Montanismo spingeva, non era affatto una delle condizioni che la Grande Chiesa imponeva ai suoi fedeli. La prova migliore ce la fornisce Tertulliano stesso, che alcuni anni prima, tra la fine del II e gli inizi del III secolo, non ancora montanista, proclama nel suo Apologetico con orgoglio davanti ai pagani che i Cristiani riempiono ormai urbes, insulas, castella, municipia, conciliabula, castra ipsa, tribus, decurias, palatium, senatum, forum. Sola vobis reliquimus templa (Apol. 37,4) («città, quartieri, villaggi, municipi, luoghi di ritrovo, gli stessi accampamenti militari, le tribù, le decunie, il palazzo, il senato, il foro. Soli vi abbiamo lasciato i templi»). La menzione dei castra, gli accampamenti militari nel quali i cristiani sono presenti, mentre disertano i templa, conferma l’assenza di pregiudizi antimilitaristi nel cristianesimo precostantiniano.

Bibliografia

Maria Sordi, Il Cristianesimo e Roma, CappeIli 1965, pp. 481-483.
Maria Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Jaca Book 2004, p. 112; p. 149 e sgg; p. 162 e sgg.
Maria Sordi e Ilaria RamellI, In Parola spirito e vita (Quaderni di Lettura biblica 41, 2000, Il montanismo, pp. 201 e seguenti).

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