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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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14/09/2009 08:31

Prudenza e fortezza sono virtù più necessarie al sacerdote che le austerità e i digiuni.

IX. Ora s’aggiunge un’altra virtù non minore di questa. Qual è? Deve il sacerdote essere sobrio e perspicace, e munirsi da ogni parte d’infiniti occhi, dovendo vivere non solo a:e stesso, ma a vantaggio d’una tanta moltitudine. Ora, che io sia pigro e debole e appena sufficiente alla mia salvezza, tu stesso l’ammetteresti, sebbene per l’amicizia sia più di tutti sollecito nel nascondere i miei difetti. Non parlarmi ora di digiuni né di vigilie né di sonni su nuda terra né d’altre austerità corporali; sai del resto quanto io sia lontano anche da queste; ma se pure mi vi fossi dedicato con ardore, non avrebbero potuto per nulla giovarmi in questo ministero. Potrebbero bensì quelle austerità recare grande giovamento a un uomo che se ne stia rinchiuso nella sua cella unicamente occupandosi di se stesso; ma a chi è diviso fra tanta moltitudine e sollecitato da cure diverse per ciascuno dei suoi sudditi, come potrebbero recare un considerevole incremento al progresso di quelli, se egli non possederà un’anima pieghevole ad un tempo e fortissima?

Non meravigliarti se insieme a quelle austerità io richiedo un’altra prova della virtù dell’anima. Noi vediamo essere per nulla difficile lo sprezzare i cibi, le bevande e i soffici letti, specialmente a coloro che menano vita rustica e furono allevati così fin dalla più tenera età, come anche a molti altri, quando la disposizione fisica e la consuetudine rende meno sensibile l’asprezza di quei travagli; ma il sopportare l’ingiuria, l’insolenza, il parlar grossolano, i dileggi da parte degl’inferiori, sian profferiti a caso o con giusta causa, e i biasimi mossi senza motivo e infondatamente dai superiori e dai propri sudditi, non è virtù di molti, ma a stento d’uno o due (); onde si potrebbe vedere talora persone che in quelle austerità erano forti, dare ora siffattamente nelle vertigini, da imperversare peggio delle fiere più selvagge; or questi tali dobbiamo massimamente escludere dai recinti del sacerdozio.

Che il vescovo non languisca d’astinenza né vada a piedi nudi, non recherà alcun detrimento alla comunità ecclesiastica; mentre invece l’asprezza d’animo produce grandi malanni, sia in chi ne è agitato, sia nei suoi vicini; né alcuna minaccia di Dio sovrasta a coloro che non si danno a quelle pratiche, mentre a coloro che montano in furia senza ragione, è minacciata la geenna e il fuoco di essa. Come colui che è preso da vanagloria, quando abbia afferrato il dominio sopra il popolo offre al fuoco maggior materia; così chi è incapace di frenare lo sdegno quando è solo o nella conversazione di pochi, ma facilmente perde le staffe; qualora gli sia affidata la supremazia di tutta una moltitudine, simile a una fiera punzecchiata da ogni parte e da moltissimi, egli non potrà mai starsi in pace, e procurerà a’ suoi sudditi innumerevoli mali. Nulla intorbida più la purezza della mente e la trasparenza dei pensieri, che un animo sfrenato e che si lascia trascinare da grande impeto: "Questo (dice la Scrittura) rovina anche i saggi" (Prv 5,1). E come in un combattimento notturno, l’occhio dell’anima ottenebrato non trova modo di discernere gli amici dai nemici, né le persone volgari da quelle distinte, ma con tutti egualmente usa le stesse maniere, rassegnandosi a sopportare il male che gliene possa venire, pur di soddisfare la voluttà dello spirito; poiché l’ardore della collera è una specie di voluttà, anzi più duramente della voluttà esso tiranneggia l’anima sconvolgendone interamente la sana costituzione; onde spinge facilmente all’arroganza, a inimicizie intempestive, all’odio infondato, e continuamente dispone a eccitare malcontenti inutilmente e senza motivo, e tante altre cose simili costringe a fare e dire, sentendosi l’anima trascinata da gran tumulto di passione, né avendo dove appoggiare il suo sforzo per resistere a tale impeto.

X. "Ma ormai non sopporterò più a lungo, quel tuo fare ironico, disse; poiché chi non conosce quanto tu sii lontano da questo difetto?"

"E che, soggiunsi, o fortunato, vuoi tu dunque spingermi vicino al rogo, e istigare la fiera accovacciata? o non sai che in ciò mi sono moderato non per virtù mia propria, ma per amore della quiete, e che chi ha tale disposizione è cosa desiderabile che, standosene solo o colla compagnia di uno o due amici soltanto, possa sottrarsi a quell’incendio, non che dal cadere nell’abisso di tante sollecitudini? Poiché in questo caso, non solo se stesso, ma molti altri insieme con lui trascinerebbe nel precipizio della rovina, rendendoli meno solleciti per mantenersi nella giusta misura; infatti il più delle volte la moltitudine dei sudditi è disposta naturalmente a guardare i costumi dei capi come un modello archetipo e foggiare se stessa a norma di quelli. Or come potrebbe uno sedare i loro gonfiori quando egli stesso è gonfio? chi fra la plebe desidererebbe diventare moderato, mentre vede il capo che facilmente cede alla collera? Non è possibile affatto che le mancanze dei sacerdoti restino celate, ma anche le minime ben presto diventano palesi.

[Modificato da Cattolico_Romano 14/09/2009 08:32]
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Il sacerdote deve risplendere col buon esempio

Un atleta fino a che se ne rimarrà in casa senza venire alle mani con alcuno, potrà bensì celarsi anche se debolissimo; ma tosto che deponga la veste per affrontare la lotta, ben presto diverrà oggetto di disprezzo; così anche quelli fra gli uomini che vivono questa vita privata e tranquilla, hanno per velario delle proprie colpe la solitudine; ma qualora siano tirati in mezzo, allora sono costretti a deporre la solitudine come un vestito, e per mezzo dei movimenti esterni mostrare ignude a tutti le anime loro. Pertanto, come le loro virtù giovano a molti ridestandone l’emulazione, così pure le loro mancanze rendono altri più schivi del travaglio che la virtù richiede e li dispone all’indolenza dinanzi alle fatiche di serie intraprese. Deve dunque la bellezza dell’anima di lui risplendere da ogni parte per poter rallegrare e insieme illuminare le anime dei suoi spettatori. Le colpe dei volgari, commesse per così dire al buio, sono di rovina soltanto per chi le commette; ma la trascuratezza d’un personaggio distinto e noto a molti, reca danno comune a tutti, rendendo i caduti sempre più restii ai sudori per le opere buone, e d’altra parte provocando all’arroganza quelli che vogliono attendere a se stessi. Inoltre, i falli della gente comune, anche se divengono palesi, non infliggono nessuna piaga considerevole; ma quelli che siedono su questo culmine di dignità, primariamente sono visibili a tutti; poi anche se cadono in difetti minimi, le cose piccole appiano grandi agli altri, perché tutti misurano la colpa non in ragione della sua propria entità, ma in ragione del grado di chi l’ha commessa. Onde il sacerdote ha da essere circondato, come d’armi d’acciaio, da attenzione continua e da costante moderazione, e guardarsi da ogni lato che alcuno vedendo qualche parte scoperta e negletta, non infligga una ferita mortale. Tutti stanno all’intorno pronti a colpire e abbattere, non solo nemici e avversari, ma molti anche di quelli che simulano amicizia. Bisogna rendere le anime disposte come Dio un tempo mostrò essere i corpi di quei santi nella fornace di Babilonia; l’alimento poi di questo fuoco non è sarmento né pece né stoppa, ma altre cose ben peggiori; né si tratta di quel fuoco sensibile, ma li avvolge la voracissima fiamma della gelosia, elevandosi da ogni parte, investendoli e scrutandone la vita, con più lena che quel fuoco i corpi di quei giovinetti; se pertanto troverà una piccola traccia di paglia, subito l’avvolge e arde quella parte corrotta, mentre il resto della fabbrica, anche se risplenda più che i raggi del sole, resta fra quel fumo tutto bruciacchiato e annerito.

[Modificato da Cattolico_Romano 14/09/2009 08:33]
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Anche i piccoli difetti tornano a disdoro del sacerdote.

XI. Fino a che la vita del sacerdote sarà ben regolata in tutto, egli non soccomberà all’insidia, ma se trascura anche solo un punto, come è facile essendo uomo e navigando attraverso il pelago mal fido di questa vita, nulla gli gioveranno tutte le altre virtù per sfuggire alle lingue degli accusatori; ma quella piccola deficienza adombra tutto il resto; tutti vogliono giudicare il sacerdote non come rivestito di carne e partecipe della natura umana, ma quasi fosse un angelo e libero dalla miseria comune. E come tutti temono e adulano un tiranno finché serba il potere, perché non possono toglierlo di mezzo, ma quando vedano decadere la sua potenza, deposto il rispetto fin allora simulato, quelli che poco prima gli erano amici, d’un tratto si fanno nemici e avversari, e esaminando tutte le sue malvagità gliele imputano a colpa e lo spogliano del dominio; così anche riguardo ai sacerdoti, quelli che poco prima, mentre era in potenza, lo onoravano e gli s’inchinavano, quando scorgono una piccola occasione, s’apprestano energicamente a travolgerlo non solo quale tiranno, ma come qualcosa di peggio. E come quello teme le guardie della sua persona, così questo ha da paventare soprattutto i vicini e i suoi compagni di ufficio; ché nessuno agogna maggiormente la sua dignità e nessuno conosce i fatti suoi più addentro di loro, perché essendogli vicini, se alcunché di simile gli accada, lo conoscono prima degli altri; e qualora ricorrano alla calunnia, facilmente possono trovare fede e togliere di mezzo il calunniato ingrandendo le cose piccole, (ché la parola dell’Apostolo viene qui invertita, e "se un membro soffre, godono tutte le altre membra, e se viene esaltato un membro, tutte le altre membra ne soffrono" 1Cor. 12,26) tranne che uno sappia con grande circospezione far fronte a tutto. Or dunque tu mi mandi a tale guerra? e credesti che l’anima mia fosse da tanto da affrontare una lotta si varia e multiforme? ma donde e da chi l’apprendesti? che se Dio ti ha parlato, metti fuori il responso, e mi persuaderò; se poi non l’hai, e rechi il suffragio a norma degli uomini, cessa di più oltre ingannarti. Ché trattandosi di fatti miei è più giusto credere a me che ad altri, poiché "nessuno conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è dentro di lui" (1Cor. 2,11). Ma se anche prima non lo credevi, penso che ora, da quanto ti ho detto ti sarai convinto che se avessi accettato questa dignità avrei esposto alla derisione me stesso e i miei elettori, e con grande iattura me ne sarei dovuto tornare a questo tenore di vita in cui ora mi trovo. Non solo la gelosia, ma assai più forte di essa, la brama di questa carica sembra armare la moltitudine contro chi ne è investito; a quel modo che i figli bramosi di denaro sopportano con pena la vecchiezza dei padri, così taluni di costoro quando vedono protrarsi lungamente la durata dell’episcopato, non essendo loro lecito di toglierlo di mezzo, si studiano di congedarlo, tutti desiderando di sostituirlo e aspettando ognuno che la dignità venga a cadere nelle sue mani.

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14/09/2009 08:39

Disordini che talora accadevano nella elezione al sacerdozio.
La professione monastica e l’età avanzata non sono titoli sufficienti di idoneità al sacerdozio


XII. Vuoi che ti mostri un altro aspetto di questa lotta, ripieno, di innumerevoli pericoli? Va’ a spiare nelle feste pubbliche, dove è costume di far le elezioni dei capi ecclesiastici, e vedrai il sacerdote fatto segno a tante accuse quanta è la moltitudine dei sudditi. Allora quelli a cui spetta il conferire l’onore si scindono in molti partiti, e si potrebbe vedere il collegio dei presbiteri non concorde né nei suoi membri né con quegli che ottiene l’episcopato; ognuno fa parte da se stesso, scegliendosi chi questo chi quel candidato. E ne è cagione il considerare tutti non ciò che unicamente si dovrebbe considerare, cioè la virtù dell’anima, ma il tenere conto d’altri pretesti come di titoli valevoli all’assecuzione di questa dignità; onde: "Questi, dice taluno, sia approvato perché è di alto ceto; quest’altro perché possiede molta ricchezza né avrà bisogno di vivere a carico dell’entrate ecclesiastiche; quest’altro perché proviene da parte avversaria".

E così, cercano di far prevalere sopra gli altri chi un proprio amico, chi un congiunto, chi un adulatore; nessuno vuol prendere in considerazione la persona idonea, né si cura di fare alcun assaggio dell’anima. Io invece sono tanto lontano dal menare buone queste ragioni per l’approvazione dei candidati al sacerdozio, che anche se uno mostrasse grande pietà, cosa che contribuisce per me non poco per l’esercizio di quella carica, non ardirei di ammetterlo subito in grazia di quella, se non possedesse insieme con la pietà anche molta saggezza. Poiché io ho veduto molti che erano stati rinchiusi tutta la vita e consumatisi nei digiuni, i quali finché poterono starsi soli e curarsi soltanto de’ fatti propri, ebbero merito dinanzi a Dio, e ogni giorno aggiungevano progresso non piccolo in quella filosofia; quando poi s’introdussero fra la moltitudine e furono posti nella necessità di correggere l’ignoranza del volgo, gli uni si mostrarono fin da principio incapaci di questa missione, gli altri, forzati a durarvi, deposta la primitiva osservanza recarono i massimi danni a se stessi, né procurarono agli altri il minimo vantaggio. Ma neppure se taluno abbia passato tutto il suo tempo rimanendosi nell’ultimo gradino del ministero e sia giunto a estrema vecchiaia, dovremo elevarlo a più alta carica semplicemente per riguardo alla sua età; e che farci, se anche dopo raggiunto quel termine l’individuo sia rimasto inadatto all’uopo? Né io dico tali cose per disprezzo alla vecchiezza, né con intento di escludere per legge da questa soprintendenza coloro che vengono dalla schiera dei monaci è avvenuto infatti che molti provenienti da quel ceto risplendettero in quest’ufficio ma nell’intento di dimostrare questo principio: che se né la sobrietà per sé sola, né la tarda vecchiaia potrebbero bastare a garantire l’idoneità di chi ottiene il sacerdozio, tanto meno possono valere a tale scopo i pretesti prima enumerati.

Ma v’è chi ne propone altri ancor più assurdi; ché taluni sono collocati nelle file del Clero affinché non si gettino dalla parte degli avversari; altri per le loro perversità, ad evitare che trascurati non abbiano a perpetrare gravi mali; ma si può dar cosa più illegale di questa, che uomini perversi e pieni di colpe fino ai capelli, vengano lisciati per quel motivo stesso per il quale dovrebbero esser puniti, e che in grazia di quello per cui non dovrebbero nemmeno varcare le soglie della chiesa, abbiano a salire alla dignità sacerdotale? Cercheremo noi ancora, dimmi, la causa dello sdegno di Dio, mentre esponiamo ministeri così santi e tremendi a essere profanati da uomini o malvagi e affatto indegni di riguardo alcuno? quando vengono incaricati gli uni di presiedere a uffici che loro non convengono affatto, gli altri d’uffici affatto superiori alle loro capacità, faranno sì che la Chiesa non dissomigli per nulla dall’Euripo.

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Il male che proviene alla Chiesa dalla abusiva intromissione delle persone estranee
nella elezione o nella deposizione dei membri del sacerdozio


XIII. Io, più indietro, deridevo i magistrati civili perché eseguiscono le distribuzioni delle cariche non a norma della virtù che è nelle anime, ma a norma delle ricchezze o dell’età o della dignità umana; ma quando intesi che tale stoltezza aveva invaso anche le nostre istituzioni, non giudicai questo un male equivalente dell’altro. Qual meraviglia infatti, che uomini mondani e bramosi della gloria che deriva dal volgo, e che ogni cosa fanno per acquistare denaro, commettano simili errori, quando coloro che professano il distacco da tutte queste cose, non si comportano meglio di quelli, ma mentre hanno impegnata la lotta per i beni celesti, come se avessero a decidere di un pezzo di terra o d’altra cosa simile, prendono senz’alcun criterio uomini volgari e li pongono a capo di interessi tali per cui il Figlio unigenito di Dio non si peritò di deporre la sua gloria e farsi uomo, d’assumere la forma di schiavo, d’essere sputacchiato e flagellato, e di morire della morte più ignominiosa? Né si arrestano qui, ma aggiungono altre irregolarità più assurde; poiché non solo ammettono gl’indegni, ma ne discacciano gli idonei: come se fosse necessario che dall’una e dall’altra parte venga rovinata la sicurezza della Chiesa, o come se non bastasse il primo motivo per accendere lo sdegno di Dio, così ne aggiungono un secondo non meno tristo; ché mi parve cosa egualmente funesta tanto l’escludere gli idonei, quanto lo spingere dentro gli inetti: e ciò avviene affinché il gregge di Cristo non possa trovare sollievo da alcuna parte, né possa in alcun modo respirare. Tali cose non sono degne di mille fulmini? o non sono meritevoli d’una geenna più violenta, e non solo di quella a noi minacciata? Ma ciò non ostante si trattiene e sopporta tali iniquità "Colui che non vuole la morte del colpevole, bensì che si converta e viva" (Ez. 23,23).

Chi può adeguatamente ammirare la di lui mitezza? come degnamente esaltarne la misericordia? T seguaci di Cristo corrompono le istituzioni di Cristo più dei nemici e degli avversari suoi, ed egli buono, si mostra ancora benigno e chiama i colpevoli a ravvedimento; gloria a te, o Signore, gloria a te quale abisso di benignità in te? quale copia di longanimità? quelli che per il tuo nome da volgari e ignobili sono divenuti nobili e cinti d’onore, usano dell’onore contro chi ne li ha rivestiti e osano audacie inaudite, e imperversano contro le cose sante, allontanando e scacciando i degni, affinché i malvagi possano con tutta calma e con piena impunità mettere sottosopra ogni cosa che loro aggrada. E se vuoi apprendere le cause di questo male, le troverai simili a quelle prima addotte, ché hanno tutte una sola radice, e come taluno direbbe, madre, la gelosia; esse poi non sono d’una stessa specie, ma differiscono fra loro. Questo, dice uno, sia scacciato perché è giovane; quest’altro perché non sa adulare; quell’altro perché cadde in disgrazia del tale; quell’altro, per non far dispiacere al tale, qualora vedesse rifiutato il suo protetto e approvato costui; quest’altro poi perché è affabile e moderato, quest’altro ancora perché è temuto dai colpevoli; quest’altro per altro motivo, ché non esitano a trovare pretesti quanti ne vogliano, e qualora non n’abbiano altro, adducono quello del gran numero dei sacerdoti, asserendo non doversi in massa elevare a questa dignità, ma con calma e a poco a poco; e possono trovare quante altre cagioni vogliono.

Or mi piace chiederti a questo punto: Che deve fare il vescovo contrariato da tali venti opposti? come starà fermo fra tanto ondeggiare? come respingerà tutti questi assalti? Ché se disporrà la bisogna con retta riflessione, tutti si dichiarano nemici e avversari a lui ed agli eletti, e ogni cosa faranno per animosità contro di lui, suscitando rivolte ogni giorno e infliggendo mille insulti agli eletti, finché o gli abbiano deposti o abbiano fatto luogo ai loro raccomandati. Accade come quando un pilota avesse nella nave che varca Tacque, dei pirati insieme naviganti e insidianti senza posa e in ogni istante a lui, ai marinai e agli altri viaggiatori: e se anteporrà il riguardo verso di quelli alla sua propria salvezza, accogliendo chi non dovrebbe, avrà Dio nemico invece ch’essi, del che qual cosa v’è più tremenda? e d’altra parte i rapporti con loro gli si faranno più difficili di prima, prestandosi tutti reciprocamente soccorso e rendendosi per tal guisa più forti. E come quando, per venti impetuosi scatenatisi da parti opposte, il mare fin allora tranquillo, d’improvviso infuria, si solleva e travolge i naviganti; così la pace della Chiesa quando accolga nel suo seno uomini corruttori, si riempie di procella e di molti naufragi.

XIV. Pensa pertanto quale deve essere colui che ha da andar incontro a sì gran tempesta e cavarsela bene da sì forti ostacoli, opposti a ciò che sarebbe di vantaggio comune: deve essere insieme serio e non altezzoso, temuto e accondiscendente, imperativo e popolare, imparziale e cortese, umile e non servile, forte e dolce, affine di poter combattere con buon esito contro tutte queste difficoltà. Si deve far avanzare con molta fermezza, anche se tutti s’opponessero, il candidato idoneo, e quegli che non è tale, con la stessa fermezza e anche se tutti cospirino contro, non promuoverlo, ma aver di mira una cosa sola, cioè l’edificazione della comunità ecclesiastica, né alcuna cosa compiere per simpatia o per animosità. Ti par dunque che io mi sia ritirato con buona ragione da questo ufficio e da questo ministero? ma tuttavia non t’ho ancora esposto tutto; ho altro da dirti: però ti prego, non stancarti di tollerare che un tuo amico e familiare voglia farti persuaso intorno a ciò di cui lo accusi.

Ché tali cose non sono soltanto utili per la difesa che tu avrai a far di me, ma anche per il disimpegno dell’ufficio stesso ben presto ti saranno di non lieve giovamento. È necessario che chi s’incammina per questa carriera di vita, quando abbia prima ben indagato ogni cosa, allora solo s’accinga al ministero; e per qual motivo mai? perché se non altro non gli toccheranno amare sorprese quando si trovi a tali incontri, se già di tutto avrà chiara nozione.

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Governo delle vedove e difficoltà che presenta. Cura degli ospiti e degli infermi.
Responsabilità del vescovo come amministratore


Vuoi dunque ora che io tratti prima del governo delle vedove, o della sollecitudine per le vergini, o della difficoltà che presenta la parte giudiziaria? Ché in ognuna di queste bisogne diversa é la preoccupazione, e più grande che la preoccupazione é il timore. E per principiare da quella parte che si crede essere più facile delle altre, la cura delle vedove sembra non arrecare altre brighe a chi se ne occupa, se non quelle riguardanti le spese necessarie; ma non é così; anche qui c’è bisogno di lungo esame, quando si tratta di accoglierle, perché l’ascriverle senza criterio e a casaccio, ha prodotto innumerevoli mali. Talora infatti esse hanno mandato in malora le case, violato i matrimoni; spesso si sono infamate con furti, con frodi e col perpetrare altre simili iniquità; ora il mantenere tali soggetti a spese della Chiesa, provoca punizione da parte di Dio e i peggiori biasimi da parte degli uomini, mentre poi rende più restii quelli che sarebbero disposti a beneficare.

Chi sopporterebbe infatti che i beni che egli aveva deciso di dare a Cristo, siano dissipati in pro di quelli che disonorano il nome di Cristo? Bisogna quindi fare lunga e diligente indagine, affinché non danneggino la mensa delle indigenti non solo quelle dette di sopra, ma né anche quelle che sono in grado di provvedere al proprio sostentamento. Dopo questa ricerca, sopravviene altra briga non piccola, per far sì che il loro nutrimento scorra abbondante come da sorgenti, né si esaurisca mai: l’indigenza forzata è una miseria in certa guisa insaziabile, querula e sconoscente; si richiede grande sagacia e grande diligenza per chiudere loro la bocca, togliendo qualsiasi pretesto di accusa. Ora molti, appena vedono un tale che sia superiore all’avidità di ricchezza, subito lo designano come idoneo a quest’amministrazione; ma io non credo che gli possa bastare tale magnanimità; questa si richiede bensì prima d’ogni altra dote (ché senza di ciò egli sarebbe un flagello anziché un protettore, e un lupo anziché un pastore), ma insieme con questa conviene cercare se ne possieda un’altra; quest’altra, che è causa d’ogni bene per gli uomini, è la longanimità, che guida l’anima ormeggiandola in porto tranquillo.

Il ceto delle vedove, per la indigenza, per l’età e per la sua stessa natura, dimostra una certa smodata indiscrezione, è meglio dir così, onde gridano fuor di luogo, menano querele invano, si rammaricano per cose di cui dovrebbero saper grado, accusano di cose alle quali era invece da far buon viso: e il reggitore deve tollerare tutto con fortezza, senza perdere le staffe né per le noie intempestive, né per gli irragionevoli biasimi; è giusto commiserare quel ceto per i disagi propri della sua sorte, anziché rampognarlo, ché l’accrescere il peso delle loro sventure e aggiungere all’ambascia dell’indigenza anche quella del maltrattamento, sarebbe estrema crudeltà. Onde un tale sapientissimo uomo, guardando l’avidità e l’alterigia propria della natura umana e avendo appreso che l’indole della povertà é così terribile da abbattere anche l’anima più generosa e indurla spesso a mostrarsi sfacciata nel richiedere le stesse cose, affinché taluno non monti in ira per esser da altri supplicato né per le continue richieste infastidito, diventi avversario quegli che doveva recare loro soccorso, lo dispone a mostrarsi accessibile al bisogno, dicendo: "Piega il tuo orecchio al povero senza infastidirti e rispondi a lui con pacata mansuetudine" (Eccl. 4,8).

Lasciando da parte il cercatore importuno e che potrebbe dire a chi giace nella miseria? parla a chi é in grado di sopportare la debolezza di quello, esortandolo a sollevare il povero con la dolcezza dello sguardo e l’affabilità della parola, prima di porgergli la limosina.

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Larghezza e buone maniere nel beneficare

XV. Che se poi alcuno si astenga bensì dall’appropriarsi i beni destinati a quelle, ma le copra di innumerevoli contumelie, le insulti e monti in furia contro di esse, non solo non avrà alleviato la confusione che loro ispira la povertà, col largire soccorsi, ma avrà cagionato loro un maggior affanno con i maltrattamenti. Ché sebbene, spinte dalla necessità del ventre, esse diventano assai impudenti, non ostante ciò soffrono a queste maniere violente; quando adunque per l’urgenza della fame sono necessitate a chiedere, e col chiedere s’inducono a comportarsi sfrontatamente, indi per la loro sfrontatezza vengono coperte di rimproveri, allora un molteplice peso di abbattimento apportatore di densa tenebra, si stende su l’anima loro. Chi si occupa di loro dovrà quindi essere tanto longanime, non solo da non accrescere la loro confusione con modi irritati, ma anche da attutire la maggior parte di quella che hanno già, con parole di conforto. Poiché, come chi godendo di grande abbondanza, se riceve insulto non sente la comodità che arreca il possesso delle sostanze per il colpo dell’offesa ricevuta; così quegli che ascolta parole affabili e che accetta l’offerta accompagnata da una voce confortatrice, si rallegra maggiormente e gioisce, e il soccorso a lui largito gli si duplica per le buone maniere onde è porto. E queste cose non dico da me stesso, ma secondo colui che ha fatta la prima esortazione: "Figlio, dice, nel beneficare non recare vituperio, e in ogni dono non recare dolore con le tue parole; non forse la rugiada lenirà l’arsura? così é migliore la parola che il dono. Ecco che la parola é al di sopra della buona largizione e l’una e l’altra sono presso l’uomo che gode fama di giusto" (Eccl. 18,15-17). Né solo giusto e longanime dev’essere chi soprintende alle vedove, ma non deve esser da meno come amministratore; il che se manchi in lui, trarrà a non minor rovina le sostanze dei poveri. Già taluno cui fu affidato questo ministero e che aveva radunato molto oro, non se lo divorò lui, ma neppur lo spese a vantaggio dei bisognosi, tranne di pochi; la maggior parte ripose e conservò fino a che sopraggiunto il tempo perverso, lo abbandonò nelle mani dei nemici. C’è bisogno dunque di molta previdenza, si da non prodigare né lesinare le provvigioni della Chiesa, ma distribuire subito ai poveri le somme offerte e radunare i tesori della Chiesa a norma delle intenzioni dei sudditi. Inoltre l’accoglienza degli ospiti e la cura degli infermi, qual dispendio di denaro non credi tu che richiedano, quale sollecitudine e prudenza da parte di chi ne é incaricato? le spese che tali bisogne richiedono non sono affatto minori di quelle di cui ho detto poc’anzi; spesse volte di necessità sono anche maggiori: onde chi vi soprintende dev’essere sagace nel procurare con circospezione e assennatezza, in guisa da disporre i proprietari a largire i loro beni con zelo e senza rammarico, per non danneggiare le anime dei donatori mentre provvede al sollievo degli infermi. Più ancora conviene qui far prova di longanimità e serietà; perché i malati sono una classe di difficile contentatura e d’animo debole; onde se non si circondano da ogni parte di premura e di sollecitudine, basta anche quella piccola trascuratezza per cagionare all’infermo grande tristezza.

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14/09/2009 08:43

Governo e cura delle vergini. Sollecitudini e ansie che ne derivano al vescovo e al sacerdote che ne é incaricato

XVI. Riguardo poi alla cura delle vergini é tanto più grande il timore quanto più eccellente é l’oggetto e quanto più regale é questo atto in confronto degli altri; invero anche nella schiera di queste sante persone si sono già introdotti numerosissimi soggetti ripieni di innumerevoli mali; onde é maggiore in questo caso l’affanno. Or come non é eguale cosa se cada in fallo una fanciulla libera o la sua ancella, così anche v’è differenza fra la vergine e la vedova. Per queste ultime infatti é cosa indifferente il far leggerezze, l’ingiuriarsi a vicenda, l’adulare, il mostrarsi sfrontate, l’apparire dappertutto e gironzolare per la piazza; ma la vergine si é disposta a più alto certame ed é emula d’una più alta filosofia; professa di mostrare sulla terra la condizione degli angeli e si propone di effettuare, pur circondata di questa carne, le virtù proprie delle potenze incorporee; onde a lei non s’addice il far lungi e escursioni, né le si permette di affastellare parole inutili e vane; di contumelie poi e di adulazioni non deve conoscere neppure il nome; per queste ragioni essa ha bisogno di più accurata custodia e di maggior soccorso, ché il nemico della santità sempre più fiero le fronteggia e assedia, pronto, se taluna vacilli e cada, a ingoiarsela; molti poi sono gli uomini insidiatori, e a tutto ciò s’aggiunge l’imperversare della natura; onde debbono schierarsi contro doppio ordine di nemici: quelli che assalgono all’esterno e quelli che agitano nell’interno.

Grande pertanto é il timore di chi vi presiede, maggiore ancora il pericolo e l’affanno se talvolta (ciò che non accada mai) gli venisse commesso qualche fallo involontario. Ché se "la figlia rinchiusa toglie il sonno al padre" (Eccl. 42,9) e l’ansia a riguardo di lei lo tiene sveglio, sì grande essendo il timore ch’essa non rimanga sterile, o che trapassi l’età buona, o che sia disamata dal suo fidanzato; quale fiducia avrà colui che ha da affannarsi non per questi motivi, ma per altri di questi assai maggiori? Qui non l’uomo viene tradito, ma lo stesso Cristo; né la sterilità genera solo infamia ma il danno di essa finisce con la rovina dell’anima. "Ogni albero, dice, che non fa buon frutto, viene tagliato e gettato sul fuoco" (Mt. 3,10); e quando sia odiata dallo sposo non basterà prendere il libello di ripudio, e andarsene, ma s’avrà in pena dell’odio la punizione eterna. Inoltre il padre carnale ha molti mezzi che gli rendono agevole la custodia della figlia: v’è la madre, la nutrice, lo stuolo delle ancelle; la sicurezza della casa poi viene in aiuto al genitore per la custodia della vergine.

Non le si permette di uscire continuamente in piazza, né qualora vi si rechi é necessitata a mostrarsi ad alcuno di quelli che s’incontrano con lei, giovando l’oscurità della sera non meno delle mura domestiche, per velare colei che non vuol farsi vedere; s’aggiunga a tutto ciò ch’essa é libera da ogni causa che la potrebbe forzare a mostrarsi in presenza d’uomini, perché né la sollecitudine delle cose necessarie né le macchinazioni degl’iniqui, né altro simile motivo la costringe a questi incontri, avendo essa il padre che s’occupa in vece sua di tutte queste faccende. Perciò ella non ha che una sola preoccupazione, di non fare né dire alcuna cosa indegna del decoro proprio del suo stato. Qui invece molte cause rendono al padre difficile, anzi persino impossibile la custodia; egli non potrebbe tenerla rinchiusa insieme con lui, ché tale coabitazione non é né conveniente, né priva di pericoli; se anche essi non ne soffrono danno e perdurano nel serbare intatta la santità loro, tuttavia per le anime che hanno scandalizzate, avranno a rendere non minor conto che se avessero peccato insieme.

Or non essendo ciò possibile, non torna facile né anche l’intuire i moti dell’anima, né reprimere quelli che si agitano sregolatamente e coltivare sempre più quelli composti e ordinati e guidarli al meglio; né torna agevole il sistemare le uscite. La povertà e la mancanza di protezione non gli permettono d’essere diligente indagatore della decenza che loro si conviene; infatti quando la vergine é costretta a provvedere da se stessa a ogni sua necessità, ha molti pretesti per uscirsene in giro, qualora voglia far disordini; ci vuole pertanto qualcuno che imponga loro di rimanere sempre e in casa e tolga di mezzo simili occasioni, procurando loro sia la sufficienza del necessario sia una persona la quale presti loro servizio per questi bisogni; é d’uopo anche impedirle di recarsi ai funerali e alle vigilie; perché quell’astuto serpente sa spargere il suo veleno anche fra le opere buone, onde bisogna che la vergine se ne stia trincerata e poche volte in tutto l’anno esca fuori di casa, quando motivi imprescindibili e urgenti ne la costringano.

Che se taluno dicesse non esservi affatto bisogno che il vescovo compia direttamente alcuno di questi uffici, sappi bene che le preoccupazioni e i biasimi riguardo a ciascuno d’essi si rivolgono sempre a lui.

E’ molto meglio ch’egli disimpegnando da se stesso ogni faccenda eviti le accuse che è giocoforza sopportare in grazia de’ falli altrui, piuttosto che scaricandosi del ministero, paventare le punizioni dovute a ciò che altri ha commesso. Inoltre colui che esercita da se stesso queste cariche, compierà ogni cosa con molta agevolezza, mentre invece chi ha da far ciò dopo d’aver persuaso la volontà di tutti, non riceve dall’aver rinunziato a far da sé un sollievo corrispondente alle noie e agitazioni cagionategli dai contraddittori e da quelli che si opporranno alle sue decisioni. Ma non potrei enumerare tutte le preoccupazioni relative alle vergini; già quando si tratti di iscriverle esse arrecano brighe non ordinarie a chi é incaricato di questa amministrazione.

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14/09/2009 08:44

Difficile compito dell’amministrare la giustizia con imparzialità.
Pericoli che possono presentarsi al vescovo per la suscettibilità delle varie classi di persone a cui deve usare cortesia.


XVII. La parte poi che riguarda i giudizi arreca infiniti pesi, grande fatica e tali difficoltà, quali non incontrano neppure i giudici dei tribunali civili. Ché difficile é trovare il giusto, e che colui che lo trova non lo corrompa. Né solamente fatica e difficoltà, ma vi si incontra pure non lieve pericolo; già taluni dei più deboli essendo stati coinvolti in processi, né trovando protezione, finirono per naufragare nella fede. Poiché molti offesi non meno degli offensori detestano chi non li soccorre, e non vogliono considerare né l’intricatezza delle questioni, né la tristezza delle circostanze, né la dignità ecclesiastica: sono giudici inesorabili che conoscono una sola difesa, cioè la liberazione dai malanni da cui sono oppressi; chi non é in grado di loro fornirla, anche se adduca mille ragioni non sfuggirà in alcun modo alla loro condanna. E poiché ho parlato di protezione, ti svelerò un altro motivo di biasimi: se colui che occupa la carica episcopale non va ogni giorno in giro per le case come un vagabondo, ne vengono indicibili malcontenti. Non solo gli ammalati, ma anche i sani vogliono esser visitati, indotti a ciò non da riverenza, ma piuttosto per pretesa d’onore e di considerazione.

Che se per l’urgenza di qualche bisogno e a vantaggio della comunità ecclesiastica gli accada di visitare più assiduamente alcuno dei più ricchi e potenti, subito gliene verrà taccia di servilismo e di adulazione. Ma che parlo io di protezione e di visite? anche solo dal modo di salutare sopportano tal peso di accuse da esserne sovente oppressi e abbattuti per lo scoraggiamento; persino degli sguardi hanno da rendere ragione; molti poi sottopongono a rigoroso esame ciò che quelli fanno ingenuamente, indagano sul tono della voce, sull’espressione degli occhi, sulla misura del sorriso: "al tale, dicono, ha rivolto il discorso con sorriso marcato, con aspetto giulivo e voce sonora; a me invece guardò poco e trascuratamente"; e se quando parla e molti stanno seduti insieme con lui, non porta l’occhio in giro da ogni lato, una parte di loro se ne adonterà come d’un insulto.

Chi dunque se non assai forte, potrà resistere a tali accusatori sia per sfuggire a ogni loro imputazione, sia per purgarsene dopo che gli fu inflitta? per vero bisognerebbe non aver affatto accusatori; ma se ciò é impossibile, almeno bisognerebbe poter liberarsi dalle loro accuse; che se anche ciò torna difficile e taluni si dilettano nel muovere querele, allora bisogna resistere fortemente all’abbattimento che ne deriva. Più facilmente sopporterebbe l’accusatore chi fosse incolpato per giusto motivo; ché non essendovi giudice più fiero della coscienza, quando siamo sopraffatti da questo che é più terribile, sopportiamo più facilmente quelli esterni che sono più benigni. Ma colui che non ha a rimproverarsi alcuna colpa, qualora venga accusato senza cagione si eccita tosto a sdegno e si abbatte facilmente nello scoraggiamento, se prima non si sia esercitato a sopportare le noie del volgo; ché non é possibile che uno falsamente accusato e condannato non si conturbi e non soffra qualche cosa per tanta iniquità.

Ma chi direbbe poi le afflizioni che debbono soffrire quando sia necessario espellere qualcuno dalla comunità ecclesiastica? e fosse pure che il male consistesse solo nell’afflizione l ma v’è anche non poca rovina; poiché v’è timore che punito oltre i giusti limiti quegli patisca ciò che fu detto dal beato Paolo, e venga assorbito da eccessivo dolore. Onde anche qui occorre gran diligenza affinché un mezzo di giovamento non diventi per lui occasione di un danno maggiore. Come un medico che non avesse inciso convenientemente la ferita, egli subirà in comune l’ira di Dio, eccitata da ciascuna delle colpe che quegli commetterà dopo una simile cura.

Or quali punizioni dovrà attendersi, quando uno non deve solo rendere ragione delle mancanze da lui commesse, ma trovasi esposto a estremo pericolo anche per i falli altrui? Che se dovendo dar conto delle nostre proprie mancanze noi paventiamo di non poter sfuggire a quel fuoco, che cosa dovrà aspettarsi di soffrire chi avrà a difendersi da tante colpe? Che poi ciò sia vero, odi il beato Paolo che lo dice, o piuttosto non lui ma Cristo che in lui parla: Ubbidite ai vostri capi e assoggettatevi a loro perché essi vegliano sulle anime vostre come quelli che hanno da renderne conto. È questo dunque un lieve timore? non è possibile affermarlo.

Ma tutte queste cose bastano per convincere anche i più increduli c ‘restii, che io ho deciso quella fuga non perché accecato da arroganza e vanagloria, ma solo perché temevo di me stesso e per riguardo alla maestà dell’ufficio.


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14/09/2009 11:26

Libro quarto

Intermezzo II. Alla osservazione di Basilio, che Giovanni non ha sollecitato la dignità, questi risponde, con esempi e similitudini, che anche chi non ha brigato per essere eletto é responsabile di ogni deficienza ed errore in cui avesse a cadere

I. Udite queste cose Basilio stette alquanto sopra pensiero, indi: "Ma questo tuo timore, disse, avrebbe ragion d’essere se tu ti fossi adoperato per ottenere questa dignità; colui infatti che col brigare per ottenerla dichiara d’essere idoneo al disimpegno dell’ufficio, se commette errori dopo che gli fu affidata, non potrà ricorrere al pretesto della sua inesperienza, poiché egli già prima si privò di questa difesa, col correre avanti e coll’afferrare il ministero; né chi spontaneamente e di propria volontà vi si sobbarcò, potrà poi dire: "Ho fatto questo sbaglio senza volerlo; contro mia volontà ho pervertito quel tale". Ché colui che avrà da giudicare questa causa, gli dirà: "E come mai, conoscendo quella tua inesperienza, e non avendo tu senno sufficiente per dar mano a quest’arte senza far sbagli, ti adoperasti per sobbarcarti e osasti intraprendere opere superiori alle tue forze? chi vi ti obbligava? chi vi ti trascinò a forza mentre tu resistevi e fuggivi?". Ma tu non ti sentiresti certamente dire alcunché di simile; né tu avresti da fare a te stesso qualche rimprovero di tal genere; é a tutti palese infatti che non hai sollecitato né molto né poco quell’onore, ma altri ti procurava la promozione; onde appunto ciò che toglie a quelli il perdono delle eventuali colpe, fornisce a te un saldo fondamento di difesa.

A queste parole io scuotendo il capo e un poco sorridendo, mi stupii della sua semplicità, indi soggiunsi: "Ben vorrei io pure che le cose stessero così come tu dici, o incomparabile uomo fra tutti, e non già per poter assumere quello a cui sono sfuggito. Ma quand’anche niuna pena mi fosse riservata per aver governato il gregge di Cristo a casaccio e senz’esserne capace, mi sarebbe tuttavia peggiore d’ogni castigo il dover io, incaricato di uffici tanto grandi, apparire così miserabile al cospetto di Colui che me li aveva affidati. E per qual motivo bramerei io che questa tua opinione non fosse priva di fondamento? certamente perché fosse dato a quei miseri (ché così hanno da chiamarsi quelli che non riescono a disimpegnare lodevolmente quest’incarico, anche se mille volte tu vada dicendo che vi furono trascinati per forza e che peccano involontariamente) perché fosse dato a costoro di sfuggire a quel "fuoco inestinguibile, alla tenebra esteriore, al verme imperituro, all’essere separato e perire insieme con gli ipocriti" (Mt. 24,51); ma che? non é così, non é così! e ti proverò se ti piace, la verità di ciò che dico, con l’esempio del principato, la cui eccellenza presso Dio non é sì grande quanto quella del sacerdozio.

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14/09/2009 11:27

Esempi di Saul, Eli, Mosè

II. Quel Saul figlio di Cis, non diventò re per esservisi adoperato, ma muovendo in cerca delle asine, si recò dal profeta per chiederne novelle e quegli allora gli fece parola del regno; e nemmeno così egli si spinse avanti, pur avendone udito parlare da un profeta, ma se ne ritraeva e vi s’opponeva dicendo: "Chi sono io, e quale é la casa di mio padre?" (1Re 9,21). Ma che? avendo egli malamente usato dell’onore accordatogli da Dio, valsero forse quelle sue parole a sottrarlo allo sdegno di colui che gli aveva conferito la regia potestà? E ben poteva egli dire a Samuele quando lo rimproverava: "Forse accorsi io spontaneamente alla dignità regia? o forse da me stesso mi vi spinsi sopra? io volevo pur vivere la vita inerte e quieta dei privati, tu invece mi trascinasti a questo onore; ma Se io mi fossi rimasto in quell’umile stato, avrei agevolmente evitate queste colpe, ché essendo io uno del volgo e oscuro, non sarei stato mandato a quest’impresa, né Dio m’avrebbe affidata la guerra contro gli Amaleciti; non essendone incaricato, non sarei mai caduto in questa colpa". Ma tutto ciò é insufficiente alla difesa, né solo è insufficiente, ma anche pericoloso, e tale da sempre più accendere lo sdegno di Dio. Colui che fu onorato oltre il suo merito, non deve già addurre la grandezza dell’onore a discolpa dei suoi falli, ma invece valersi della sollecitudine di Dio a suo riguardo come d’uno stimolo a maggior perfezione. Chi crede a sé lecito peccare per aver toccato in sorte un onore più grande, altro non fa se non additare la benignità di Dio come cagione delle proprie colpe, come hanno costume di dire sempre gli empi e quelli che sogliono governare trascuratamente la propria vita.

Noi non dobbiamo comportarci così, né dobbiamo cadere nella loro pazzia, ma dobbiamo in tutto aggiungere l’opera nostra secondo le nostre forze, e retta serbare la lingua e il pensiero. Neppure Eli (per venire ora al nostro argomento, cioè al sacerdozio, lasciando da parte il principato) si adoperò per acquistare il potere, ma che gli giovò questo, quand’ebbe prevaricato? Che dico acquistare? per la necessità della legge, non avrebbe nemmeno potuto sfuggirlo se avesse voluto; poiché egli apparteneva alla tribù di Levi e gli era gioco forza assumere la potestà che gli veniva dall’alto per via degli antenati; eppure anch’egli subì non piccola pena per le crapule dei suoi figli. Ma che? quegli stesso che fu il primo sacerdote degli Ebrei e del quale tante cose disse il Signore a Mosè, poiché non fu capace di resistere da solo contro la stoltezza di tanta moltitudine, non andò forse vicino alla rovina, se la protezione del fratello non avesse rimosso lo sdegno di Dio? E dacché ho ricordato Mosè, é opportuno mostrare la verità del mio assetto anche dalle vicende a quello occorse.

Quello stesso beato Mosè era tanto lungi dall’usurpare il dominio sugli Ebrei, che lo ricusò anche quando gli fu conferito; e imponendogli Dio di accettarlo, si oppose a tal segno da muovere all’ira chi ne lo investiva; né solo allora, ma anche in seguito mentre esercitava il potere, sarebbe morto volentieri per esserne esonerato: "Fammi morire, dice infatti, se vuoi fare a me in tal guisa" (Nm. 11,15). Ebbene? Quando egli ebbe peccato all’acqua, valsero forse questi reiterati rifiuti a difenderlo e a muovere Dio a perdonargli? e per qual altro motivo fu privato della terra promessa? per nessun altro motivo, come tutti sappiamo, che per questo peccato, per il quale quel mirabile uomo non poté ottenere ciò che ottennero i suoi sudditi, ma dopo le molte fatiche e angustie, dopo quell’indicibile errare, le guerre e i trofei, morì fuori dalla terra per la quale aveva durato tutti quei travagli; e dopo aver sostenuto i pericoli del pelago, non godette i vantaggi del porto. Vedi come non solo a quelli che usurpano questo potere, ma anche a quanti vi giungono per opera altrui, non. rimane alcuna difesa dei falli in cui sono caduti? E per vero, mentre costoro, che sebbene investiti da Dio della dignità vi si rifiutarono ripetutamente, nondimeno subirono sì grave pena, e nulla valse a sottrarre da tale pericolo né Aronne, né Eli, né quell’uomo beato, quel santo, quel profeta, quel mirabile e mansueto fra tutti gli uomini della terra e che parlava a Dio come a un amico; difficilmente a me che tanto sono lungi dalla virtù di quello, potrà servire di difesa la consapevolezza di non aver per nulla sollecitato questa carica; tanto più quando molte di queste ordinazioni avvengono non per impulso della grazia di Dio, ma per l’opera di uomini.

Dio aveva pur scelto Giuda, l’aveva collocato in quella santa schiera e gli aveva conferita insieme cogli altri la dignità apostolica, anzi, a lui aveva dato qualcosa di più che agli altri, cioè l’amministrazione del denaro. Ebbene? poi ch’ebbe usato di queste due prerogative contrariamente allo scopo, tradendo Colui ch’era stato incaricato di predicare e rovinando malamente i beni di cui gli s’era affidata l’amministrazione, forse che sfuggi alla pena? anzi, per ciò appunto si procurò un castigo maggiore; e ben a ragione.

Ché non si deve usare degli onori che Dio conferisce, per offenderlo, sebbene per maggiormente compiacerlo. Che se altri, per essere stato maggiormente onorato, stimasse giusto per questo di sfuggire la pena quando gli fosse dovuta, farebbe lo stesso di qualcuno degl’infedeli Giudei, il quale udendo Cristo che dice: Se non fossi venuto né avessi parlato loro, non sarebbero colpevoli, e: "Se non avessi operato fra loro tali prodigi quali nessun altro operò, non sarebbero colpevoli" (Gv. 12,6), rimproverasse il Salvatore e Benefattore dicendo: "E perché sei tu venuto e hai parlato? perché compiesti quei prodigi, per aver poi a punirci più fortemente?". Queste sarebbero certamente parole da pazzo e da delirante furioso; ché il medico non venne già per condannarti ma piuttosto per curarti e liberarti completamente dalla tua infermità: tu invece spontaneamente ti sottraesti alle sue mani; or dunque abbiti più aspra la pena. A quel modo che cedendo alla cura ti saresti liberato anche dai malanni anteriori, così se tu fuggi il medico quando ti s’avvicina, non potrai più detergerti da questi, e non potendolo subirai la pena di essi e dell’aver resa vana la sua cura, per quanto dipendeva da te.

Onde non sosteniamo eguale giudizio da Dio prima di essere onorati e dopo aver ricevuto gli onori, ma molto più severo dopo, ché colui che non diventò migliore in seguito ai benefici ricevuti, é giusto che sia più duramente punito. Or dunque, poi che a me appare insufficiente questa difesa e tale non solo da non salvare coloro che vi cercano rifugio, ma da esporli a maggior pericolo, fa d’uopo che tu mi mostri un altro scampo.

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14/09/2009 11:33

Se uno sa di essere inetto al ministero, deve sottrarsene, senza badare a riguardi personali

III. "E quale mai? poiché io non sono ormai in grado di governare me stesso, tanto m’hai reso trepidante e atterrito con queste tue parole".

"No, dissi io, te ne prego e te ne scongiuro, non voler tanto abbatterti; c’è senza dubbio lo scampo sicuro: per me debole esso consiste nel non mettermivi affatto; per te che sei forte invece, nel riporre la speranza in null’altro che, dopo la grazia di Dio, nel non fare nulla che sia indegno di questo dono né di Dio che lo largisce. Ché per certo sono meritevoli della massima punizione coloro che dopo aver raggiunta questa potestà dopo di averla sollecitata, ne fanno poi cattivo uso o per negligenza, o per malignità, o anche per inesperienza; ma non per questo é riservato alcun perdono a coloro che non trafficarono per conseguirla, ma anch’essi restano privi di qualsiasi difesa. Poiché fa d’uopo, mi pare, quand’anche moltissimi chiamino e sforzino d’accedervi, non badare a loro, ma saggiando anzitutto l’anima propria e ogni cosa diligentemente indagando, così poi acconsentire a quelli che spingono.

Nessuno oserebbe assumersi l’amministrazione di una casa senz’essere amministratore; né alcuno s’accingerebbe a trattare i corpi malati essendo ignaro dell’arte medica; ma se pur fossero molti che lo spingessero a forza, vi s’opporrebbe, né arrossirebbe di palesare la propria incapacità; e chi ha da essere incaricato della cura di tante anime, non esaminerà prima se stesso, ma se pur sia il più inetto di tutti, accetterà il ministero, perché il tale glielo impone, o il tale ve lo sforza, o per non offendere il tale altro? E come non precipiterà se stesso insieme con quelli in un danno palese? potendo egli salvarsi da se stesso, rovina gli altri insieme con lui; donde potrà dunque sperare salvezza? donde ricevere perdono? chi intercederà allora per noi? forse quelli che ora vi ci sforzano e a forza ci trascinano? ma costoro stessi chi li salverà in quell’ora? anch’essi hanno bisogno d’altri per poter sfuggire al fuoco. E per persuaderti che ora dico ciò non per incuterti spavento ma al tutto secondo verità, ascolta ciò che dice il beato Paolo a Timoteo suo figlio adottivo e diletto: "Non ti fare fretta d’imporre le mani ad alcuno e non prendere parte ai peccati degli altri" (1Tim. 5,22); vedi da qual biasimo non solo, ma anche da qual castigo ho liberato, per quanto stava da me, quelli che volevano spingermi a questa carica? Però che, come agli eletti non servirà di sufficiente difesa il dire: non venni di mio arbitrio, ho accettato senza prevedere la mia mala riuscita; così neppure agli elettori può giovare qualche cosa, se dicano di non aver conosciuto l’eletto; ma appunto per questo diviene maggiore l’accusa, perché promossero chi non conoscevano, onde quello che si stimava servire di difesa, viene ad aggravare l’imputazione.

Come non sarebbe strano infatti, che quelli che vogliono comperare uno schiavo, lo mostrino ai medici e richiedano persone garanti della compera, e interroghino i vicini, né si assicurino dopo tutto ciò, ma esigano un lungo tempo per farne la prova; mentre coloro che hanno da iscrivere alcuno a tanto ministero, senza fare alcun altro esame, ve lo aggiudichino agevolmente e senza badare, purché a taluno sembri bene designarvelo in grazia del favore o del disfavore altrui, tralasciando ogni altra ricerca? Chi intercederà allora per noi, quando gli stessi che dovrebbero perorare la nostra causa avranno essi pure bisogno d’intercessori?

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14/09/2009 11:36

Tanto l’elettore quanto il candidato devono ponderare con molta cura prima di scegliere o di lasciarsi eleggere.

Il giudizio di Dio sarà severo per gli uni e per gli altri se avranno agito con leggerezza.


IV. Bisogna dunque che anche chi ha da imporre le mani, premetta accurata indagine, e ancor più deve farlo il consacrando; ché se egli avrà gli elettori partecipi del castigo, per le colpe in cui sarà caduto; non vi sfuggirà per altro egli stesso, bensì ne subirà uno maggiore: a meno che coloro che lo promossero abbiano così agito per qualche motivo personale, contrariamente a quanto sembrava loro retto. Perché se saranno colti in fallo per questo lato, e conoscendo un candidato come indegno, lo promossero per qualche pretesto, le proporzioni della pena saranno eguali anche per loro, e anzi, maggiori saranno a quelli che investirono del potere un indegno; ché se uno conferisce la potestà a chi s’accinge a rovinare la Chiesa, sarà egli colpevole dei danni da quello perpetrati.

Se poi egli non avrà da rendere conto ad alcuno per queste colpe, ma dica d’essere stato ingannato dall’opinione del volgo, neppure in tal caso resta impunito, tuttavia subirà una pena alquanto minore di quella dell’eletto; e Perché? Perché é bensì probabile che gli elettori siano indotti a ciò ingannati dalla falsa opinione pubblica, ma l’eletto non potrebbe già dire: "Io non conoscevo me stesso" come altri potrebbero dire di non aver conosciuto lui; pertanto, siccome egli va incontro a più aspra punizione che quelli i quali ve lo promossero, così deve far l’esame di se stesso con maggior cura di loro, e quand’anche essi per ignoranza ve lo trascinassero, facendosi avanti deve esporre diligentemente le ragioni con le quali dissipi il loro inganno, e così, dimostrando se stesso indegno della promozione, sfuggirà l’incarico di sì gravi incombenze. Per qual motivo infatti, trattandosi di strategia o di navigazione o d’agricoltura o di altre professioni, il contadino non sceglierebbe di navigare, né il soldato di lavorare la terra, né il pilota di esercitare la milizia, quando pure si minacciassero di mille morti? certamente perché ciascun d’essi prevede il pericolo derivante dalla propria inesperienza; e frattanto useremo tanta previdenza là ove il danno versa intorno a interessi piccoli, né cederemo all’imposizione di chi ci sforza, e dove invece a quelli che mancando di capacità assumono il sacerdozio é serbata la pena eterna, trascuratamente e a casaccio ci sobbarcheremo al rischio, adducendo poi a scusa la violenza altrui?

Per certo non lo sopporterà Colui che allora ci avrà da giudicare: giacché bisognava mostrare maggior fermezza riguardo alle cose spirituali che a quelle materiali; or invece saremo trovati a non aver nemmeno mostrata l’eguale. Dimmi infatti: se prendendo noi un tale per architetto mentre non lo fosse, lo chiamassimo all’opera, e quegli venendo e ponendo mano al materiale radunato per la fabbrica, mandasse in malora e legname e pietre, e costruisse l’edificio in guisa tale che presto rovini, basterà forse a sua difesa l’esservisi accinto per comando d’altri e non essersi proposto spontaneamente? Non basterà affatto, e ben a ragione e giustamente; ché ben doveva egli ricusare, non ostante che altri lo chiamassero. Or dunque, mentre niuna speranza di sfuggire la pena rimane a chi mandò in malora il legname e le pietre, colui che rovina le anime e governa malamente, crederà giovargli per essere assolto, l’esservi stato obbligato da altri? E come non sarebbe ciò molto ingenuo? e lascio che nessuno potrebbe venire obbligato, qualora non volesse. Ma soggiaccia pure egli a quanta violenza si voglia e a molteplici raggiri per esser fatto cadere; forse ciò lo libererà da pena? no, te ne prego, non inganniamoci fino a tal segno, né simuliamo di ignorare ciò che é palese persino ai piccoli fanciulli; ché non ci potrà giovare questa simulazione d’ignoranza, quando saremo chiamati a giudizio.

Tu non brigasti per ottenere questa carica, conscio com’eri di tua debolezza: benissimo, ma bisognava che con la stessa intenzione t’opponessi a coloro che vi ti chiamavano; o forse tu eri debole e inetto solo fintantoché niuno ti chiamava, e come si trovò chi era disposto a conferirti l’onore, d’un tratto diventasti forte? ciò é ridicolo e insulso, e degno di gravissimo castigo. Per questo appunto il Signore esorta "colui che vuole edificare una torre, a non porre il fondamento prima d’aver computato le proprie sostanze, per non offrire ai presenti infiniti pretesti di scherno contro di lui" (Lc. 14,28). Per quello il danno si riduce alla derisione, qui invece la pena é il "fuoco inestinguibile, il verme imperituro, lo stridore dei denti, la tenebra esteriore e l’essere separato e collocato insieme con gli ipocriti" (Mt. 25,30).

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14/09/2009 11:37

La Chiesa é il corpo mistico di Cristo.

Ma i miei accusatori non vogliono saper nulla di tutto questo, ché diversamente avrebbero senza dubbio cessato di biasimare chi non vuol porsi inutilmente a rovina. Non ci é proposto l’esame circa l’amministrazione di frumento, né di biade, né di bovi e pecore, né di alcun’altra simile cosa, ma circa lo stesso corpo di Gesù. Poiché la Chiesa di Cristo, secondo il beato Paolo, é il corpo di Cristo; onde bisogna che quegli a cui esso é affidato, lo serbi in sanità e bellezza grandissima, d’ogni parte badando che né macchia né ruga né altra deformità abbia mai a distruggere quella bellezza e maestà: e che altro é ciò, se non far si che quel corpo appaia, per quanto può conseguirlo l’umana virtù, degno del purissimo e beato capo che vi sta sopra? Ché se quelli che bramano acquistare il vigore atletico hanno bisogno di medici e di maestri di ginnastica, di dieta accurata, di continuo esercizio e d’altre infinite cautele, potendo l’omissione, anche di piccole attenzioni, frustrare e rovinare ogni altra cura: quelli che sono sortiti a servire questo corpo, il quale deve scendere in giostra non contro altri corpi, ma con le potenze invisibili, come potranno serbarlo intatto e sano, se non superano di molto l’umana virtù e non conoscono perfettamente la cura adatta per l’anima?

Fine dell’intermezzo. II. Ripresa dell’argomento intorno alle virtù sacerdotali. Eloquenza e magistero della parola.
Necessità della parola per confondere gli eretici (nemici esterni) e le vane superstizioni (nemici interni).

V. O forse ignori che questo corpo soggiace a più malattie e insidie che la nostra carne, e che più presto di essa va in rovina e più difficilmente viene risanato? A quelli che curano gli altri corpi si offre varietà di medicine, diversi apparecchi meccanici e nutrimenti adattati agli infermi; spesso anche la natura del clima bastò da sola a ricondurre i malati a sanità; altra volta il sonno intervenendo a tempo debito, liberò il medico da ogni fatica. Qui invece non c’è da contare su alcuna di queste cose; una sola via e un sol mezzo di cura si offre, oltre le opere, quello cioè che é fornito dal magistero della parola. Questo é lo strumento, il cibo, la temperatura di clima più perfetta; questo fa le veci di medicina, di cauterio, di ferro; se occorra bruciacchiare o tagliare, di questo bisogna valersi, e ove esso manchi, farà pur difetto ogni altro rimedio. Con esso risvegliamo anche l’anima assopita e la ricomponiamo se diviene tumescente, tagliamo via il superfluo, riempiamo le lacune e compiamo ogni altra operazione opportuna per il benessere dell’anima. Per conseguire la miglior direzione della vita, giova la vita d’un altro che stimoli a emularla; ma qualora l’anima sia offesa per opera di falsi dogmi, v’è gran bisogno della parola, non solo per la sicurezza di quei di casa, ma anche per le guerre provenienti dal di fuori. Poiché se alcuno avesse la spada dello spirito e lo scudo della fede, tanto da poter compiere prodigi, e mediante i portenti chiudere la bocca agli sfrontati, forse non avrebbe alcun bisogno dell’aiuto della parola; o piuttosto, nemmeno allora tornerebbe inutile la virtù di essa, ma anzi molto necessaria; e per vero il beato Paolo se ne valse, sebbene dappertutto egli fosse ammirato per i suoi miracoli. E anche un altro dei membri di quel coro, raccomanda di adoperarsi a conseguire questa facoltà, dicendo: "Pronti sempre a dar soddisfazione a chiunque vi domandi ragione della speranza che avete dentro di voi" (1Pt. 3,15); tutti poi essi affidarono il governo delle vedove a Stefano ed a’ suoi compagni per nessuno altro motivo che per attendere al "ministero della parola" (At. 6,2).

Certamente non con la stessa sollecitudine andremmo in cerca della parola se avessimo la potenza che deriva dai miracoli; ma se di quella potenza non rimane neppure la traccia, mentre da ogni parte insorgono molti e assidui nemici, non ci rimane che armarci di quella, sia per non esser colpiti dagli strali degli avversari, sia per colpirli alla nostra volta.

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14/09/2009 11:39

La Chiesa è come città mistica oppugnata da molti nemici

VI. Bisogna pertanto usare molta diligenza affinché la parola di Gesù Cristo abiti in noi abbondantemente; non dobbiamo star preparati per una sola specie di battaglia, ma questa guerra é molteplice e combattuta da differenti nemici; essi non usano tutti le stesse armi, né a uno stesso modo fanno forza contro di noi. Onde chi s’accinge a sostenere la guerra contro di tutti, deve conoscere le arti di tutti: essere al tempo stesso arciere e fromboliere, generale e capitano, soldato e comandante, pedone e cavaliere, combattente di flotta e di fortezza.

Nelle guerre gli eserciti, attendendo ciascuno a una data operazione, respinge con questa gli assalitori; qui invece non accade così, ma se chi vuol vincere non conosce tutte le specie dell’arte, il diavolo é capace, anche per una parte sola che rimanga a caso trascurata, d’introdurre i suoi predoni e far strage delle pecore; ma non vi riesce, qualora sappia esservi un pastore fornito di ogni conoscenza e pienamente istruito delle sue insidie; bisogna pertanto ben munirsi da ogni parte. Fino a che una città si trova ben fortificata tutt’intorno, può ridersi dei suoi assedianti, rimanendosi in grande sicurezza, ma se si riesca ad aprire nel muro una breccia anche soltanto come una porticina, non le sarà più d’altro giovamento la sua cinta, sebbene in tutto il resto ancor intatta e forte.

Così é della città di Dio: fin che la ricinge da ogni parte invece di muro la sagacia e la prudenza del pastore, ogni artificio dei nemici ridonderà a loro scorno e derisione, mentre gli abitanti se ne staranno dentro al sicuro; ma se alcuno riesca a farla cessare in qualche parte, pur non distruggendola interamente, rovina per così dire tutto il resto per causa di quella parte. E che sarà, se mentre [il pastore] sa destramente combattere contro i Gentili, facciano strazio di essa i Giudei? o se vinti questi due nemici, la saccheggino i Manichei; o se dopo aver superato anche costoro, i partigiani del fato uccidano le pecore dentro raccolte? Occorre forse numerare tutte le eresie del diavolo, alle quali se non sappia resistere accortamente il pastore, potrà il lupo anche con una sola di esse divorare la maggior parte delle pecore? Inoltre, i soldati d’un esercito debbono sempre attendersi la vittoria o la sconfitta da parte di oppositori e combattenti; qui invece succede molto diversamente; spesso infatti la battaglia rivolta contro altri, diede la vittoria a tali che non vennero a pugna al primo scontro, né durarono fatica alcuna, ma se ne stavano inerti e seduti. Accade anche talora, che uno non molto addestrato a simile gioco, trafitto dalla sua stessa spada, divenga ridicolo agli amici ed ai nemici. Per esempio cercherò di renderti palese anche con un caso particolare ciò che dico coloro che accolgono la follia, di Valentino e Marcione e quanti sono affetti dalla stessa infermità di quelli, rigettano la legge data da Dio a Mosè dal catalogo delle divine Scritture; i Giudei all’opposto la venerano a tal segno da ostinarsi a osservarla interamente, anche se l’età più non lo comporta e contrariamente all’insegnamento divino; la Chiesa di Dio invece, evitando l’eccesso degli uni e degli altri, s’attiene al giusto mezzo e non permette di soggiacere al giogo di essa, né soffre che sia disprezzata, ma ancorché abrogata la approva, per aver essa giovato a suo tempo. Or chi ha da opporsi agli uni e agli altri deve conoscere questa giusta misura; ché se volendo ammaestrare i Giudei mostrando loro che s’attengono intempestivamente alla legge antica, comincerà ad attaccarla smodatamente, porge non piccola presa a quegli eretici che vorrebbero lacerarla; se poi volendo chiudere la bocca a questi, prenda ad esaltarla oltre misura, ammirandola come se fosse necessaria anche al presente, eccoti che apre la bocca ai Giudei.

Così pure quelli che sono presi dalla pazzia di Sabellio e quelli che partecipano la furia di Ario, per eccesso tanto gli uni che gli altri si dipartirono dalla sana fede; essi tutti sono detti Cristiani, ma chi ricerchi i loro dogmi troverà gli uni per nulla migliori dei Giudei, se non in quanto hanno diverso nome; gli altri molto somiglianti all’eresia di Paolo di Samosata, e lontani tutti dalla verità. Anche qui v’è gran pericolo, e la via é stretta e intricata, isolata d’ambo i lati da precipizi; e v’è non piccolo timore che mentre [il pastore] vuol sottomettere l’uno, non resti offeso dall’altro. Ché se uno proclama una sola divinità, tosto Sabellio trae la parola al suo perverso concetto; se poi la separa, dicendo il Padre distinto dal Figlio e dallo Spirito Santo, si fa innanzi Ario per ridurre a una diversità di sostanza la distinzione delle persone; bisogna invece evitare e fuggire tanto l’ampia confusione di quello, come la pazzesca separazione di costui, proclamando un’unica sostanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e facendo rilevare le tre ipostasi distinte: così potremo bloccare le uscite agli uni e agli altri. Potrei dirti di molte altre difficoltà, contro le quali se uno non lotta con vigore e sagacia, se n’andrà coperto d’innumerevoli ferite.

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14/09/2009 11:40

Insidie provenienti dai membri stessi della comunità. Superstizioni e malignità

VII. Chi potrebbe poi enumerare i pettegolezzi di questi, di casa? essi non sono minori degli assalti di quei di fuori anzi danno maggior briga a chi ha l’incarico d’ammaestrare. Gli uni spinti da zelo indiscreto, si occupano senza criterio e inutilmente di ciò che non reca alcun vantaggio a chi l’apprende, né é d’altra parte possibile apprenderlo; altri chiedono ragione a Dio dei suoi giudizi, sforzandosi come di scandagliare un grande abisso; però che "i tuoi giudizi, dice, sono un abisso grande" (Sl. 36,6). Pochi poi troveresti che siano solleciti della fede e del retto vivere, la maggior parte invece occupati nel fare e ricercare quello che non si può trovare e trovato muove Dio a sdegno. Ché quando ci sforziamo d’apprendere ciò che Egli non ha voluto che noi conoscessimo, non riusciremo a saperlo (e come potremmo se Dio non lo vuole?) e ci sovrasterà unicamente il pericolo derivante dall’essere andati investigandolo. Ma pur stando così le cose, quando uno riesca con l’autorità a chiudere la bocca a quelli che cercano tali arcani impossibili a conoscersi, si buscherà la taccia d’arrogante e ignorante; onde anche qui bisogna andar molto cauti, sì che il reggitore si sottragga a questioni fuor di luogo, e nello stesso tempo sfugga alle sopraddette accuse. Per tutte queste difficoltà non c’è offerto altro aiuto che quello che viene dalla parola; se taluno é privo di questa forza, le anime degli uomini a lui soggetti saranno in condizioni non migliori di navicelle continuamente sbattute da tempesta, dico degli uomini più infermi e più curiosi; onde il sacerdote ha da porre in opera ogni mezzo per acquistarsi tale potenza.

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Elogio di S. Paolo

VIII. "Or dunque, disse Basilio, perché Paolo non si curò di eccellere in questa virtù? egli non si vergogna della povertà di parola, ma confessa apertamente di essere idiota, e ciò scrivendo ai Corinzi, che erano ammirati per abilità di eloquio e ne andavano molto superbi".

"Questo, risposi, questo é ciò che rovinò molti e li rese più inerti nel magistero di verità; ché incapaci di indagare accuratamente la profondità dei concetti dell’Apostolo, e di penetrare il senso delle parole, consumarono tutto il loro tempo in letargo e fra sbadigli, coltivando questa idiozia: non già quella per cui Paolo chiama se stesso idiota, bensì un’altra da cui egli era tanto lontano quanto nessuno altro uomo che é sotto il cielo. Ma questo discorso ci aspetti al momento opportuno; frattanto io dico questo: poniamo pure ch’egli fosse per questo riguardo idiota, com’esci vogliono; orbene, che cosa importerebbe ciò per noi? Egli invero possedeva una forza molto più possente della parola e capace di operare molto maggior bene; ché al solo suo apparire, senza pur che parlasse, era tremendo per demoni; quelli d’adesso già non varrebbero a effettuare ciò che altra volta fecero i "semicinzi" (At. 19,12) di Paolo, quand’anche s’unissero insieme con infinite preci e lacrime. Col pregare, Paolo risuscitò i morti e operava tali altri portenti da essere creduto dai pagani una divinità; inoltre prima di uscire da questa vita fu fatto degno d’essere rapito fino al terzo cielo e intendere parole che alla natura umana non è permesso di udire. Quelli d’adesso invece (non posso dir nulla di disgustoso e offensivo, ché non parlo per inveire contro di loro, bensì per esprimere la mia ammirazione) come non rabbrividiscono paragonando se stessi ad un tale uomo? E se lasciando da parte i prodigi veniamo a considerare la vita di quel beato, e investighiamo la sua condotta angelica, in questa più ancora che nei miracoli, vedrai l’atleta di Cristo riportare la palma. Chi può degnamente dire del suo zelo e della sua moderazione, dei continui pericoli, delle cure costanti, degli incessanti affanni per le Chiese, del partecipare le infermità altrui, delle molte premure, delle straordinarie persecuzioni, e del morire ogni giorno? Qual parte del mondo, qual continente, qual mare non conobbe le fatiche di quel giusto? persino le lande disabitate lo conobbero e l’accolsero frequentemente in pericolo. Egli sofferse ogni sorte di insidie e riportò ogni genere di vittoria, né mai cessò di combattere e di riportare corone. Ma non so come m’indussi a vituperare quell’uomo: poiché i suoi pregi superano ogni parola, la mia poi di tanto, quanto i valenti parlatori mi vincono in eloquenza. Tuttavia anche così, ché quel beato non mi giudicherà dal risultato ma dall’intenzione, non mi tratterrò dal dire anche quello che supera di tanto il già detto, quanto egli supera tutti gli altri uomini. Che è ciò? dopo tante virtù dopo le innumerevoli corone, egli pregava di poter andare nella geenna e d’essere condannato alla pena eterna, perché si salvassero e si unissero con Cristo quei Giudei, che lo lapidarono e lo avrebbero anche ucciso se avessero potuto; chi amò Cristo fino a tal segno? seppure deve questo chiamarsi amore, o non forse qualcosa d’altro più grande che l’amore. E noi ci paragoneremo ancora a lui, dopo tanta grazia ch’egli ricevette dall’alto, dopo sì gran virtù da lui manifestata in se stesso? e qual maggiore audacia di questa?"

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14/09/2009 11:46

Eloquenza di S. Paolo

IX. E ora mi studierò anche di dimostrare che egli non era così idiota come quelli pensano. Essi invero chiamano idiota non solo chi non possiede la forbitezza dell’eloquenza pagana, ma chi neppure sa combattere per i dogmi della verità, e stimano rettamente: ma Paolo non disse già d’essere idiota sotto tutti e due questi aspetti, bensì sotto uno soltanto, e per confermarlo stabilisce chiaramente la distinzione, dicendo d’essere idiota nella parola, ma non nella conoscenza. Se io cercassi la levigatezza di Socrate, la maestà di Demostene, la gravità di Tucidide o la sublimità di Platone, in tal caso s’avrebbe da addurre quella testimonianza di Paolo; ma ora lascio da parte tutte quelle doti e tutto il superfluo adornamento dei pagani, né m’importa nulla della dicitura né dello stile: sia pur concesso d’aver povertà di frase e una combinazione di parole semplice e senza ricercatezza; soltanto nessuno sia idiota quanto a dottrina e a precisione di dogmi; né per palliare la propria indolenza sottragga a quel beato la maggiore fra le sue doti e quello che gli merita maggior lode.

S. Paolo cominciò il suo apostolato predicando e per mezzo della eloquenza ottenne i primi risultati

Con qual mezzo infatti, dimmi, confuse egli i Giudei che abitavano in Damasco, mentre non aveva ancora incominciato a operare prodigi? con quale vinse gli Ellenisti? Perché fu mandato a Tarso? Non forse perché egli fu vittorioso con la parola e tanto gl’incalzava da provocarli persino a toglierlo di vita, non potendo sopportare in pace la sconfitta? eppure colà non aveva ancor cominciato a compiere miracoli; né alcuno potrebbe dire che la maggior parte lo ammirassero per la fama dei suoi portenti e che quelli che lo prendevano di mira fossero sgominati dalla riputazione ch’egli godeva, ché fino a quel punto egli vinceva unicamente con la forza della sua parola. Con qual mezzo combatté e venne a discussione in Antiochia contro i giudaizzanti? e quell’Areopagita originario di quella superstiziosissima città, non divenne forse suo seguace egli e sua moglie attratto unicamente dal suo discorso? ed Eutico, come cadde dalla finestra? non forse per aver egli atteso a udire fino a notte inoltrata l’insegnamento della parola di lui? E a Tessalonica e a Corinto? e a Efeso e nella stessa Roma? non passava interi giorni e notti continuamente inteso a esporre le Scritture? chi potrebbe ripetere i suoi discorsi agli Epicurei e agli Stoici? Andrei ben per le lunghe, se volessi ricordare ogni cosa! Se dunque e prima dei miracoli e contemporaneamente a questi, appare aver egli fatto grande uso della parola, come oseranno ancora dire idiota colui che fu da tutti massimamente ammirato per la valentia nel discutere e nel concionare? Per qual motivo infatti i Licaoni lo credettero Ermes? l’essere essi ritenuti come dei deriva dai miracoli; ma che lui fosse preso per Ermes non fu già per i miracoli, bensì per la sua parola. Ed in che cosa quel beato sorpassò gli altri Apostoli e per qual ragione egli è molto celebrato da tutti nel mondo? come mai è ammirato sopra tutti non solo da noi, ma altresì dai Giudei e dagli Elleni? non è forse per l’efficacia delle sue epistole, colla quale edificò non solo i fedeli di quel tempo, ma ancora quelli che furono d’allora fino al presente e che saranno fino al giorno della parusia di Cristo, né cesserà di farlo finché duri l’umana stirpe? Queste sue scritture sono di baluardo come muro d’acciaio per tutte le Chiese del mondo, di guisa che [l’Apostolo] come un valorosissimo campione è tuttora fra noi "conducendo in servaggio ogni intelletto all’ubbidienza di Cristo, distruggendo le macchi nazioni e qualunque altura che si innalza contro la scienza di Dio" (1Cor. 10,5).

Tutto ciò egli compie per mezzo di quelle epistole che ci ha lasciate, meravigliose e piene di sapienza divina. Le sue scritture poi non valgono soltanto a distruggere i dogmi fallaci e confermare i veri, ma anche per ben vivere ci sono di non piccolo aiuto. Valendosi di esse infatti i capi delle Chiese, governano, edificano e innalzano a spirituale bellezza quella pura vergine che egli impalmò a Cristo, allontanano le infermità che cadono su di lei e le conservano la sanità acquistata. Tali medicine e di tanta efficacia ci ha lasciato quell’idiota, e le conoscono per prova coloro che incessantemente se ne valgono. Da ciò adunque appare manifesto che egli dedicò grande cura all’acquisto di questa dote.

X. Odi anche quello che dice scrivendo al suo discepolo: "Attendi alla lettura, all’esortare e all’insegnare" (1Tim. 4,13); indi aggiunge il frutto che ne deriva, dicendo: "Così facendo salverai te stesso e quelli che ti ascoltano" (1Tim. 4,16b). E ancora: "Al servo del Signore non si conviene di litigare: ma di essere mansueto con tutti, pronto a istruire, paziente" (1Tim. 4,13); e proseguendo soggiunge: "Ma tu attendi a quello che hai imparato e a quello che ti é stato affidato, sapendo da chi l’hai appreso, e che dalla fanciullezza conoscesti le sacre lettere le quali possono istruirti" (2Tim. 3,14); e inoltre: "Tutta la Scrittura é divinamente ispirata, dice, e utile a insegnare, a redarguire, a correggere, a formare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto" (2Tim. 3,16-17).

Ascolta ancora ciò che egli prescrive a Tito parlando dell’elezione dei vescovi: "Però che il vescovo dev’essere dedito a quella parola fedele che é secondo la dottrina, affinché sia capace di convincere i contraddittori" (Tt. 1,9). Come mai uno essendo idiota, com’essi dicono, potrà convincere i contraddittori e ridurli al silenzio? e qual bisogno c’è di attendere alla lettura e alle Scritture, se s’ha da far buon viso a questa idiozia? ma queste cose sono pretesti e scuse, e nient’altro che un tentativo per dissimulare l’inerzia e la pigrizia. "Ma, essi dicono, tali precetti sono dati ai sacerdoti"; certo dei sacerdoti appunto noi ora parliamo; ma per convincerti che sono rivolti anche ai sudditi, odi ancora ciò ch’egli con altre parole in altra epistola raccomanda: "La parola di Cristo abiti in voi con pienezza in ogni sapienza" Col. 3,16); e ancora: "Il vostro discorso sia sempre con grazia asperso di sale, in guisa da distinguere come abbiate a rispondere a ciascheduno" (Col. 4,11); ora questa esortazione, d’esser pronti alla difesa, è rivolta a tutti; scrivendo poi ai Tessalonicesi: "siate, dice, di edificazione l’uno all’altro, come pur fate" (Tess. 5,11).

E quando discorre dei sacerdoti: "I presbiteri che governano bene sian riputati meritevoli di doppio onore; massimamente quelli che si affaticano nel parlare e nell’insegnare" (1Tim. 5,17). Poiché il termine più perfetto dell’insegnamento si raggiunge quando [i maestri] riescano a trarre i discepoli alla santa vita ordinata da Cristo, sia con le loro parole, sia con le loro opere; ché il fare non basta da solo per esercitare il magistero; né la sentenza è mia, bensì del Salvatore stesso: "Chi avrà e operato e insegnato, questi sarà chiamato grande" (Mt. 5,19). Or se l’operare equivalesse all’insegnare, la seconda parte era superflua, e sarebbe bastato dire: "Chi avrà operato"; ma col distinguere l’una cosa dall’altra, dimostra che una parte [del magistero] consiste nelle opere, un’altra nella parola, e che hanno bisogno reciproco l’una dell’altra per la perfetta edificazione. O non odi ciò che dice quel vaso eletto di Cristo ai presbiteri degli Efesini: "Per la qual cosa siate vigilanti, rammentandovi come per tre anni non cessai giorno e notte d’ammonire con lacrime ciascuno di voi?" (At. 20,31). Che bisogno c’era allora di lacrime o d’ammonizione di parole, mentre la sua vita apostolica splendeva di tanta luce?

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14/09/2009 11:57

L’esempio apostolico non basta da solo. Bisogna che vi si unisca, come dimostra lo stesso S. Paolo, l’efficacia della parola

XI. Questa [sua vita] può bensì essere in gran parte d’impulso per l’adempimento dei precetti, né direi che anche per quello scopo basti da sola a esercitare ogni efficacia, ma quando ci si muove guerra intorno ai dogmi e tutti ci combattono appoggiandosi sulle Scritture stesse, quale forza potrà mostrare in tal caso l’esempio della vita di lui? Qual frutto si ricaverà dall’esempio dei tanti sudori di lui, se non ostante quelle fatiche taluno per la sua grande incapacità cadendo nell’eresia venga scisso dal corpo della Chiesa, cosa ch’io ho pur visto accadere a molti? Qual vantaggio verrà a lui dalla fortezza (dell’Apostolo)? nessuno, come nessun vantaggio verrebbe dal serbare retta la fede, qualora la vita diventi corrotta. Per questi motivi appunto bisogna che chi deve ammaestrare gli altri abbia grande perizia di queste battaglie; ché se anche egli rimanga al sicuro senza subire danno da’ suoi contraddittori, tuttavia la moltitudine dei meno istruiti che è a lui soggetta, vedendo il capo ridotto al silenzio senz’aver di che rispondere agli avversari, attribuirà la sconfitta non alla debolezza di lui, ma all’essere egli intaccato nel dogma; onde per l’incapacità d’uno solo, gran parte del popolo viene tratta a rovina. Ché se pure non si schierino interamente dalla parte degli avversari, tuttavia sono condotti per forza a dubitare di ciò che dovrebbero credere con sicurezza, né possono più aderire con la medesima fermezza a quanto per l’innanzi accoglievano con fede incrollabile; ma per la sconfitta del maestro, sorge nelle loro anime tale tempesta, da finire anche con un funesto naufragio; or qual rovina e qual fuoco s’accumuli sul capo di quel misero per ciascuno di questi perduti, non c’è bisogno che tu l’apprenda da me, sapendolo tu pure perfettamente. E dunque dovrà chiamarsi arroganza e vanagloria il non voler esser cagione della rovina di tanti, né procurare a me stesso un maggior castigo di quello che ora mi è serbato colà? chi potrebbe dir ciò? nessuno per certo, tranne chi voglia inutilmente biasimare o sfoggiare senno sui casi altrui.

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14/09/2009 11:58

Libro quinto

Il vescovo come maestro e oratore. Contegno e esigenze dell’uditorio

I. Ho dimostrato a sufficienza di quanta abilità dev’essere fornito il maestro per potere far fronte agli assalti contro la verità; debbo ora parlare di un’altra incombenza oltre quelle accennate, che è causa di infiniti pericoli; o piuttosto, direi che non essa lo sia, ma coloro che non sanno adempierla come si conviene; poiché l’opera per se stessa può essere strumento di salvezza e pegno di molti beni, quando trovi per ministri uomini diligenti e virtuosi. Qual è quest’incombenza? la gran fatica consacrata ai discorsi che si tengono pubblicamente al popolo. Anzitutto la maggior parte dei sudditi non vogliono comportarsi di fronte agli oratori come dinanzi a maestri, ma trapassando il livello di discepoli, assumono l’atteggiamento degli spettatori che assistono agli spettacoli profani; e come il popolo là si divide, e gli uni si dichiarano per questo, gli altri per l’altro, così anche qui, fra loro divisi, parte sostengono un tale, parte un tal altro, e ascoltano le cose predicate solo per applaudire o per biasimare. Né questo è il solo male, ma ve n’è un altro non minore: se accade che un oratore inserisca nel suo discorso qualche brano di fattura altrui, è fatto segno a dileggio più che un ladro volgare; spesso anche senza che plagio vi sia, ma solo per un sospetto, lo trattano come chi è colto con le mani nel sacco. Ma che dico brani di fattura altrui? Non è neppure lecito a uno di valersi più volte delle sue stesse opere; poiché non per trarne vantaggio, ma unicamente per diletto sogliono ascoltare la maggior parte, sedendo come fossero giudici di citarèdi e di tragèdi così la facoltà dell’eloquenza che poco fa sottoposi a censura, diventa qui tanto desiderabile quanto nemmeno lo è ai sofisti obbligati a discutere fra di loro. Anche in queste circostanze pertanto c’è bisogno di un’anima generosa e molto al disopra della mia piccolezza, per reprimere la disordinata e perniciosa voluttà della moltitudine e indirizzare l’uditorio verso una meta. più vantaggiosa, di modo che il popolo gli vada dietro docilmente e non sia egli trascinato dalle loro velleità. Ciò non è dato ottenere se non con questo duplice mezzo: disprezzo delle lodi e efficacia di parola.

Non bisogna dar troppo peso alle approvazioni e ai biasimi dell’uditorio

Il. Ove l’uno manchi, l’altro torna inutile, per la separazione dal primo; se uno pur nutrendo disprezzo per la lode, non esponga un insegnamento con grazia e asperso di sale, diviene facilmente oggetto di scherno per la maggior parte, nulla guadagnando da quella sua superiorità d’animo; se poi si diporti bene per questo lato e si lasci soggiogare dall’opinione che s’esprime con applausi fragorosi, ne verrà eguale danno a lui e alla moltitudine, poiché egli, preso dal desiderio della lode, si dedicherà al ministero della parola più per acquistare favore che per recare vantaggio. Onde, come colui che non avendo brama di gloria né sapendo parlare affatto, non cede alla voluttà del popolo, ma nemmeno può recargli qualche notevole giovamento, così pure chi è trascinato dal desiderio di elogi, mentre avrebbe da dire quello che può rendere migliore il popolo, invece di ciò espone quello che meglio serve a dilettarlo, traendone in compenso lo strepito degli applausi.

L’ottimo capo ha da esser quindi ben munito da ambe le parti, onde non rovinare l’una per mezzo dell’altra.

Quando egli sorgendo in mezzo dice cose adatte a scuotere gli inerti, ma poi incespica, s’interrompe ed è costretto a vergognarsi per incapacità, tosto si disperde il frutto delle cose dette; ché quelli che furono ripresi, rattristati per le parole loro indirizzate e non potendo altrimenti resistergli, lo colpiscono schernendo la sua ignoranza, e credono così di nascondere i rimproveri da lui ricevuti. Conviene pertanto che come un ottimo auriga, spinga se stesso alla perfezione di questi due pregi in guisa da poterne far uso secondo il bisogno: quando sarà irreprensibile di fronte a tutti, allora potrà con quanta autorità gli piaccia punire o perdonare secondo il caso tutti i suoi sudditi: ma prima d’aver raggiunto questo termine non gli sarà facile agire in tal guisa. Si deve poi estendere la magnanimità non solo fino al disprezzo delle lodi, ma più oltre, affinché il frutto non rimanga incompleto.

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