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Roma: II Convegno del Summorum Pontificum.

Ultimo Aggiornamento: 21/10/2009 11:10
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17/10/2009 12:26

Relazione al convegno sul motu proprio di mons. Athanasius Schneider

Mons. Schneider - nella foto, durante la Messa prelatizia di questa mattina - è un giovane (48 anni) vescovo ausiliario di Karaganda, Kazakistan, dove i suoi genitori, tedeschi, furono deportati durante gli anni sovietici

La sua relazione ha per titolo La sacralità e la bellezza della Liturgia nei santi Padri.

Il libro dell'Apocalisse dipinge la liturgia celeste come modello di quella terrestre: quello è il modello liturgico dai tempi apostolici e fino al Concilio Vaticano II. Lo confermano gli scritti di
Clemente I (primo secolo), la Passio Perpetuae Felicitatis, l'Anafora di Gerusalemme, le Catechesi Mistagogiche (III-IV sec.), S. Giovanni Crisostomo. Occorre dunque tornare alla pristina sanctorum patruum norma. San Clemente Papa ricorda come nel rito ci si debba conformare agli angeli che rendono il culto celeste e all'inno angelico dell'Apocalisse, il Trisaghion, Santo Santo Santo.

Coprirsi la faccia, inchinarsi, dare a Dio uno e trino il primo ed unico posto: questi i gesti degli Angeli dell'apocalisse nel culto all'Onnipotente.

Il culto dev'essere un Ordo (in greco tàxis), un ordine, dice Clemente nel primo secolo. Esso, cioè, dev'essere precisamente predeterminato e non lasciato all'improvvisazione.

La seconda testimonianza (il rapporto del martirio di Pepetua e Felicita) del II secolo, di ambiente africano, ci dice che le martiri entrate in Paradiso sentono cantare il Trisaghion dagli Angeli.

La Anafora di S. Giacomo rappresenta la tradizione liturgica di Gerusalemme, del IV secolo. Anche qui si rimanda per speculum la liturgia terrena a quella angelica. Si ricordano anche i serafini, che circondavano il trono dell'Altissimo e con le loro sei ali, con due si coprivano la faccia, con due i piedi, e con due volavano, secondo Isaia. L'Anafora ci dice che i serafini cantano incessantemente la teologia, ossia, nel senso di quel testo, cantano la lode e adorazione di Dio. La dossologia deve essere teologia: ossia, il culto esterno deve svolgersi in modo da esprimere la Fede in Dio uno e trino. Rendere gloria (doxa) significa esprimere la fede. Per cui la liturgia dev'essere assolutamente teocentrica; un antropocentrismo nella liturgia è completamente estraneo alle idee dei Padri.

Da queste reminiscenze serafiche, nell'antico rito romano, deriva il coprirsi le mani nella benedizione eucaristica, o le chiroteche dei vescovi, o il gesto del suddiacono che copre le mani, o la velatura degli oggetti liturgici. Nella liturgia orientale tale ruolo è svolto dall'iconostasi.


Il fatto di porre oggi il seggio del sacerdote al centro, è quanto di più opposto e contrario al pensiero dei Santi Padri e al senso mistagogico che ci viene dalla divina rivelazione, in primo luogo dall'Apocalisse. Anche il fatto di toccare le specie da parte dei laici, e specie senza velature né gesti di adorazione, è in contrasto con questo senso della liturgia.

S. Giovanni Crisostomo nella sua omelia su Isaia esalta che ai sacerdoti sia concesso il potere di toccare con le loro mani consacrate ciò che ai serafini non è possibile toccare. Infatti Isaia il serafino con le molle prese il carbone, che Isaia passò poi sulle labbra per purificarsi, toccando quanto il serafino solo con molle aveva osato prendere. E quanto più prezioso, alto e bruciante è il Corpo del Signore, il Sancta Sanctorum.

Per questo adorazione, riverenza, gesti di latrìa nella liturgia non possono essere omessi nella liturgia, perché l'esempio di essi ci viene dagli Angeli. La proskynesis, la prostrazione adorante, è negli scritti dei padri associato alla velatura e al culto.

Le riforme liturgiche, tanto dopo il Concilio di Trento quanto nella Sacrosanctum Concilium, si richiama alla "antica norma dei Santi Padri". Occorre quindi esprimere più chiaramente il sacro (SC 21). Un ritorno ai Padri non può quindi portare ad una riduzione dei gesti di reverenza e di adorazione, ma semmai un loro aumento, in modo da esprimere in modo ancor più evidente e comprensibile il terribile mysterium.

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