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Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2009 10:25
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04/10/2009 22:09

E' nel cuore dell'uomo la causa dei mali del mondo

Parla il rev. Godfrey Igwebuike Onah, "esperto" al Sinodo per l'Africa

di Mariaelena Finessi

ROMA, domenica, 4 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

La causa dei problemi del mondo? Il cuore dell'uomo. «Si, è questo ciò che direbbe un africano vero». Reverendo Godfrey Igwebuike Onah, vice rettore della Pontificia Università Urbaniana di Roma, parlando il 1° ottobre ad un incontro dell'Osservatorio sul Sinodo africano che si sta tenendo in Vaticano in questi giorni, non accetta altre risposte.

I disastri che attanagliano l'umanità nascono dalle decisioni di coloro che non sono in comunione con Dio: «Per un cristiano, la pace, la giustizia e la riconciliazione si trovano solo in Cristo». E allora si, è vero, i Paesi che sfruttano il continente nero hanno messo in ginocchio milioni di persone, ma la verità è «che tutto questo è stato possibile con la collaborazione di quei fratelli che hanno venduto la propria coscienza».

Ciò nonostante, spiega il sacerdote nigeriano – alle cui parole fa da sfondo un telo su cui è dipinto il volto di santa Josephine Bakita, del Nobel per la pace Nelson Mandela, dell'atleta kenyota Paul Tergat e dell'economista ed ex presidente della Tanzania Julius Nyerere, per il quale nel 2005 è stata aperta la causa di beatificazione - non ci si deve arrendere ma lottare per riportare la speranza tra coloro che non ne hanno più.

Parole, quest'ultime, che compongono un discorso “di parte”, e come potrebbe essere altrimenti? “Certe cose si possono veder bene solo da chi ha gli occhi pieni di lacrime”, amava dire il Romero d’Africa, monsignor Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu-Congo, ucciso nel 1996 per le sue prese di posizione durante la guerra congolese, quando gridò che nessuna logica politica vale più della persona umana.

Allo stesso modo, il reverendo Onah si sente coinvolto al punto di non fare sconti a nessuno. Ce n'è per tutti: per chi ha depredato e continua a depredare la sua terra, per chi in Italia è contro la convivenza etnica, per chi pensa con malinconia all'Africa lontana, quando sarebbe già tanto «preoccuparsi degli africani che vivono qui» e contro chi molto spesso ha tradito il vero messaggio evangelico.

A tal proposito, ricorda come nel 1994, anno della I Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, il segno più drammatico della distanza tra la vita reale degli africani e un certo modo d'intendere il cristianesimo stava nella tremenda coincidenza dell'inizio del Sinodo e l'inizio del genocidio in Rwanda, «uno dei Paesi più cristiani d'Africa».

Ma ricorda pure come oggi questo continente sia «l'imbarazzo del mondo, coinvolto nella crisi economica ma non nella ricerca della sua soluzione». E come, ancora più grave, sia «la marginalizzazione dell’Africa», clochardizzazione la chiamava il teologo Jean Marc Ela: uomini e donne che non contano perchè non servono al mercato e che oggi trovano la tomba nelle acque del Mediterraneo. Comportamenti indegni che alimentano la rabbia, anche perché «se al posto degli uomini morissero giraffe e scimpanzé la comunità internazionale si mobiliterebbe».

L'avvertimento del religioso non ha allora bisogno di commenti: «Se il mondo fa credere ai giovani africani delusi, come già accade in Medio Oriente, che la risposta ai problemi è nell'assalto al resto del mondo, a tremare saranno tutti».

Per il momento la presenza dei missionari che insegnano il perdono rappresenta un deterrente all'esplosione della rabbia. «Se non per ragioni umanitarie, almeno per questo la sorte degli africani dovrebbe interessare tutti – termina Onah –. Qualsiasi cosa la Chiesa fa per rinnovare lo spirito cristiano in Africa, lo fa per il mondo intero».

Lo svolgimento dell'assemblea episcopale dal 4 al 25 ottobre – appuntamento al quale il reverendo parteciperà nelle vesti di “esperto” - rappresenta allora una grossa opportunità di comprensione: «Il Sinodo, che vuol dire “camminare insieme”, è un incontro dei vescovi della Chiesa nella sua universalità e non solo dei vescovi africani. Ed è bene che sia fatta a Roma perché solo così possiamo sperare di essere ascoltati da quella comunità internazionale che è espressione dei paesi più ricchi e potenti». In finale, da quei Paesi che decidono il destino di troppa umanità.

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05/10/2009 15:31

Suor Elisa Kidanè, Consigliera generale delle missionarie comboniane

«E noi religiose diciamo: dateci spazio»


Gian Guido Vecchi

CITTA’ DEL VATICANO

«Sa cosa vorrei? Che il documento finale del
sinodo avesse un capitolo intero dedicato alla condizione femminile. Anzi, che iniziasse proprio così: amatissime donne e figlie d’Africa!».

Suor Elisa Kidanè, nata in Eritrea, poetessa e giornalista, nel 1980 entrò nelle missionarie comboniane e oggi ne è Consigliera generale: una delle 10 donne (su 29) che parteciperà all’assemblea generale tra gli adiutores , gli esperti chiamati a collaborare.

Sorride: «Sì, ‘amatissime’: non per dirci che cosa dobbiamo fare — quello già lo sappiamo, l’abbiamo fatto ieri e continuiamo oggi — ma per confermarci nel nostro ruolo: il compito di chi ha in mano i destini dell’Africa e dell’umanità, anche se non l’hanno capito».

Perché i destini dell’Africa, in particolare?

«Se dopo tante guerre, epidemie, infermità e morti non abbiamo ancora visto passare il cadavere dell’Africa, è perché le donne resistono. La vita quotidiana passa attraverso le loro mani, in qualsiasi cultura africana. Vede, in molti villaggi l’uomo è assente: non per cattiva volontà, ci sono uomini stupendi, ma perché è in fuga, in guerra, in miniera… La donna c’è sempre. Per questo l’Africa non può fare a meno di quella presenza che ogni giorno, prima che spunti il sole, s’incammina a inventare il presente».

Anche i numeri della Chiesa africana colpiscono: quasi trentacinquemila sacerdoti, tremilacinquecento missionari; mentre le religiose, da sole, sono più di sessantamila…

«Il problema è quello: pur essendo la maggioranza, non siamo presenti. Noi vorremmo esserci, nei vari consigli pastorali. Perché i nostri vescovi non attingono anche alla saggezza delle donne, come del resto facevano i Padri della Chiesa? Perché non ci danno spazio concretamente? Non è una rivendicazione ‘contro’ gli uomini, ma in favore della Chiesa. I Padri ne hanno beneficiato, è una ricchezza che si perde».

E che si potrebbe fare?

«Dateci la possibilità di gestire delle parrocchie a pieno titolo, per dire. Ma no, c’è una difficoltà a mettere una donna, religiosa o laica, a capo di qualsiasi organismo diocesano, e non solo in Africa! A capo è l’uomo, a fare i lavori sempre la donna. Ciò che occorre è un cambio di mentalità, nella Chiesa e anche fra le suore, fra noi donne, noi che educhiamo i nostri ragazzi e figli: il cambio deve partire anzitutto da noi».

E come?

«Dal momento che soprattutto in Africa è la donna che resiste perché esista il continente, esigiamo che ci sia restituito lo spazio e dati gli strumenti per operare. Quando è ora di decidere, di programmare, non veniamo prese in considerazione, o solo in minima parte. Se ne sta prendendo coscienza, se non nella parte maschile almeno fra le donne: esistono doveri, ma anche diritti. Tutti, comunque, a parole si dicono d’accordo. Così non pretendiamo di diventare chissà cosa né di andare contro nessuno: vogliamo poter fare la nostra parte. Del resto non è un problema delle sole donne africane o della Chiesa: esiste la misoginia, lo diciamo tranquillamente. E in fondo anche gli uomini di Chiesa sono figli della società».

Il documento base del sinodo denuncia varie forme di «assoggettamento » delle donne…

«Certo, c’è pure una condizione femminile tragica, anche per questo chiediamo più strumenti. La stessa Chiesa, lungi dall’avallare la situazione, deve promuovere certi cambiamenti: l’accesso delle donne all’istruzione, per dire, è negato in molte parti del continente. In alcune zone missionari e missionarie devono pagare i genitori per mandare a scuola le figlie! E poi, perché non creare circoli di teologhe? Bisogna anche lavorare per rendere protagoniste le donne nella scena pubblica: io aprirei scuole femminili di formazione politica, gli uomini ci vanno già…».

Il sinodo riunisce i vescovi e quindi è inevitabilmente maschile. La presenza di donne tra esperti e uditori le pare sufficiente?

«Potevano essere di più, ad esempio i Superiori generali degli istituti missionari sono molto più numerosi delle Superiore missionarie. Ma bisogna essere ottimisti: è già stato fatto un passo avanti, ci accontentiamo. Non per questo, però, smetteremo di chiedere qualcosa di meglio».

© Copyright Corriere della sera, 4 ottobre 2009 consultabile online anche
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05/10/2009 15:57

Il Papa inaugura i lavori del Sinodo: l'amore di Dio apra in Africa i confini di tribù, etnie e religioni. Il rifiuto di Dio distrugge la pace nella società


La carità gratuita di Dio, che ogni cristiano è tenuto ad annunciare, “apra i confini di tribù, etnie e religioni”. E’ l’auspicio con il quale Benedetto XVI ha concluso questa mattina in Vaticano la meditazione introduttiva della prima Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Il Papa ha invitato i presuli ad affrontare i lavori sinodali con il cuore aperto alla Spirito di Dio, senza il quale - ha affermato - ogni analisi solo umana della realtà è “insufficiente”. Il servizio di Alessandro De Carolis:



Nessuna considerazione su ciò che vivono le varie Chiese africane, nessun racconto di gioie o di sofferenze, ha ancora riempito l’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano che subito Benedetto XVI delinea i limiti e soprattutto lo spirito con il quale esse sono tenute ad essere presentate da qui in avanti: 

“Abbiamo incominciato il nostro Sinodo adesso, invocando lo Spirito Santo, sapendo bene che noi non possiamo fare quanto occorre fare per la Chiesa, per il mondo, in questo momento. Solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto, e seguirlo”.

 

Lo Spirito è dunque quello divino, che permette - afferma il Papa - di “conoscere” le realtà umane “alla luce di Dio”. I limiti sono invece quelli di valutazioni del contesto sociale africano che, pur competenti, siano formulate seguendo binari di tipo meramente sociologico. Analisi “orizzontali”, le definisce il Pontefice, prive dell’aggancio con la dimensione “verticale”:



“Se la prima relazione, quella fondante, non è corretta, tutte le altre relazioni non funzionano dal fondo. Perciò, tutte le nostre analisi del mondo sono insufficienti se non consideriamo il mondo alla luce di Dio, se non scopriamo che alla base delle ingiustizie, della corruzione c’è un cuore non retto, c’è una chiusura verso Dio, e quindi una falsificazione della relazione fondamentale sulla quale sono basate tutte le altre”. 

Nella sua lunga meditazione spontanea, il Papa si lascia ispirare dall’Inno dell’Ora Terza, la preghiera che introduce la seduta sinodale mattutina. Un Inno che, osserva, “implora tre doni essenziali dello Spirito Santo”. Il primo, spiega, è la “confessione”, che va intesa sia come riconoscimento della piccolezza umana davanti a Dio - da cui derivano, insiste il Papa, “tutti i vizi che distruggono la rete sociale e la pace nel mondo” - sia come ringraziamento a Dio per i suoi doni e come impegno di testimonianza. E qui, Benedetto XVI trova parola di grande densità spirituale per rimarcare la semplice grandezza di Dio rispetto alla grandezza delle cose umane:



“Le cose della scienza, della tecnica costano grandi investimenti, avventure spirituali e materiali, sono costose e difficili. Ma Dio si dà ‘gratis’. Le più grandi cose della vita - Dio, l’amore, la verità - sono gratuite e direi che su questo dovremmo spesso meditare: su questa gratuità di Dio; sul fatto che non c’è bisogno di grandi doni materiali o anche intellettuali per essere vicini a Dio: Dio è in me, nel mio cuore e sulle mie labbra”.
 Il secondo dono dello Spirito, prosegue il Papa, discende dal primo: l’uomo che scopre l’intimità con il divino deve poi testimoniarlo con tutto se stesso. Deve testimoniare la verità della carità di Dio perché questa e non altro, ribadisce il Pontefice, è l’essenza della religione cristiana:



“Importante è che il cristianesimo non è una somma di idee, una filosofia, una teoria, ma è un modo di vivere, è carità, è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità. Il nostro Dio è da una parte 'Logos', Ragione eterna, ma questa Ragione è anche Amore. Non è fredda matematica che costruisce l’universo: questa Ragione eterna è fuoco, è carità. Già in noi stessi dovrebbe realizzarsi questa unità di ragione e carità, di fede e carità”. 

Anche il terzo dono è strettamente connesso agli altri. La carità di Dio va annunciata all’umanità, a ogni uomo, che per un cristiano è un prossimo e un fratello. Prendendo spunto dalla figura del Buon Samaritano della liturgia odierna, Benedetto XVI conclude mettendo in grande risalto gli insegnamenti che arrivano fino a noi da quella antica parabola e che ben si adattano, in questo caso, anche alla realtà africana:



“La carità non è una cosa individuale, ma universale. Universale e concreta. Occorre aprire realmente i confini tra tribù, etnie, religioni all’universalità dell’amore di Dio nei nostri luoghi di vita, con tutta la concretezza necessaria. Preghiamo il Signore che ci doni lo Spirito Santo, che ci doni una nuova Pentecoste, che ci aiuti ad essere i suoi servitori in questa ora del mondo”.


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Sinodo per l'Africa. Relazione introduttiva del Relatore Generale, Card. Turkson, Arcivescovo di Cape Coast


Pubblichiamo il testo integrale della Relazione prima della discussione del Relatore Generale della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa, S.E.M.R. Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana) e Presidente dell'Associazione delle Conferenze Episcopali dell'Africa Occidentale (A.C.E.A.O.)
letta questa mattina nell'Aula del Sinodo, in occasione della prima giornata di lavori

Introduzione

Mentre veniva intonato il Te Deum e nell’intera Aula del Sinodo risuonava questo inno di rendimento di grazie, a mezzogiorno del 7 maggio 1994, si concludeva formalmente la I Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo aveva avuto come tema: “La Chiesa in Africa e la sua Missione evangelizzatrice verso l’anno 2000: ‘Sarete miei testimoni’ (At 1, 8)”. Esso rivolse un messaggio alla Chiesa e al mondo che rispecchiava gli slanci principali del processo sinodale e votò diverse risoluzioni in forma di Proposizioni. A partire da qui i Padri sinodali e l’intera Chiesa attesero intensamente l’Esortazione Apostolica Post-sinodale del Santo Padre, come Presidente del Sinodo, che avrebbe raccolto i frutti del Sinodo in un messaggio che avrebbe contrassegnato la conclusione definitiva dell’esercizio collegiale e consultivo del Sinodo. Cosa che il Santo Padre ha fatto emanando l’Esortazione Post-sinodale Ecclesia in Africa (La Chiesa in Africa) e presentandola all’Africa e al mondo a Yaoundé in Camerun, il 14 settembre 1995, poi a Johannesburg, in Sudafrica, il 17 settembre 1995, e infine a Nairobi, in Kenya, il 19 settembre 1995 [1].

I. Dalla I Assemblea Speciale per l’Africa alla II Assemblea Speciale

Papa Giovanni Paolo II descriveva il Sinodo da lui concluso con la promulgazione dell’Esortazione Post-sinodale Ecclesia in Africa come un “Sinodo di risurrezione e di speranza” [2]. Da quella Assemblea sinodale, convocata sullo sfondo di una visione del mondo prevalentemente pessimistica dell’Africa, di una situazione del continente di particolare sfida e “tragicamente sfavorevole” [3] per la missione evangelizzatrice della Chiesa negli ultimi anni del ventesimo secolo, si attendeva tuttavia che segnasse una svolta nella storia del continente [4].
Quando il Santo Padre e i Padri sinodali si incontrarono per quel primo Sinodo, dovettero considerare “gli elementi sia positivi che negativi (le luci e le ombre) nei ‘segni dei tempi’” [5]. Dovettero contemplare e celebrare i successi dell’evangelizzazione e la crescita delle Chiese locali nel continente, ma anche lamentare e deplorare una serie di miserie e di mali nel continente. Dovettero onorare l’eroismo e lo spirito pionieristico dei missionari, ma anche criticare la mancanza di impegno e di zelo pastorale del personale ecclesiastico, l’emergere di tendenze sincretistiche, la proliferazione delle sette, la politicizzazione dell’islam e la sua intolleranza alle critiche. Dovettero accogliere con ottimismo l’emergere di democrazie e il risveglio di una profonda consapevolezza culturale, sociale, economica e politica nel continente, ma dovettero anche lamentare regimi dispotici e dittatoriali, malgoverno, corruzione diffusa e un’allarmante aumento della povertà. La situazione del continente era fortemente ambivalente quanto paradossale e la rapida successione degli eventi come la fine dell’apartheid e il triste inizio del genocidio ruandese ben rappresentavano questo paradosso.
Tenendo conto di questa situazione paradossale in cui il male e la sofferenza sembravano prevalere sul bene e sulla virtù, il clima pasquale della I Assemblea Speciale per l’Africa ispirò un messaggio di speranza per il continente. Con la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale Ecclesia in Africa, la Chiesa in Africa ebbe nuovo impulso e nuovo slancio per la sua vita e attività nel continente come Chiesa missionaria, ossia Chiesa con una missione. Infatti, il Sinodo nel suo clima pasquale e l’Esortazione Apostolica Post-sinodale diedero alla Chiesa in Africa un nuovo impulso che possiamo così descrivere:
- speranza nel Cristo Risorto, come nuovo impeto per vivere il suo “programma” e la sua missione evangelizzatrice;
- un nuovo paradigma: la Chiesa come famiglia di Dio, per offrire una prospettiva, un sistema di valori per vivere il suo “programma”, ma specialmente per sottolineare l’unità e la comunione di tutti nonostante le differenze;
- un insieme di priorità pastorali: evangelizzazione come Proclamazione, evangelizzazione come Inculturazione, evangelizzazione come Dialogo, evangelizzazione come Giustizia e Pace ed evangelizzazione come Comunicazione per orientare l’attuazione del proprio “programma” e della propria missione in un’Africa con un paradossale accostamento di deplorevoli miserie umane e di straordinari eroismi al di fuori e all’interno della Chiesa [6].

Perciò il periodo successivo alla pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale ha rappresentato, come riteneva anche Papa Giovanni Paolo II [7], il tempo dell’approfondimento di questa esperienza sinodale e di applicazione della Ecclesia in Africa, nello sforzo perseverante e concertato di ristabilire un rinnovato vigore e una speranza più concreta in un continente in difficoltà. Questo periodo post-sinodale ha raggiunto il suo quattordicesimo anno; e, mentre la situazione del continente, delle sue isole e della Chiesa presenta ancora alcune delle “luci e ombre” [8] che motivarono il primo Sinodo, essa è anche notevolmente cambiata. Tale nuova realtà richiede un appropriato esame in vista di un rinnovato sforzo di evangelizzazione che esige un approfondimento di alcuni temi specifici importanti per il presente e il futuro della Chiesa cattolica nel grande continente africano [9].
Di conseguenza, riuniti nuovamente in una II Assemblea Speciale per l’Africa quindici anni dopo la prima, dobbiamo radicarci in profondità nel primo Sinodo [10], consapevoli e desiderosi di esplorare in primo luogo i “nuovi dati ecclesiali e sociali del continente” [11], che attualmente influiscono sulla missione della Chiesa nel continente ed esigono che la Chiesa in Africa, oltre a considerarsi come “testimone di Cristo” e “famiglia di Dio”, si consideri anche “sale della terra, luce del mondo” e “a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”.

Nuovi dati sociali ed ecclesiali del continente

Dati ecclesiali

a. Subsidia Fidei: è importante notare che lo slancio e l’impulso che la I Assemblea Speciale per l’Africa ha dato alla Chiesa di questo continente per rinnovarsi, fortificarsi e radicare più saldamente la propria speranza nel Signore, è stato considerevolmente favorito da alcuni eventi ecclesiali successivi e da attività del Papa e della Curia Romana, che potremmo definire come “subsidia fidei” per la Chiesa. Così, il “Sinodo sull’Eucaristia” ha affermato la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa-Famiglia di Dio quale simbolo di unità. Il “Sinodo sul Vescovo: Servitore del Vangelo...” ha ricordato a Vescovi e Pastori il loro ministero essenziale, quali annunciatori del Vangelo in seno alla Chiesa-Famiglia di Dio; e il “Sinodo sulla Parola di Dio” ha ricordato alla Famiglia di Dio il seme eterno e imperituro della sua nascita. Inoltre le Encicliche del Papa “Deus caritas est”, “Spe salvi”, “Caritas in veritate”, le sue omelie e i suoi discorsi nel corso della recente visita apostolica in Africa (Camerun e Angola) hanno offerto catechesi di inestimabile valore alla Chiesa in Africa. Infine i dicasteri della Curia Romana hanno tenuto seminari su:
- “La Liturgia” (Kumasi 2007) allo scopo di offrire una guida per una permanente opera di inculturazione nella liturgia.
- La “Dottrina Sociale della Chiesa” (Dar-es-Salaam 2008) per promuovere la conoscenza e la diffusione degli insegnamenti sociali della Chiesa.
- “La Migrazione” (Nairobi 2008) per parlare della migrazione e delle nuove forme di schiavitù.
- I “Lavori delle Commissioni Teologiche delle Conferenze episcopali” (Dar-es-Salaam 2009) per ricordare ai Vescovi l’importanza del loro compito magisteriale in seno alla Chiesa, anche se si avvalgono di esperti.
Tali incontri hanno accresciuto la consapevolezza della Chiesa in Africa riguardo alla propria vita e al proprio ministero.

b. La crescita eccezionale della Chiesa in Africa: negli ultimi decenni (compresi gli anni successivi alla I Assemblea Speciale per l’Africa) è diventato abituale parlare di una eccezionale crescita della Chiesa in Africa e gli indicatori, come sottolineano i Lineamenta e l’Instrumentum laboris, sono diversi. Tuttavia, fra questi segnali di crescita della Chiesa del continente e delle isole, le vere novità sono:
- L’ascesa di membri africani di congregazioni missionarie a posizioni e ruoli di guida: membri di consigli, vicari generali e perfino superiori generali.

- Ricerca dell’autosufficienza da parte delle Chiese locali, impegnandosi in operazioni economiche in grado di generare profitti (banche, società finanziarie, compagnie di assicurazioni, agenzie immobiliari e negozi).
- Un incremento visibile delle strutture e istituzioni ecclesiali (seminari, università ed istituti cattolici di istruzione superiore, centri di formazione permanente per i religiosi, i catechisti e i laici, scuole di evangelizzazione) come pure un aumento di esperti e manager per il lavoro di ricerca nel campo della fede, della missione, della cultura e dell’inculturazione, della storia, dell’evangelizzazione e della catechesi.
Tuttavia la Chiesa in Africa affronta anche terribili sfide:
- Quando si parla di una Chiesa prospera in Africa si dimentica il fatto che in vaste aree a nord dell’equatore, essa a malapena esiste. La crescita straordinaria della Chiesa si è verificata soprattutto a sud del Sahara.
- La fedeltà e l’impegno di alcuni sacerdoti e religiosi alla loro vocazione.
- La necessità di evangelizzare (o ri-evangelizzare) per una conversione profonda e permanente.
- La perdita di membri che sono passati a nuovi movimenti religiosi o alle sette. I giovani cattolici vanno all’estero (in Europa e America) e tornano non cattolici, perché nelle Chiese di quei Paesi non si sono trovati a loro agio.
- Il calo degli indici di incremento della popolazione nell’Europa tradizionalmente cristiana e in America.

c. Il Sinodo per l’Africa e il “Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar” (SECAM): l’approfondimento dell’esperienza sinodale africana nel continente e nelle isole è dipeso in larga misura da un organismo specifico della Chiesa continentale, il “SECAM”. Durante il Concilio Vaticano II i Vescovi africani, alla ricerca di mezzi idonei di cooperazione, diedero vita ad un segretariato che coordinasse i loro interventi e presentasse al Concilio un punto di vista comune (africano). Dopo il Concilio e alla presenza di Papa Paolo VI a Kampala (1969), i Vescovi africani decisero di rendere permanente questo organismo di cooperazione del Concilio con la creazione del SECAM. Allora il SECAM era un auspicabile organismo o istituzione permanente per promuovere l’esercizio di una solidarietà pastorale organica nel continente da parte dei suoi Pastori. Doveva essere uno strumento dei vescovi per promuovere nel continente l’ “Evangelizzazione nella corresponsabilità” [12]; ed è stato a questo organismo che Papa Giovanni Paolo II ha attribuito l’idea originaria di un Sinodo per l’Africa [13].
Nel corso della II Assemblea Speciale per l’Africa non sarebbe fuori luogo se i Pastori del continente riesaminassero la necessità dell’esistenza del SECAM e il loro impegno nei suoi confronti.

Dati sociali

Nel trattare “alcuni punti critici della vita delle società africane” [14], l’Instrumentum laboris ha individuato e discusso molti di questi nuovi dati sociali. Vogliamo aggiungere poche note a piè di pagina che potrebbero essere importanti e lasciare all’assemblea sinodale il compito di completare il quadro.


d. Note Socio-storiche all’Instrumentum laboris: nel 1963, nel corso di un incontro dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU), i leader africani decisero di mantenere una delle vestigia dell’era coloniale, conservando i confini coloniali e la descrizione degli stati, indipendentemente dal loro carattere artificiale. Tuttavia tale decisione non è stata seguita da un corrispondente sviluppo del sentimento nazionalista, che avrebbe fatto sì che le differenze etniche si arricchissero vicendevolmente e che avrebbe privilegiato il bene comune della nazione rispetto al campanilismo degli interessi etnici. Per questo motivo la diversità etnica continua a rappresentare un focolaio di conflitti e tensioni, che minano perfino il senso di appartenenza comune alla Chiesa-Famiglia di Dio. La schiavitù e lo schiavismo, che il mondo arabo portò per primo sulla costa dell’Africa orientale e che gli europei , in collaborazione con gli stessi africani, nel XIV secolo incrementarono ed estesero a tutto il continente, hanno portato a un flusso migratorio forzato di africani. Oggi le migrazioni volontarie, dettate da vari motivi, dei figli e delle figlie dell’Africa verso l’Europa, l’America e l’Estremo Oriente, li pongono in una condizione di occupazione servile che esige la nostra attenzione e la nostra cura pastorale.

e. Nota socio-politica all’Instrumentum laboris: strettamente legate agli sviluppi post-coloniali del continente sono state le celebrazioni di indipendenza e l’emergere di stati e nazioni africane con governi gestiti da soli africani. L’esercizio del potere politico e del governo è stato generalmente criticato e spesso viziato da dispotismi, dittature, politicizzazione della religione o dell’etnia, disprezzo per i diritti dei cittadini, mancanza di trasparenza e di libertà di stampa, ecc.
Ma il periodo successivo alla I Assemblea per l’Africa, vale a dire l’alba del Terzo Millennio, sembrava aver coinciso, nel continente, con un desiderio emergente degli stessi leader africani di un “Rinascimento africano” (Thabo Mbeki), “una nuova contemporanea auto-determinazione africana per la costruzione di una civiltà africana in sintonia con i dettami dei nostri tempi, vale a dire la crescita economica, la libertà politica e la solidarietà sociale” [15].
I leader politici africani sembrano determinati a cambiare il volto dell’amministrazione politica nel continente; e hanno condotto un’auto-valutazione critica che ha identificato nel malgoverno le cause della povertà e delle sofferenze dell’Africa. Hanno quindi tracciato un cammino del buon governo e della formazione della classe politica, in grado di cogliere la parte migliore delle tradizioni ancestrali africane e di integrarla con i principi di governo delle moderne società. Hanno adottato un quadro strategico (NEPAD) per orientare le azioni e guidare il rinnovamento dell’Africa attraverso delle leadership politiche trasparenti [16]. Può, la Chiesa in Africa, riconoscere l’impegno politico dei suoi figli e delle sue figlie e dare loro lo stimolo del messaggio evangelico, che li sfidi ad essere la “luce delle (loro) nazioni” e il “sale delle loro comunità”, offrendo una “leadership a servizio degli altri”?

f. Nota socio-economica all’Instrumentum laboris: il rapporto radicale tra governo ed economia è chiaro; dimostra che un cattivo governo produce una cattiva economia. Ciò spiega il paradosso della povertà di un continente che è senz’altro uno dei più ricchi del mondo di potenzialità. La conseguenza di questa “equazione governo-economia” è che quasi nessun paese africano può rispettare i propri obblighi di bilancio, vale a dire i programmi finanziari nazionali pianificati, senza ricorrere ad aiuti esterni in forma di obbligazioni o prestiti. Questo continuo finanziamento dei bilanci nazionali facendo ricorso a prestiti non fa altro che accrescere un già opprimente debito nazionale. La Chiesa universale con quella Africana hanno messo a punto una campagna per cancellarlo nell’anno del Grande Giubileo.

I rapporti economici tradizionali degli stati africani con i paesi ex-colonizzatori, per esempio il “Commonwealth”, sono stati sostituiti da altre potenti alleanze economiche tra gli stati africani individualmente o in blocco con gli Stati Uniti (Millennium Challenge Account), la Comunità Economica Europea (Lomé Culture, Yaoundé Agreement e il Cotonou Agreement) [17] e il Giappone (TICAD I-III). Recentemente la Cina e l’India, assetate di risorse naturali, si sono affacciate sulla scena manifestando interesse per ogni possibile aspetto delle economie nazionali africane. Al centro della maggior parte di questi protocolli e accordi c’è la discussione sul “commercio e sostegno”, vedendo che i paesi che si sono sviluppati, lo hanno fatto attraverso il commercio (non solo in “materie prime”), e non in conseguenza di una “sindrome di dipendenza dagli aiuti”. Rappresentano quindi un motivo di grande interesse per le giovani economie commerciali africane le decisioni e le condizioni imposte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e dal mondo sviluppato.
Come già detto sopra, i leader africani hanno recentemente dato vita a una struttura strategica (NEPAD) [18] che guidi gli accordi economici dell’Africa, il superamento della povertà e il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals). Come afferma il Dr. Uschi Eid, “Soltanto gli stimoli e gli sforzi che nascono dall’Africa porteranno al successo” [19]. In un certo senso l’uscita dell’Africa dalla sua agonia economica deve essere opera degli africani e guidata da loro stessi [20]. Per questo i cuori devono essere convertiti e gli occhi aperti per trovare nuovi modi di amministrare la ricchezza pubblica per il bene comune; e ciò spetta alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel continente e nelle isole.

g. Note sociali all’Instrumentum laboris: gli effetti delle suddette situazioni (storiche, politiche, economiche) determinano lo stato di salute della società africana (stabile, pacifica, prospera); costituiscono inoltre le sfide di fondo per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel continente e nelle isole.
Esistono inoltre fenomeni globali e iniziative internazionali, di cui occorre valutare l’impatto sulla società africana e su alcune delle sue strutture, che pongono nuove sfide anche alla Chiesa. Mentre l’importanza che viene data sempre di più al posto e al ruolo delle donne nella società è un felice progresso, l’emergere nel mondo di stili di vita, valori, atteggiamenti, associazioni, ecc., che destabilizzano la società, sono motivo di inquietudine. Essi minano le basi stesse della società (matrimonio e famiglia), ne riducono il capitale umano (migrazioni, spaccio di droga, traffico d’armi) e minacciano la vita del pianeta.
Il matrimonio e la famiglia sono sottoposti a pressioni diverse e terribili perché venga ridefinita la loro natura e funzione nella società moderna. I matrimoni tradizionali, che portavano alla creazione di famiglie, sono minacciati da una crescente proposta di unioni e rapporti alternativi, privati del concetto di impegno duraturo, di natura non eterosessuale e senza il fine della procreazione. In alcune parti del continente questi hanno già i loro paladini all’interno della Chiesa. Questo attacco al matrimonio e alla famiglia è portato avanti e sostenuto da gruppi che producono un glossario teso a sostituire i concetti e i termini tradizionali riguardanti il matrimonio e la famiglia con nuove espressioni. Lo scopo è quello di stabilire una nuova etica globale sul matrimonio, la famiglia, la sessualità umana e le istanze correlate dell’aborto, della contraccezione, di aspetti dell’ingegneria genetica, ecc.
Spaccio di droga e traffico di armi: alcune parti del continente sono diventate le vie della droga dall’America Latina all’Europa. Per quanto riguarda l’Africa occidentale, il traffico di droga viene indicato come causa principale dell’instabilità e del disordine politico in Guinea Bissau e ora anche in Guinea. Quando all’inizio di luglio l’esercito della Guinea ha dichiarato il massimo stato di allerta, lo ha fatto in seguito a minacce di invasione sostenute dai cartelli della droga.

La droga non passa semplicemente attraverso parti del continente e delle isole, ma ha trovato consumatori ovunque. L’uso di droghe e la tossicodipendenza tra i giovani sta rapidamente diventando la maggior causa di dispersione del capitale umano in Africa e nelle isole, seconda solo alla migrazione, ai conflitti e alle malattie, quali l’Aids/HIV e la malaria.
Strettamente connesso al traffico di droga e all’avventurismo politico è il traffico di armi: sia di piccolo calibro che pesanti. La Chiesa in Africa, riunita in Assemblea Speciale si unisce alla Santa Sede nel sostenere con soddisfazione le iniziative delle Nazioni Unite volte a fermare il traffico illegale di armi e a rendere il commercio legalizzato degli armamenti più trasparente. Essa sostiene in modo particolare lo studio che è in corso per la messa a punto di un trattato giuridicamente vincolante sull’importazione, l’esportazione e il passaggio di armi convenzionali attraverso l’Africa.
Ambiente e cambiamenti climatici: la nube discontinua di smog che copre la maggior parte dell’Africa orientale, accompagnata da una diminuzione delle precipitazioni, da siccità e carestia, è spesso considerata un effetto del Niño. Ma essa evidenzia quanto siano dure le condizioni climatiche del continente in generale e quanto negativamente il precario equilibrio ecologico di alcune parti dell’Africa possa essere influenzato dai “cambiamenti climatici” osservati nel pianeta. Per questo motivo i vertici delle Nazioni Uniti e mondiali sui cambiamenti climatici, l’emissione di gas serra, l’assottigliamento dello strato di ozono, come quello che si terrà a dicembre a Copenaghen, devono poter contare sull’orante sostegno dell’Africa, mentre si prepara a scoprire e a sviluppare sorgenti alternative di energia pulita (sole, vento, onde marine, biogas, ecc.).
Al termine di questo esame, che è certamente incompleto, è chiaro che, nonostante il continente e la Chiesa nel continente non siano ancora usciti dalle difficoltà, possono però almeno in parte rallegrarsi per i loro successi e i risultati positivi e iniziare a ricusare le generalizzazioni stereotipate sui conflitti, carestie, corruzioni e malgoverni. I quarantotto Paesi che costituiscono l’Africa sub-sahariana presentano grandi differenze nelle situazioni delle loro Chiese, dei loro governi e della loro vita socio-economica. Di queste quarantotto nazioni, solo quattro, la Somalia, il Sudan, il Niger e parti della Repubblica Democratica del Congo, sono attualmente in guerra, e almeno due di queste lo sono a causa di interferenze straniere: la Repubblica Democratica del Congo e il Sudan. Va detto che vi sono meno guerre in Africa che in Asia.
I mercanti di guerra e i criminali di guerra vengono sempre di più denunciati, processati e perseguiti. Un ufficiale della Repubblica Democratica del Congo è stato processato: Charles Taylor della Liberia sta affrontando la corte internazionale.
La verità è che l’Africa è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità; è tempo di “cambiare marcia”e di dire la verità sull’Africa con amore, promuovendo lo sviluppo del continente che porterà al benessere di tutto il mondo [21]. I paesi del G-8 e i paesi del mondo devono amare l’Africa nella verità! [22]. Generalmente considerata alla decima posizione nella graduatoria dell’economia mondiale, l’Africa rappresenta tuttavia il secondo mercato mondiale emergente dopo la Cina. Per questo motivo, come l’ha definita il summit del G-8 da poco concluso, è il continente delle opportunità. E ciò dovrebbe valere anche per le popolazioni del continente. Si spera che la ricerca della riconciliazione, la giustizia e la pace, che è eminentemente cristiana per il fatto di essere radicata nell’amore e nella misericordia, ristabilisca l’unità della Chiesa-Famiglia di Dio nel continente e che quest’ultima, in quanto sale della terra e luce del mondo, guarisca “il cuore ferito dell’uomo, in cui si annida la causa di tutto ciò che destabilizza il continente africano” [23]. In tal modo il continente e le sue isole comprenderanno le opportunità e i doni dati loro da Dio.

II. Dall’essere “Famiglia di Dio (evangelizzatori) all’essere servitori (ministri = diakonoi) della riconciliazione, della giustizia e della pace”
  Come precedentemente osservato, quando la I Assemblea speciale per l’Africa si riunì per riflettere sull’evangelizzazione nel continente e nelle isole alle soglie del terzo millennio della fede cristiana, adottò la Chiesa-Famiglia di Dio come il principio guida dell’evangelizzazione in Africa [24]. L’immagine della Chiesa-Famiglia di Dio evocava valori come sollecitudine verso gli altri, solidarietà, dialogo, fiducia, accoglienza e calore nei rapporti. Evocava tuttavia anche le realtà socioculturali di genitorialità, procreazione e filiazione, affinità e fraternità, come pure una rete di rapporti che derivavano da queste realtà sociali e in cui i membri si riconoscevano. I rapporti costituiscono la vita di comunione della famiglia, ma richiedono ai membri un impegno, il cui compimento rappresenta allo stesso tempo la loro giustizia e rende le relazioni armoniose e pacifiche. Tuttavia, quando tali esigenze del rapporto non vengono rispettate, la giustizia viene violata e la vita di comunione risulta offesa, danneggiata, menomata.
L’Instrumentum laboris ne tiene conto e mette in rilievo le numerose sfide alla comunione e all’ordine sociale che il disprezzo per le giuste esigenze di relazione pone al continente. In questi casi la riconciliazione rappresenta il ristabilimento della comunione e del giusto ordine; ed essa prende la forma di restaurazione della giustizia che sola ristabilisce pace ed armonia nella Chiesa-Famiglia di Dio e nella famiglia della società.
Quanto segue si propone di contribuire alla discussione del tema sinodale, fornendo brevi riferimenti biblici ai termini del tema allo scopo di radicare le istanze dei termini e la loro interazione nei rapporti umani (nella società umana) prima e, soprattutto, nel rapporto di Dio con l’uomo (umanità).

a. Servi (diakonoi) di Riconciliazione come Ripristino della Giustizia
Nelle Scritture. La riconciliazione è una iniziativa divina, un moto libero e gratuito di Dio nei confronti dell’umanità; e il suo scopo è quello di sanare e di ristabilire la comunione sancita dall’alleanza, che viene minacciata e infranta dal peccato.
L’insegnamento di San Paolo ai Corinzi sull’argomento è illuminante: “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 17-20).
La Riconciliazione quindi è un atto divino di cui noi (umanità) facciamo esperienza e in questa esperienza diventiamo suoi strumenti e ambasciatori.

L’esperienza di Riconciliazione degli Apostoli

I Vangeli hanno presentato la vita e il ministero di Gesù come l’opera di salvezza del Padre per l’umanità. I discepoli di Gesù sono stati i primi a essere chiamati a sperimentare l’offerta di salvezza del Padre in Gesù e l’hanno fatto in vari modi, anche attraverso il perdono e la riconciliazione. Il saluto di “pace” di Gesù ai discepoli la mattina della Resurrezione (Gv 20, 19-21), per esempio, rappresentava il perdono del loro tradimento e del loro abbandono di Gesù, e allo stesso tempo il ristabilimento dell’amicizia.

Gesù non ha preteso un’ammissione di colpa da parte dei discepoli. Non c’è stata alcuna richiesta di perdono e non sono state porte scuse. C’era solo una luce benevola che brillava su tutte le loro mancanze. Sono stati offerti un perdono gratuito e un riconciliante augurio di pace.
La Riconciliazione qui è un gesto conciliatorio gratuito e immeritato in cui l’offeso (Gesù) va incontro ai colpevoli (i discepoli). Incaricati ora di predicare il Vangelo fino ai confini della terra, i discepoli-apostoli di Gesù hanno assolto la loro missione di “evangelizzatori che sono stati evangelizzati” e di “ambasciatori della riconciliazione che hanno fatto esperienza della riconciliazione”.

L’esperienza di Riconciliazione di Paolo

Più tardi Paolo prosegue l’opera dei discepoli-apostoli di Gesù come predicatore dello stesso dono di salvezza in Gesù. Tuttavia, avendo ricevuto l’incarico di annunciare Gesù nelle particolari circostanze del suo incontro con il Signore risorto sulla via di Damasco, anche Paolo comprende che l’offerta di salvezza in Gesù da parte del Padre è l’atto di riconciliazione del Padre [25]. Infatti, come egli stesso ammette: “Io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1 Tm 1, 13-14).
Per Paolo, quindi, l’esperienza della salvezza ha rappresentato anche un passaggio dall’ostilità e l’inimicizia verso Cristo e la sua Chiesa alla fede in Cristo e alla fratellanza con la sua Chiesa. Questo passaggio dall’inimicizia alla fratellanza costituisce la riconciliazione ed è un’esperienza immeritata che solo Dio può suscitare in una persona. In questo, Paolo ha considerato se stesso un esempio per coloro che avrebbero creduto in Cristo (cf. 1 Tm 1, 16).

Riconciliazione con Dio (verticale) e tra gli Esseri Umani (orizzontale)

In Gesù: nella sua vita e nel suo ministero ma in particolare nella sua morte e risurrezione, Paolo ha visto Dio Padre riconciliare il mondo (tutte le cose in cielo e sulla terra) a sé, cancellando i peccati dell’umanità (cf. 2 Cor 5, 19; Rm 5, 10, Col 1, 21-22). Paolo ha visto Dio Padre riconciliare giudei e gentili a sé in un solo corpo attraverso la croce (Ef 2, 16). Ma Paolo ha anche visto Dio riconciliare giudei e gentili creando, dei due, un solo uomo nuovo (Ef 2, 15; 3, 6). In tal modo l’esperienza della riconciliazione stabilisce la comunione su due livelli: comunione tra Dio e umanità e, poiché l’esperienza della riconciliazione rende noi (umanità riconciliata) anche “ambasciatori della riconciliazione”, essa ristabilisce pure la comunione tra gli uomini.

Riconciliazione tra Dio e Umanità

La creazione dell’umanità a immagine e somiglianza di Dio, la scelta di Israele come “parte e eredità di Dio”, la redenzione dell’umanità in Cristo e il sigillo dello Spirito Santo (cf. Ef 1, 13; 4, 30) conducono l’umanità alla comunione con Dio.
Quando l’umanità è alienata e lontana da Dio a causa del peccato (disobbedienza, idolatria, rifiuto di Gesù), la riconciliazione si concretizza nel perdono; e questa è l’opera di Dio [26].

È Dio che ha inaugurato la riconciliazione con Israele e l’umanità, peccatori e distanti, riconducendoli a sé (Sal 80, 3, 7, 19; Os 11; 14) “perché noi fossimo a lode della sua gloria” (Ef 1, 12) e secondo “Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 24); e Gesù “Colui che non aveva conosciuto peccato... Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2 Cor 5, 21; Gal 3, 13; Rm 8, 5) resta il nostro tramite per la riconciliazione. La quale, comunque, è opera dell’amore di Dio.

La Riconciliazione in seno alla Famiglia Umana

Ricordando brevemente la storia di Gesù e Zaccheo (Lc 19), si comprende che l’incontro tra Gesù e Zaccheo non ha portato soltanto a una conversione che ha stabilito la comunione tra Zaccheo e il Signore. Questo incontro ha portato anche a una conversione che ha ristabilito il rapporto di Zaccheo con la sua gente. In questa nuova relazione è cambiata anche la sua visione della sua gente: erano fratelli che non dovevano essere sfruttati o defraudati.
La Riconciliazione quindi non si limita a Dio che attira a sé un’umanità alienata e peccatrice in Cristo attraverso il perdono dei peccati e l’amore. Costituisce anche il ristabilimento delle relazioni tra le persone tramite la composizione delle differenze e l’abbattimento degli ostacoli nei rapporti attraverso l’esperienza dell’amore di Dio. Questa, infatti, è la caratteristica propria della riconciliazione nel ministero di Gesù Cristo. D’altro canto, le Scritture riportano diverse forme di riconciliazione attraverso accomodamenti [27], quali:
- il colpevole ammette l’errore e chiede perdono, riconoscendo così che l’offeso è nel giusto (virtuoso) [28];
- il colpevole nega l’errore e si dà avvio a una mediazione per stabilire chi è nel giusto;
- l’offeso perdona unilateralmente e fa cessare le ostilità, stabilendo la pace e la riconciliazione.
In tutti questi casi tuttavia la riconciliazione, come passaggio dall’inimicizia alla pace, dall’alienazione alla comunione, non è un sacrificio dei diritti e non si sostituisce alla giustizia. Piuttosto, il ripristino della giustizia è il suo frutto.
In sostanza la riconciliazione dell’umanità ancora alienata può assumere la forma di ebrei e gentili che si riuniscono come eredi del regno (Ef 2, 13-15). Può prendere la forma di membri di una comunità di culto che armonizzano le proprie differenze e sono in pace gli uni con gli altri (Mt 5, 23-26; 1 Cor 3, 3); può prendere anche la forma di membri di una comunità che si perdonano reciprocamente le offese (Mt 18, 15; Lc 17, 3-4) e che non nutrono rabbia e rancori (Ef 4, 26). Attraverso il perdono, i membri della famiglia umana costruiscono una comunità di riconciliati (Ef 2, 16-19), il cui perdono reciproco riflette quello del Padre nei cieli (Mt 6, 12, Lc 11, 4), il quale ha dato avvio alla nostra riconciliazione con il suo amore e la sua misericordia.

Una prospettiva per l’Instrumentum laboris

Esiste una spiritualità di riconciliazione nell’Instrumentum laboris che può ispirare la discussione e che deve diventare la disposizione del servitore della riconciliazione. Infatti in una Chiesa che è una famiglia in comunione, la riconciliazione non diventa uno status o un’azione, bensì un processo dinamico, un compito da intraprendere ogni giorno, un obiettivo da raggiungere, un tentativo continuo di ricomporre con l’amore e la misericordia, amicizie interrotte, legami fraterni, speranza e fiducia [29].

b. Servitori (diakonoi) della Giustizia (rettitudine)

Il frutto della riconciliazione tra Dio e gli uomini e all’interno della famiglia umana (tra uomo e uomo), come osservato precedentemente, è il ristabilimento della giustizia e delle giuste esigenze dei rapporti. È allo stesso tempo etico e religioso e scaturisce dall’amore e dalla misericordia.

False forme di giustizia

Il concetto di giustizia si è secolarizzato per significare:
- solamente la legge del più forte;
- un compromesso sociale per evitare mali peggiori; e
- la virtù dell’imparzialità nell’applicazione generale della legge, senza alcun riguardo per la giustizia naturale [30].
L’affermarsi dello “spirito del capitalismo” è andato ad aggiungersi all’alienazione del concetto di giustizia da ogni radice trascendentale [31]. L’etica dell’economia, per esempio, era razionalista e individualista. Suo scopo principale era il profitto e non teneva conto delle esigenze della solidarietà, dell’ “ordo amoris” e di tutti i vincoli religiosi ed etici. Di conseguenza, l’intera nozione di giustizia sociale è stata eliminata e la giustizia applicata a stesure di contratti negoziati conformemente alla legge della domanda e dell’offerta, senza restrizioni per le imprese individuali. Lo stato ha solo applicato l’ordine pubblico e il rispetto dei contratti rimanendo rigorosamente neutrale riguardo al loro contenuto [32].
Invece la giustizia della diakonia cristiana rappresenta il giusto ordine delle cose e il rispetto delle giuste esigenze dei rapporti. È la giustizia e la rettitudine di Dio e del suo regno (Mt 6, 33).
Tuttavia, nell’attuale situazione di peccato umano e di cuori feriti, l’Antico Testamento è saldo nella sua visione secondo cui la giustizia non può giungere all’uomo attraverso la sua forza, ma è un dono di Dio; il Nuovo Testamento sviluppa più pienamente questa visione, facendo della giustizia la suprema rivelazione della grazia salvifica di Dio.

Il Senso della “Rettitudine del Regno” [33]

La rettitudine, o la giustizia del regno, non è una giustizia retributiva, sebbene questo sia talvolta il senso della sua attribuzione a Dio (Ap 15, 4; 19, 2, 11; 16, 5-6; Eb 6, 10; 2 Ts 1, 6).
Non ha neanche il significato di “conformità a una norma o a un insieme di norme”. Almeno, non è questo il suo principale significato e in questo senso non può mai essere applicato a Dio. Presentata diversamente come tsedaqah e tsedek, la giustizia (rettitudine) è l’adempimento dell’esigenza di rapporto sia con Dio che con gli uomini [34]; e quando Dio o l’uomo corrispondono alle condizioni imposte su di lui (lei) dal rapporto, lui (lei) in termini biblici è “giusto” (tsadiq/dikaios).
Fondamentalmente, tre eventi spiegano tutte le relazioni che esistono tra Dio e gli uomini e tra uomo e uomo; essi sono:
- la creazione dell’umanità “a sua immagine e somiglianza” (Gn 1, 26-27) che fa degli esseri umani creature di Dio. Lo stesso atto della creazione tuttavia postula per l’umanità un’origine e una paternità comuni che lega profondamente tutti i membri della famiglia umana l’uno all’altro, come fratelli e sorelle [35];
- l’alleanza-elezione di Dio nei confronti di Israele che fa di Israele “il primogenito di Dio”, “la sua eredità”, “la sua porzione”. Essa rende inoltre anche i figli di Israele “fratelli” (Dt 15, 11-12);
- la nuova alleanza nel sangue di Cristo, per cui tutti i seguaci di Cristo portano il “sigillo dello Spirito Santo” (Ef 1, 13-14) che li rende “templi dello Spirito Santo” e “dimora di Dio”.

Queste sono le basi dei rapporti tra Dio e gli uomini nei diversi momenti della storia. E sono iniziative di Dio e atti del suo amore. In tal senso, la rettitudine è una giustizia radicale ed esauriente di natura religiosa che esige che gli uomini si abbandonino a Dio nell’obbedienza e nella fede e che rende ogni peccato una “injuria”, un’ingiustizia e un’empietà. Esige anche che l’uomo risponda alle giuste esigenze del rapporto che intrattiene a motivo della creazione e della fratellanza universale degli uomini e in virtù della salvezza e della chiamata comune alla santità e alla filiazione in Cristo.

Rettitudine (giustizia) basata sulla creazione

La questione riguardo a dare a Cesare quel che è di Cesare (Mt 22, 15-22; Mc 12, 13-17; Lc 20, 20-26) ha dato a Gesù l’opportunità di definire il rapporto fondamentale fra Dio e l’uomo come giustizia (rettitudine).
Secondo la risposta di Gesù il denaro apparteneva a Cesare poiché recava il marchio di proprietà ossia la sua effige e la sua iscrizione. Nella giustizia, il possesso della moneta da parte di Cesare doveva essere riconosciuto e sostenuto; per cui “date a Cesare quel che è di Cesare”.
La seconda parte della risposta di Gesù affronta la questione fondamentale, se Dio riceve ciò che gli è dovuto da coloro che recano la sua “immagine e somiglianza” ossia gli esseri umani (Gn 1, 26-27). L’appartenenza dell’umanità a Dio in virtù della sua creazione a “immagine e somiglianza di Dio” è la base della vita di comunione tra Dio e gli uomini; e assume la forma della giustizia: l’umanità che dà a Dio ciò che gli è dovuto. Nelle Scritture l’umanità dà a Dio ciò che gli è dovuto quando l’uomo “obbedisce alla voce di Dio”, “crede in Lui”, Lo “teme” e “Lo adora”; quando ciò non avviene l’umanità deve mostrare che si “converte” (At 17, 30).
Analogamente la paternità comune degli uomini (At 17, 28-29) impone a ciò un “ordo amoris” di solidarietà e di fratellanza universale che è sostenuto dalla giustizia nei rapporti.

Rettitudine (giustizia) basata sulle alleanze di Dio

Le diverse alleanze nell’Antico Testamento hanno istituito diversi rapporti fra Dio e:
- gli individui: Abramo (Gn 17, 4), Isacco (Gn 17, 19, 21), Giacobbe (Es 6, 4), Davide (2Cr 21, 7);
- le tribù e le famiglie: Abramo (Gn 17, 11), Davide (2 Sam 7) e
- il popolo d’Israele (Dt 4, 12-13, quindi Es 19-20;24, 8; Lev 24, 8; Is 24, 5).
Alcune delle alleanze dell’Antico Testamento esprimono anche i rapporti fra gli esseri umani: Isacco e Abimelek (Gn 26, 28-29), Giacobbe e Làbano (Gn 31, 44), Davide e Giònata (1 Sam 20, 16).

Le alleanze hanno stabilito rapporti speciali che hanno posto agli interessati delle esigenze [36]; e la giustizia (rettitudine) era l’osservanza delle esigenze dei rapporti che assicuravano la fratellanza e la comunione, verticalmente fra Dio e gli uomini e, orizzontalmente, fra le persone. Nella Bibbia, i termini opposti sono “malvagio” (malfattore) e “malvagità” (rasha’); e denotano il male commesso contro la persona con cui si è in rapporto. Pertanto i “malvagi” distruggono la comunità (comunione) non adempiendo alle esigenze del rapporto comunitario [37]. Le alleanze tra Dio e gli individui e il popolo di Israele erano iniziative di Dio che coinvolgevano gli individui, le famiglie e il popolo di Israele in un rapporto speciale e richiedevano che essi vivessero le esigenze del rapporto nei confronti di Dio e tra di loro. L’esigenza/le esigenze del rapporto era/erano, da un lato, la sottomissione nella fede e nella fiducia all’offerta di Dio espressa talvolta attraverso la celebrazione di un semplice rito di circoncisione (Gn 17,10-11) ma spesso attraverso l’osservanza delle leggi (torah) di Dio (Es 19, 5; Dt 7, 9, ecc.). D’altra parte, gli israeliti dovevano adempiere a certe esigenze tra loro (giustizia sociale) in virtù del loro rapporto di alleanza con Dio.
Con i suoi numerosi peccati e violazioni delle esigenze del suo rapporto di alleanza con Dio Israele ha agito in modo ingiusto (injuria) e si è collocato al di fuori del rapporto. Non poteva più avere nessuna pretesa nei confronti di Dio quale partner dell’alleanza. Se Dio ha continuato a trattarlo come partner dell’alleanza è stato perché ha ignorato la sua violazione “facendolo ritornare” (Sal 80, 3, 7, 19).
Israele, da parte sua, non poteva fare altro che confessare i propri peccati e permettere a Dio di riportarlo indietro. Era questo il tema principale di Osea e dei profeti post-esilio. La rettitudine di Dio consisteva quindi nel suo giustificare Israele: riportare Israele nel rapporto di alleanza nonostante le sue mancanze. Da parte sua, la rettitudine di Israele consisteva nel confessare i propri peccati riconoscendo le sue mancanze e accettando nella fede la generosa offerta di Dio della salvezza.

Rettitudine (giustizia) basata sulla Nuova Alleanza in Cristo

È su questa linea che Giovanni Battista ha inaugurato il suo ministero; e il suo ministero ha adempiuto a ogni giustizia nel senso che il pentimento e la confessione dei peccati che esso richiedeva erano l’ammissione di Israele (dell’umanità) di non riuscire a essere fedele alle esigenze dell’Alleanza, la sua esperienza immeritata di ricevere comunque il perdono giustificatore e il favore di Dio e il riconoscimento che Dio agisce solo per amore e misericordia. Quando dunque Gesù si è fatto battezzare da Giovanni si è unito all’umanità per professare tutto quanto detto sopra come giustizia di Dio. È per questo che si dice che Gesù ha adempiuto a ogni giustizia!
In Gesù e nel suo ministero si vedono due cose:
- la rivelazione della giustizia come grazia giustificatrice di Dio che ignora le giuste esigenze del rapporto dell’Alleanza e reintegra l’umanità per misericordia [38] e amore in un rapporto di Alleanza. Poiché “Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio” (Ef 2, 8).
- Il dono dello Spirito di Gesù alla Chiesa e ai suoi membri che consente loro di rispondere alla giustizia (rettitudine) di Dio nella fede e di diventare la “giustizia di Dio in Cristo” (2 Cor 5, 21), “giustificandosi” a loro volta l’un l’altro per misericordia e amore [39]: ignorando i loro peccati e la violazione dei diritti, i rapporti socio-politici, ecc. e ripristinando in tal modo la comunione della famiglia di Dio e della famiglia della società.
Questo senso di giustizia e di rettitudine suggerisce che l’invito dell’Instrumentum Laboris a essere servitori della giustizia è anzitutto e soprattutto un invito a un’esperienza spirituale: l’esperienza della giustificazione (grazia giustificatrice) di Dio nella fede e a testimoniarla nella Chiesa e nella società giustificando gli altri. In quale altro modo i dolori e le molteplici lacerazioni che la gente sperimenta nel continente possono essere guariti e può essere ripristinata la comunione?

c. Servitori/Ministri (diakonoi) della pace: il Catechismo della Chiesa Cattolica ripete l’insegnamento di Sant’Agostino secondo cui “la pace è la tranquillità dell’ordine” [40]. E prosegue spiegando come “il rispetto e lo sviluppo della vita umana rchiedono la pace” e come sono “frutto della giustizia ed effetto della carità” [41].

La Pace come opera di Giustizia

Giustizia (rettitudine), come abbiamo visto sopra, è un concetto di rapporto, e il giusto è colui/colei che adempie alle esigenze postegli dal rapporto che intrattiene.
Nel caso della corrotta Israele e dell’umanità caduta (Rm 5, 6 ss), che Dio ha giustificato in Cristo imputando loro la rettitudine, la loro giustizia (rettitudine) consisteva nel riconoscimento del loro bisogno della grazia giustificatrice di Dio e la loro sottomissione ad essa nella fede; e questo sembra precisamente essere l’atteggiamento che predispone l’umanità alla pace di Dio nel Vangelo. Infatti, quando alla nascita di Gesù, l’angelo annuncia la venuta della Pace di Dio in terra,essa era destinata solo a coloro “che Egli ama” (Lc 2, 14).
“La Pace” è destinata, in terra “agli uomini che Egli ama” (Lc 2, 14) e il significato della frase “agli uomini che Egli ama” è, secondo alcuni autori, “chiunque riceverà la grazia di Dio e risponderà con fede” [42]. Questo significato della frase, come ricordiamo, coincide con il senso del “giusto” e “retto” di cui si è detto, e sembrerebbe quindi che i “giusti” (retti), in quanto disposti ad accettare nella fede ciò che Dio opera, sono anche coloro sui quali, in terra, riposa la “pace” di Dio. Inoltre, sembrerebbe che quanti sperimentano la pace di Dio siano proprio coloro che sono disposti a realizzare la pace sulla terra, adempiendo alle esigenze poste dai rapporti che vivono.
È qui evidenziata la stretta relazione tra pace e giustizia (rettitudine), che Isaia vede (Is 32, 17), che il Salmista canta (Sal 85, 10) e che Paolo vede in ogni cristiano che è a posto (giustificato) dinanzi a Dio in Cristo. “Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo...” (Rm 5, 1). Dunque la pace viene dal cielo. È un dono di Dio ed è strettamente collegato con la sua giustizia/rettitudine. Anche in terra viene rivelata come dono di Dio dall’alto e viene donata ai giusti/retti (“gli uomini che egli ama”).

La pace come effetto della Carità (l’amore di Dio in Cristo)

Poiché la “pace” è stata così strettamente collegata con l’alleanza e con il vivere le sue esigenze, quando il popolo di Dio non ha rispettato l’alleanza, anche la “pace” è stata allontanata. È stato di nuovo necessario l’intervento di Dio scaturito dalla sua amorevole misericordia per portare la “pace” al suo popolo; ed è in questo senso che gli scritti post-esilio di Israele cominciano a vedere la “pace” come generata dalla punizione del servo di Dio “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui” (Is 53, 5).
Gesù Cristo nella sua missione e ministero, ha realizzato la visione degli ultimi profeti d’Israele. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3, 16); e dopo essere stato “messo a morte per i nostri peccati” (Rm 4, 25), il Figlio di Dio è diventato la nostra “pace”. Dunque se la “pace” viene da Dio (Gal 1, 3; Ef 1, 2; Ap 1, 4) ed è di Dio (Fil 4, 7; Col 3, 15; Rm 15, 33) è Cristo che è quella “pace” (Ef 2, 14). È Lui che la proclama e la stabilisce (Ef 2, 17) ed è Lui la presenza di Dio che porta la pace che il mondo non può dare.

Il significato della Pace di Cristo


La “pace” non ha solamente un significato laico, di assenza di conflitto (Gn 34, 21, Gs 9, 15; 10, 1,4; Lc14, 32), presenza di armonia nella casa e nella famiglia (Is 38, 17, Sal 37, 11, 1 Cor 7, 15, Mt 10, 34; Lc 12, 51), sicurezza e prosperità individuale e comunitaria (nazionale) (Gdc 18, 6; 2 Re 20, 19; Is 32, 18). La “pace” non è solo quando gli esseri umani e le società adempiono ai rispettivi doveri e riconoscono i diritti di altre persone e società” [43] e non è neanche uno dei risultati dell’impegno per la giustizia [44]. La “pace” trascende fondamentalmente il mondo e gli sforzi umani [45]. È un dono di Dio (Is 45, 7; Nm 6, 26) donato ai “retti/giusti”.
Normalmente espresso con “shalom” (Antico Testamento) e “eirn” (LXX e Nuovo Testamento), ogni genere di “pace” è una totalità determinata da Dio e donata “agli uomini che egli ama”, cioè i giusti e i retti.  Dunque, quando Gesù ha perdonato il peccatore (Lc 7, 50) e guarito l’ammalata (Mc 5, 34), li ha mandati via “in pace”: “andate in pace”. “Andate in pace” non era soltanto una benedizione di congedo, ma l’offerta di shalom. Ai perdonati e ai guariti non veniva solo restituita l’integrità del corpo, venivano anche rimessi in pace con Dio per mezzo della loro fede e completamente risanati davanti a Dio e alla comunità [46].
Quest’ultimo è anche il significato del saluto di “pace” di Gesù ai suoi discepoli la mattina della resurrezione (Gv 20, 19-21). Era il perdono del loro tradimento di Gesù e anche il ripristinare l’amicizia. Gesù non aveva bisogno di un’ammissione di colpa da parte dei suoi discepoli. Non c’è stata nessuna richiesta di perdono e nessuna scusa è stata presentata. Semplicemente sono state benevolmente ignorate tutte le mancanze. Invece, è stato concesso un perdono gratuito e un segno conciliatorio di “pace”.
La “pace” di Gesù è la nostra pace per la quale egli si è assunto i nostri castighi (Is 53, 5). È perciò un ripristino gratuito e immeritato dell’interezza e della comunione con Dio e con gli uomini e viene ricevuto da tutti coloro che lo accolgono come grazia di Dio e rispondono con fede, cioè da “coloro che egli ama” (i giusti/retti).
Paolo esorta le sue comunità cristiane a perseguire la pace (Rm 14, 19; Ef 4, 3; Eb 12, 14) come giuste portatrici in terra della pace di Cristo e ad essere in pace gli uni con gli altri (Rm 12, 18; 2 Cor 13, 11), proprio come ora l’Instrumentum laboris auspica che faccia la Chiesa in Africa. Ma è anche in qualità di giusti portatori in terra della pace di Cristo che dobbiamo ricordare, come abbiamo già fatto per la “giustizia”, che la “pace” è un atto che va oltre la giustizia in senso stretto ed esige amore [47]. Essa deriva dalla comunione con Dio ed è tesa al benessere dell’uomo (umanità). Perciò, nell’invitare la Chiesa in Africa e sulle isole a essere “ministri (servitori) della riconciliazione, della giustizia e della pace”, dopo l’invito del Primo Sinodo alla Chiesa a vivere nella comunione della Chiesa-Famiglia di Dio, il Secondo Sinodo invita la Chiesa a sperimentare quelle virtù che fondano la nostra comunione con Dio e a testimoniare/vivere le stesse - ovvero la riconciliazione, la giustizia e la pace attraverso l’amore e la misericordia - nel continente. Le implicazioni di questo ministero sono ciò che il (tema del) Sinodo ora spiega con i simboli del sale e della luce: sale della terra e luce del mondo.

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III. Dall’essere “testimoni di Cristo” (At 1, 8) all’essere “sale della terra” e “luce del mondo” (Mt 5, 13-14).

Raccogliendo i frutti del Primo Sinodo nell’Ecclesia in Africa, Papa Giovanni Paolo II ha esaltato la “testimonianza” come elemento essenziale della cooperazione missionaria e ha ricordato alla Chiesa africana che Cristo non solo lancia ai suoi discepoli in Africa la sfida di testimoniarlo, ma dà loro lo stesso mandato che ha affidato ai suoi apostoli il giorno dell’Ascensione: “Di me sarete testimoni” (At 1, 8) in Africa [48].

Dunque, paragonando i discepoli di Cristo in Africa al sale e alla luce, il Santo Padre afferma: “Ai nostri giorni, nel contesto di una società pluralista, è soprattutto grazie all'impegno dei cattolici nella vita pubblica che la Chiesa può esercitare un'influenza efficace. Dai cattolici, siano essi professionisti o insegnanti, uomini d'affari o funzionari, agenti di sicurezza o politici, ci si aspetta che testimonino bontà, verità, giustizia e amore di Dio nelle loro attività di ogni giorno. Il compito del fedele laico [...] è quello di essere il sale e la luce nella vita quotidiana, specialmente laddove è il solo a poter intervenire”[49].
“Sale della terra” e “luce del mondo” dunque erano le immagini/metafore in cui il Papa ha fissato la sua visione delle attività missionarie della Chiesa in Africa e nelle isole. Questo Sinodo ora invita la Chiesa in Africa a intendere il suo servizio di riconciliazione, giustizia e pace nel continente come l’essere “sale della terra” e “luce del mondo”.

Servi (diakonoi) della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace come “sale della terra”

La metafora “sale” che Gesù usa nei Vangeli sinottici (Mt 5, 13; Mc 9, 50; Lc 14, 34) per descrivere la peculiarità della vita dei suoi discepoli, è polivalente. Ha molti significati. Dunque, poiché il “Mar Morto” è detto anche “mare di sale” (Gn 14, 3), per coloro che vivono vicino al “Mar Morto”, “sale” può significare “morte” (cfr. Gn 19, 26). Dio, il Signore della vita, comunque, sanerà le acque del “mare di sale” con l’acqua del tempio e darà loro vita (Ez 47). In un altro senso, il sale ha un potere di conservazione. Esso dà sapore e conserva il cibo (Gb 6, 6; Mt 5, 13; Lc 14, 34) e, in senso correlato, come nel caso della purificazione di Eliseo delle acque di Gerico (2 Re 19, 22), il sale ha anche un potere purificatore.
L’uso del sale per suggellare amicizia e patti nel mondo dell’Antico Testamento (Esd 4, 14) sembra essere alla base dell’uso, da parte di Dio, di immagini per esprimere il permanere e la stabilità delle disposizioni riguardanti il sostentamento dei sacerdoti nell’Antico Testamento: “È un’alleanza inviolabile, perenne, davanti al Signore ...” (Nm 18, 19). L’uso del sale in occasioni di alleanza può dunque essere alla base dell’invito di Gesù ai suoi discepoli: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”(Mc 9, 50),cioè di osservare la lealtà reciproca di una relazione di alleanza e di vivere in pace.
Il sale, però, è simbolo anche di “saggezza” e di “forza morale” ed è ciò che dà valore alle cose. È quello che accade, per esempio, quando il sale è usato per concimare il suolo.
Di conseguenza, quando Gesù si riferisce ai suoi discepoli come “sale della terra” e quando il Sinodo esorta la Chiesa in Africa a essere “servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace” come “sale della terra”, sia Gesù che il Sinodo stanno facendo uso di un simbolo polivalente per esprimere i molteplici compiti ed esigenze dell’essere discepoli e dell’essere Chiesa (Famiglia di Dio) in Africa. E così, come nel caso dei profeti, il rifiuto della Chiesa e del suo Vangelo equivale ad esprimere un giudizio e a trasformare la terra in una “terra di sale” (Dt 29, 23; Ger 17, 6; Sal 107, 34). In un continente, alcune parti del quale vivono in situazioni di conflitto e di morte, la Chiesa deve spargere semi di vita: iniziative che generano vita. Essa deve preservare il continente e la sua popolazione dagli effetti distruttivi dell’odio, della violenza, della giustizia e dell’etnocentrismo. La Chiesa deve purificare e sanare le menti e i cuori da modi corrotti e malvagi e diffondere il suo messaggio evangelico generatore di vita per mantenere in vita il continente e il suo popolo, conservandoli sul cammino della virtù e dei valori evangelici, quali la riconciliazione, la giustizia e la pace [50]. Ma, cosa ancora più importante, il simbolo del “sale” invita la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa ad accettare di consumarsi (dissolversi) per la vita del continente e del suo popolo.


Servi (diakonoi) della Riconciliazione, della Giustizia e della Pace come “luce del mondo”

Far riferimento ai discepoli come “luce del mondo” significa ricorrere ad una simbologia le cui origini affondano nell’Antico Testamento come attributo e missione di Sion, la città sul monte. Di conseguenza, il Servo-Messia sarà chiamato ad assumere questo come sua vocazione e ciò troverà compimento in Gesù. Gesù, dunque, come “luce del mondo”, anzi come la “luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9) costituirà anche i suoi discepoli “luce del mondo”.

Sion, la città sul monte e luce delle nazioni

Sion era il monte della casa del Signore (Is 2, 2) ed era la dimora dell’Arca dell’Alleanza (2 Sam 6; 1 Re 8, 20-21) e del Nome del Signore (Dt 12, 5). L’Arca dell’Alleanza conteneva la Legge di Dio e la Legge era “una lampada e l’insegnamento una luce” (Pr 6, 23; Sal 19, 8; 119, 105; Bar 4, 2).
Il Nome di Dio, comunque, rappresentava la “presenza di Dio” e la luce della presenza di Dio faceva riferimento al potere e all’azione salvifici di Dio (Is 10, 17; Sal 27; 36, 9) per salvare Gerusalemme e il suo popolo [51]. Perciò, in considerazione del suo essere in possesso della luce della conoscenza della Legge e della luce della salvezza di Dio, Gerusalemme divenne una luce per le nazioni ed i re [52].

L’esperienza di Sion divenne la vocazione del Servo-Messia

In Isaia, l’esperienza di Gerusalemme, luce delle nazioni e dei re, è presentata come la vocazione di un servo. Il servo di Jahvè, che è dotato dello Spirito di Jahvè, per portare giustizia alle nazioni (Is 42, 1; 51, 4) è dato dunque come alleanza del popolo e “luce delle nazioni” (Is 42, 6, 49, 8 ss). La sua chiamata a essere “luce delle nazioni” implica la sua personale esperienza della salvezza di Jahvè (Is 49, 7) e ciò ha permesso che la salvezza di Jahvè raggiungesse tutti gli angoli della terra. In questi passaggi relativi al servo, “luce” è conoscenza della Legge e della salvezza di Dio ed è un dono destinato ad arrivare a tutti i popoli.

Gesù compie la vocazione di Servo-Messia

La figura del Servo-Messia si compie in Gesù. Mt 4, 16 cita Is 9, 2 e allude alla stella apparsa alla nascita di Gesù per sottolineare il compimento e la continuazione, in Gesù, del simbolismo rivelatore e salvifico della luce nell’Antico Testamento. Gesù è la “luce della salvezza di Dio” (Gv 1, 5; 3, 19; 8, 12; 12, 46) ed è la “luce della Parola/Legge/Saggezza di Dio” (Gv 1, 4; 9, 5; 12, 36, 46). Gesù è la “luce del mondo” (Lc 2, 32; Gv 1, 9) e muore e risorge per “annunciare la luce al popolo e alle genti” (At 26, 23).

I discepoli di Gesù e i cristiani come luce del mondo


Dunque il riferimento ai discepoli come “luce del mondo” non è altro che Gesù che fa dei suoi discepoli la sua estensione e rappresentazione nel mondo. “Voi siete la luce del mondo” esprime quindi l’alta vocazione dei discepoli di Gesù: una chiamata a compiere, in Cristo, la vocazione di Israele nell’Antico Testamento di essere testimone della luce della conoscenza della Legge di Dio (Vangelo) e della sua salvezza nel mondo.
Questa alta vocazione dei seguaci di Gesù è ciò che il Sinodo propone per la Chiesa in Africa ed essa comincia con la loro chiamata (battesimale) che li rende “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui che vi (li) ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pt 2, 9). Rispondendo alla chiamata, essi si arrendevano all’illuminazione della Parola di verità (Ef 1, 17 ss), la luce del Vangelo della salvezza (2 Cor 4, 4) e la sua chiamata al pentimento. La vita derivante dallo stato di discepolo, li rende “luce nel Signore e figli della luce” (Ef 5, 8), “figli della luce e figli del giorno” (1 Ts 5, 5; cf. Rm 13, 12). “E Dio che disse: ‘Rifulga la luce dalle tenebre’, rifulse nei nostri (loro) cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2 Cor 4, 6). Essa conduce alla fede in Gesù e a ricevere il sigillo promesso dello Spirito Santo (Ef 1, 13) per aver vissuto una vita senza macchia; perché “il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 9).

Conclusione: che terra? Che mondo?

Ai tempi di Gesù, la terra e il mondo per cui i discepoli dovevano essere “sale” e “luce” erano la terra e il mondo al di fuori del circolo dei dodici, “quel fuori” per cui “tutto avviene in parabole” (Mc 4, 11).
In questo Sinodo la terra e il mondo per cui i cattolici del continente e delle isole devono essere “sale” e “luce” come servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace è l’Africa dei nostri giorni, come descritto nell’Instrumentum laboris e accennato sopra [53]. È qui che Gesù Cristo, dopo essersi rivelato attraverso le Scritture come nostra riconciliazione, giustizia e pace, ora chiama e invia i suoi discepoli in Africa e nelle isole a spendere sé stessi, come sale e luce, per costruire la Chiesa in Africa come autentica Famiglia di Dio attraverso i ministeri della riconciliazione, della giustizia e della pace, esercitati nell’amore, come il loro maestro.  



Note

[1] Giovanni Paolo II, Discorso nella Cattedrale di Cristo Re (17 settembre 1998, Johannesburg, Sudafrica): “Qui a Johannesburg, in Sud Africa, insieme all’intera Chiesa in questa parte meridionale del Continente, ci siamo riuniti per promulgare l’Esortazione Apostolica “Ecclesia in Africa” che contiene le proposte fatte dai Padri sinodali al termine della sessione di lavoro svoltasi a Roma nei mesi di aprile e maggio del 1994. Con l’autorità apostolica propria del Successore di Pietro, presento a tutta la Chiesa di Dio in Africa e nel Madagascar i discernimenti, le riflessioni e le risoluzioni del Sinodo...”
[2] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 13.
[3] Cf. Giovanni Paolo II, Ai partecipanti alla riunione del Consiglio post-sinodale della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per l’Africa (15 giugno 2004).
[4] Prima Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, 1993, n. 1. Lo stesso documento asseriva: “Sembra essere arrivata l’ora dell’Africa, un’ora propizia che chiama tutti i messaggeri di Cristo a prendere il largo per raccogliere frutti abbondanti per Cristo” (Instrumentum laboris 1993 n. 24).
[5] Ibidem, n. 22-24. “Segni dei tempi” si riferisce al contesto africano in cui deve essere proclamato il Vangelo.

[6] Cf. Le vite eroiche dei martiri e dei santi africani, da una parte, e le vite eroiche e le lotte per l’indipendenza degli africani nell’Africa post-coloniale, in Sudafrica, in Sudan, ecc, dall’altra.
[7] Cf. Giovanni Paolo II, Discorso in occasione della riunione del Consiglio post-sinodale della Segreteria Generale (15 giugno 2004).
[8] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 13-14, 39-42, 51; Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Lineamenta, n. 6-8.
[9] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Lineamenta, Prefazione.
[10] È ciò che l’Instrumentum laboris indica come “una continua dinamica” ed è ciò che illustra abbondantemente in n. 14-20.
[11] Cf. Giovanni Paolo II, Lettera a Mons. Nikola Eterovic, in occasione della Riunione del Consiglio Speciale per l'Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (23 febbraio 2005).
[12] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 4.
[13] Cf. Ibidem, n. 2-5. Infatti, era il SECAM che “si preoccupò di cercare vie e mezzi per condurre a buon fine il progetto di un simile incontro continentale. Fu organizzata una consultazione delle Conferenze episcopali e di ciascun Vescovo dell'Africa e del Madagascar, in seguito alla quale potei convocare un'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi” (Ecclesia in Africa n. 5).
[14] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, n. 21-33.
[15] Nana Akuffo-Addo, Ministro degli Esteri della Repubblica del Ghana (2001-2008), Vertice UA. Kikwete, Presidente della Tanzania afferma: “... esistono già in Africa dirigenti pronti ad andare avanti e ci auguriamo di essere al loro fianco” (Fraternité Matin, venerdì 10/07/2009, p.1).
[16] NEPAD significa New Economic Partnership for African Development. Il NEPAD esige il rispetto per l’autorità democratica e il rifiuto del colpo di stato. Esiste l’organizzazione di un Meccanismo di Vigilanza tra Pari per controllare l’azione dei governi. Bisogna ammetterlo, il ritmo di lavoro del Parlamento dell’Unione Africana e l’attuazione dei requisiti del NEPAD da parte degli stati membri sono stati recentemente criticati per la loro lentezza.
[17] Lomé Culture è il nome dato a una serie di accordi di cooperazione allo sviluppo fra paesi della Comunità Europea (CEE) e le loro ex colonie. Entrò in vigore nel 1957 con il Trattato di Roma, che sancì la CEE. Lomé I - Lomé IV stabilì un regime di aiuti mediante il Commercio fra la CEE e 46 paesi ACP (rispetto dei diritti umani, principi democratici ed esercizio della legge). La convenzione di Yaoundé fu firmata nel 1975 fra la CEE e i paesi ACP per fornire infrastrutture allo sviluppo dei paesi francofoni. La Convenzione di Cotonou, siglata fra la Ue e 70 paesi ACP, dovrebbe durare vent’anni ed è finalizzata alla riduzione della povertà, allo sviluppo sostenibile e alla graduale integrazione delle economie ACP nell’economia mondiale.
[18] I principali obiettivi del NEPAD sono: sradicare la povertà, instradare i paesi africani verso una crescita e uno sviluppo sostenibili; mettere fine all’emarginazione dell’Africa dal processo di globalizzazione, accelerare la presa di coscienza e di potere delle donne.

[19] “Cooperazione significa condividere con le popolazioni africane un punto di vista: l’idea di un Africa che è moderna e indipendente, dove gli uomini e le donne africani, fiduciosi in sé stessi, forgiano la propria vita e il proprio futuro, perseguendo la via dello sviluppo sostenibile e democratico. Solo gli stimoli e gli sforzi realizzati in seno all’Africa stessa porteranno al successo” (Discorso del Dott. Uschi Eid, Segretario di Stato Parlamentare del Ministero Federale tedesco per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, pronunciato presso il TICAD III [Conferenza Internazionale di Tokio sullo sviluppo dell’Africa], Tokyo 2003.
[20] Barack Obama ha espresso lo stesso concetto ai governanti africani nel suo discorso al Parlamento del Ghana durante la visita al paese del luglio scorso.
[21] Quando l’ex presidente Clinton nel 2003 si recò in visita in Ghana, l’Herald Tribune scrisse: “Ci è stato detto che Clinton è andato a cambiare l’idea che l’America ha dell’Africa: non più un paese disperato, ma un luogo di opportunità e speranza”.
[22] Cf. Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, Vaticano 2009.
[23] Seconda Assemblea Speciale per l’Africa, Instrumentum laboris, n. 11.
[24] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 63.
[25] Cf. Confessione di Paolo: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi... Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio...” (Gal 1, 13-16).
[26] In questo senso, Dio è come il pastore che cerca la pecora smarrita. È come la donna che cerca la dramma perduta e come il padre il cui amore provoca il ritorno del figliol prodigo (cf. Lc 15). È come Gesù che trova Zaccheo sul sicomoro e gli dice di scendere (Lc 19, 5).
[27] Cf. Pietro Bovati, Ristabilire la giustizia, Analecta Biblica 110, PIB Roma, 1986.
[28] Talvolta, l’esigenza di conciliazione comporta e fa scaturire un gesto concreto, quale il riconoscimento dell’esistenza dei diritti, la cui negazione e il cui abuso ha fatto precipitare la situazione dei conflitti e delle ostilità (cf. Abramo e Abimelec in Gn 21, 25-34).
[29] In questo senso, ci sono fattori che favoriscono la riconciliazione e che i servi della riconciliazione devono abbracciare; esistono anche fattori che ostacolano la riconciliazione e che i servitori della riconciliazione devono fuggire:
a. Fattori che l’ostacolano: l’empietà e il disprezzo del rapporto con Dio; la negazione dei diritti degli altri, l’inganno e i pregiudizi, l’ipocrisia e la pace apparente, l’attenzione selettiva, il silenzio della complicità e il fallimento delle strutture dello stato.
b. Fattori che la favoriscono: il perdono, l’amore fraterno, la comunicazione, il dialogo, l’educazione alla pace e alla riconciliazione.
[30] Sacramentum Mundi 3, 235.
[31] Cf. Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, n. 26.
[32] Sacramentum Mundi 3, 236.
[33] Cf. The Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. 4, 85-88, 91-99.
[34] La “giustizia”, in qualunque forma si manifesti, si basa su tutto ciò che è dovuto a una persona in virtù della sua dignità e della sua vocazione alla comunione con le persone (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 3, 63).
[35] Ciò, per inciso, costituisce anche la base dell’imperativo fondamentale che impone il rispetto positivo della dignità e dei diritti degli altri nonché un contributo solidale nell’andare incontro alle loro necessità (cf. Gaudium et Spes, nn. 23-32, 63-72; Papa Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et Magistra). La condizione di figli, comune all’umanità esige che gli uomini siano retti, agendo secondo la volontà di Dio, legati nella solidarietà dall’amore di Dio, quale amore di Padre.

[36] Dunque Tamar era più giusta del suocero, poiché questi non rispettava la tradizione familiare (Gn 38, 26), David non avrebbe ucciso Saul, “perché è il consacrato del Signore”(1 Sam 24, 7, 11) e un “padre” per lui (1 Sam, 24,12). Quando una relazione cambia, cambiano anche le sue esigenze. Colui che si cura degli orfani e delle vedove e li difende, quegli è giusto (Gb 29, 12-16; Os 2, 19). Colui che tratta i servi con umanità, vive in pace con i vicini, parla bene degli altri, quegli è retto/giusto (Gb 31, 1-13; Pr 29, 2; Is 35, 15; Sal 52, 3, ecc.).
La Rettitudine/Giustizia come comportamento che ricade sui membri della comunità, talvolta è tutelata e applicata dai magistrati, quando giudicano i casi in tribunale. Questo è il significato forense di giustizia; dunque sia Dio sia il re svolgono il ruolo di giudice (Dt 25, 1; 1 Re 8,32; Es 23, 6 ss, Sal 9, 4; 50, 6, 96, 13). I giudizi retti restituiscono alla comunità la sua ’interezza; ed è in tal senso che il giudizio e il governo giusti sono considerati caratteristici del Messia-Re.
[37] Il malvagio () è colui che esercita la forza e la falsità, ignora i doveri che la parentela e l’alleanza gli imporrebbero, calpesta i diritti degli altri (The Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. 4, 81).
[38] Papa Giovanni Paolo II definisce la “misericordia” uno “speciale potere dell’amore, che prevale sul peccato e l’infedeltà dei prescelti” (Dives in Misericordia, 4.3).
[39] Dunque, Papa Giovanni Paolo II ci insegna che nelle relazioni fra individui e gruppi sociali ecc., la “giustizia non è abbastanza”. C’è bisogno di quel “potere più profondo che è l’amore” (Cfr. Dives in Misericordia, 12).
[40] Il Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304. Si veda anche Gaudium et Spes, n. 78.
[41] Ibidem.
[42] “In tutto il Vangelo di Luca, la ‘pace in terra’ raggiunge i reietti, i discepoli, gli stranieri, chiunque accoglierà la grazia di Dio e risponderà con fede” (Cf. Dictionary of Jesus and the Gospels, ed. Joel B. Green et alii, InterVarsity Press 1992 p. 605).
[43] Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 174.
[44] Gaudium et Spes, n. 84.
[45] Sebbene sia un compito, qualche cosa per cui lavorare, la “pace” è un dono di Dio, qualcosa che la nostra pace terrena può solo vagamente anticipare.
[46] Nel caso dell’emorroissa (Mc 5, 24-34), per esempio, Gesù non solo ne ha guarito l’impurità religiosa e sociale (la perdita di sangue), ma ne ha rivelato il segreto e ne ha reso pubblica la fede e la guarigione (Mc 5, 34; 2, 5; 10, 52). Tale guarigione ha rappresentato il ritorno totale della donna alla salute, alla sua comunità e al Dio della sua fede.
[47] Gaudium et Spes,. n. 78.
[48] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, n. 86.
[49] Ibidem , n. 108.
[50] Cfr. SECAM, Seminario sul Sinodo, Abidjan Costa d’Avorio, 2009: Carrefour Groupe n. III.
[51] Dunque la grande restaurazione e giustificazione che Yahweh opera nei confronti di Gerusalemme è descritta da Isaia come il ritorno della luce di Yahweh: “Il sole non sarà più la tua luce di giorno né ti illuminerà più il chiarore della luna..Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore” (Is 60, 19-20).
[52] Il Testamento di Levi estende la luce di Gerusalemme ai suoi figli, gli Israeliti, e li esorta dicendo: “Siate la luce di Israele, più pura di tutti i gentili... Che mai farebbero i gentili se foste oscurati dalla trasgressione?” (14, 3).
[53] Cfr. pp 21-26 del presente testo.

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Relazione del Segretario Generale del Sinodo Mons. Nikola Eterovic all'apertura dei lavori


Relazione del Segretario Generale del Sinodo Mons. Nikola Eterovic
, Arcivescovo titolare di Sisak

Lunedì 5 ottobre 2009, Aula del Sinodo

Padre Santo,
Eminentissimi ed Eccellentissimi Padri,
Cari fratelli e sorelle,

“Con la forza dello Spirito Santo rivolgo a tutti questo appello: ‘Lasciatevi riconciliare!’ (2 Cor 5,20). Nessuna differenza etnica o culturale, di razza, di sesso o di religione deve divenire tra voi motivo di contesa. Voi siete tutti figli dell’unico Dio, nostro Padre, che è nei cieli. Con questa convinzione sarà finalmente possibile costruire un’Africa più giusta e pacifica, all’altezza delle legittime attese di tutti i suoi figli” [1].
Ispirato dallo Spirito Santo che guida i credenti nello scrutare la sacra Scrittura, con queste parole, che mostrano la Sua premura apostolica nell’esercizio della sollecitudine per tutta la Chiesa, Vostra Santità ha espresso il suo amore per la Chiesa pellegrina in 53 Paesi africani, come pure per tutta l’Africa, continente di grande dinamismo ma
anche di non poche sfide. Lo ha fatto a Yaoundé, capitale del Camerun, durante la sua prima Visita Apostolica in Africa che ha avuto luogo dal 17 al 23 marzo 2009. In tale occasione Ella ha idealmente aperto i lavori della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Infatti, al termine dell’Eucaristia celebrata nello stadio Amadou Ahidjo, nella solennità di San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria, Ella ha consegnato ai Presidenti di 36 Conferenze Episcopali dell’Africa e ai Capi di 2 Sinodi dei Vescovi delle Chiese Cattoliche Orientali sui iuris, come pure dell’Assemblea della Gerarchia della Chiesa Cattolica d’Egitto, l’Instrumentum laboris, documento di lavoro della presente Assise sinodale. Lo stadio di Yaoundé era diventato il cuore del continente perché intorno a Lei, Vescovo di Roma e Pastore universale della Chiesa, si erano stretti i Vescovi delle Chiese particolari, “rappresentando in qualche modo la Chiesa presente tra tutti i popoli dell’Africa” [2]. In tale occasione la Santità Vostra ha invitato tutti i fedeli ad accompagnare i loro Pastori con la preghiera nella preparazione e soprattutto nello svolgimento dei lavori del grande evento ecclesiale qual è la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Vostra Santità ha dunque affidato la celebrazione dell’Assise sinodale alla protezione della Beata Vergine Maria, Nostra Signore d’Africa, invocando la sua intercessione affinché “la Regina della Pace sostenga gli sforzi di tutti gli ‘artigiani’ di riconciliazione, di giustizia e di pace!” [3]. Nell’incontro con il Consiglio Speciale per l’Africa, nella sede della Nunziatura Apostolica di Yaoundé, Ella, Santo Padre, ha per primo recitato la preghiera mariana che ha voluto comporre per accompagnare la preparazione dell’Assise sinodale e per implorare l’abbondanza di grazie dello Spirito Santo allo scopo di ottenere un rinnovato dinamismo della Chiesa disposta a servire sempre meglio gli uomini di buona volontà del continente africano. All’inizio dei lavori sinodali, facciamo nostra tale preghiera, affinché le riflessioni dell’Assemblea sinodale contribuiscano a far crescere la speranza per i popoli africani e per il Continente nel suo insieme; contribuiscano ad infondere a ciascuna delle Chiese locali in Africa “un nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo il programma formulato dal Signore stesso: “Voi siete il sale della terra  Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13.14). Che la gioia della Chiesa in Africa di celebrare questo Sinodo sia anche la gioia della Chiesa universale!” [4].
Tale auspicio di Vostra Santità si sta realizzando. Ne sono testimoni i rappresentanti degli Episcopati di tutti i continenti che volentieri hanno accettato la nomina pontificia per partecipare all’Assise sinodale, significando la loro vicinanza alla Chiesa Cattolica in Africa, parte promettente della Chiesa universale. Saluto pertanto, i rappresentanti delle Conferenze Episcopali di altri 4 continenti, come pure i Vescovi provenienti da 17 Paesi. Insieme con i loro confratelli d’Africa, essi sono disposti a pregare, a dialogare, a riflettere sul presente e sul futuro della Chiesa Cattolica nel continente africano. In tale modo essi si inseriscono nel processo sinodale di dare e di ricevere, di partecipare alle gioie e ai dolori, alle speranze e alle preoccupazioni, condividendo i doni spirituali per l’edificazione non solamente di alcune Chiese particolari d’Africa, bensì di tutta la Santa Chiesa di Dio diffusa nel mondo intero.

Saluto cordialmente tutti i 244 membri della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, di cui 78 partecipanti ex officio, 129 sono eletti e 36 sono di nomina Pontificia. Tra essi vi sono 33 cardinali, 79 arcivescovi e 156 vescovi. Quanto agli uffici svolti, vi sono 37 Presidenti delle Conferenze Episcopali, 189 Vescovi Ordinari, 4 Coadiutori, 2 Ausiliari e 8 (arci)vescovi emeriti.
Rivolgo un cordiale benvenuto ai Delegati fraterni, rappresentanti di 6 Chiese e comunità ecclesiali, ringraziando per avere accettato l’invito di prendere parte a questo evento ecclesiale.
Saluto, poi, 29 Esperti e 49 Uditori, disposti a dare il loro contributo al buon svolgimento dei lavori sinodali, arricchendo la riflessione con le loro significative testimonianze.
Ringrazio pure la preziosa collaborazione degli Assistenti, dei Traduttori e del personale tecnico, come pure dei generosi Collaboratori della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Senza il loro qualificato e generoso contributo non sarebbe stato possibile organizzare questa Assise sinodale.

La presente relazione è composta di VI parti:
I. Significato della Visita Apostolica in Africa
II. Alcuni dati statistici
III. Indizione della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa
IV. Preparazione della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa
V. Osservazioni d’indole metodologica
VI. Conclusione

I. Significato della Visita Apostolica in Africa

Saluto in modo particolare i 197 Padri sinodali provenienti dai Paesi africani. A loro nome ringrazio Vostra Santità per la Visita Apostolica in Africa che è stata organizzata con lo sguardo alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Ne testimonia anche il motto che Vostra Santità ha scelto per la sua prima Visita pastorale nel continente africano: “Voi siete il sale della terra ... voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13. 14), lo stesso della presente Assemblea sinodale.
Grazie, Santo Padre, soprattutto per l’illuminato magistero impartito nel corso di tale Visita Apostolica. Anche se materialmente si è realizzata in due Paesi: Camerun ed Angola, essa ha interessato tutta l’Africa. Inoltre, essa ha ulteriormente rafforzato i vincoli d’unità che nella fede, nella speranza e nella carità, caratterizzano i rapporti tra il Vescovo di Roma e i suoi confratelli nell’episcopato, posti a capo delle Chiese particolari d’Africa, come pure tra questi ed i fedeli affidati alle loro cure pastorali, con riferimento ideale a tutti gli uomini di buona volontà del grande continente africano. Infatti, il Vangelo, Buona Notizia, è stato indirizzato a tutti gli abitanti d’Africa e di tutto il mondo. Riferendosi alla vita di santa Josephina Bakhita, che il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha canonizzato il 1 ottobre 2000, Vostra Santità ha proposto la sua splendida figura come esempio dell’auspicata trasformazione degli uomini e delle donne dell’intero continente, risultato del loro incontro con il Dio vivente.

Anche oggi, “il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone” [5]. La luce del Vangelo dissipa le tenebre del peccato anche in Africa ove uomini e donne sono disposti a lasciarsi trasformare da Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, anelando di udire una parola di perdono e di speranza. “Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio” [6]. Tali mali coinvolgono tutti gli abitanti dell’Africa che “implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr. Rm 8, 21)” [7]. Gli uomini di Chiesa sono pertanto chiamati a farsi apostoli del Vangelo, Buona Notizia anche per l’uomo africano. “Dopo quasi dieci anni del nuovo millennio, questo momento di grazia è un appello a tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Continente a dedicarsi nuovamente alla missione della Chiesa a portare speranza ai cuori del popolo dell’Africa, e con ciò pure ai popoli di tutto il mondo” [8].
Considerata l’importanza di tale Messaggio Apostolico per tutta l’Africa, come pure per le riflessioni sinodali, insieme con l’Instrumentum laboris, è sembrato assai utile consegnare ai Padri sinodali i Discorsi di Vostra Santità nelle lingue disponibili: francese, inglese, italiano, portoghese e spagnolo. Non vi è dubbio, che tali Documenti saranno di grande aiuto ai Padri sinodali e che permetteranno l’approfondimento di alcuni argomenti di fondo, in connessione con il tema della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa.

II. Alcuni dati statistici

Ringraziamo insieme Dio buono e misericordioso per tanti doni che la Chiesa in Africa ha ricevuto e che ha messo a servizio di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi. In particolare, rendiamo grazie per il suo grande dinamismo, che può essere indicato con le seguente statistiche.
Su una popolazione mondiale di 6.617.097.000 abitanti, i cattolici sono 1.146.656.000, cioè il 17,3%. In Africa, invece, tale percentuale è ormai superata. Infatti, su 943.743.000 di abitanti, i cattolici sono 164.925.000, cioè il 17,5%. L’aumento appare alquanto significativo se si tiene conto che, per esempio, nel 1978, all’inizio del Pontificato di Papa Giovanni Paolo II, il numero dei cattolici africani era di circa 55.000.000. Nel 1994, anno in cui è stata celebrata la Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, il loro numero era di 102.878.000 fedeli, cioè del 14,6% della popolazione africana.
Anche per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, notiamo, nello stesso periodo, una notevole crescita. In tutti i settori si registra, grazie a Dio, un consistente aumento. Esso riguarda, soprattutto, gli operatori pastorali: Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiose, laici impegnati, tra cui i catechisti occupano un posto di rilievo. Può essere significativo paragonare i dati statistici dal 1994 con i dati disponibili dell’anno 2007.

1994 9 2007 10 + %

Circoscrizioni ecclesiastiche 444 516 + 16,21
Vescovi 513 657 + 28,07
Sacerdoti 23.263 34.658 + 49,09
diocesani 12.937 23.154 + 78.97
regolari 10.326 11.504 + 11.40
Diaconi permanenti 326 403 + 23,61
Religiosi non sacerdoti 6.448 7.921 + 22,84
Consacrate 46.664 61.886 + 32,62
Membri di istituti secolari 390 578 + 48,20
Missionari laici 1.847 3.590 + 94,36
Catechisti 299.994 399.932 + 33,31
Seminaristi 17.125 24.729 + 44,40


È doveroso ricordare anche gli agenti pastorali che hanno sigillato con il sacrificio della vita il loro servizio ecclesiale. Dal 1994 al 2008 sono morti in Africa ben 521 operatori pastorali. In tale cifra sono inclusi anche 248 vittime della tragedia in Rwanda nel 1994 e, poi, 40 seminaristi minori uccisi nel 1997 in Burundi. Si tratta del personale non solamente africano, ma anche dei missionari provenienti da altri Paesi. Per esempio, nell’anno 2006 sono stati uccisi 11 operatori pastorali: 5 sacerdoti diocesani, di cui 1 peruviano, e 4 religiosi, di cui 1 portoghese e 1 brasiliano, 1 religiosa italiana e 1 missionaria laica portoghese; nel 2007 hanno perso vita 4 operatori pastorali: 1 sacerdote diocesano, 2 religiosi e 1 suora svizzera; nel 2008 sono morti 5 operatori missionari di cui 1 religioso dell’Inghilterra e 1 fratello francese. Con gli occhi della fede, dietro i dati statistici possiamo riconoscere un grande dinamismo di evangelizzazione del continente africano che spinge gli operatori pastorali all’impegno generoso ed indiviso, fino al dono della propria vita nel martirio. Insieme con l’azione di grazia a Dio Onnipotente per tale dono della sua infinita misericordia, preghiamo affinché tale dinamismo continui, anzi che si rafforzi, per il bene delle Chiese particolari in Africa e nel mondo intero. I Pastori delle Chiese particolari non mancheranno di riconoscere tra tale numero eletto di servitori del Vangelo coloro che potrebbero essere canonizzati, secondo le norme della Chiesa, non solo per aumentare il numero dei santi africani, tra cui non pochi martiri, bensì per ottenere più intercessori nel cielo affinché le care Chiese particolari del continente continuino, con rinnovato zelo, il loro pellegrinaggio terrestre nella lode di Dio e al servizio del prossimo.
Oltre all’evangelizzazione, sua missione principale, la Chiesa Cattolica è assai attiva anche nel campo della carità, della salute, dell’educazione e, in genere, in numerose iniziative di promozione umana. Come esempi significativi ricordiamo la Fondazione per il Sahel, istituita il 22 febbraio 1984, Anno Santo della Redenzione, dal Papa Giovanni Paolo II, in seguito alla sua visita Apostolica in Burkina Faso e al memorabile Appello di Ouagadougou del 10 maggio 1980 [11]. Otto anni fa, il 12 febbraio 2001, il compianto Papa Giovanni Paolo II costituì la Fondazione Il Buon Samaritano, fondata con finalità di sostenere gli infermi più bisognosi, soprattutto i malati dell’AIDS [12].
Nel continente africano, poi, vi sono:
Caritas nazionali e Caritas internazionale. Nel continente africano attuano 53 Caritas nazionali di cui 20 hanno anche una finalità aggiunta, in genere relativa alla promozione della solidarietà e allo sviluppo integrale dell’uomo e della società. Pertanto, le Caritas non poche volte svolgono insieme la missione che in alcuni Paesi è propria della Commissione di Giustizia e Pace. Vi è poi la Caritas del Medio Oriente e dell’Africa del Nord. Tutte le organizzazioni nazionali sono coordinate dalla Caritas Africa che ha il centro a Kampala, Uganda.
Commissioni Giustizia e Pace. Oltre al Segretariato Justice and Peace del SECAM, vi sono 8 Commissioni regionali e 34 nazionali, presso le rispettive Conferenze Episcopali. Inoltre, numerose organizzazioni internazionali e nazionali cattoliche si prodigano nell’aiutare la popolazione africana [13]. Vi sono anche 12 Istituti e Centri di promozione della Dottrina sociale della Chiesa [14].

Pastorale della salute. La Chiesa Cattolica è assai presente nel campo della pastorale sanitaria. Secondo gli ultimi dati ricavati nell’anno 2007 [15], esistono in tutto il Continente africano 16.178 centri sanitari dei quali: 1.074 ospedali, 5.373 ambulatori, 186 lebbrosari, 753 case per anziani ed invalidi, 979 orfanotrofi, 1997 asili per i bambini, 1.590 consultori matrimoniali, 2.947 centri di rieducazione sociale, 1.279 centri sanitari vari. Ovviamente, da tali dati risulta la testimonianza, lodevole e significativa, di molti cristiani, soprattutto di persone di vita consacrata e laici cattolici, impegnati nelle menzionate strutture sanitarie. Per quanto riguarda poi il tipo di malattie, le statistiche segnalano tra le emergenze sanitarie più allarmanti quella derivata dell’HIV/AIDS. È motivo di gratitudine rilevare che, secondo i dati forniti dall’UnAids, il 26 % delle strutture sanitarie nel mondo che si interessano al fenomeno dell’AIDS sono gestite da organizzazioni cattoliche [16]. La Chiesa Cattolica è in prima linea nella lotta contro il diffondersi della malattia. Essa è pure assai attiva nella cura dei malati di AIDS, come mostra per esempio il metodo DREAM, promosso con successo dalla Comunità di Sant’Egidio.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che i dati statistici mostrano che la malaria è la causa maggiore di decessi nel continente africano. Le persone qualificate di tutta la comunità internazionale dovrebbero dedicare più energie e mezzi sia per prevenire la sua diffusione, sia per trovare un valido rimedio a tale temibile ed assai diffusa infermità che provoca ogni anno nel mondo la morte di circa 1.000.000 di persone, di cui l’85% sono bambini sotto i cinque anni.
Scuole cattoliche. La Chiesa Cattolica, come mater et magistra, insieme con l’annuncio del Vangelo, da sempre promoveva l’educazione integrale delle persone per mezzo delle sue scuole. Tale importante opera continua anche ai nostri giorni. Infatti nel continente africano vi sono 12.496 scuole materne con 1.266.444 iscritti; 33.263 scuole elementari con 14.061.806 alunni; 9.838 scuole superiori con 3.738.238 alunni. Negli Istituti Superiori studiano 54.362 studenti; nelle Università 11.011 studenti frequentano gli studi ecclesiastici e 76.432 altre discipline.

III. Indizione della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa

L’idea di convocare la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi maturava nel corso degli anni. Tale possibilità veniva presa in considerazione, negli ultimi anni del Pontificato di Papa Giovanni Paolo II, mentre il compianto Card. Jan Pieter Schotte era Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. In particolare, di tale idea si è discusso varie volte nelle riunioni del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
Pertanto, anche dopo la mia nomina a Segretario Generale nel 2004, il tema ha continuato ad essere attuale. In particolare, lo stesso Papa Giovanni Paolo II ne ha parlato pubblicamente, il 15 giugno 2004, in occasione dell’Udienza concessa al Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale formulando la seguente domanda: “Non sarebbe giunto il momento, come sollecitano numerosi Pastori d’Africa, di approfondire questa esperienza sinodale africana? L’eccezionale crescita della Chiesa in Africa, il rapido ricambio dei Pastori, le nuove sfide che il Continente deve affrontare esigono risposte che solo la prosecuzione dello sforzo richiesto dalla messa in opera dell’Ecclesia in Africa potrebbe offrire, ridando così rinnovato vigore e rafforzata speranza a questo Continente in difficoltà” [17].

Da parte loro, i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa hanno ringraziato il Santo Padre per tale sollecitudine apostolica nei riguardi delle loro Chiese particolari e si sono impegnati, con rinnovato ardore, a preparare bene l’Assise sinodale. Durante la riunione del Consiglio Speciale per l’Africa nei giorni 15 e 16 giugno 2004, è stato deciso di sottoporre alla benevola decisione del Papa Giovanni Paolo II la proposta di convocare ufficialmente la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa. I Membri del Consiglio hanno incaricato il Segretario Generale di proporre al Santo Padre di annunciare tale decisione nel 10 anniversario della celebrazione della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. In particolare, è stato suggerito di farne annuncio il 13 novembre 2004, nella ricorrenza del 1650 anniversario della nascita di Sant’Agostino, grande Africano e gloria della Chiesa universale. L’occasione era propizia, poiché in tale data ha avuto luogo a Roma un Simposio organizzato dal SECAM (Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar) e dal C.C.E.E. (Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae) per ricordare il 10 anniversario del Sinodo per l’Africa. Secondo il parere dei Membri del Consiglio Speciale per l’Africa, bisognava avere un tempo sufficiente di preparazione per la celebrazione dell’Assise sinodale, che avrebbe potuto avere luogo nel mese di ottobre dell’anno 2009, in ricorrenza del 15 anniversario della celebrazione della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il tema potrebbe riguardare la Chiesa in Africa intesa come Famiglia di Dio chiamata ad annunciare il Vangelo di Gesù Cristo per la salvezza e la riconciliazione, la giustizia e la pace.
Il Servo di Dio Giovanni Paolo II aveva accolto volentieri tale proposta. In occasione dell’Udienza Pontificia ai partecipanti al Simposio dei Vescovi dell’Africa e dell’Europa radunati a Roma egli ha annunciato: “Accogliendo i voti del Consiglio post-sinodale, interprete dei desideri dei Pastori africani, colgo l’occasione per annunciare la mia intenzione di convocare una seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi” [18]. Al contempo, egli ha affidato tale progetto alla preghiera dei fedeli, mentre ha invitato “caldamente tutti a implorare dal Signore per l’amata terra d’Africa il dono prezioso della comunione e della pace” [19].
Il compianto Pontefice ha espresso in un’altra occasione il suo appoggio all’idea di una Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Nella lettera che ha voluto indirizzare all’Ecc.mo Segretario Generale, in occasione della XIII riunione del Consiglio Speciale per l’Africa del 24 e 25 febbraio 2005, Papa Giovanni Paolo II ha, tra l’altro, espresso la sua visione della Seconda Assise sinodale. “Prendendo atto del dinamismo nato dalla prima esperienza sinodale africana, questa Assemblea cercherà di approfondire e di prolungarla, fondandosi sull’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, e tenendo conto delle nuove circostanze ecclesiali e sociali del continente. Avrà come compito quello di sostenere le Chiese locali e i loro Pastori e di aiutarli nei loro progetti pastorali, preparando così il futuro della Chiesa nel continente africano, che vive situazioni difficili, sia sul piano politico, economico e sociale sia per ciò che concerne la pace” [20]. In seguito, il Papa Giovanni Paolo II ha elencato alcune di tali difficoltà: conflitti armati, la povertà persistente, le malattie e le loro conseguenze devastanti, a cominciare dal dramma dell’AIDS, la corruzione e il diffuso senso di insicurezza in varie regioni. I fedeli, insieme con tutti gli uomini di buona volontà devono adoperarsi per costruire una società prospera e stabile, assicurando un futuro degno per le sue nuove generazioni. La Chiesa Cattolica, che negli ultimi decenni ha conosciuto un grande sviluppo, ne rende grazie a Dio. Allo stesso tempo, il Pontefice precisava: “Affinché questa crescita continui, incoraggio i Vescovi a vegliare sull’approfondimento spirituale di quanto è stato realizzato, come pure sulla maturazione umana e cristiana del clero e dei laici” [21]. Al termine, affidando la preparazione dell’evento ecclesiale all’intercessione materna di Nostra Signora d’Africa, il Papa Giovanni Paolo II auspicava: “Possa la futura Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, favorire anche un rafforzamento della fede nel Cristo Salvatore e un’autentica riconciliazione!” [22].

La Divina Provvidenza ha voluto che il Papa Giovanni Paolo II passasse a miglior vita il 2 aprile 2005. Nel Conclave dello stesso mese, gli Em.mi Cardinali hanno eletto, il 19 aprile 2005, Vescovo di Roma il Santo Padre Benedetto XVI. Due mesi dopo la sua elezione al soglio pontificio, Sua Santità Benedetto XVI si è pronunciato anche in merito alla convocazione della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Dopo uno studio appropriato della questione, il Santo Padre ha riconfermato la decisione del suo predecessore. Salutando i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, il Sommo Pontefice ha detto: “Confermando quanto aveva deciso il mio venerato Predecessore il 13 novembre dello scorso anno, desidero annunciare la mia intenzione di convocare la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Nutro grande fiducia che tale Assise segni un ulteriore impulso nel continente africano all’evangelizzazione, al consolidamento e alla crescita della Chiesa e alla promozione della riconciliazione e della pace” [23].
L’indizione ufficiale dell’Assise sinodale ha avuto luogo il 28 giugno 2007, vigilia della solennità dei Santi Pietro e Paolo. In tale occasione è stato indicato il tema e la data della celebrazione: “Il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi sul tema La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. ‘Voi siete il sale della terra ... Voi siete la luce del mondo’ (Mt 5, 13.14), da tenersi in Vaticano dal 4 al 25 ottobre dell’anno 2009” [24]. Dopo la decisione del Santo Padre, i Membri del Consiglio Speciale hanno affrettato il lavoro di preparazione dell’Assise sinodale.

IV. Preparazione della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa

Maturata l’idea di una Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, i membri del Consiglio Speciale hanno avuto il compito di preparare nel miglior modo possibile la celebrazione di tale evento ecclesiale.
In primo luogo bisognava redigere i Lineamenta, documento preparatorio dell’Assise sinodale. A tale preparazione sono state dedicate varie riunioni del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale.
Nella riunione, tenutasi nei giorni 25 e 26 febbraio 2005, i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa hanno concordato lo schema dei Lineamenta con precise indicazioni circa il suo contenuto. Nella successiva riunione del 21 e 22 giugno 2005, la bozza del Documento è stata oggetto di profondo studio. Nel frattempo, il 13 gennaio 2006, il Santo Padre Benedetto XVI ha formulato il tema dell’Assemblea Sinodale. Pertanto, i Membri del Consiglio Speciale hanno potuto riflettere con più precisione sul progetto del Documento, apportando varie modifiche che sono state in seguito inserite nel testo. Esso è stato inviato per posta elettronica ai Membri del Consiglio Speciale per l’Africa, per un’ultima approvazione, pregando di far pervenire eventuali rilievi fino al 24 aprile 2006. Due Membri del Consiglio, rappresentanti rispettivamente i gruppi di lingua francese e inglese, insieme con la Segreteria Generale hanno esaminato ed integrato le osservazioni pervenute nei giorni 27 e 28 aprile 2006. Pertanto, il documento ha potuto essere tradotto in 4 lingue: francese, italiano, inglese e portoghese, alle quali si è aggiunta anche la versione in arabo.
I Lineamenta sono stati pubblicati il 27 giugno 2006. Il testo è stato presentato nella Sala Stampa della Santa Sede dall’Em.mo Card. Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e dall’Ecc.mo Mons. Nikola Eterovi, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. Il Documento è stato ampiamente diffuso, anche tramite il sito internet vaticano alle pagine della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
Le Conferenze Episcopali, le Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, ed altri organismi interessati, hanno avuto il tempo fino alla fine del mese di ottobre 2008 per far pervenire alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi le risposte al Questionario dei Lineamenta. Tali risposte sono servite per redigere l’Instrumentum laboris, documento di lavoro della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

L’Instrumentum laboris

La percentuale delle risposte ai Lineamenta è divisa in varie categorie di istituzioni con le quali la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi mantiene rapporti ufficiali.

Istituzioni Risposte %

Conferenze Episcopali 36 25 30 83,33
Riunioni Internazionali di Conf. Ep. 6 26 1 16,66
Chiese Orientali Cattoliche sui iuris 2 27 1 50
Assemblea Gerarchia Cattolica d’Egitto 1 0
Dicasteri della Curia Romana 25 28 14 56
Unione Superiori Generali 1 1 100

La Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ha pure ricevuto contributi di alcune Università Cattoliche e di Istituzioni d’Insegnamento Superiore, come pure di varie persone, anche laiche, che hanno a cuore il presente e il futuro della Chiesa Cattolica in Africa.
Le risposte pervenute sono state esaminate dal Consiglio Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi nella riunione del 27 e 28 ottobre 2008. I Membri del Consiglio hanno concordato lo schema del Documento, fornendo indicazioni precise sul contento, ovviamente, rispettando i contributi degli Episcopati dei singoli Paesi. La Segreteria Generale, con l’aiuto di alcuni esperti, ha redatto la bozza del Documento che è stato discusso nella XVIII riunione del Consiglio Speciale per l’Africa che ha avuto luogo il 23 e il 24 gennaio 2009. Dopo aver apportato varie modifiche, allo scopo di perfezionare il testo, il Documento è stato accettato con unanime consenso.
L’Instrumentum laboris è stato dunque tradotto in quattro lingue: francese, italiano, inglese e portoghese. Il 19 marzo 2009, il Santo Padre Benedetto XVI ha avuto la bontà di consegnarlo personalmente a Yaoundé, Camerun, ai Capi dei Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali d’Africa, per cui ancora Gli rinnoviamo i più sentiti ringraziamenti. In seguito, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ha favorito un’ampia diffusione del Documento che sarà approfondito nel corso della presente Assemblea sinodale.

Nomina Membri della Presidenza dell’Assise sinodale

Il 14 febbraio 2009 il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha nominato tre Presidenti Delegati della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi: le loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar, Senegal, e Fox Wilfrid Napier, O.F.M., Arcivescovo di Durban, Sud Africa. Al contempo, Sua Santità ha nominato il Relatore Generale, Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast, Ghana, e due Segretari Speciali, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor António Damião Franklin, Arcivescovo di Luanda, Angola, e Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Edmond Djitangar, Vescovo di Sarh, Ciad [29].

Ringraziamento ai Membri del Consiglio Speciale per l’Africa


Di tre Cardinali Presidenti Delegati nominati dal Sommo Pontefice Benedetto XVI, due sono stati membri del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Sono sicuro di condividere il parere dei Padri sinodali qui presenti nel rivolgere un cordiale ringraziamento a tutti i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa per il loro prezioso servizio ecclesiale. Di 12 Membri eletti il 7 maggio 1994, al termine della Prima Assemblea Speciale per l’Africa, hanno perseverato fino alla fine ben 9. Nel frattempo, l’Em.mo Card. Hyacinthe Thiandoum, Arcivescovo emerito di Dakar, Senegal, è deceduto nel 2003; lo raccomandiamo volentieri all’infinita misericordia di Dio. Uno si è ritirato nel 2006 per raggiunti limiti d’età, Sua Eminenza il Card. Armand Gaétan Razafindratandra, Arcivescovo emerito di Antananarivo, Madagascar, e uno nel 2007 per motivi di salute, Sua Eccellenza Mons. Paul Verdzekov, Arcivescovo emerito di Bamenda, Camerun. Essi sono stati sostituiti, rispettivamente, da Sua Eccellenza Mons. Anselme Titianma Sanon, Arcivescovo di Bobo-Dioulasso, Burkina Faso, da Sua Eccellenza Mons. Odon Maria Arsène Razanakolona, Arcivescovo di Antananarivo, e da Cornelius Fontem Esua, Arcivescovo di Bamenda, Camerun.
Con l’inizio dei lavori della presente Assemblea cessano dal loro mandato, che hanno esercitato per 15 anni, i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Durante tale periodo hanno partecipato a ben 19 riunioni. Il servizio prezioso del Consiglio Speciale alla Chiesa pellegrina in Africa si può dividere in tre fasi. Nella prima, in seguito alla Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, il Consiglio aveva l’esigente compito di collaborare ad un progetto per l’Esortazione Apostolica Post-sinodale, come servizio al Santo Padre in vista della stesura dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale Ecclesia in Africa firmata da Papa Giovanni Paolo II a Yaoundé, il 14 settembre 1995, festa dell’Esaltazione della Santa Croce. In seguito, il Consiglio Speciale ha incoraggiato l’applicazione di tale importante Documento. La terza fase è coincisa con la preparazione della presente Assise sinodale.

V. Osservazioni d’indole metodologica

Nell’udienza concessami il 23 giugno 2007, il Santo Padre Benedetto XVI ha approvato i criteri circa la partecipazione all’Assise sinodale, concordati in seno al Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, riunitosi nei giorni 15 e 16 febbraio 2007. Dopo l’approvazione del Sommo Pontefice, tali criteri sono stati comunicati ai Presidenti delle Conferenze Episcopali e ai Capi dei Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris.
Secondo la decisione del Santo Padre Benedetto XVI, all’Assise sinodale partecipano ex officio tutti i cardinali africani, senza limite d’età, come pure i Presidenti delle 36 Conferenze Episcopali e Capi di due Chiese Orientali Cattoliche sui iuris (Copta ed Etiope). Per assicurare un’adeguata rappresentanza dell’episcopato, per ogni 5 Vescovi o frazione di 5 si prevedeva l’elezione di 1 Vescovo rappresentante. Inoltre, si voleva avere almeno un rappresentante di ogni Paese africano.
In conformità alle norme dell’Ordo Synodi Episcoporum, il Santo Padre ha completato il numero dei Padri sinodali. In particolare, ha nominato i rappresentanti degli episcopati di altri continenti, o di Paesi in cui vi è un considerevole numero di cattolici d’origine africana. Sono presenti anche Vescovi rappresentanti di Paesi che offrono notevole aiuto alla Chiesa Cattolica in Africa sia nel personale, come missionari e missionarie, sia di natura finanziaria. Inoltre, come gesto di riconoscimento dell’opera ben svolta, Sua Santità ha annoverato tra i Padri sinodali quei membri del Consiglio Speciale per l’Africa che per vari motivi non sono stati eletti dai loro confratelli.
Il Santo Padre Benedetto XVI, ha poi accettato la proposta del Consiglio Speciale di invitare un significativo numero di Uditori, uomini e donne, impegnati nell’evangelizzazione e nella promozione umana in Africa. In tale modo si spera di avere una visione assai ampia sulla vita ecclesiale e sociale del continente, vista anche da parte dei laici. Ovviamente, anche il compito degli Esperti è importante, soprattutto nell’assistere i due Segretari Generali nel corso dei lavori sinodali.

A questo punto può essere utile segnalare alcune procedure metodologiche la cui messa in pratica dovrebbe facilitare i lavori di questa Assemblea sinodale e rafforzare ancora di più i rapporti di comunione ecclesiale tra i Padri sinodali.
1. All’inizio dell’assise sinodale si raccomanda vivamente la lettura del Vademecum che ogni partecipante ha già ricevuto. In esso è indicato dettagliatamente il modo di procedere, in osservanza delle norme della Lettera Apostolica Apostolica sollicitudo e dell’Ordo Synodi Episcoporum, e secondo la prassi collaudata nei precedenti Sinodi.
2. Come risulta dal Calendario dei lavori, inserito in lingua latina alla fine del Vademecum, sono previste 20 Congregazioni generali e 9 Sessioni dei Circoli minori.
3. Per facilitare una partecipazione maggiore di tutti, ogni padre sinodale potrà intervenire in aula sinodale per 5 minuti.
4. Inoltre, al termine delle Congregazioni Generali pomeridiane, dalle 18 alle 19, vi sarà un’ora di discussione libera. Il primo giorno la discussione sarà allargata a più tempo, necessario per riflettere sull’applicazione dell’Ecclesia in Africa. Dopo una presentazione organica, fatta da un Padre sinodale, SER Mons. Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa, sarà aperto il dialogo che dovrebbe permettere di rivivere l’entusiasmo con cui è stata celebrata la Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Inoltre, tale occasione permetterà di segnalarne risultati positivi, come pure aspetti che non sono stati sufficientemente messi in pratica o che dovrebbero essere applicati più a fondo. Tale discussione servirà per introdurre i lavori in continuità ideale con l’Assise sinodale celebrata 15 anni fa.
5. È assai importante sottolineare che la libera discussione dovrà essere circoscritta al tema del Sinodo: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. ‘Voi siete il sale della terra ... voi siete la luce del mondo’ (Mt 5, 13. 14)”. Si tratta di un argomento assai importante e ricco di contenuto, che bisogna approfondire in vari aspetti ecclesiali e cercare di tradurre in iniziative di attività pastorale. I Presidenti Delegati sono pertanto pregati di fare attenzione affinché la discussione non esca dal tema stabilito. 6. In modo simile, i Padri sinodali dovrebbero seguire nei loro interventi, per quanto possibile, la struttura dell’Instrumentum laboris, per rendere più ordinata la discussione. Essi sono cordialmente pregati di indicare nei loro interventi il numero, o per lo meno, la parte dell’Instrumentum laboris. La Segreteria Generale cercherà di tenerne conto nel comporre la lista degli oratori. Pertanto, prima dovrebbero parlare coloro che tratteranno del primo capitolo dell’Instrumentum laboris, poi del secondo, del terzo e, infine, del quarto. Ovviamente, i Padri possono già iscriversi, indicando su quale parte del Documento intendono parlare.
7. Le sintesi dei testi pronunciati, curate dai singoli Padri sinodali, normalmente vengono pubblicate. Se qualcuno non volesse che il suo intervento venga diffuso, è pregato di segnalarlo nella Segreteria Generale. Come è noto, è sempre possibile anche consegnare alla Segreteria Generale i testi in scriptis che saranno tenuti in dovuta considerazione dalla Presidenza dell’Assise sinodale.
8. Le lingue adoperate per le discussioni sono quattro: francese, italiano, inglese e portoghese. In tali lingue è assicurata la traduzione simultanea.
9. Nelle menzionate lingue sarà possibile fare anche le Proposizioni. Si prega che ogni proposizione sia concisa e breve, trattando un solo argomento. Non sarebbe molto utile ripetere la nota dottrina della Chiesa. I padri sinodali dovrebbero piuttosto proporre consigli intesi a favorire un rinnovamento della vita ecclesiale e una prassi pastorale della Chiesa nel promuovere l’evangelizzazione e la promozione umana, specialmente per quanto riguarda la riconciliazione, la giustizia e la pace.

10. L’uso dei mezzi elettronici sta ormai diventando di uso comune. Anche nell’Assise sinodale si cercherà di farne un uso appropriato per facilitare il dialogo e per approfondire la comunione episcopale. Tra l’altro, vi saranno varie elezioni e votazioni con l’apparecchio che avete a vostra disposizione. Ringraziamo in anticipo i tecnici per il buon funzionamento del sistema e per la loro assistenza. Intanto, i Padri dovrebbero aiutarsi reciprocamente, soprattutto all’inizio delle sedute, indicando al vicino, se necessario, come adoperare tali mezzi.
11. Per favorire una maggiore partecipazione dei Padri sinodali, si raccomanda che un Padre sinodale chiamato a svolgere un ufficio non assuma alcun altro incarico all’interno del Sinodo.
12. Secondo la prassi collaudata, anche a questa Assemblea Sinodale prendono parte in congruo numero alcuni Delegati fraterni, rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali. In modo particolare, sono lieto di annunciare la partecipazione del Patriarca della Chiesa Ortodossa Tewahedo Etiope Sua Santità Abuna Paulos. Egli ha volentieri accolto l’invito del Sommo Pontefice Benedetto XVI e, a Dio piacendo, sarà con noi martedì mattina, 6 ottobre c.m. Siamo grati al Signore per la qualificata partecipazione al Sinodo del rappresentante della menzionata Chiesa cristiana presente in Africa ininterrottamente dai tempi apostolici.
13. Due invitati speciali sono ugualmente attesi nel corso dei lavori sinodali. Si tratta del Sig. Jacques Diouf, Direttore Generale della FAO, che dovrebbe informare i Padri sinodali sugli sforzi della FAO per garantire la sicurezza alimentare in Africa. Il Sig. Rudolf Adada, già Capo della Joint United Nations/African Union Peacekeeping Mission per il Darfur, è stato invitato per riferire sugli sforzi di pace nella regione del Darfur, che interessa vari Paesi africani.

VI. Conclusione

“Lasciatevi riconciliare!” (2 Cor 5,20). Il pressante invito del Santo Padre Benedetto XVI ai cristiani d’Africa, ripete l’esortazione di San Paolo ai cristiani di Corinto. Illuminato dallo Spirito Santo, dono del Signore risorto, l’Apostolo delle Genti aveva personalmente sperimentato l’importanza della riconciliazione per la fede cristiana: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18). La riconciliazione richiede il perdono ricevuto dal Padre e dato ai fratelli, secondo l’ammaestramento del Signore Gesù: “perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore” (Lc 11, 4; cfr Mt 6, 11). La Chiesa annuncia tale lieta novella della riconciliazione e propone di realizzarla attraverso i sacramenti, in particolare, quello della penitenza. Si tratta della “riconciliazione ‘fontale’ dalla quale scaturisce ogni altro gesto o atto di riconciliazione, anche a livello sociale” [30]. In tale reciprocità bisogna rispettare la giustizia, che include anche la pena per eventuali crimini commessi. Tuttavia è la parola del nostro Maestro: “Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mt 9, 13). La misericordia cristiana non annulla ma supera la giustizia umana.

L’insegnamento sulla riconciliazione, sorgente della pace e della giustizia, diventa pertanto il cuore della riflessione dell’Assemblea Speciale per l’Africa. Esso presuppone l’Annuncio della Buona Notizia e la sua assimilazione. Al contempo, di fronte a tanti esempi di conflitti, di violenza ed anche di odio, sembra urgente intraprendere una nuova evangelizzazione anche là ove la Parola di Dio è stata già annunciata. La situazione varia da un Paese all’altro. Dall’Egitto, Etiopia ed Eritrea, ove si è mantenuta la continuità del cristianesimo con i tempi apostolici, fino all’Africa sub-sahariana ove alcune Chiese particolari hanno celebrato 500 anni della fondazione, mentre altre hanno ricordato solennemente il primo secolo dell’evangelizzazione. Se si va dalla costa verso l’interno del continente vi sono Paesi in cui i primi missionari sono venuti appena 50 anni fa. Ad ogni modo, tutti i cristiani sono chiamati a riconciliarsi con Dio e con il prossimo. In tale urgente e permanente compito, essi devono essere guidati dai Pastori, Vescovi, sacerdoti, religiosi, diaconi, come pure da persone di vita consacrata. La disponibilità alla riconciliazione è il barometro della profondità dell’evangelizzazione di una persona, di una famiglia, di una comunità, di una Nazione, come pure delle Chiese particolari e di quella universale. Solamente da un cuore riconciliato con Dio, possono spuntare iniziative di carità e di giustizia nei riguardi del prossimo e della società intera.
“Voi siete il sale della terra ... voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13. 14). Tali impegnative parole, che sono al contempo una constatazione della dignità cristiana e un invito a viverla sempre meglio, sono indirizzate a tutti i cristiani, oggi in modo particolare a quelli dell’Africa. Essi sanno, nella grazia dello Spirito Santo, che la risposta affermativa presuppone la conversione e la ferma volontà di seguire Gesù Cristo. La Chiesa Cattolica in Africa deve illuminare ancora di più le complesse realtà del continente con la luce del Signore Gesù, diventando sempre di più il sale della terra africana, immettendo il gusto divino nelle realtà di ogni giorno.
La Chiesa in Africa è assai dinamica, come del resto mostrano i dati statistici. Mentre ne ringraziamo Dio con cuore pieno di riconoscenza, preghiamo l’Onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo che tale crescita quantitativa diventi sempre di più anche qualitativa. In tale modo i cristiani, guidati dai loro Pastori, potranno avvicinarsi all’ideale a cui il Signore Gesù chiama ogni suo discepolo e cioè a diventare il sale della terra e la luce del mondo (cfr. Mt 5,13.14). Solamente uniti a Lui, che dà il senso a tutto ciò che esiste e, soprattutto, all’esistenza umana, i cristiani possono svolgere la vocazione di essere il sale della terra, di offrire il sapore divino, eterno, ai beni terreni, alle cose materiali di cui devono servirsi per svolgere la loro vita umana nel modo cristiano. Solamente rivestendosi di Gesù Cristo, luce del mondo, i cristiani possono riflettere tale luce nelle tenebre del mondo attuale, conducendo tanti uomini di buona volontà, in cerca della luce vera, verso la sua sorgente inesauribile: il Signore Gesù, morto e risorto, colui che è “l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine” (Ap 22,13).
Affidiamo la realizzazione di tale proposito all’intercessione di tutti i santi africani, in modo particolare della Beata Vergine Maria, facendo nostro l’auspicio del Santo Padre Benedetto XVI affinché la Chiesa in Africa “possa continuare a crescere nella santità, nel servizio alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace [...] perché il lavoro della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi possa soffiare sul fuoco dei doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa in Africa [..] Dio benedica l’Africa!”[31].
Grazie per il paziente ascolto. La grazia dello Spirito Santo ci accompagni nel nostro lavoro sinodale.

[1] Benedetto XVI, Discorso al Consiglio Speciale per l’Africa (Yaoundé, 19 marzo 2009): L’Osservatore Romano, 20-21 marzo 2009, p. 14.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Benedetto XVI, Il discorso del papa all’arrivo nella capitale del Camerun, (Yaoundé 17 marzo 2009): L’Osservatore Romano, 19 marzo 2009, p. 5.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Cfr. Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiæ, Annuarium statisticum Ecclesiæ 1994, Città del Vaticano 1995.

[10] Cfr. Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiæ, Annuarium statisticum Ecclesiæ 2007, Città del Vaticano 2009.
[11] Nel corso dei 25 anni, la Fondazione ha distribuito circa 40.000.000 Dollari USA in 9 Paesi: Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Niger, Mali, Mauritania e Senegal, finanziando i progetti di accesso all’acqua e di ripristino di terreni coltivabili, come pure di formazione e d’istruzione.
[12] La Fondazione è affidata al Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute.
[13] Bisogna menzionare, in ordine alfabetico, le seguenti: AVSI (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale); Caritas Internationalis; Catholic Relief Services (CRS); Community of S. Egidio; Konrad Adenauer Stiftung; International Commission for Catholic Prison Pastoral Care (ICCPPC); Misereor; Pax Christi International; COSMAM (Confédération des Conférences des Supérieur[e]s Majeur[e]s d'Afrique et Madagascar); Rencontre et développement (CCSA); Associazione nolite timere Onlus, Adozioni a distanza.
[14] African Forum Catholic Social Teaching, Harare, Zimbabwe; Institut des Artisans de Justice et de Paix (IAJP), Cotonou, Bénin; Centre Ubuntu, Bujumbura, Burundi; Mediation Sociale et Justice et Paix, Yaoundé, Cameroun; Centre d’Etudes pour l’Action Sociale (CEPAS), Kinshasa, Congo; Centre Carrefour, Port-Matthurin, Via Mauritius; Center for Social Justice and Etics/Catholic University of Eastern Africa (CUEA), Nairobi Kenya; Institute of Social Ministry in Mission Tangaza College/Catholic University of Eastern Africa (CUEA); Justice and Peace Desk Conference of Major Superiors, Lesotho; Catholic Institute for Development Justice and Peace (CIDJAP), Enugu, Nigeria; Christian Professionals of Tanzania (CPT), Dar es Salaam, Tanzania.
[15] Cfr. Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiæ, Annuarium statisticum Ecclesiæ 2007, Città del Vaticano 2009, p. 357.
[16] Cfr. Riccardo Cascioli, Aids, Africa e bugie, Avvenire, 28 marzo 2009, p. 3.
[17] Giovanni Paolo II, Il discorso del Santo Padre alla Riunione del Consiglio post-sinodale dell’Assemblea Speciale per l’Africa della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi (15 giugno 2004): L’Osservatore Romano, 17 giugno 2004, p. 7.
[18] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio dei Vescovi d’Africa e d’Europa promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (13 novembre 2004): AAS XCVI, 2004, p. 955.
[19] Ibidem.
[20] Giovanni Paolo II, Lettera al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi in occasione della 13a riunione del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (23 febbraio 2005): www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/2005/documents/hf_jp-ii_let_20050223_eterovic-synod_...
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Benedetto XVI, L’Udienza generale del 22 giugno 2005: L’Osservatore Romano 23 giugno 2005, p. 1.
[24] L’annuncio è stato pubblicato il 29 giugno 2007 sull’edizione de L’Osservatore Romano di venerdì 29 giugno 2007, p. 1.
[25] Non hanno risposto le Conferenze Episcopali del Gambia e della Sierra Leone, della Guinea Equatoriale, del Lesotho, del Malawi e dell’Oceano Indiano (C.E.D.O.I.).
[26] Ha risposto solamente la AMECEA (The Association of Member Episcopal Conferences in Eastern Africa).

[27] Non è pervenuta la risposta della Chiesa Metropolitana sui iuris Etiopica.
[28] Non hanno risposto 2 Congregazioni: Cause dei Santi e Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica Consacrata; 2 tribunali: Penitenzieria Apostolica e Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; 5 Pontifici Consigli: per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per i Testi Legislativi, per il Dialogo Interreligioso, per la Cultura, per le Comunicazioni Sociali; e Prefettura per gli Affari Economici della Chiesa.
[29] Cfr. L’Osservatore Romano, 15 febbraio 2009, p. 1.
[30] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-sinodale Reconciliatio et Paenitentia, 4: AAA LXXVII, 1985, p. 194.
[31] Benedetto XVI, Il discorso del Papa all’arrivo nella capitale del Camerun (17 marzo 2009): L’Osservatore Romano, 19 marzo 2009, p. 5.

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Sinodo per l'Africa: gli interventi dei cardinali Arinze e Turkson e di mons. Eterović


Subito dopo il discorso di Benedetto XVI, nell’Aula del Sinodo i lavori sono proseguiti con tre interventi: il saluto di uno dei presidenti delegati, il cardinale Francis Arinze, l’introduzione del segretario generale del Sinodo, mons. Nikola Eterović, e la “Relazione prima della discussione” del relatore generale, il cardinale Peter Turkson, arcivescovo di Cape Coast, in Ghana. Il servizio di Isabella Piro:

L’Africa nel cuore della Chiesa Universale: è iniziata così la seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata al continente africano. In apertura dei lavori, il cardinale Arinze ha ricordato che l’Africa è conosciuta, sì, come una terra che cerca di sfuggire alle ingiustizie e alle guerre, ma anche come un continente di amore, di solidarietà e di impegno per la pace e la riconciliazione.
 
Dal suo canto, mons. Eterović ha sottolineato il dinamismo dell’Africa, evidenziato anche da una crescita delle vocazioni, e le tante attività della Chiesa nel continente nel campo della carità, della salute e dell’educazione.
 
La parola è quindi passata al relatore generale che, sulla base dell’Instrumentum Laboris, ha indicato gli argomenti principali sui quali dovranno lavorare i Padri Sinodali:
 
“It is time to ‘shift gears’ and to have the truth about Africa told with love…”
È tempo di “cambiare marcia” e di dire la verità sull’Africa con amore, promuovendo lo sviluppo del continente che porterà al benessere di tutto il mondo”, ha detto il cardinale Turkson. “L’Africa - ha aggiunto - è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità”. Essa, invece, è il secondo mercato mondiale emergente dopo la Cina, è il continente delle opportunità. I problemi ci sono, è vero, ha continuato il porporato, indicandone alcuni, come le sette, gli scontri etnici e le migrazioni, che pongono i figli dell’Africa in una condizione servile. E ancora: la crisi del matrimonio tradizionale, minato da unioni alternative, private del concetto di impegno duraturo e senza il fine della procreazione. Questo, ha detto il cardinale Turkson, tende a stabilire una nuova etica globale sulla famiglia, sulla sessualità umana, e sugli aspetti correlati all’aborto, alla contraccezione e all’ingegneria genetica.
 
Altre piaghe indicate dal cardinale Turkson sono state la droga e il traffico di armi, per il quale si è auspicato la messa a punto di un trattato vincolante sull’importazione e l’esportazione. Poi, il grande tema del cambiamento climatico, che colpisce l’Africa con inondazioni, siccità e carestia.
 
Infine, il porporato ha affrontato i tre temi principali del Sinodo, ovvero riconciliazione, giustizia e pace. Della prima, ha ricordato che va sviluppata sia in verticale, verso Dio, che in orizzontale, verso l’uomo. In questo senso, essa costituisce la composizione delle differenze e l’abbattimento degli ostacoli nei rapporti interpersonali attraverso l’esperienza dell’amore di Dio. La giustizia, allora, andrà intesa in senso cristiano come il giusto ordine delle cose, mentre la pace, infine, non sarà soltanto, in senso laico, “assenza di conflitto”, presenza di armonia, sicurezza e prosperità, ma sarà soprattutto dono di Dio. Di qui, l’auspicio espresso dal cardinale Turkson che la Chiesa in Africa sia “sale della terra”, ovvero preservi il continente dall’odio, purifichi le menti e si consumi per la vita del suo popolo. Perché chi è sale della terra e luce del mondo conosce la salvezza di Dio e la pone al servizio di tutti. In tarda mattinata rispondendo ai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, il cardinale Turkson ha ribadito l’importanza della discendenza filiale per la famiglia africana sottolineando come laddove mancano i figli, il nucleo familiare tenda a disgregarsi. Quindi ha ribadito il legame con il primo Sinodo Speciale per l’Africa del 1994 e ha sottolineato come l’ultima Enciclica di Benedetto XVI, la Caritas in veritate, sarà comunque un documento di riferimento per i lavori dei Padri sinodali. Infine con un sorriso a chi gli chiedeva se prima o poi la Chiesa avrà un Papa nero, il cardinale Turkson ha risposto: “Perchè no!”.

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Saluto del Card. Francis Arinze, Nigeria, Presidente Delegato del Sinodo

SALUTO DEL PRESIDENTE DELEGATO, S.EM.R. CARD. FRANCIS ARINZE, PREFETTO EMERITO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI (CITTÀ DEL VATICANO)

Lunedì 5 ottobre, Aula del Sinodo

Santo Padre,
I vescovi dell’Africa e del Madagascar e delle isole attigue la ringraziano per aver convocato questa Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.
La Chiesa vuole essere sempre più fedele a quel aspetto della sua missione che è l’essere al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.
Il nostro continente ha conosciuto sofferenze evitabili, ingiustizia, oppressione, repressione, sfruttamento, tensione e la guerra, che allontana le persone dalle proprie case e produce fame e malattia. Ma l’Africa ha conosciuto anche l’amore fraterno, la solidarietà con i sofferenti, i comitati per la verità e la riconciliazione, gli aiuti regionali tra paesi e qualche progresso verso lo sviluppo integrale, come lei, Santità, ha spiegato nella Caritas in veritate.
Il nostro amato Signore e Salvatore Gesù Cristo è la nostra pace (cfr. Ef 2, 14). Ci ha insegnato che ciò che facciamo al più piccolo dei suoi fratelli e delle sue sorelle lo facciamo a Lui (cfr. Mt 25, 40). Ha perdonato coloro che lo crocifiggevano e ha pregato per loro (cfr. Lc 23, 34). Ha mandato la sua Chiesa a essere la luce del mondo e ad agire come sale e lievito nella società (cfr. Mt 5, 13, 14; Mc 9, 50; Lc 13, 21). Ci ha mandato lo Spirito Santo.
Grazie, Santo Padre, per aver convocato i rappresentanti dei vescovi dell’Africa a riflettere, in queste tre settimane, insieme con i capi dei suoi dicasteri della Curia Romana e i rappresentanti dell’episcopato di tutto il mondo cattolico, con l’aiuto di un gruppo altamente qualificato di esperti in teologia e in altri ambiti, e con i rappresentanti dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei fedeli laici.
Ci benedica, Santo Padre, mentre ci accingiamo a iniziare i lavori! Sotto la guida dello Spirito Santo, possa il lavoro di questo Sinodo aiutare a progredire verso la promozione della riconciliazione, della giustizia e della pace in Africa e in Madagascar e anche chiarire meglio e intensificare il ruolo della Chiesa.

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Il Papa: "Le cose più grandi della vita — Dio, amore, verità — sono gratuite. Dio si dà nel nostro cuore..."


RIFLESSIONE DEL SANTO PADRE NEL CORSO DELLA PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE DELLA II ASSEMBLEA SPECIALE PER L’AFRICA DEL SINODO DEI VESCOVI, 05.10.2009

Pubblichiamo di seguito il testo della meditazione che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto questa mattina alle ore 9, nell’Aula del Sinodo, nel corso della prima Congregazione Generale della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, dopo la lectio brevis dell’Ora Terza:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo dato inizio ora al nostro incontro sinodale invocando lo Spirito Santo e sapendo bene che noi non possiamo in questo momento realizzare quanto c'è da fare per la Chiesa e per il mondo: solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto e poi attuarlo.
E tutti i giorni inizieremo il nostro lavoro invocando lo Spirito Santo con la preghiera dell'Ora Terza «Nunc sancte nobis Spiritus». Perciò vorrei adesso, insieme con voi, meditare un po' questo inno, che apre il lavoro di ogni giorno, sia adesso nel Sinodo, ma anche dopo nella vita nostra quotidiana.

«Nunc sancte nobis Spiritus». Noi preghiamo che la Pentecoste non sia solo un avvenimento del passato, il primo inizio della Chiesa, ma sia oggi, anzi adesso: «nunc sancte nobis Spiritus». Preghiamo che il Signore adesso realizzi l'effusione del suo Spirito e ricrei di nuovo la sua Chiesa e il mondo. Ci ricordiamo che gli apostoli dopo l'Ascensione non hanno iniziato — come forse sarebbe stato normale — a organizzare, a creare la Chiesa futura. Hanno aspettato l'azione di Dio, hanno aspettato lo Spirito Santo. Hanno compreso che la Chiesa non si può fare, che non è il prodotto della nostra organizzazione: la Chiesa deve nascere dallo Spirito Santo. Come il Signore stesso è stato concepito ed è nato dallo Spirito Santo, così anche la Chiesa deve essere sempre concepita e nascere dallo Spirito Santo. Solo con questo atto creativo di Dio noi possiamo entrare nell'attività di Dio, nell'azione divina e collaborare con Lui. In questo senso, anche tutto il nostro lavoro al Sinodo è un collaborare con lo Spirito Santo, con la forza di Dio che ci previene. E sempre dobbiamo di nuovo implorare il compiersi di questa iniziativa divina, nella quale noi possiamo poi essere collaboratori di Dio e contribuire a far sì che di nuovo nasca e cresca la sua Chiesa.

La seconda strofa di questo inno — «Os, lingua, mens, sensus, vigor, / Confessionem personent: / Flammescat igne caritas, / accendat ardor proximos» — è il cuore di questa preghiera. Imploriamo da Dio tre doni, i doni essenziali della Pentecoste, dello Spirito Santo: confessio, caritas, proximos. Confessio: c'è la lingua di fuoco che è "ragionevole", dona la parola giusta e fa pensare al superamento di Babilonia nella festa di Pentecoste. La confusione nata dall'egoismo e dalla superbia dell'uomo, il cui effetto è quello di non poter comprenderci più gli uni gli altri, va superata dalla forza dello Spirito, che unisce senza uniformare, che dà unità nella pluralità: ciascuno può capire l'altro, anche nelle diversità delle lingue. Confessio: la parola, la lingua di fuoco che il Signore ci dà, la parola comune nella quale siamo tutti uniti, la città di Dio, la santa Chiesa, nella quale è presente tutta la ricchezza delle diverse culture. Flammescat igne caritas. Questa confessione non è una teoria ma è vita, è amore. Il cuore della santa Chiesa è l’amore, Dio è amore e si comunica comunicandoci l'amore. E infine il prossimo. La Chiesa non è mai un gruppo chiuso in sé, che vive per sé come uno dei tanti gruppi che esistono nel mondo, ma si contraddistingue per l'universalità della carità, della responsabilità per il prossimo.

Consideriamo uno per uno questi tre doni. Confessio: nel linguaggio della Bibbia e della Chiesa antica questa parola ha due significati essenziali, che sembrano opposti ma che in effetti costituiscono un'unica realtà. Confessio innanzitutto è confessione dei peccati: riconoscere la nostra colpa e conoscere che davanti a Dio siamo insufficienti, siamo in colpa, non siamo nella retta relazione con Lui. Questo è il primo punto: conoscere se stessi nella luce di Dio. Solo in questa luce possiamo conoscere noi stessi, possiamo capire anche quanto c'è di male in noi e così vedere quanto deve essere rinnovato, trasformato. Solo nella luce di Dio ci conosciamo gli uni gli altri e vediamo realmente tutta la realtà.

Mi sembra che dobbiamo tener presente tutto questo nelle nostre analisi sulla riconciliazione, la giustizia, la pace. Sono importanti le analisi empiriche, è importante che si conosca esattamente la realtà di questo mondo. Tuttavia queste analisi orizzontali, fatte con tanta esattezza e competenza, sono insufficienti. Non indicano i veri problemi perché non li collocano alla luce di Dio. Se non vediamo che alla radice vi è il Mistero di Dio, le cose del mondo vanno male perché la relazione con Dio non è ordinata. E se la prima relazione, quella fondante, non è corretta, tutte le altre relazioni con quanto vi può essere di bene, fondamentalmente non funzionano. Perciò tutte le nostre analisi del mondo sono insufficienti se non andiamo fino a questo punto, se non consideriamo il mondo nella luce di Dio, se non scopriamo che alla radice delle ingiustizie, della corruzione, sta un cuore non retto, sta una chiusura verso Dio e, pertanto, una falsificazione della relazione essenziale che è il fondamento di tutte e altre.

Confessio: comprendere nella luce di Dio le realtà del mondo, il primato di Dio e infine tutto l'essere umano e le realtà umane, che tendono alla nostra relazione con Dio. E se questa non è corretta, non arriva al punto voluto da Dio, non entra nella sua verità, anche tutto il resto non è correggibile perché nascono di nuovo tutti i vizi che distruggono la rete sociale, la pace nel mondo.

Confessio: vedere la realtà nella luce di Dio, capire che in fondo le nostre realtà dipendono dalla nostra relazione col nostro Creatore e Redentore, e così andare alla verità, alla verità che salva. Sant'Agostino, riferendosi al capitolo 3° del Vangelo di san Giovanni, definisce l'atto della confessione cristiana con «fare la verità, andare alla luce». Solo vedendo nella luce di Dio le nostre colpe, l'insufficienza della nostra relazione con Lui, camminiamo alla luce della verità. E solo la verità salva. Operiamo finalmente nella verità: confessare realmente in questa profondità della luce di Dio è fare la verità.

Questo è il primo significato della parola confessio, confessione dei peccati, riconoscimento della colpevolezza che risulta dalla nostra mancata relazione con Dio. Ma un secondo significato di confessione è quello di ringraziare Dio, glorificare Dio, testimoniare Dio. Possiamo riconoscere la verità del nostro essere perché c'è la risposta divina. Dio non ci ha lasciati soli con i nostri peccati; anche quanto la nostra relazione con la Sua maestà è ostacolata, Egli non si ritira ma viene e ci prende per mano. Perciò confessio è testimonianza della bontà di Dio, è evangelizzazione. Potremmo dire che la seconda dimensione della parola confessio è identica all'evangelizzazione. Lo vediamo nel giorno di Pentecoste, quando san Pietro, nel suo discorso, da una parte accusa la colpa delle persone — avete ucciso il santo e il giusto —, ma, nello stesso momento, dice: questo Santo è risorto e vi ama, vi abbraccia, vi chiama a essere suoi nel pentimento e nel battesimo, come pure nella comunione del suo Corpo. Nella luce di Dio, confessare diventa necessariamente annunciare Dio, evangelizzare e così rinnovare il mondo.

La parola confessio però ci ricorda ancora un altro elemento. Nel capitolo 10° della Lettera ai Romani san Paolo interpreta la confessione del capitolo 30° del Deuteronomio. In quest’ultimo testo sembra che gli ebrei, entrando nella forma definitiva dell'alleanza, nella Terra Santa, abbiano paura e non possano realmente rispondere a Dio come dovrebbero. Il Signore dice loro: non abbiate paura, Dio non è lontano. Per arrivare a Dio non è necessario attraversare un oceano ignoto, non sono necessari viaggi spaziali nel cielo, cose complicate o impossibili. Dio non è lontano, non è dall'altra parte dell'oceano, in questi spazi immensi dell'universo. Dio è vicino. È nel tuo cuore e sulle tue labbra, con la parola della Torah, che entra nel tuo cuore e si annuncia nelle tue labbra. Dio è in te e con te, è vicino.

San Paolo sostituisce, nella sua interpretazione, la parola Torah con la parola confessione e fede. Dice: realmente Dio è vicino, non sono necessarie spedizioni complicate per arrivare a Lui, né avventure spirituali o materiali. Dio è vicino con la fede, è nel tuo cuore, e con la confessione è sulle tue labbra. È in te e con te. Realmente Gesù Cristo con la sua presenza ci dà la parola della vita. Così entra, nella fede, nel nostro cuore. Abita nel nostro cuore e nella confessione portiamo la realtà del Signore al mondo, a questo nostro tempo. Mi sembra questo un elemento molto importante: il Dio vicino. Le cose della scienza, della tecnica comportano grandi investimenti: le avventure spirituali e materiali sono costose e difficili. Ma Dio si dona gratuitamente. Le cose più grandi della vita — Dio, amore, verità — sono gratuite. Dio si dà nel nostro cuore. Direi che dovremmo spesso meditare questa gratuità di Dio: non c'è bisogno di grandi doni materiali o anche intellettuali per essere vicini a Dio. Dio si dona gratuitamente nel suo amore, è in me nel cuore e sulle labbra. Questo è il coraggio, la gioia della nostra vita. È anche il coraggio presente in questo Sinodo, perché Dio non è lontano: è con noi con la parola della fede. Penso che anche questa dualità sia importante: la parola nel cuore e sulle labbra. Questa profondità della fede personale, che realmente mi collega intimamente con Dio, deve poi essere confessata: fede e confessione, interiorità nella comunione con Dio e testimonianza della fede che si esprime sulle mie labbra e diventa così sensibile e presente nel mondo. Sono due cose importanti che vanno sempre insieme.

Poi l'inno del quale parliamo indica anche i luoghi in cui si trova la confessione: «oas, lingua, mens, sensus, vigor». Tutte le nostre capacità di pensare, parlare, sentire, agire, devono risuonare — il latino usa il verbo «personare» — la parola di Dio. Il nostro essere, in tutte le sue dimensioni, dovrebbe essere riempito da questa parola, che diventa così realmente sensibile nel mondo, che, tramite la nostra esistenza, risuona nel mondo: la parola dello Spirito Santo.

E poi brevemente altri due doni. La carità: è importante che il cristianesimo non sia una somma di idee, una filosofia, una teologia, ma un modo di vivere, il cristianesimo è carità, è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità. Possiamo dire che anche lógos e caritas vanno insieme. Il nostro Dio è, da un parte, lógos, ragione eterna. Ma questa ragione è anche amore, non è fredda matematica che costruisce l'universo, non è un demiurgo; questa ragione eterna è fuoco, è carità. In noi stessi dovrebbe realizzarsi questa unità di ragione e carità, di fede e carità. E così trasformati nella carità diventare, come dicono i Padri greci, divinizzati. Direi che nello sviluppo del mondo abbiamo questo percorso in salita, dalle prime realtà create fino alla creatura uomo. Ma questa scala non è ancora finita. L'uomo dovrebbe essere divinizzato e così realizzarsi. L'unità della creatura e del Creatore: questo è il vero sviluppo, arrivare con la grazia di Dio a questa apertura. La nostra essenza viene trasformata nella carità. Se parliamo di questo sviluppo pensiamo sempre anche a questa ultima meta, dove Dio vuole arrivare con noi.

Infine, il prossimo. La carità non è qualcosa di individuale, ma universale e concreta. Oggi nella Messa abbiamo proclamato la pagina evangelica del buon samaritano, in cui vediamo la duplice realtà della carità cristiana, che è universale e concreta. Questo samaritano incontra un ebreo, che quindi sta oltre i confini della sua tribù e della sua religione. Ma la carità è universale e perciò questo straniero in tutti i sensi è per lui prossimo. L'universalità apre i limiti che chiudono il mondo e creano le diversità e i conflitti. Nello stesso tempo, il fatto che si debba fare qualcosa per l'universalità non è filosofia ma azione concreta. Dobbiamo tendere a questa unificazione di universalità e concretezza, dobbiamo aprire realmente questi confini tra tribù, etnie, religioni all'universalità dell'amore di Dio. E questo non in teoria, ma nei nostri luoghi di vita, con tutta la concretezza necessaria. Preghiamo il Signore che ci doni tutto ciò, nella forza dello Spirito Santo. Alla fine l'inno è glorificazione del Dio trino ed unico e preghiera di conoscere e di credere. Così la fine ritorna all'inizio. Preghiamo affinché possiamo conoscere, conoscere diventi credere e credere diventi amare, azione. Preghiamo il Signore affinché ci doni lo Spirito Santo, susciti una nuova Pentecoste, ci aiuti a essere i suoi servitori in questa ora del mondo. Amen.

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05/10/2009 16:36

Pubblichiamo una sintesi della riflessione che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto questa mattina, all'apertura dei lavori sel Secondo Sinodo dei Vescovi per l'Africa.

Parlando dell’azione dello Spirito Santo, il Papa ha spiegato che solo grazie alla sua forza la Chiesa continua nella propria opera, e, invocandolo, prega che la Pentecoste non sia solo un evento del passato ma si ricrei qui ed ora. La Chiesa, ha aggiunto, non è organizzazione, ma il frutto dello Spirito, verso la Città di Dio che raccoglie tutte le culture. Ed è proprio la lingua di fuoco che da la parola giusta, perché si giunga ad una vera unità nella pluralità, collaborando nell’atto creativo di Dio. Tre le parole oggetto di riflessione: “Confessio”, “Caritas”,“Prossumus”. La “Confessio”, ha detto il Papa, è rinnovamento e trasformazione, perché attraverso la luce di Dio si possa vedere la realtà, conoscere noi stessi e poi comprendere la realtà del mondo, quindi testimoniare ed evangelizzare. Parlando della “Caritas”, il Santo Padre ha ricordato che il Cristianesimo non è una somma di idee, né una filosofia: si diventa cristiani per amore. Citando il brano evangelico del buon Samaritano, il Papa ha ricordato che la carità è universale e concreta. L’universalità parte dall’amore del prossimo, “prossumus”. L’Amore che viene dallo Spirito Santo, ha spiegato il Papa, ci richiama ad una responsabilità attiva per il vicino, che poi diventa universalità, per essere i servitori di questa ora del mondo.

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BENEDETTO XVI - Tre parole per l’Africa

Il primato di Dio, il matrimonio, i bambini


Fabio Zavattaro

L’Africa delle guerre dimenticate, delle immense risorse che rappresentano una ricchezza ma anche la grande sfortuna del continente, costretto a subire sul suo territorio guerre decise da altri e combattute proprio in nome di quelle ricchezze. L’Africa che è quasi sempre raccontata per le sue povertà e malattie; per i conflitti etnici e la siccità; per la corruzione e la fame; per i bambini soldato.
È a quest’Africa che papa Benedetto si rivolge aprendo, nella basilica vaticana di San Pietro, il secondo Sinodo dei vescovi per il continente, a 15 anni dal primo, voluto da papa Wojtyla nell’aprile del 1994. Tappa di “verifica e di rilancio”, come la definisce, che si trova a riflettere su tre parole chiave: riconciliazione, giustizia e pace.
Non sono le povertà e le ingiustizie che Benedetto XVI mette in evidenza: certo ci sono e non possono essere ignorate. Ma c’è un altro volto del continente che trova cittadinanza nelle parole pronunciate davanti ai 244 padri sinodali, e cioè il volto delle “ricchezze” spirituali che il continente può offrire all’occidente. L’Africa, dice il Papa, “rappresenta un immenso polmone spirituale, per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza”.
Il rischio oggi è che questo “polmone spirituale” possa ammalarsi; c’è un nuovo colonialismo – è finito sul piano politico, ma non è mai del tutto terminato, dice il Papa – che il continente rischia di subire, fatto di “pericolose patologie”, le chiama così, che stanno “intaccando” quel patrimonio spirituale e culturale di cui l’umanità ha bisogno ancor più delle materie prime. La prima patologia è “una malattia già diffusa nel mondo occidentale, cioè il materialismo pratico, combinato con il pensiero relativista e nichilista”. Il primo mondo sta, cioè, “esportando” e “ha esportato” quelli che il Papa definisce “tossici rifiuti spirituali, che contagiano le popolazioni di altri continenti, tra cui in particolare quelle africane”. Poi c’è un secondo “virus” che potrebbe colpire il continente, “il fondamentalismo religioso, mischiato con interessi politici ed economici. Gruppi che si rifanno a diverse appartenenze religiose si stanno diffondendo nel continente africano; lo fanno nel nome di Dio, ma secondo una logica opposta a quella divina, cioè insegnando e praticando non l’amore e il rispetto della libertà, ma l’intolleranza e la violenza”.
Oltre alle tre parole chiave che compongono il titolo di questo appuntamento – “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo” – il Papa propone tre ulteriori livelli su cui deve concentrarsi il lavoro dei padri sinodali: il primato di Dio, il matrimonio, i bambini.
Se il primo rappresenta un “tesoro inestimabile per il mondo intero”, il senso profondo di Dio vissuto dal continente rischia oggi di essere attaccato, come abbiamo detto, da “patologie” che l’Occidente esporta, quasi tentativo di soffocare quella “assoluta signoria di Dio” che è “uno dei tratti salienti e unificanti della cultura africana”.
Poi il matrimonio. Di fronte ai molteplici modi in cui il matrimonio è vissuto nelle culture africane, segnato spesso dalla poligamia e da una visione subalterna della donna, la Bibbia, afferma Benedetto XVI, ci presenta una realtà che “non esiste al di fuori della relazione con Dio”. Una “suggestione” che viene prima di “ogni riflessione e indicazione di tipo morale”; per questo, afferma nell’omelia il Papa, “nella misura in cui custodisce e sviluppa la sua fede, l’Africa potrà trovare risorse immense da donare a vantaggio della famiglia fondata sul matrimonio”.
Infine il terzo aspetto, “la realtà dell’infanzia, che costituisce una parte grande e purtroppo sofferente della popolazione africana”. Il continente vive la realtà di uno sfruttamento dei minori che spesso non conosce limiti: è nella memoria di tutti l’immagine dei bambini soldato, rapiti dalle loro famiglie e costretti a combattere contro la loro volontà. L’infanzia di cui parla il Papa è anche quella dei più piccoli, anche dei non nati, nei quali la Chiesa non vede “primariamente dei destinatari di assistenza, meno che mai di pietismo o di strumentalizzazione, ma delle persone a pieno titolo, che con il loro stesso modo di essere mostrano la via maestra per entrare nel Regno di Dio, quella cioè di affidarsi senza condizioni al suo amore”.
È dunque a questo continente, l’Africa delle grandi ricchezze, spirituali soprattutto, “terra feconda di vita umana” spesso segnata “da tante povertà” e che “patisce talora pesanti ingiustizie”, che guarda la Chiesa che si ritrova in questo mese di ottobre, il mese missionario, a riflettere in quello che non è “un convegno di studio” o una “assemblea programmatica”. In trent’anni, dal 1978, il numero dei cattolici nel continente è triplicato, raggiungendo la cifra di circa 165 milioni. Non è certo solo ai numeri che bisogna guardare, e il Papa, nella sua riflessione, lo chiarisce bene quando dice che per diventare luce del mondo e sale della terra occorre puntare sempre più alla misura alta della vita cristiana, cioè alla santità”.
Le differenze tra etnie lungi dal fomentare guerre e divisioni devono diventare “motivo e stimolo per un reciproco arricchimento umano e spirituale”. In una realtà fatta di povertà, ingiustizie, violenze e guerre, la Chiesa può dare il suo grande contributo, perché la sua vocazione “è quella di essere profezia e fermento di riconciliazione tra i vari gruppi etnici, linguistici ed anche religiosi, all’interno delle singole nazioni e in tutto il continente. La riconciliazione, dono di Dio che gli uomini devono implorare e accogliere, è fondamento stabile su cui costruire la pace, condizione indispensabile per l’autentico progresso degli uomini e della società, secondo il progetto di giustizia voluto da Dio”.
Ma non può dimenticare, il Papa, i conflitti che ancora insanguinano la terra africana, le “guerre dimenticate” e quelle che trovano posto, se così possiamo dire, nelle cronache, come i gravi episodi di violenza in Guinea. Dialogo, riconciliazione, giustizia, pace: sono le parole che usa per chiedere alle parti di sospendere le violenze e trovare un terreno comune per costruire il futuro del Paese. Angelus che non può ignorare, assieme ai grandi temi del Sinodo per l’Africa, le sofferenze per le tante vittime provocate dalle violente calamità naturali come lo tsunami nelle isole Samoa e Tonga, il tifone nelle Filippine, e il devastante terremoto in Indonesia. O, come ancora, l’alluvione in Sicilia, a Messina. Vite umane stroncate, persone disperse e senza tetto. La preghiera del Papa è per tutte le vittime, per quanti sono stati toccati dalla perdita dei loro cari, per tutti gli sfollati. Una preghiera che è anche appello alla solidarietà e al sostegno della comunità.

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SINODO AFRICA: RELAZIONE PRIMA DELLA DISCUSSIONE, “IL CONTINENTE DELLE OPPORTUNITÀ”

“L’Africa è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità”, “è tempo di ‘cambiare marcia’” promuovendo “lo sviluppo del continente che porterà al benessere di tutto il mondo”.
Perché l’Africa “è il continente delle opportunità”. E’ l’affermazione contenuta nella “Relazione prima della discussione” (Relatio ante disceptation) che ha aperto la giornata odierna della seconda
Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi (4-25 ottobre). Dalla I Assemblea speciale per l’Africa (1994) ad oggi, si rileva “una crescita eccezionale della Chiesa in Africa”, con diverse novità: “l’ascesa di membri africani di congregazioni missionarie a posizioni e ruoli di guida”, la “ricerca dell’autosufficienza da parte delle Chiese locali, impegnandosi in operazioni economiche in grado di generare profitti”, “un incremento visibile delle strutture e istituzioni ecclesiali”. Però la Chiesa africana affronta anche sfide definite “terribili”: “in vaste aree a nord dell’equatore, essa a malapena esiste”, “la fedeltà e l’impegno di alcuni sacerdoti e religiosi alla loro vocazione”, “la necessità di evangelizzare (o ri-evangelizzare) per una conversione profonda e permanente”, “la perdita di membri che sono passati a nuovi movimenti religiosi o alle sette”.
Nella relazione i vescovi manifestano l’intenzione di dedicare particolare “attenzione” alle “migrazioni volontarie” verso “l’Europa, l’America e l’Estremo Oriente” che pongono gli africani “in una condizione di occupazione servile”. Nel testo vengono evidenziate alcune note sociali, politiche ed economiche. Ad esempio che in Africa “un cattivo governo produce una cattiva economia” e questo “spiega il paradosso della povertà di un continente che è senz’altro uno dei più ricchi del mondo di potenzialità”. Se viene evidenziata positivamente “l’importanza che viene data sempre di più al posto e al ruolo delle donne nella società”, è però “motivo di inquietudine” “l’emergere nel mondo di stili di vita, valori, atteggiamenti, associazioni, ecc., che destabilizzano la società”. “Il matrimonio e la famiglia – si legge nella relazione - sono sottoposti a pressioni diverse e terribili perché venga ridefinita la loro natura e funzione nella società moderna. I matrimoni tradizionali, che portavano alla creazione di famiglie, sono minacciati da una crescente proposta di unioni e rapporti alternativi, privati del concetto di impegno duraturo, di natura non eterosessuale e senza il fine della procreazione”.
“Questo attacco al matrimonio e alla famiglia – secondo i vescovi africani - è portato avanti e sostenuto da gruppi che producono un glossario teso a sostituire i concetti e i termini tradizionali” con “una nuova etica globale sul matrimonio, la famiglia, la sessualità umana e le istanze correlate dell’aborto, della contraccezione”, “dell’ingegneria genetica”. Tra le maggiori preoccupazioni dei vescovi c’è poi lo spaccio di droga e il traffico di armi: “L’uso di droghe e la tossicodipendenza tra i giovani sta rapidamente diventando la maggior causa di dispersione del capitale umano in Africa e nelle isole, seconda solo alla migrazione, ai conflitti e alle malattie, quali l’Aids/Hiv e la malaria”. A proposito del traffico di armi “sia di piccolo calibro che pesanti” la Chiesa africana sostiene “le iniziative delle Nazioni Unite volte a fermare il traffico illegale di armi e a rendere il commercio legalizzato degli armamenti più trasparente”, ad esempio tramite “la messa a punto di un trattato giuridicamente vincolante sull’importazione, l’esportazione e il passaggio di armi convenzionali attraverso l’Africa”. Anche i cambiamenti climatici preoccupano molto i vescovi africani, soprattutto “la nube discontinua di smog che copre la maggior parte dell’Africa orientale, accompagnata da una diminuzione delle precipitazioni, da siccità e carestia”.

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All'inizio dei lavori del Sinodo dei vescovi per l'Africa il Papa ricorda che la fede deve trasformarsi in carità per rinnovare il mondo

L'universalità dell'amore abbatte i confini tra tribù, etnie e religioni


 Ascoltarsi, capirsi, parlarsi. Anche nella diversità delle lingue e delle religioni, delle tribù e delle etnie. Il Sinodo dei vescovi per l'Africa - che dopo la messa inaugurale presieduta dal Papa domenica 4 ottobre ha aperto i suoi lavori nella mattina di lunedì 5 - può essere realmente un'esperienza di "responsabilità pastorale collegiale" e un'occasione per "rinnovare lo slancio di evangelizzazione". A condizione che il vero protagonista sia lo Spirito:  forza creativa e ragionevole che supera la nuova babele dell'egoismo e "unisce senza uniformare", rinnovando ogni giorno l'esperienza della Pentecoste da cui duemila anni fa è nata la Chiesa.

Ai 244 padri che fino al 25 ottobre saranno impegnati nell'assise continentale Benedetto XVI ha subito ricordato che cosa significa vivere la sinodalità. Ha chiesto loro soprattutto di rinunciare a personalismi e chiusure per aprirsi senza riserve all'iniziativa divina. "Tutto il nostro lavoro al Sinodo - ha detto nella meditazione pronunciata a braccio lunedì mattina, durante la preghiera dell'Ora Terza - è un collaborare con lo Spirito Santo". Perché la Chiesa "non è il prodotto della nostra organizzazione" ma ha origine sempre da un "atto creativo di Dio".

Il Sinodo - aveva già puntualizzato all'Angelus di domenica - non può ridursi a "un convegno di studio" o a "un'assemblea programmatica". Anche le analisi della realtà africana restano insufficienti se leggono dati e fenomeni solo nella loro dimensione "orizzontale", trascurando invece di comprendere e interpretare il mondo alla luce del rapporto con Dio. Solo così, infatti, appare chiaro che "alla radice delle ingiustizie e della corruzione" c'è "una chiusura verso Dio" e dunque "una falsificazione della relazione essenziale che è il fondamento di tutte le altre".

Una denuncia, quella del Papa, già risuonata durante l'omelia della messa in San Pietro. L'Africa - aveva sottolineato - è un "tesoro inestimabile" di risorse naturali e un "polmone" spirituale per l'intero pianeta. Ma materialismo pratico, fondamentalismo religioso e nuovi colonialismi sgretolano "il suo profondo senso di Dio" e sono alla radice di povertà, ingiustizie, violenze, guerre. In questo contesto la Chiesa è chiamata a essere "profezia e fermento di riconciliazione tra i vari gruppi etnici, linguistici e anche religiosi". E può farlo solo se annuncia con le parole e con la vita che "Dio è vicino" a ogni uomo e a ogni donna del continente. Non sono necessarie esperienze avventurose o complicate per raggiungerlo. Oltretutto - ha ricordato il Pontefice nella meditazione dell'Ora Terza - la scienza e la tecnica comportano costi e difficoltà elevati, mentre le "cose più grandi della vita" sono gratuite. "Dio si dona gratuitamente" ha assicurato. "Questo - ha aggiunto - è il coraggio, la gioia della nostra fede".

Il cristianesimo - ha precisato Benedetto XVI - "non è una somma di idee, una filosofia, una teologia, ma un modo di vivere". È ragione e, al tempo stesso, amore. "Solo così - ha rimarcato - diventiamo cristiani:  se la fede si trasforma in carità". Da qui la necessità di aprirsi al prossimo attraverso una testimonianza di amore che sia "universale e concreta". L'universalità, infatti, aiuta a superare i "limiti che chiudono il mondo" e ad aprire "realmente i confini tra tribù, etnie, religioni all'amore di Dio". In questo modo le differenze diventano "motivo e stimolo per un reciproco arricchimento umano e spirituale". E la riconciliazione getta le fondamenta stabili "su cui costruire la pace, condizione indispensabile per l'autentico progresso degli uomini e della società".


(©L'Osservatore Romano - 5- 6 ottobre 2009)
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Il primato di Dio


L'invocazione allo Spirito Santo ha introdotto i lavori della seconda assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, aperta a San Pietro da una celebrazione eucaristica dove i canti latini si sono mescolati a quelli del continente africano. In entrambe le occasioni Benedetto XVI ha voluto parlare del primato di Dio, commentando le letture bibliche della messa e riflettendo sull'inno Nunc sancte nobis Spiritus, che la tradizione  attribuisce  a  sant'Ambrogio.
Il Papa è andato direttamente alla radice di quanto è essenziale:  sottolineando l'assoluta importanza del disegno divino espressa nella creazione dell'uomo - "a immagine di Dio lo creò:  maschio e femmina li creò" - e ricordando come la venuta dello Spirito, sceso sugli apostoli a Pentecoste, non sia un avvenimento del passato, ma debba essere invocata, come indicano le parole della tradizione liturgica, "ora" (nunc).
Oggi, però, il riconoscimento della signoria di Dio che contraddistingue le culture africane, è messo a rischio - ha denunciato senza mezzi termini Benedetto XVI - da un colonialismo che non si rassegna a morire ed esporta in Africa due pericolose tendenze:  da un lato, il materialismo pratico che grava sulle società occidentali e, dall'altro, il fondamentalismo religioso, che usa il nome divino per  nascondere  intolleranza  e  violenza.
E come il primato di Dio è contenuto nel disegno originario del matrimonio secondo la parola di Cristo, così esso viene riconosciuto ogni volta che si invoca lo Spirito - ogni giorno, nella preghiera del mattino con le parole dell'inno ambrosiano - perché ricrei la Chiesa e il mondo. A indicare in modo trasparente che la Chiesa non è un prodotto dell'organizzazione umana, ma piuttosto frutto della collaborazione degli uomini con il disegno divino.
Il Papa ha meditato scendendo nel profondo, e spiegando - in perfetta continuità con la tradizione cristiana sin dai primi secoli, davvero come un Padre della Chiesa - come la discesa dello Spirito venga implorata per ogni fibra dell'essere umano. In modo che ognuno possa comprendere le proprie insufficienze, ma anche i mali del mondo, alla luce di Dio. Un Dio che non è lontano, ma al contrario abita nel nostro cuore, come Benedetto XVI ripete instancabilmente. Ricordando sempre che il riconoscimento del primato di Dio comporta l'urgenza di comunicarlo al mondo e, insieme, la necessità di vivere la carità, nello stesso tempo universale e concreta, nei confronti del prossimo, secondo la parabola evangelica del buon samaritano.
Ancora una volta, dunque, il Papa ha stupito tornando all'essenziale, cioè parlando di Dio a proposito di un continente dimenticato nell'informazione internazionale, forse proprio perché sfruttato, o evocato soltanto per i problemi economici e sociali. E ci si può chiedere quanto di questa predicazione chiara e mite di Benedetto XVI - il cui viaggio in Africa è stato quest'anno stravolto da una polemica pregiudiziale e infondata a proposito della lotta contro l'Aids - troverà spazio nei media, che nei suoi confronti sono spesso responsabili di una rappresentazione riduttiva o addirittura ostile, come ha sottolineato di fronte ai rappresentanti degli episcopati europei il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana.
Nonostante tutto, però, il Papa e la Chiesa sanno bene di non essere un gruppo fra i tanti, chiuso e rivolto al proprio interesse. Al contrario hanno consapevolezza di essere chiamati all'universalità della carità. Per fare spazio al primato di quel Dio che vuole - secondo l'espressione cara ai Padri greci - la divinizzazione dell'uomo.

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 5- 6 ottobre 2009)
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La prima conferenza stampa

Molte novità rispetto all'assise del 1994


C'è una nuova Africa rispetto a quando nel 1994 si celebrò il primo sinodo continentale. E c'è, a quindici anni di distanza, una nuova coscienza della Chiesa africana, in continua crescita e sempre più autosufficiente. Sono questi gli elementi di novità dell'assemblea speciale in corso, individuati dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson nella relazione generale svolta lunedì mattina, 5 ottobre.
Questo "rinascimento africano", per il porporato ghanese deve tenere però conto di alcune sfide, quali la concorrenza dei movimenti religiosi e delle sette evangeliche, la presenza di sacerdoti che non sono fedeli alla loro vocazione, e la fuga di giovani che emigrano in Europa e in America e tornano non cattolici. Ferma restando "la crescita eccezionale della Chiesa in Africa" - ha spiegato - quando si parla di prosperità si tende a dimenticare "che in vaste aree a nord dell'Equatore, essa a malapena esiste".
Numerosi i dati sociali ed ecclesiali riferiti nell'aula sinodale dal porporato, che ha evidenziato come occorra ripristinare in Africa l'autentico significato del concetto di giustizia sociale. Per il cardinale ghanese nello strumento di lavoro esiste una "spiritualità di riconciliazione" che può ispirare tutta la discussione nei giorni a venire. "In un continente, alcune parti del quale vivono in situazioni di conflitto e di morte, la Chiesa - ha detto - deve spargere semi di vita. Essa deve preservare la sua popolazione dagli effetti distruttivi dell'odio e della violenza".
Successivamente nella Sala Stampa della Santa Sede il porporato ha risposto alle domande dei giornalisti su alcuni temi specifici:  il celibato sacerdotale, la necessità di pensare a nuovi modi di portare il Vangelo tra gli africani per renderne più comprensibile il messaggio, l'africanizzazione della liturgia, l'attenzione al fenomeno dell'omosessualità, il ricorso alle corti internazionali di giustizia per il risarcimento delle vittime degli eccidi, la lotta all'Aids.
Nella prima conferenza stampa di questo Sinodo si è dunque entrati nel vivo dell'attualità, affrontando le questioni più diverse, persino l'eventuale elezione di un Papa nero. Tra le domande più ricorrenti poste dai giornalisti la questione della fedeltà del clero al celibato. Una sfida - ha detto il cardinale - che viene dal mondo di oggi e che impone di rinsaldare la fede e la testimonianza. In Africa, ha aggiunto, ci sono tanti vescovi e sacerdoti che vivono con passione questa fedeltà al celibato, come ce ne sono altri che ne avvertono la difficoltà. Per questo, ha concluso, è importante la nostra testimonianza.
Di testimonianza c'è bisogno anche per difendere la famiglia - ha proseguito Turkson - dai continui attacchi che vengono da ogni parte, a volte anche dall'interno della comunità ecclesiale.
Si è parlato poi di africanizzazione della liturgia, tema strettamente legato all'inculturazione del Vangelo:  la raccomandazione del Sinodo - secondo il relatore - sarà di vigilare affinché siano salvaguardati sempre i contenuti teologici. Infine il discorso si è spostato sull'Aids. Domande sono state fatte in questo senso anche all'arcivescovo di Antananarivo, monsignor Razanakolona, presente all'incontro. Il cardinale Turkson ha molto insistito sulla necessità della prevenzione.


(©L'Osservatore Romano - 5- 6 ottobre 2009)

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Duecentotrentanove padri sinodali provenienti da ogni parte del Continente riuniti intorno al Pontefice

Canti e melodie che esprimono la vitalità del popolo di Dio


Canti e melodie africane sono risuonati - domenica mattina, 4 ottobre - nella basilica di San Pietro, dove Benedetto XVI ha presieduto all'altare della Confessione la concelebrazione eucaristica in occasione dell'apertura della seconda Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi.
Centinaia di fedeli con gli abiti tradizionali hanno riportato per qualche ora tra le navate i colori vivaci caratteristici del loro continente.
Al canto delle Laudes regiae hanno fatto l'ingresso processionalmente in basilica 239 padri sinodali, tra i quali 33 cardinali, 3 padri delle Chiese orientali, 75 arcivescovi, 120 vescovi, 8 presbiteri e 55 collaboratori.
All'inizio della celebrazione, il Papa ha invocato il dono dello Spirito Santo sull'assemblea del Sinodo, "perché rinnovi e rinvigorisca la sua Chiesa, quale segno e strumento di riconciliazione, di giustizia e di pace specialmente nel grande Continente africano". Durante il rito dell'aspersione presieduto dal Pontefice, dopo l'Asperges me cantato dalla Cappella Sistina e dall'assemblea, il coro congolese, guidato da don José Likolo, ha intonato in lingua lingala il canto tradizionale Nakoma peto ("Che io diventi puro").
Alla liturgia della Parola le letture sono state proclamate in varie lingue:  la prima in francese, il salmo responsoriale in italiano e la seconda in inglese. Il Vangelo di Marco è stato intonato in latino; alle preghiere dei fedeli le intenzioni sono state elevate in lingua swahili, portoghese, amarico, hausa, lingala e arabo. All'offertorio una rappresentanza di vari popoli africani - religiose e laici di Sud Africa, Nigeria, $\Rwanda, Guinea, Tanzania, Costa d'Avorio, Mozambico, Camerun, Togo e Congo - ha portato i doni all'altare.
La processione offertoriale è stata accompagnata dal canto in lingua kikongo Ee Mfumu, yamba makabu ("Signore, accogli quest'offerta").
Con Benedetto XVI - che aveva fatto il suo ingresso in basilica accompagnato dagli arcivescovi James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, Félix del Blanco Prieto, elemosiniere, e dai monsignori Georg Gänswein, segretario particolare e Alfred Xuereb della segreteria particolare - sono saliti all'altare per la preghiera eucaristica:  i presidenti delegati del Sinodo, cardinali Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Wilfrid Fox Napier, arcivescovo francescano di Durban, e Théodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar; il relatore generale, cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, arcivescovo di Cape Coast; il segretario generale, arcivescovo Nikola Eterovic; i segretari speciali Damião António Franklin, arcivescovo di Luanda, e Edmond Dijtangar, vescovo di Sarh.
La celebrazione si è conclusa con l'Ave regina caelorum, intonata dai cori della Cappella Sistina, Mater Ecclesiae e gran coro Ut in fidibus in cordibus, e il canto in lingua lingala >sf01Tokobondela yo e, Mama Maria >sf00("Ti preghiamo, mamma Maria").
Hanno partecipato, tra gli altri, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, l'arcivescovo Fernando Filoni, sostituto, i monsignori Peter Brian Wells, assessore, Fortunatus Nwachukwu, capo del Protocollo, numerosi presuli e prelati della Curia Romana, e il direttore del nostro giornale.


(©L'Osservatore Romano - 5- 6 ottobre 2009)
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Santa Messa inizio Sinodo dei Vescovi per l'Africa...





































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Santa Messa inizio Sinodo dei Vescovi per l'Africa...































 
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Il Papa ai Padri sinodali: guardate il mondo nella luce di Dio

Riflessione nella prima Congregazione generale del Sinodo


CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 5 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Con un invito a guardare alle cose del mondo nella luce di Dio e a riscoprire la carità gratuita divina per abbattere le barriere che dividono l'Africa, Benedetto XVI ha aperto questo lunedì mattina in Vaticano la prima Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa.

Nel suo saluto al Papa e ai presenti all'inizio della prima Congregazione generale, il Cardinale Francis Arinze, presidente delegato di turno, ha ricordato che il continente africano "ha conosciuto sofferenze evitabili, ingiustizia, oppressione, repressione, sfruttamento, tensione e la guerra, che allontana le persone dalle proprie case e produce fame e malattia".

"Ma l'Africa ha conosciuto anche l'amore fraterno, la solidarietà con i sofferenti, i comitati per la verità e la riconciliazione, gli aiuti regionali tra Paesi e qualche progresso verso lo sviluppo integrale, come lei, Santità, ha spiegato nella Caritas in Veritate", ha aggiunto.

Il porporato ha quindi auspicato che "sotto la guida dello Spirito Santo, possa il lavoro di questo Sinodo aiutare a progredire verso la promozione della riconciliazione, della giustizia e della pace in Africa e in Madagascar e anche chiarire meglio e intensificare il ruolo della Chiesa".

Nella sua meditazione nell'Aula del Sinodo, nel corso della prima Congregazione generale, alla presenza di 226 Padri sinodali, Benedetto XVI ha riflettuto sull'inno d'invocazione dello Spirito Santo Nunc sancte nobis Spiritus, che la tradizione attribuisce a Sant'Ambrogio.

"Abbiamo incominciato il nostro Sinodo adesso, invocando lo Spirito Santo, sapendo bene che noi non possiamo fare quanto occorre fare per la Chiesa, per il mondo, in questo momento - ha affermato -. Solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto, e seguirlo".

"Tutte le nostre analisi del mondo sono insufficienti se non consideriamo il mondo alla luce di Dio, se non scopriamo che alla base delle ingiustizie, della corruzione c'è un cuore non retto, c'è una chiusura verso Dio, e quindi una falsificazione della relazione fondamentale sulla quale sono basate tutte le altre". Nella sua lunga meditazione spontanea, il Papa si è lasciato ispirare dall'Inno dell'Ora Terza, la preghiera che introduce la seduta sinodale mattutina. L'Inno, ha constatato, "implora tre doni essenziali dello Spirito Santo". Il primo è la "confessione", che va intesa sia come riconoscimento della piccolezza umana davanti a Dio - da cui derivano, insiste il Papa, "tutti i vizi che distruggono la rete sociale e la pace nel mondo" -, sia come ringraziamento a Dio per i suoi doni e come impegno di testimonianza.

Benedetto XVI ha quindi trovato parola di grande densità spirituale per rimarcare la semplice grandezza di Dio rispetto alla grandezza delle cose umane."Le cose della scienza, della tecnica costano grandi investimenti, avventure spirituali e materiali, sono costose e difficili - ha rilevato -. Ma Dio si dà ‘gratis'. Le più grandi cose della vita - Dio, l'amore, la verità - sono gratuite e direi che su questo dovremmo spesso meditare: su questa gratuità di Dio; sul fatto che non c'è bisogno di grandi doni materiali o anche intellettuali per essere vicini a Dio: Dio è in me, nel mio cuore e sulle mie labbra".

Il secondo dono dello Spirito, ha proseguito, discende dal primo: l'uomo che scopre l'intimità con il divino deve poi testimoniarlo con tutto se stesso. Deve testimoniare la verità della carità di Dio perché questa e non altro è l'essenza della religione cristiana:

"Importante è che il cristianesimo non è una somma di idee, una filosofia, una teoria, ma è un modo di vivere, è carità, è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità. Il nostro Dio è da una parte 'Logos', Ragione eterna, ma questa Ragione è anche Amore. Non è fredda matematica che costruisce l'universo: questa Ragione eterna è fuoco, è carità. Già in noi stessi dovrebbe realizzarsi questa unità di ragione e carità, di fede e carità".

Anche il terzo dono è strettamente connesso agli altri. La carità di Dio va annunciata all'umanità, a ogni uomo, che per un cristiano è un prossimo e un fratello. Prendendo spunto dalla figura del Buon Samaritano della liturgia odierna, Benedetto XVI ha concluso mettendo in grande risalto gli insegnamenti che arrivano fino a noi da quella antica parabola e che ben si adattano, in questo caso, anche alla realtà africana.

"La carità non è una cosa individuale, ma universale. Universale e concreta. Occorre aprire realmente i confini tra tribù, etnie, religioni all'universalità dell'amore di Dio nei nostri luoghi di vita, con tutta la concretezza necessaria. Preghiamo il Signore che ci doni lo Spirito Santo, che ci doni una nuova Pentecoste, che ci aiuti ad essere i suoi servitori in questa ora del mondo".

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06/10/2009 07:12

Un Sinodo per portare giustizia e riconciliazione in Africa

Il Relatore Generale, il Cardinale Turkson, spiega i temi


Il Sinodo dei Vescovi dell'Africa cerca di portare finalmente pace e giustizia al continente, insanguinato da lotte fratricide, ha affermato questo lunedì il suo Relatore Generale elencando i temi che verranno discussi dall'assemblea.

Il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Arcivescovo di Cape Coast (Ghana), nella sua lunga relazione precedente alla discussione, redatta in inglese e non letta per intero, ha spiegato che l'obiettivo di questo Sinodo è che i cattolici del continente diventino "servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace".

Nella sua analisi, il porporato africano ha mostrato come sono cambiati il continente e la Chiesa stessa dopo che il 7 maggio 1994 Giovanni Paolo II ha concluso formalmente a Roma il primo Sinodo africano.

All'inizio del pontificato di Papa Karol Wojtyla, i cattolici africani erano circa 55.000.000. Nel 1994, anno in cui si è celebrata la Prima Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, c'erano 102.878.000 fedeli, ossia il 14,6 % della popolazione africana.

Oggi, dei 943.743.000 abitanti dell'Africa i cattolici sono 164.925.000, il 17,5%, aveva rivelato poco prima l'Arcivescovo Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.

Dal primo Sinodo dell'Africa, che ha avuto come tema "La Chiesa in Africa e la sua Missione evangelizzatrice verso l'anno 2000: ‘Sarete miei testimoni' (At 1, 8)", è nata l'esortazione apostolica post-sinodale firmata da Giovanni Paolo II con il titolo Ecclesia in Africa a Yaoundé (Camerun) il 14 settembre 1995. Il secondo Sinodo africano, che si concluderà il 25 ottobre, presieduto da Benedetto XVI, ha per tema "La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo (Mt 5, 13.14)".

Per questo, il Cardinale Turkson ha presentato con queste parole la sfida che deve affrontare ora la Chiesa nel suo continente: dall'essere "Famiglia di Dio (evangelizzatori)", come ha detto il primo Sinodo, deve passare a contare su figli che siano "servitori (ministri = diakonoi) della riconciliazione, della giustizia e della pace".

Questa riconciliazione, ha spiegato, deve essere "con Dio (verticale) e tra gli Esseri Umani (orizzontale)".

I cattolici africani dovranno svolgere quest'opera in un contesto sociale che il Cardinale ha esposto senza esitazioni.

Il problema economico dell'Africa, ha osservato, si spiega con il "malgoverno".

"Ciò spiega il paradosso della povertà di un continente che è senz'altro uno dei più ricchi del mondo di potenzialità. La conseguenza di questa 'equazione governo-economia' è che quasi nessun Paese africano può rispettare i propri obblighi di bilancio".

Altre sfide, secondo il porporato, sono le "pressioni diverse e terribili" a cui è sottoposta la famiglia per "una crescente proposta di unioni e rapporti alternativi, privati del concetto di impegno duraturo, di natura non eterosessuale e senza il fine della procreazione".

Allo stesso modo, ha ricordato lo spaccio di droga e il traffico di armi, motivi di instabilità di molti Paesi africani, e i crimini ecologici. "Per questo motivo, i vertici delle Nazioni Uniti e mondiali sui cambiamenti climatici, l'emissione di gas serra, l'assottigliamento dello strato di ozono, come quello che si terrà a dicembre a Copenaghen, devono poter contare sull'orante sostegno dell'Africa", ha affermato.

L'analisi sociologica del Cardinale si è conclusa spiegando che "l'Africa è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall'umanità".

"E' tempo di 'cambiare marcia' e di dire la verità sull'Africa con amore, promuovendo lo sviluppo del continente che porterà al benessere di tutto il mondo". All'assemblea partecipano 244 padri sinodali, di cui 78 partecipanti ex officio, 129 eletti e 36 di nomina Pontificia. Tra questi vi sono 33 Cardinali, 79 Arcivescovi e 156 Vescovi. Quanto agli uffici svolti, vi sono 37 Presidenti delle Conferenze Episcopali, 189 Vescovi Ordinari, 4 Coadiutori, 2 Ausiliari e 8 (arci)vescovi emeriti. Ci sono poi sei rappresentanti di altre Chiese o comunità ecclesiali, 29 esperti (19 uomini e 10 donne) e 49 uditori (29 uomini e 20 donne).Prima di iniziare la discussione, il Cardinale Turkson ha detto a tutti loro: "Gesù Cristo, dopo essersi rivelato attraverso le Scritture come nostra riconciliazione, giustizia e pace, ora chiama e invia i suoi discepoli in Africa e nelle isole a spendere sé stessi, come sale e luce, per costruire la Chiesa in Africa come autentica Famiglia di Dio attraverso i ministeri della riconciliazione, della giustizia e della pace, esercitati nell'amore, come il loro maestro". Questo lunedì pomeriggio sono iniziate le discussioni davanti all'assemblea sinodale con interventi liberi, rapporti sulle relazioni dei vari continenti con l'Africa e un'analisi dell'applicazione della "Ecclesa in Africa", da parte di vari Vescovi.

Il Cardinale Turkson è intervenuto dopo una meditazione d'apertura offerta dal Papa ai partecipanti al Sinodo in cui ha spiegato che la Chiesa non è un'organizzazione, ma il frutto dello Spirito Santo.

La disponibilità alla riconciliazione mostra la profondità dell’evangelizzazione

Relazione del Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi



La disponibilità alla riconciliazione mostra il grado di evangelizzazione di una comunità, ha affermato questo lunedì monsignor Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, nella relazione all'assemblea.

Nel suo discorso, il presule ha ricordato le parole pronunciate da Benedetto XVI il 19 marzo scorso durante il suo soggiorno a Yaoundé (Camerun), quando ha affermato: “Con la forza dello Spirito Santo rivolgo a tutti questo appello: ‘Lasciatevi riconciliare!’ (2 Cor 5,20). Nessuna differenza etnica o culturale, di razza, di sesso o di religione deve divenire tra voi motivo di contesa. Voi siete tutti figli dell’unico Dio, nostro Padre, che è nei cieli. Con questa convinzione sarà finalmente possibile costruire un’Africa più giusta e pacifica, all’altezza delle legittime attese di tutti i suoi figli”.

La riconciliazione, ha spiegato monsignor Eterović, “richiede il perdono ricevuto dal Padre e dato ai fratelli, secondo l’ammaestramento del Signore Gesù: 'perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore'”.

L’insegnamento sulla riconciliazione, “sorgente della pace e della giustizia”, è il cuore della riflessione dell’Assemblea Speciale per l’Africa, che presuppone “l’Annuncio della Buona Notizia e la sua assimilazione”.

“Tutti i cristiani sono chiamati a riconciliarsi con Dio e con il prossimo”, ha dichiarato il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, affermando che “la disponibilità alla riconciliazione è il barometro della profondità dell’evangelizzazione di una persona, di una famiglia, di una comunità, di una Nazione, come pure delle Chiese particolari e di quella universale”.

“Solamente da un cuore riconciliato con Dio possono spuntare iniziative di carità e di giustizia nei riguardi del prossimo e della società intera”.

Richiamando le parole riportate nel Vangelo di Matteo (5, 13. 14) “Voi siete il sale della terra ... voi siete la luce del mondo”, “sottotitolo” del tema del Sinodo, il presule ha osservato che “sono al contempo una constatazione della dignità cristiana e un invito a viverla sempre meglio” e sono indirizzate “a tutti i cristiani, oggi in modo particolare a quelli dell’Africa”, che “sanno, nella grazia dello Spirito Santo, che la risposta affermativa presuppone la conversione e la ferma volontà di seguire Gesù Cristo”.

“La Chiesa Cattolica in Africa deve illuminare ancora di più le complesse realtà del continente con la luce del Signore Gesù, diventando sempre di più il sale della terra africana, immettendo il gusto divino nelle realtà di ogni giorno”.

Come mostrano i dati statistici, del resto, la Chiesa in Africa è molto dinamica.

Su un totale di 943.743.000 abitanti, i cattolici sono 164.925.000, cioè il 17,5%. Questo dato rivela una percentuale più elevata di quella mondiale (17,3%), così come nel continente africano si registra una notevole crescita delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.

Allo stesso modo, aumentano anche gli operatori pastorali, 521 dei quali “hanno sigillato con il sacrificio della vita il loro servizio ecclesiale” dal 1994 al 2008.“Oltre all’evangelizzazione, sua missione principale, la Chiesa Cattolica è assai attiva anche nel campo della carità, della salute, dell’educazione e, in genere, in numerose iniziative di promozione umana”, ha ricordato il presule, sottolineando esempi significativi come la Fondazione per il Sahel e la Fondazione Il Buon Samaritano per sostenere gli infermi più bisognosi, soprattutto i malati di Aids.

Nel continente africano agiscono poi 53 Caritas nazionali, la Caritas del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, il Segretariato Justice and Peace del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), 8 Commissioni regionali e 34 nazionali, numerose organizzazioni internazionali e nazionali cattoliche e 12 Istituti e Centri di promozione della Dottrina sociale della Chiesa.

La Chiesa cattolica gestisce inoltre 16.178 centri sanitari e più di 55.000 istituti di istruzione.

In questo contesto, il presule ha auspicato che la crescita quantitativa che si sperimenta nel continente “diventi sempre di più anche qualitativa”.“In tale modo i cristiani, guidati dai loro Pastori, potranno avvicinarsi all’ideale a cui il Signore Gesù chiama ogni suo discepolo e cioè a diventare il sale della terra e la luce del mondo”, ha rilevato.

“Solamente uniti a Lui, che dà il senso a tutto ciò che esiste e, soprattutto, all’esistenza umana, i cristiani possono svolgere la vocazione di essere il sale della terra, di offrire il sapore divino, eterno, ai beni terreni, alle cose materiali di cui devono servirsi per svolgere la loro vita umana nel modo cristiano – ha concluso –. Solamente rivestendosi di Gesù Cristo, luce del mondo, i cristiani possono riflettere tale luce nelle tenebre del mondo attuale, conducendo tanti uomini di buona volontà, in cerca della luce vera, verso la sua sorgente inesauribile: il Signore Gesù”. 

(ZENIT.org)

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