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Ultimo Aggiornamento: 22/08/2009 17:14
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21/08/2009 12:39

Nel guscio delle "chat"
C'è un solo grande problema che accomuna, da sempre, tutti i mali del mondo: l'egoismo. Il male si sviluppa perché gli esseri umani pensano troppo a se stessi e si dimenticano che esistono gli altri. Viviamo, troppo spesso, rinchiusi in un guscio, in cui ognuno tende a curare i propri interessi, trascurando quelli di chi è al nostro fianco. Per cambiare il mondo, a poco a poco, giorno dopo giorno, bisogna imboccare la strada inversa: uscire dal proprio guscio di egoismo ed accorgersi della presenza del prossimo. Ma, per fare questopubblicato , è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale, che deve partire fin dall'infanzia. Oggi, purtroppo, accade esattamente il contrario. I ragazzi, fin dalla più tenera età, vengono educati all'egoismo, ad uno stato di isolamento continuo che impedisce loro di accorgersi dell'esistenza degli altri. La massima espressione di questFatima o triste fenomeno è rappresentata dalla moda delle "chat". Questa parola inglese, che significa "chiacchierata" si utilizza per definire una specie di "salotto virtuale", creato su Internet, dove le persone possono "dialogare" (si fa per dire!), in tempo reale, da ogni parte del mondo. E' come se tanti giovani stessero in una stanza e parlassero contemporaneamente tra loro. In questo caso, però, tutto avviene attraverso lo schermo di un computer, dove la gente "comunica" (si fa per dire, ancora una volta!), con le dita su una tastiera. Prima di parlare delle "chat", bisogna fare un passo indietro e identificare il terreno culturale (o non-culturale) in cui si è sviluppata questa moda. Perché, improvvisamente, così tante persone scelgono i rapporti virtuali, al posto di quelli veri? Invece di dire "Ci vediamo oggi pomeriggio al muretto", preferiscono dire "Ci parliamo stasera in chat". Perché sta succedendo questo? Non sarebbe meglio uscire di casa e fare una passeggiata con gli amici? Il problema è che i giovani, oggi, sono letteralmente "educati" alla scelta del falso e del virtuale, fin dall'infanzia. Pensiamo, ad esempio, a come è cambiato il modo giocare. Sta scomparendo l'antica e sana "cultura del cortile e della piazza", luoghi all'aperto in cui i bambini praticavano tradizionali giochi di gruppo, allegri e creativi. Si preferisce la soluzione "casalinga", che si traduce in un vero e proprio abbandono di fronte al computer o alla televisione. L'unico amico con cui giocare, per molti ragazzi, è il pupazzetto sanguinario e violento di qualche videogioco. Un amico virtuale con il quale non è possibile alcun dialogo. Un tempo, i giochi all'aperto rappresentavano parentesi di svago costruttive, in cui si stava insieme e ci si confrontava l'uno con l'altro. Non erano soltanto un'occasione di divertimento, ma soprattutto momenti educativi in cui ci si abituava ad avere delle regole, a lottare con correttezza e a rispettare l'avversario. Oggi, purtroppo, si diffonde sempre di più la moda dei videogiochi, in cui il bambino si ritrova solo di fronte allo schermo freddo di un computer. E' vittima di fantasie "già pronte" e la sua mente si ritrova ad essere "ingabbiata", privata della sua creatività. La "cultura della scoperta dell'altro", importantissima per dare un sano contributo alla società, viene sostituita da una "non-cultura dell'altro virtuale", dell'altro che non esiste. E quindi, che non viene considerato o rispettato. La stessa cosa accade in certe "chat", dove "l'altro" è soltanto un falso nome, dietro il quale potrebbe nascondersi chiunque. Questi "salotti virtuali" rappresentano, di fatto, una grande contraddizione. Da una parte, danno l'illusione dell'onnipotenza. Chi li frequenta crede che rappresentino l'esaltazione della comunicazione, perché permettono di entrare in contatto con il mondo attraverso un semplice "click". Ma prima di entusiasmarsi troppo, bisognerebbe chiedersi: qual è la qualità della mia comunicazione? Con chi sto comunicando? Che cosa sto comunicando? In molti casi, i frequentatori delle "chat" si nascondono dietro una maschera. Capita che gli uomini si fingano donne e viceversa. Oppure che gli adulti si fingano bambini. Insomma, la "chat" rischia di trasformarsi in un "teatrino" di bugie e di inganni, a discapito di tante persone in buona fede. Naturalmente non bisogna generalizzare e dire che tutte le "chat" siano pericolose. Ma non si può negare che questo tipo di pseudo-comunicazione susciti tanti punti interrogativi. In molti casi, finisce per sostituirsi al contatto vero con la realtà, diventando una vera e propria "cella di isolamento". Può contribuire alla creazione di un'autentica "mentalità virtuale", in grado di distorcere la consapevolezza del proprio rapporto con gli altri. L'invasione, sempre più schiacciante, del virtuale nella vita dei giovani rappresenta un grave problema dei nostri tempi. Come si fa a considerare il prossimo, se non ci si abitua realmente ad incontrarlo e a dialogare con lui? Come si possono prendere a cuore i suoi problemi? Per contrastare questo fenomeno, bisogna alimentare nelle nuove generazioni un'autentica "cultura dell'impegno". Esprimersi attraverso i tasti di un computer, significa rifiutare il confronto sincero con altri esseri umani. Significa rinunciare ad impegnarsi, perché il rapporto con il prossimo rappresenta anche un impegno, uno sforzo per mettersi in discussione. E' importante, invece, cercare le persone vere, imparare a comprenderle e ad amarle sul serio, anche a costo di fare dei sacrifici. Questo sforzo personale potrà sicuramente contribuire ad una maturazione dei giovani, aiutandoli ad affrontare in modo più costruttivo il cammino della vita.
Carlo Climati

Articolo pubblicato su "Maria di Fatima" (2006).
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