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San Paolo e la donna

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2009 11:22
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07/09/2009 11:22


SAN PAOLO E LA DONNA




San Paolo apostolo scrive ( Timoteo 2,11)

""[11]La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. [12]Non concedo
a
nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne
stia in atteggiamento tranquillo. [13]Perché prima è stato formato Adamo e
poi Eva; [14]e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che,
ingannata, si rese colpevole di trasgressione. [15]Essa potrà essere salvata
partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e
nella santificazione, con modestia.""


Qual'è il significato di questo testo biblico?

Paolo Apostolo nella lettera a Timoteo ( 1 Tim 2-11-15) intende sottolineare
che la donna non è oggetto di piacere o mezzo di seduzione, come la
consideravano i pagani, ma cooperatrice di Dio nel perpetuare il mistero
della vita. Affermando questo, San Paolo non intende dire che tutte le donne
devono sposarsi, anche se la maternità è l'attuazione del disegno
primordiale della creazione: infatti chi sente la vocazione allo stato di
verginità e la segue, attua una più alta forma di maternità, sceglie una via
superiore per la testimonianza escatologica e il servizio con il cuore
indiviso al Signore ( 1 Cor 7,6-8, 29-36).
In Gal 3,28, San Paolo ricorda che in Cristo non c'è più né servo né libero,
ma neppure maschio e femmina, cioè esiste una effettiva parità spirituale e
una uguale dignità morale.
Questo non vuol dire però una indiscriminata uguaglianza di attitudini e di
compiti e infatti, come anche in 1 Cor 14,34-35, egli afferma che lo Spirito
Santo vieta alle donne il sacerdozio ( quindi anche il primo primo grado
dell'ordine sacerdotale, cioè il diaconato con il ministero dell'omelia in
Chiesa ): questo è il senso del divieto di Paolo.
La stessa Madre di Dio non ha ricevuto da Gesù la missione propria del
sacerdozio ministeriale come sottolinea Giovanni Paolo II nella lettera
apostolica Ordinatio sacerdotalis
( cfr Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis n. 3 del 31 maggio 1994).

La libera e sovrana volontà di Gesù nella fondazione della sua Chiesa non
può essere considerata un conformismo nei confronti degli usi del suo tempo,
oltre tutto nel mondo pagano tutte le religioni avevano delle sacerdotesse.

Gesù combatte molti atteggiamenti del suo ambiente nei confronti delle
donne: conversa pubblicamente con la Samaritana ( Gv 4,27), non tiene conto
dello stato di impurità legale della emorroissa ( Mt 9,20-22), lascia che
una peccatrice lo avvicini presso Simone, il fariseo ( Lc 7,37), perdona
la donna adultera mostrando che la colpa di una donna non è maggiore di
quella di un uomo ( Gv 8,11), prende le distanze dalla legge di Mosé sul
matrimonio che consente il privilegio maschile del ripudio ( Mt 19,3-9). Nel
suo ministero si fa accompagnare anche da un gruppo di donne ( Lc 8,2-3) e
in contrasto con la mentalità giudaica che non accorda valore alla
testimonianza femminile, affida alle donne l'incarico di testimoniare, per
prime, la sua resurrezione
( Mt 28,7-10, Lc 24,9-10, Gv 20,11-18;
cfr Congregazione per la Dottrina della fede, pubblicata per ordine di Paolo
VI,
Inter insigniores, in Enchiridion vaticanum n.5 ( 1974-1976 ) ed
Dehoniane, Bologna 1979, n. 2119-2121)

Certi atteggiamenti, poi, di tolleranza che Gesù ha nei confronti di
aspetti negativi della società civile del suo tempo ( destinati a mutare
gradualmente attraverso l'annuncio del vangelo e attraverso l'
approfondimento delle verità contenute nel deposito della Rivelazione )
non vanno confusi con l'atteggiamento positivo di Cristo nei confronti della
costruzione della sua società: la Chiesa.

Uno di questi aspetti negativi della società civile, in cui si trovarono
ad operare i cristiani, fu la schiavitù.

Per quanto riguarda l'istituto della schiavitù, con l'avvento del
cristianesimo questo viene sottoposto ad un processo di trasformazione
perché i cristiani iniziano la loro riflessione partendo dal concetto che
tutti gli uomini sono fratelli e cercano di conciliare l'istituto della
schiavitù con il diritto della persona alla vita, alla famiglia, alla scelta
religiosa: l'apostolo Paolo esortava Filèmone ad accogliere Onesimo non più
come semplice schiavo ma come un fratello e, introducendo questi diritti
della persona, la schiavitù era destinata a trasformarsi gradualmente in una
forma di servizio, in un rapporto di lavoro.

Il cristianesimo trasforma lentamente, nella luce dei comandamenti, lo
spirito delle istituzioni. Poiché lo schiavo, come ogni cristiano, è figlio
di Dio e deve obbedire prima a Dio che agli uomini, egli non può rinunciare
ai suoi diritti e ai suoi doveri nei riguardi dei figli e della moglie,
così i figli e la moglie nei riguardi rispettivamente del padre e del
marito.

Il tentativo di conciliare la schiavitù con i diritti della persona,
trasforma gradualmente l'istituto della schiavitù in un servizio che
richiede un libero patto fra datore di lavoro e prestatore d'opera.

Così accade anche nel matrimonio: gli uomini nascono liberi e non sposati
e per contrarre matrimonio occorre un libero patto fra gli sposi. Solo
allora il marito diventa schiavo della moglie per quanto riguarda il suo
corpo e la moglie schiava del marito per quanto riguarda il suo ( cfr I Cor
7,4 ).

Già nel Vecchio testamento il popolo ebraico era l'unico popolo che, per
seguire il volere di Dio, doveva ridare la libertà a tutti gli schiavi ebrei
all'inizio del settimo anno di schiavitù, perché Dio aveva liberato gli
ebrei dalla schiavitù degli egiziani. ( cfr Deut. 15,12 - 15 ).

Gesù, estendendo il concetto di prossimo anche ai non ebrei, considera
tutti gli uomini figli di Dio a pieno titolo ( cfr Lc 10,29 - 37 ) e
pertanto estende la necessità della liberazione dalla schiavitù anche ai
gentili.

Dunque non bisogna confondere alcuni atteggiamenti di tolleranza di Gesù
verso le istituzioni della società del suo tempo, con la sua volontà
positiva nella costruzione della sua società che è la Chiesa: per una
precisa disposizione di Dio il figlio del Verbo si è incarnato secondo il
sesso maschile e per una precisa volontà di Dio l'ordine sacerdotale è
riservato ai soli uomini i quali celebrano il sacrificio della Messa nella
stessa persona di Cristo.
(cfr Inter insigniores n.2135, in Enchiridion vaticanum n.5 ( 1974-1976 ) ed
Dehoniane, Bologna 1979 ).

Poi, San Paolo introduce, in 1 Tim 2,13, altri elementi per illuminare la
specificità della donna rispetto all'uomo e i suoi compiti secondo la natura
e la grazia. Questi elementi devono essere letti in continuità con altri
insegnamenti di San Paolo in proposito: 1 Cor 11,7-12 e Ef 5,21-25 .

L'apostolo Paolo insegna che il marito è come Cristo e la moglie è come
la Chiesa, cioè afferma che i ruoli ed i compiti differenti che
devono avere l'uomo e la donna, soprattutto nella famiglia, che è la Chiesa
domestica, sono - una grande e misteriosa
verità che deve essere letta in analogia con il rapporto fra Cristo e la
Chiesa.

Il grande biblista Ignace De La Potterie scrive che:" l'uomo e la donna
sono stati creati all'inizio come una coppia archetipica e prefigurativa;
nel disegno di Dio l'uomo e la donna rappresentavano già la coppia
escatologica del tempo della salvezza, Cristo e la Chiesa ( cf Ef 5,32).
Ora, al livello simbolico dell'Alleanza, lo Sposo è sempre e unicamente Dio
o Cristo: - il simbolo dello Sposo, dice il Papa, è di genere maschile-
(cfr Giovanni Paolo II, Mulieres dignitatem n.25 ); inversamente è sempre di
genere femminile la persona simbolica che rappresenta l'umanità in questo
rapporto di Alleanza, cioè la Figlia di Sion o la Chiesa, ma anche Maria, la
persona concreta che è l'immagine della Chiesa".

Maria è il simbolo vivente della Chiesa, anzi, è fisicamente e
concretamente la prima Chiesa perché ha ricevuto per prima dentro di sé - ha
concepito - Gesù Cristo, che è l'incarnazione del Verbo, vero Dio e vero
uomo.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che la famiglia è una realtà
sociale la cui esistenza dipende dalla differenza dei compiti fra l'uomo e
la donna: l'uomo e la donna devono riconoscere e accettare la propria
identità perché la vita familiare, l'armonia della coppia e della società
dipendono dal modo in cui si vivono e si sviluppano le differenze e le
complementarietà fra l'uomo e la donna ( cfr Catechismo della Chiesa
Cattolica n.2333 ).

In ogni società e quindi anche nella famiglia una certa divisione dei
compiti dà luogo ad una certa gerarchia perché tra due soggetti che
agiscono, pur nella uguaglianza del loro valore - equivalenza -, uno è
autore di un'azione che serve ad esercitare una certa direzione sull'agire
dell'altro.

Giovanni Paolo II, nella Mulieris dignitatem, chiarisce i compiti naturali
che nascono dalla paternità e dalla maternità. La donna è soprattutto
l'agente interno della famiglia, colei che ha maggiore capacità di
attenzione e di sostegno verso la persona concreta e verso l'operare
dell'uomo. Uomo e donna devono aiutarsi vicendevolmente ma, in questa azione
di aiuto reciproco la donna è soprattutto l'agente interno della comunità
familiare, più capace di sostegno e di attenzione verso l'operare dell'uomo
e capace di un cura più diretta, più intima e più "interna" nei
confronti della vita nascente e del processo educativo.
Il Padre è il il punto di riferimento più
esterno del processo educativo: più capace di attenzione verso gli
obbiettivi, "orientato più all'attività esteriore, all'azione, alla
prestazione oggettiva, che all'essere personale sia proprio che altrui
(...),
orientato eminentemente verso l'attività conoscitiva e creativa""( Edith
Stein)
e predisposto al sostentamento e alla difesa della famiglia.
( CFR Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem n.18 ).
Questa differenza di ruoli e di compiti nella famiglia
NON SIGNIFICA ASSOLUTAMENTE CHE L'UOMO DEBBA ABBANDONARSI TUTTO
AL LAVORO PROFESSIONALE, COMPROMETTENDO COSì LA SUA COMPLETEZZA UMANA.
L 'UOMO, CON TUTTE LE SUE FORZE, NON DEVE TRASCURARE IL SUO DOVERE DI PADRE
DI FAMIGLIA, ANCHE SE IL RUOLO PRINCIPALE DEL LAVORO EXTRAFAMILIARE, IN
CONDIZIONI ORDINARIE, DOVREBBE ESSERE SVOLTO DA LUI.
E' FONDAMENTALE CHE IL PADRE DEDICHI TEMPO AI FIGLI: GIOCARE CON LORO E
COCCOLARLI CON AFFETTO CARNALE.
Le disuguaglianze naturali, che distinguono l'uomo dalla donna, non vanno
intese come assolute, come se caratterizzassero due "specie" diverse, ma
vanno piuttosto lette, custodite e valorizzate nel senso della
complementarietà e non "dialetticamente".
Le specificità maschili e femminili non sono culturalmente provocate, esse
sono geneticamenteorientate e la CULTURA PUO' SOLO COLTIVARLE O REPRIMERLE
Nell'uomo il dimorfismo sessuale biologico è accompagnato dal dimorfismo
sessuale del piano spirituale e psichico: l'anima, infatti, è forma
corporis.
Gli stessi studi sociolinguistici hanno evidenziato, per esempio, che le
donne usano soprattutto il linguaggio per rafforzare l'intimità mentre gli
uomini soprattutto per risolvere problemi pratici ( Cfr Deborah Tannen).

La donna è predisposta per natura a ricevere dentro
di sé la nuova vita e a nutrirla e custodirla, ma questa differenza non
riguarda soltanto l'utero e il seno per l'allattamento: la differenza è
molto più profonda e, recentemente, si è scoperto che essa informa di sé
anche il cervello. Nel 1995 l'Università di Yale, in California, ha scoperto
che le donne utilizzano entrambi gli emisferi cerebrali per la funzione del
linguaggio, mentre gli uomini utilizzano soltanto l'emisfero sinistro per il
linguaggio. Questo spiega perché, negli studi sul comportamento spontaneo
tra maschi e femmine fin dalla più tenera età ( riassunti, per esempio, in
Italia, dalla professoressa Elisa Fazzi, neuropsichiatra infantile
dell'Università di Pavia), esiste tra maschi e femmine una differenza
sostanziale che non dipende dalla cultura.
Le bambine sono più precoci nel linguaggio ma quando giocano
sono meno attive dei maschi, esplorano meno gli ambienti nuovi e tendono a
stare più vicine alle mamme. I maschietti, invece, hanno la funzione del
linguaggio più ritardata e risultano meno abili nel linguaggio, ma hanno un
livello di attività spontanea più elevato, più abilità nelle prestazioni
motorie, esplorano di più gli ambienti nuovi e sono più aggressivi.

Le femmine sono più abili nel linguaggio perché usano entrambi gli emisferi
cerebrali per il linguaggio ma la funzione del linguaggio è quella da cui
deriva la capacità di entrare in relazione con gli altri, di dedicarsi agli
altri e infatti la maternità sia biologica che psicologica è propriamente
capacità di nutrire, custodire, tutelare, proteggere, fra crescere.
Uno studio dell'Indiana University School of Medicine, ha dimostrato che nel
cervello delle donne il traffico neuronale raddoppia rispetto all'uomo anche
quando ascoltano. Anche in questo caso, nel cervello femminile, si attiva il
lobo temorale di entrambi i lati, quando ascoltano, mentre i maschi usano
solo la parte sinistra.
Le donne hanno una naturale disposizione per l'ascolto, sono
più forti nell'ascolto: la donna ha una maggiore capacità di ascolto e di
attenzione nei confronti dell'altro.
I maschi usano soltanto l'emisfero sinistro per il linguaggio e per questo
( come sottolinea il Professor Giuliano Geminiani della neuropsicologia
dell'Università di Torino ) possono usare meglio l'emisfero destro ( in
quanto libero dalla funzione del linguaggio) per l'orientamento e per il
pensiero logico.
Studi di psicologia, sintetizzati da un'ex femminista, Arianna
Stassinopulos, hanno calcolato il quoziente d'intelligenza nei due sessi e
hanno dimostrato
che esso è identico ma con abilità diverse: per ogni positiva abilità
maschile esiste una positiva e complementare abilità femminile.
Le donne, a parità di capacità e di interesse per una data materia rispetto
ai rispettivi uomini, sono più abili quando la loro intelligenza viene
applicata nei rapporti interpersonali.

Questa maggiore abilità può essere
così sintetizzata: sono gli uomini che fanno le opere ma sono le donne che
fanno gli uomini sia fisicamente che intellettualmente perché li mettono in
condizione di operare grazie al sostegno della loro dedizione intellettuale
e spirituale.
Scrive Edith Stein: "" L'uomo per sua natura si dedica
immediatamente alle sue cose: la donna si dedica a queste per amor suo.
( ....) Nell'uomo, i doni necessari per la lotta, la
conquista, il dominio: la forza muscolare con cui domina esteriormente la
materia, l'intelletto con cui penetra intenzionalmente il mondo, la volontà
e l'energia attiva con cui può plasmarlo. Nella donna, l'attitudine a
proteggere, custodire e far sviluppare l'essere in formazione e in crescita:
perciò il dono, di carattere più corporeo, di saper vivere strettamente
unita a un altro, di raccogliere in calma le forze, e di sopportare il
dolore e la privazione, e adattarsi: il dono, di carattere più spirituale,
di essere interiormente orientata verso il concreto, l'individuale, il
personale; di saperli cogliere nella loro caratteristica e di adattarvisi;
il desiderio di cooperare al loro sviluppo"".

Santa Teresa Benedetta della Croce ( al secolo Edith Stein ) riassume in
questi termini le caratteristiche della maternità: capacità di nutrire,
tutelare, proteggere, custodire e far crescere.

La paternità, invece, comporta una maggiore capacità di attenzione verso
gli obbiettivi da raggiungere, verso l'attività esteriore, l'azione,
la prestazione oggettiva: capacità di dominare progettare, difendere,
decidere sia nel mondo delle cose che nel mondo delle idee.

Quando le caratteristiche della paternità e della maternità sono
accettate, custodite e coltivate, esse accompagnano sempre le azioni dell'
uomo e della donna anche al di fuori del matrimonio e della famiglia

( cfr Edith Stein, La donna, il suo compito secondo la natura e la grazia,
pp.116,117, Città Nuova,Roma 1987).

La Chiesa, attraverso l'apostolo Paolo, insegna che, all'interno della
famiglia, gli sposi devono, prima di tutto, praticare la sottomissione
reciproca degli uni verso gli altri per il rispetto che devono avere per
Cristo e la sua legge.

Dopo questa sottomissione reciproca l'apostolo indica alla moglie anche
il compito dell'obbedienza nei confronti del marito. Obbedire, non nel senso
negativo che tale parola ha assunto, ma nel senso etimologico. Ob audire,
ascoltare verso, cioè capacità di ascolto e di attenzione e la donna,
secondo il progetto di Dio è più capace dell'uomo nello svolgere un'azione
di ascolto e di sostegno nei confronti dell'operare dell'uomo, delle sue
esigenze e dei suoi progetti: si tratta di un compito e di una missione che
Dio stesso ha voluto come indispensabile all'atto della creazione.

Stesso insegnamento ribadisce ribadisce Giovanni Paolo II nella Mulieris
Dignitatem ( Mulieris n.24 ), analogo
insegnamento il Catechismo tridentino ad uso dei parroci, pubblicato dal
Papa San Pio V per decreto del Concilio di Trento ( Cantagalli, Siena 1981,
parte II, n.296, pp. 387-388), così insegna il beato Pontefice Giovanni
XXIII:
-" Il padre, capo della famiglia, abbia tra i suoi quasi la rappresentanza
di Dio, e preceda gli altri non solo con l'autorità, ma anche con l'esempio
di una vita integra"-

( Giovanni XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram n.II ).

Per quanto riguarda la dinamica del peccato originale, riassunta da San
Paolo nella prima lettera a Timoteo, si possono fare alcune riflessioni.
Adamo ed Eva furono messi alla prova affinché decidessero della loro
libertà.
Il diavolo fa pervenire alla prima coppia la sua menzogna su Dio e lo fa
attraverso il dialogo con la donna.
Il diavolo, probabilmente, sfrutta la naturale predisposizione della donna a
stabilire rapporti interpersonali attraverso il dialogo e l'ascolto.
Ma per un essere umano è impossibile sostenere un dialogo con il diavolo
senza soccombere: l'intelligenza e la dialettica degli angeli decaduti
superano infinitamente in "forza" e "abilità" l'intelligenza umana.
Eva, dopo aver peccato, induce in tentazione Adamo ed entrambi peccano.

Quale insegnamento si può trarre da questo?
La donna deve vigilare sulla sua affettività. Scrive Edith Stein che la
donna è particolarmente inclinata verso la vita affettiva e tutto ciò
dipende dalla vocazione della donna alla maternità.
Il compito di accogliere in sé un essere vivente in formazione e di
proteggerlo rendono forte la sua tendenza affettiva ed emotiva. Su questa
tendenza la donna deve vigilare per impedirne uno sviluppo unilaterale,
eccessivo e disordinato.
La donna deve sempre spiritualizzare la sua tendenza affettiva, dice Edith
Stein, affinché essa non la conduca ad una fuga dalla realtà, ad una vita
di sogno e di apparenze, dove finisce per abbandonarsi tutta a sentimenti ed
emozioni prive di valore, andando continuamente in cerca di sensazioni.
L'uomo deve vigilare sulla sua tendenza all'attività esteriore perché questa
non si trasformi in iperattivismo, prepotenza, autoritarismo, violenza.

( Bruto Maria Bruti )
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