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La bellezza di fare il parroco

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2009 18:55
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04/09/2009 18:55

La bellezza di fare il parroco
Don Luigi Pellegrini racconta gioie e dolori dell’essere preti oggi



di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 3 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Secondo l’annuario Statistico della Chiesa (edizione 2008) sono 407.262 i sacerdoti nel mondo. Di questi una grande parte svolgono il compito di parroci e guidano, consigliano, assistono, educano, comunità locali di persone e famiglie.
Il loro ruolo ha una funzione religiosa, sociale e civile insostituibile. Eppure, una certa cultura secolarizzata attacca, critica e cerca di screditare i parroci ed i sacerdoti.

In questo contesto e nel corso dell’Anno Sacerdotale, ZENIT ha intervistato don Luigi Pellegrini, parroco dal 2000 della Parrocchia di Santa Rita in Viareggio (12.000 abitanti).

Nato a Camaiore (LU) il 17 marzo 1966, don Luigi ha conseguito la licenza in Teologia Spirituale presso il Pontificio Istituto “Teresianum” in Roma nel 1997, ed è iscritto presso il medesimo Istituto al Dottorato in Teologia Spirituale. Insegnante alla Scuola Teologica per laici, ha tenuto un corso sull’Eucarestia per seminaristi allo Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore.

La sua parrocchia è una delle più frequentate di Viareggio ed è promotrice di innumerevoli incontri di alto livello spirituale e culturale.

In un mondo che sembra sempre più secolarizzato, come spiegherebbe le ragioni che muovono tante persone a seguire la vocazione al sacerdozio?

Don Luigi: Nel momento in cui, nella tua vita la Fede non rimane più un qualcosa di esterno e di raccontato ma ti interpella concretamente, cresce in te l’entusiasmo di poter fare di essa una risposta di vita. La nostra religione ti mette di fronte ad un incontro personale, concreto e capace di riempirti l’esistenza.

E’ vero, oggi il mondo è ben organizzato per portare i cuori verso altre prospettive e spesso riesce a confondere e indebolire, ma tutto questo ad alcuni, ad un certo punto della vita non basta più. Incontri Gesù, lo conosci e nel momento che rispondi sì, la gioia che altri ambiti ti avevano promesso, diventa reale e quindi verificabile nel tuo quotidiano. Forse molte occasioni le abbiamo perse anche noi come chiesa di indirizzare gli uomini alla dimensione spirituale della vita. Lo Spirito però attraverso vie semplici, sa comunque riportare gli animi a ricercare Dio e sperimentare che l’amore per Lui non è un’utopia, ma diventa il senso vero della vita.

Come è avvenuta la sua chiamata?

Don Luigi: Ho avuto il grande dono di una famiglia cristiana, povera di cose materiali ma ricca di umanità. I mie genitori sono stati capaci di accompagnarmi alla scoperta delle realtà di Dio non con tante parole, ma con i fatti e la profondità di una fede semplice, concreta e per questo ancora più incisiva. Sono nato il 17 marzo del 1966, dopo dodici anni che i miei genitori si erano sposati, nell’anno in cui dovendo affrontare un primo tumore di mio padre, pensavano ad altro che ad avere a tutti i costi un figlio.

Proprio nel periodo meno atteso il Signore mi ha chiamato alla vita. Essi senza possibilità economiche, preoccupati nel dover mantenere anche un figlio oltre a pagare l’affitto della casa, non si sono arresi e tenacemente e con grande dignità e fede sono riusciti ad affrontare anche quel momento.

A 10 anni è morto mio padre e a 14 anni sono entrato nel seminario minore di Lucca. Perché a quell’età? Già dovevo lasciare molto di ciò che in quel momento era importante per me: mia madre, che rimaneva sola, la mia parrocchia nella quale svolgevo diverse attività, amici. Ricordo ancora in modo chiaro che sentivo di dover dire sì ad una chiamata che la preghiera di quell’età, i gruppi vocazionali di quegli anni, unito all’entusiasmo di sentire che la mia parrocchia mi apparteneva e io facevo parte di lei, mi avevano aiutato a discernere.

Non posso dire di essere stato condizionato da qualcuno, anzi ripensandoci successivamente mi sono ripromesso di avere molta attenzione nel seguire le eventuali vocazioni che il Signore avesse messo sul mio cammino. Ogni anno che passava, sentivo crescere la gioia dell’avvicinarmi al sacerdozio; non è stato tutto facile, crescevo d’età e nello stesso tempo anche la mia spiritualità si trasformava acquistando maggiore consapevolezza riguardo ad un dono della vita che doveva essere sempre di più totale e definitivo. Ma non vedevo l’ora.

Credo sempre più che il Signore mi ha chiamato a questa vocazione non perché più bravo o caratterizzato da particolari doni, ma più bisognoso di altri di un cammino e una risposta forte che deve essere riconfermata ogni giorno, per potermi salvare veramente. Il dono della vocazione diventa per l’uomo anche come protezione e sostegno alla propria debolezza.

Fare il parroco oggi, specialmente in una città toscana, dove per decenni l’ideologia anticlericale è stata predominante, non è facile. Quali sono le maggiori difficoltà nel diffondere il Verbo di Cristo?

Don Luigi: Devo rilevare che, per quanto la città di Viareggio immersa nel mare e nel carnevale possa sembrare, e per molti aspetti lo é, concentrata su aspetti effimeri, ringrazio in verità ogni giorno il Signore per la mia esperienza di parroco (18 anni, in cinque contesti diversi) in questa città.

Ho incontrato uomini e donne che attraverso cammini diversi di formazione spirituale, hanno fatto del Signore e della vita della Chiesa il vero senso della loro vita.

Spesso proprio i laici sono stati per me in questi anni promotori di iniziative ed esperienze spirituali che si sono manifestate poi importanti per tutta la comunità.

Mi sono accostato al mondo dell’oratorio scoprendo in esso uno stile che mi ha aiutato a crescere come sacerdote. Una comunità possibilmente sempre aperta, dove qualcuno ti accoglie ed è disposto a fare con te parte del cammino verso il Regno.

Anche la realtà dei movimenti e dei laici appartenenti a cammini formativi e comunità ecclesiali, mi hanno fatto incontrare uomini, donne e giovani che dell’annuncio del Vangelo e della propria testimonianza nel mondo, hanno fatto il significato vero della loro vita.

In questi anni ho compreso che noi sacerdoti non possiamo fermarci al nostro modo di vedere la Chiesa e il mondo. Gli uomini, ma anche la nostra vocazione ha bisogno di radicalità, forte dimensione spirituale e formazione. E’ veramente pericoloso, come sacerdoti, convincerci che abbiamo diritto ad una nostra vita più privata, ad un nostro piccolo gruppo di seguaci fedelissimi, ed organizzare una pastorale che non ci scomodi o che spesso ci faccia saltare i nostri programmi personali.

Ciò che mi ha sempre aiutato è l’entusiasmo di poter, da parroco, muovermi, promuovendo una comunità che serva l’uomo, soprattutto perché sono convinto che Gesù è la vera risposta alla domanda del senso vero della vita dell’uomo.La difficoltà più grossa è dover spesso spiegare a chi incontri il significato vero dell’essere cristiani cattolici: e cioè vicinanza ai sacramenti, Eucaristia domenicale, ascolto autentico della Parola di Dio, preghiera, unità con il Sommo Pontefice, soprattutto quando comprendi che le loro diverse vedute derivano dall’amicizia con qualche prete. A quel punto, sempre ipotizzando che possano aver frainteso, cerco di spiegare la bellezza e la necessità dell’incontro fisico e reale con Gesù, Cibo di Vita, che uniti alla Chiesa possiamo sperimentare e donare.

Pochi, anche quelli che più ne usufruiscono, conoscono e riflettono sulla rilevanza sociale della parrocchia e dei parroci. Potrebbe spiegarci quanto le attività parrocchiali influiscono sulla educazione dei giovani e sulla vita sociale delle famiglie e della comunità locale?

Don Luigi: Credo potremmo avere ancora l’opportunità di una grande incidenza nella comunità sociale come parrocchie. Lo sperimento ogni giorno, avendo una parrocchia di 12.000 abitanti... quanti incontri ed esperienze di vita difficili! Spesso molti, anche se poco praticanti e a sentir loro poco credenti, continuano a riferirsi a noi sacerdoti e alle nostre comunità. Certamente dobbiamo rilevare che oggi come Chiesa abbiamo meno incidenza sulle strutture sociali, ma come parrocchie, oratori, possiamo più che mai riproporci come luoghi d’incontro per famiglie ed individui perché si collabori tutti a rendere il nostro mondo sempre migliore.

Non ci dobbiamo scoraggiare se in molti ci considerano ancora come ”distributori” di sacramenti a comando. Comunque anche quelle sono opportunità per incontrare e tentare una inversione di rotta nel loro pensare. Non possiamo permetterci di tirarci indietro, aspettando che qualcosa cambi, forti del fatto che la gente non capisce. Spesso costruiamo una pastorale che toglie tradizioni, occasioni d’incontro, Adorazione, Sante Messe, valore della confessione, devozione a Maria in sostituzione di tutto ciò proponiamo il “vuoto” o qualche iniziativa che può essere strumentalizzata politicamente, magari non del tutto in linea con il Santo Padre.

Certamente così il prete ha più tempo libero per sé e per i pochi di cui si circonda, ma perde la bellezza del donarsi totalmente sperimentando in tutto ciò la gioia della propria vocazione e l’identità vera del proprio sacerdozio.

Quali sono i momenti difficili per la vita di un parroco? E quali i momenti di maggiore soddisfazione?

Don Luigi: E’ difficile oggi soprattutto far comprendere il valore della perseveranza nelle scelte della vita e nel cammino di fede. Risulta difficile avvicinare coloro che, come i genitori, hanno responsabilità educativa. Mentre ancora regge il volontariato, sempre più difficile diventa poter avere disponibilità alla formazione e alla catechesi da parte degli adulti.E’ poi molto difficile proporre ed educare i bambini e giovani alla dimensione dell’ascolto, della meditazione, del sacrificio e del rispetto delle persone e delle cose, è la grande sfida di oggi, non solo degli ambiti religiosi se vogliamo pensare ad un mondo migliore.

Non mancano certo occasioni di grande soddisfazione per un sacerdote: a cominciare da ogni Eucaristia, che anche celebrandone diverse la domenica, ogni volta è un grande dono di grazia che ci permette di sperimentare particolarmente l’unità al sacrificio di Cristo e la possibilità ogni domenica di incontrare, pregando per loro, tutti coloro che il Signore ci ha affidati. L’altra grande opportunità è stare a disposizione di tutti nel sacramento della Riconciliazione. Dio ha scelto proprio noi per manifestare il suo amore e la sua Misericordia.

Altro momento di particolare grazia è quando ci è dato di condividere con molti fratelli e sorelle la loro conversione. Dall’essere lontani da una certa esperienza al condividere la gioia della loro vera rinascita. Sperimentare poi la vicinanza a chi soffre non come semplici mestieranti che riproducono frasi preconfezionate, ma la vera condivisione che l’essere tutto per Dio ti aiuta a mettere in pratica.

Altra opportunità di grande gioia quando qualcuno sente di poter dire si alla chiamata del Signore per la propria vocazione (gli ultimi sei anni un seminarista e due novizie sono stati un ulteriore motivo di gioia nella mia vita sacerdotale).

Se dovesse spiegare ad un giovane la bellezza del sacerdozio cosa gli direbbe?

Don Luigi: Prima di tutto di essere certo che tale chiamata non è per i suoi meriti, ma perché constati un amore particolare di Gesù. Quando questo lo sperimenti come invito, non puoi continuare a rimanere indifferente.

Poi gli anni di studio e di formazione, occasione per conoscere Colui per cui dai la vita e che ti rende più sicuro nel diventare annunciatore non delle tue verità, ma dell’unica Verità che può salvare l’umanità intera. Quando senti che è vero per te, nulla ti può fermare e quindi la caratteristica anche spontanea di un giovane si rivolge verso gli altri.Ciò che poi ti rafforza e conferma la tua scelta, è scoprire la presenza di Maria e l’intercessione particolare di tutta la Chiesa del cielo che attraverso gli scritti dei santi e la loro testimonianza di vita, ti aiuta a crescere nella dimensione spirituale e nella preghiera.

E per ultimo e non per importanza sentire forte l’unità con il Papa, che dirige e dà significato al nostro sacerdozio, diventando segno di unità con Cristo e fra di noi.

Voglio trattare, in maniera particolare, anche un altro aspetto della vita sacerdotale: il celibato. Esso può sembrare che limiti l’amore e forse che riduca le vocazioni. Non è così. Posso capire che questo sia detto da parte di chi non vive l’esperienza della Chiesa, ma mi risulta di difficile comprensione che tali affermazioni possano derivare dai nostri contesti.Sento di poter testimoniare al contrario che è un dono grande che la Chiesa cattolica ha per i propri sacerdoti. Esso è il risvolto naturale di una consacrazione, arricchisce la propria scelta nella totalità del donarsi e diventa sempre di più richiamo costante per tutti verso le realtà del cielo.

Quanto è vero che l’esclusività della propria vita per il Signore non ti toglie ma ti arricchisce! Affermare il contrario, impoverisce il valore sacrificale del nostro essere sacerdoti.

Quali sono le iniziative culturale e religiose che lei proporrebbe per rafforzare l’identità e la fratellanza sacerdotale?

Don Luigi: Dare ai sacerdoti occasioni dove ci si rafforzi nella fede attraverso lo scambio di esperienze non per giudicare l’altro ma per arricchirsi a vicenda, così da crescere nell’amicizia e nella stima reciproca. Ad esempio approfittare della grande occasione offertaci in questo anno da Benedetto XVI, attraverso l’Anno Sacerdotale.Dovrebbe metterci tutti, aiutati dai Vescovi, alla riscoperta della propria identità di uomini e di chiamati. Riscoprire l’essenzialità di una vita donata totalmente, senza compromessi, sempre orientati a riconoscere la benevolenza di Dio e per questo capace di rinnovare a Gesù, senza timore il proprio amore.

Non credo affatto che il senso del nostro essere preti, vada cercato nel vivere solo ciò che risulta semplice, facilmente accettato dal mondo, e magari in quel momento più corrispondente alle proprie sensibilità personali, ma dobbiamo far crescere la nostra appartenenza alla Chiesa, che ci ha accolti, ci ha formati, ci manda e attraverso i Vescovi continua a vigilare, dirigere e correggere eventuali nostre visioni meno cattoliche e troppo personali.

La Chiesa ci è madre e nella Chiesa locale devo sperimentare che non siamo soli ma condividiamo e affrontiamo le eventuali sfide del mondo di oggi. Chi sente che tutto questo è ciò che può tornare a dare coraggio alla propria vita sacerdotale, non deve arrendersi, ma collaborare da parte sua a far crescere una comunione sacerdotale già sperimentabile per grazia.

 

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