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Sinodo per l'Africa (4-25 Ottobre 2009)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2009 10:25
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06/10/2009 15:33

Relazione del Card. Franc RODÉ, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica


S. Em. R. Card. Franc RODÉ, C.M., Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)

Martedì, 6 ottobre 2009
Aula del Sinodo, Città del Vaticano

L'Instrumentum laboris, al n. 113, rileva la "forte crescita delle vocazioni" religiose
"segno del dinamismo della Chiesa in Africa" e insieme l'energia spirituale che proviene
dai Monasteri di vita contemplativa.
I Vescovi africani in visita ad limina testimoniano l'insostituibile impegno apostolico e missionario dei consacrati, uomini e donne, che offrono la propria vita per il Vangelo. La presenza dei consacrati/e è ancora oggi assolutamente predominante, in modo particolare nel campo della salute, dell'insegnamento e della carità.
Questo impegno encomiabile non può non tener conto delle grandi sfide della Chiesa in Africa, anzitutto del discernimento vocazionale e della formazione iniziale e permanente. La vita consacrata in Africa ha quindi bisogno di formatori e formatrici preparati e, insieme ad essi, di una comunità educante: la testimonianza di vita religiosa delle Comunità, la fedeltà ai consigli evangelici, alle Costituzioni e al carisma proprio, rappresentano una condizione indispensabile per formare veri discepoli di Cristo.
I religiosi e le religiose africani, inoltre, sono chiamati a vivere in pienezza il valore e la bellezza dei consigli evangelici, in una cultura in cui è difficile essere testimoni di povertà, obbedienza e castità, vissuti liberamente e per amore.
Le Conferenze dei Superiori Maggiori a livello nazionale e due organismi internazionali si occupano dell'animazione dei consacrati e delle consacrate africane e rappresentano un valido strumento per il dialogo con i Vescovi.

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06/10/2009 15:35

Relazione di Mons. Maroun Elias LAHHAM, Vescovo di Tunis, Tunisia


S. E. R. Mons. Maroun Elias LAHHAM, Vescovo di Tunis (TUNISIA)

Martedì, 6 ottobre 2009
Aula del Sinodo, Città del Vaticano

Il mio intervento riguarda i rapporti con l’Islam in Africa. Il primo aspetto da sottolineare è che l’Instrumentum Laboris parla dell’Islam in un solo paragrafo (102), in termini generici e che interessano l’Islam nell’Africa subsahariana. Ora, la stragrande maggioranza dei musulmani africani vive in Africa settentrionale, zona geografica completamente assente nell’Instrumentum Laboris. Un altro aspetto è che circa l’80% dei 350 milioni di arabi musulmani vive nei paesi dell’Africa settentrionale.
Tutto ciò per dire che i rapporti islamo-cristiani in Africa del Nord sono diversi da quelli dell’Europa, dell’Africa subsahariana e anche dei paesi arabi del Medio Oriente. Questa omissione delle Chiese dell’Africa del Nord, quando si parla di Africa, e soprattutto questa omissione dell’Islam ci sorprende; l’abbiamo comunicato alle autorità competenti.
La specificità delle relazioni islamo-cristiane nelle Chiese dell’Africa settentrionale può arricchire le esperienze di dialogo vissute altrove (in Europa o nell’Africa subsahariana) e attenuare le reazioni di paura e di rifiuto dell’Islam che cominciano a farsi sentire in alcuni paesi. Sappiamo tutti che la paura è cattiva consigliera.
In cosa consiste la specificità dell’esperienza delle Chiese dell’Africa del Nord?
- Si tratta di una Chiesa dell’incontro. Anche se non ha tutta la libertà auspicata, non è perseguitata.
- Si tratta di una Chiesa che vive in paesi al 100% musulmani e in cui la schiacciante maggioranza dei fedeli è composta da stranieri la maggior parte dei quali resta solo qualche anno.
- Si tratta di una Chiesa che, dall’indipendenza dei paesi dell’Africa del Nord, si è fortemente impegnata nel servizio umano, sociale, culturale e educativo dei paesi che l’accolgono.
- Si tratta di una Chiesa che gode di un margine abbastanza ampio di libertà nell’esercizio del culto cristiano per le migliaia di fedeli, come per esempio in Tunisia.
- Si tratta di una Chiesa che vive in paesi musulmani in cui sta nascendo un movimento di pensiero critico nei confronti di un Islam integralista e fanatico. C’è anche una scuola “magrebina” di studio razionale dei testi e delle tradizioni musulmani.
- Viene spesso richiesta la collaborazione della Chiesa per questo nuovo modo di concepire e vivere l’Islam. Questo invito è rivolto a sacerdoti e vescovi che hanno trascorso molti anni nei paesi del Maghreb ed è stato sottolineato dalla nomina di vescovi arabi in alcune sedi episcopali.
Due proposte:
- Che il Sinodo per il Medio Oriente previsto per l’ottobre del 2010 comprenda anche le diocesi dell’Africa del Nord, soprattutto per quanto riguarda le minoranze cristiane e i rapporti e il dialogo con l’Islam.
- Un dibattito sull’Islam in Africa che tenga conto della varietà delle esperienze africane, da Tunisi a Johannesburg.

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06/10/2009 15:37

Relazione di Mons. Simon-Victor TONYÉ BAKOT, Arcivescovo di Yaoundé, Camerun


S. E. R. Mons. Simon-Victor TONYÉ BAKOT, Arcivescovo di Yaoundé, Presidente della Conferenza Episcopale (CAMERUN)

Martedì, 6 ottobre 2009
Aula del Sinodo, Città del Vaticano

I bantù del Sud del Camerun attribuiscono un’importanza fondamentale alla vita in comunità. Si può esserne esclusi in seguito a un grave errore e poi cercare di ritrovare la comunione con tutti. È il senso del perdono offerto o accolto a seconda che si sia ricevuta un’offesa o si sia commessa una colpa.

Vi si giunge attraverso un rituale le cui tappe essenziali sono le seguenti: la discussione (palabre), la confessione pubblica, le parole rituali di richiesta di perdono, la riconciliazione e il pasto comunitario. È ciò che noi definiamo cultura della pace e della riconciliazione. Il clan sa ristabilirla ogni qualvolta la comunità si trova in situazioni di squilibrio.
L’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana, promuove la pace e la riconciliazione ma non ha ancora raggiunto la stessa capacità di conversione tra i cristiani che vi partecipano poiché il bacio della pace dato durante la messa manifesta discordanze abbastanza nette tra i fedeli. Si possono anche voltare le spalle a chi vi dà la possibilità di riconciliazione.
Si impone un’adeguata catechesi da parte dei pastori per far capire a tutti che, essendo diventati fratelli e sorelle di sangue, visto che nelle nostre vene scorre lo stesso sangue di Cristo assunto attraverso la comunione, questo sangue ci purifica da tutte le nostre impurità e dovrebbe essere più forte della tradizione del clan. Purtroppo, non è ancora così. Occorre impegnarsi sempre di più per raggiungere questo obiettivo.

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06/10/2009 15:39

L'arcivescovo di Antananarivo in Madagascar, mons. Razanakolona, presente al Sinodo: la Chiesa in Africa educhi i giovani alla riconciliazione


La Chiesa in Africa è chiamata ad esser coscienza delle nazioni ed educatrice delle coscienze. E’ quanto espresso da uno dei Padri presenti al Sinodo per l’Africa, l’arcivescovo di Antananarivo, in Madagascar, mons. Odon Marie Arsene Razanakolona. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. - L’impegno della Chiesa dovrebbe essere quello di educare la gente, perché la riconciliazione non avviene così semplicemente. C’è una strada da fare: educare la gente, perché esiste una cultura della violenza. Abbiamo bisogno soprattutto di educare i giovani ad entrare in un modo di fare, di pensare e anche di agire non con la violenza. E’ questo il compito della Chiesa nel Madagascar.
 
D. - Come lei ha evidenziato, in Africa molte nazioni sono abitate prevalentemente da giovani - parlo da un punto di vista anagrafico - ed è sui giovani, lei ha detto, che bisogna puntare, evitando anche che questi abbandonino il continente...
 
R. - Sì: che abbandonino il continente perché devono trovare da mangiare, trovare lavoro per nutrire tutta la loro famiglia. Questo traguardo è molto difficile per un giovane, che non sa dove è il suo futuro e, quindi, cerca dappertutto. Qui è l’impegno dei Paesi cosiddetti sviluppati a trovare un modo affinché i Paesi emergenti trovino la maniera di nutrire la propria gente.
 
D. - La Chiesa non si stanca di difendere la giustizia e la pace e anche per questo talvolta si trova al centro di attacchi...
 
R. - Noi dobbiamo sempre parlare, aiutare la gente a svegliarsi e ricordare ai governanti le loro responsabilità, anche se non sentono o non vogliono sentire. Dovremmo essere la coscienza di una nazione.
 
D. - Il coraggio della vocazione apostolica...
 
R. - Il coraggio si deve avere, perché dobbiamo appoggiarci a Dio, alla nostra fede. Si deve camminare con la gente. L’’educazione porta una persona verso la maturità.
 
D. - Quando si parla di conflitti in Africa, spesso si pensa che questi dipendano solo dai problemi interetnici, ma è davvero così o, per lo meno, sempre?
 
R. - No, l’esistenza delle etnie è reale, ma strumentalizzare queste etnie per fare il gioco di alcune persone che vogliono il potere è un’altra cosa. Non è tanto il problema della maggioranza, ma di una parte che strumentalizza quei fatti, e allora diventa un problema vero.

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06/10/2009 18:08

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PAROLE DEL SANTO PADRE IN RISPOSTA ALL’INTERVENTO DEL PATRIARCA DELLA CHIESA ORTODOSSA DI ETIOPIA ALLA II ASSEMBLEA SPECIALE PER L’AFRICA DEL SINODO DEI VESCOVI, 06.10.2009

Pubblichiamo di seguito le parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato questa mattina, nel corso della terza Congregazione generale della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, in risposta all’intervento del Patriarca della Chiesa Tewahedo Ortodossa di Etiopia, Sua Santità Abuna Paulos:


PAROLE DEL SANTO PADRE

Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione delle parole del Papa.

Santità,

La ringrazio di tutto cuore per il suo intervento tanto profondamente meditato e per aver accettato il mio invito a partecipare alla Seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi.
Sono certo che la mia gratitudine e il mio apprezzamento sono condivisi da tutti i membri dell'Assemblea.
La sua presenza è un'eloquente testimonianza delle antiche e ricche tradizioni della Chiesa in Africa. Anche al tempo degli apostoli, fra le numerose persone desiderose di ascoltare il messaggio salvifico di Cristo vi erano gli abitanti dell'Etiopia (At 8, 26-40).
La fedeltà del suo popolo al Vangelo continua a esprimersi attraverso l'obbedienza alla sua legge d'amore, ma anche, come ci ha ricordato, attraverso la perseveranza anche nella persecuzione e nel sommo sacrificio del martirio in nome di Cristo.
Santità, lei ha ricordato che l'annuncio evangelico non può prescindere dall'impegno di edificare una società che sia conforme alla volontà di Dio, rispetti le benedizioni del creato e tuteli la dignità e l'innocenza di tutti i suoi figli.

In Cristo sappiamo che la riconciliazione è possibile, la giustizia può prevalere, la pace può durare! Questo il messaggio di speranza che siamo chiamati ad annunciare. Questa la promessa che oggi gli abitanti dell'Africa desiderano vedere avverarsi.

Preghiamo, dunque, affinché le nostre Chiese possano avvicinarsi nell'unità che è il dono dello Spirito Santo e rendere testimonianza comune della speranza trasmessa dal Vangelo! Continuiamo a operare per lo sviluppo integrale di tutti i popoli africani, rafforzando le famiglie che sono il baluardo della società africana, educando i giovani che sono il futuro dell'Africa e contribuendo all'edificazione di società caratterizzate da onestà, integrità e solidarietà! Che le nostre decisioni in queste settimane aiutino i seguaci di Cristo in tutto il continente a essere esempi convincenti di rettitudine, misericordia e pace e a essere una luce che illumina il cammino delle generazioni future.
Santità, ancora una volta la ringrazio per la sua presenza e per le sue riflessioni preziose. Che la sua partecipazione a questo Sinodo sia una benedizione per le nostre Chiese!

(©L'Osservatore Romano - 7 ottobre 2009)

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06/10/2009 18:13

Nel corso della seconda congregazione generale di lunedì pomeriggio

Le relazioni sui rapporti dei vari continenti con l'Africa

Si è svolta lunedì pomeriggio, 5 ottobre, alla presenza del Papa, la seconda congregazione generale dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi. Presidente delegato di turno era il cardinale Francis Arinze. Hanno partecipato 227 padri sinodali. Pubblichiamo i testi delle relazioni svolte dai rappresentanti delle riunioni di Conferenze episcopali a livello continentale.

La solidarietà delle Chiese dell'America Latina

Monsignor Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida (Brasile) presidente del "Consiglio Episcopale Latino Americano" (c.e.l.a.m.)
In primo luogo, in qualità di presidente del Consiglio Episcopale Latino-americano (celam), desidero ringraziare, in modo particolare, il Santo Padre Benedetto XVI per l'invito a partecipare a questa Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei vescovi per l'Africa. Per me, vescovo Latino-Americano, è un privilegio poter condividere il cammino della nostra Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, nel continente africano. Voglio partecipare a questo Sinodo con molta attenzione, apertura e preghiera.
Desidero esprimere, in questo momento, la solidarietà dell'episcopato e della Chiesa Latino-americani ai cari fratelli vescovi e a tutta la Chiesa pellegrina nel Continente africano.
Siamo qui non solo per manifestare la nostra fraternità alla Chiesa in Africa, ma anche per imparare, dal momento che siamo sicuri che le conclusioni di questa seconda Assemblea Speciale aiuteranno anche la Chiesa in America
Latina nella missione di riconciliazione e nella ricerca di giustizia e pace.
L'Africa e l'America Latina sono continenti molto diversi tra loro, tuttavia è importante sapere che in America Latina la popolazione di origine africana è più numerosa della popolazione dei nostri stessi popoli originari, gli indigeni. Ci unisce anche - nella croce - il fatto che, in entrambi i continenti, c'è un alto tasso di popolazione che vive in situazioni di povertà e che ha bisogno di beni e di servizi per la sussistenza:  alimentazione, casa, istruzione e sanità.
In ambito politico e istituzionale, in molti dei nostri Paesi non c'è una democrazia sufficientemente radicata nella cultura del popolo e, per questo, essa ancora non è saldamente consolidata. Le necessità fondamentali e urgenti di gran parte dei nostri popoli, irrisolte, provocano l'insorgere di avventure politiche, con promesse populiste, che illudono, ma non risolvono i problemi strutturali della popolazione.
Sempre in ambito politico, la situazione si aggrava a causa della corruzione di cui spesso si ha notizia e che viene denunciata da vari organi dei mezzi di comunicazione di massa, fenomeno, questo, che spinge la popolazione e, soprattutto i giovani, al conformismo e alla sfiducia nei confronti della politica come arte di promuovere il bene comune.
La nuova consapevolezza, a livello mondiale, del pluralismo culturale ha risvegliato in America Latina una nuova attenzione e un nuovo modo di vedere i nostri popoli indigeni e di origine africana. Questo segna uno sforzo particolare e importante di evangelizzazione e di inculturazione. Nel documento della v Conferenza generale, svoltasi ad Aparecida nel 2007, si legge:  "Gli indigeni e gli afro-americani stanno emergendo ora nella società e nella Chiesa. Si tratta di un "kairós" per approfondire l'incontro della Chiesa con questi gruppi umani che rivendicano il pieno riconoscimento dei propri diritti individuali e collettivi e di essere presi in considerazione nella cattolicità con la loro visione del cosmo, i loro valori e le loro identità specifiche, per vivere una nuova Pentecoste ecclesiale" (DA, 91).
La Chiesa in America Latina non ha vissuto rotture così grandi e drammatiche come la Chiesa nell'Africa nera. Per questo, in America Latina c'è stata un'esperienza più continuativa della Chiesa, anche se non sono mancati sofferenze ed errori e, proprio per questo, essa possiede un'esperienza ricca e molteplice. Oggi abbiamo un'esperienza pastorale più stabile, la cui ricchezza si è espressa negli ultimi 50 anni nelle nostre cinque Conferenze generali - di natura diversa rispetto ai Sinodi - e oggi, nella grande Missione Continentale che ha come obiettivo di porre la Chiesa in America Latina in uno stato di missione permanente. I Documenti di queste cinque Conferenze generali hanno sempre dedicato una particolare attenzione ai contadini, agli indigeni e agli afro-americani, tra le varie priorità pastorali.
Desidero suggerire in questo intervento alcuni punti, che potrebbero essere tema di dialogo di un possibile scambio fraterno tra le Chiese dei due continenti. In ambito episcopale, possiamo condividere con l'Africa la grande ricchezza che hanno significato i 54 anni di vita dell'organismo episcopale che rappresento, il Consiglio Episcopale Latino-americano (celam), come strumento di comunione episcopale e di servizio reciproco in seno al nostro episcopato. Si potrebbe, con l'incentivo della Santa Sede, invitare i vescovi della Chiesa cattolica presenti in entrambi i continenti, per uno scambio di esperienze collegiali, pastorali e organizzative, che possono arricchire la missione della Chiesa. Potrebbe essere ampliata anche l'esperienza già esistente di diocesi e congregazioni religiose che inviano missionari alla Chiesa in Africa.
Per quanto riguarda i seminaristi e i sacerdoti, penso anche che sarebbe possibile e reciprocamente arricchente, offrire seminari per una prima formazione sacerdotale in alcune delle Chiese particolari in America Latina, che hanno più risorse. Tra gli altri vantaggi, sarebbe anche un'occasione per imparare una nuova lingua che servirebbe a favorire lo scambio e la comunione tra due continenti in cui la presenza cattolica è grande.
Anche il celam, con l'approvazione della Santa Sede, potrebbe accogliere sacerdoti, consacrati o laici che lavorano nella pastorale per corsi di formazione, nei suoi Istituti Pastorale e Biblico a Bogotá.
Rinnovo la mia gratitudine al Santo Padre e ai cari fratelli vescovi dell'Africa per l'invito a partecipare a questo kairós, tempo di grazia e di conversione, che è la ii Assemblea speciale dei vescovi per l'Africa. Che Nostra Signora di Guadalupe, regina e protettrice dell'America, ci accompagni durante questa Assemblea Speciale e aiuti, con la sua protezione materna, la Chiesa in Africa a trovare, con la partecipazione della società, cammini di riconciliazione, di giustizia e di pace.

Sostegno dai servizi di assistenza statunitensi

Monsignor Wilton Daniel Gregory arcivescovo di Atlanta (Stati Uniti d'America)
Colgo questa opportunità per riassumere l'importanza che questo secondo Sinodo per l'Africa riveste per la Chiesa negli Stati Uniti d'America. Noi americani ci sentiamo sempre più coinvolti nelle questioni e negli eventi che riguardano il continente africano. Noi, come i popoli di qualunque altra parte del mondo, avvertiamo in modo sempre più intenso l'impatto del carattere sempre più globale del nostro mondo.
Innanzi tutto lodiamo Dio onnipotente per il dono della fede unica che unisce la Chiesa negli Stati Uniti a tutte le altre Chiese nel mondo. La nostra comunità cattolica ha tratto diretto beneficio, nell'ultima generazione, dal numero crescente di sacerdoti e religiosi provenienti dal grande continente africano, che ora servono i cattolici in tutta la nazione, facendolo con generosità e zelo. Grazie alla loro presenza conosciamo la fede profonda e la generosità della Chiesa in Africa.
La Chiesa negli Stati Uniti è inoltre profondamente grata per l'opportunità di potere assistere le Chiese locali africane attraverso il sostegno dei Servizi di assistenza cattolici, le molte e varie attività missionarie di cooperazione che scaturiscono dal cuore generoso della nostra gente e spesso uniscono diocesi con diocesi e parrocchia con parrocchia nella preghiera reciproca, nell'aiuto finanziario e mediante i contatti personali. Sono felice e orgoglioso di poter riferire che le agenzie della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti da molto tempo lavorano insieme con le Conferenze episcopali e le associazioni di Conferenze episcopali nel continente africano nella ricerca della pace e della giustizia. Sono questi segni molto positivi che mostrano come la Chiesa nel mio Paese e la Chiesa nei Paesi africani si siano adoperate l'una con l'altra nell'opera di evangelizzazione e di assistenza sociale, rendendo in tal modo il tema di questo Sinodo - Al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace - un segno importante di come la Chiesa negli Stati Uniti e la Chiesa in Africa siano unite nella fede e nella carità.
Ma sappiamo che, ripetendo le parole del Vangelo di san Luca, possiamo soltanto dire:  "Abbiamo fatto quanto dovevamo fare!" (Luca, 17, 10). Riconosciamo che la risorsa più grande della Chiesa africana è la sua gente. La Chiesa negli Stati Uniti continua a trarre beneficio da quei popoli africani giunti di recente nel nostro Paese come visitatori e nuovi residenti. Diversamente dal passato, quando gli uomini arrivavano incatenati come bestiame umano, oggi giungono a noi operai specializzati, esperti uomini d'affari e studenti che non vedono l'ora di costruirsi una vita nuova in una terra che essi considerano promessa. Molte di queste persone portano con sé una fede cattolica profonda e dinamica con la sua ricca eredità spirituale. Queste persone straordinarie ci sfidano a riscoprire le nostre tradizioni spirituali, spesso messe da parte per gli effetti della nostra ricerca orientata a ciò che è secolare.
Mentre il mio Paese ha compiuto un eccezionale e felice progresso nella propria lotta per la riconciliazione razziale e la giustizia, non abbiamo ancora raggiunto la perfezione alla quale il Vangelo chiama l'intera umanità. Abbiamo dunque bisogno di ottenere la riconciliazione, la giustizia e la pace nella nostra propria terra fino a che, come scrisse il dottor Martin Luther King Jr, da una prigione a Birmingham, in Alabama, parafrasando il profeta Amos, non vedremo il compimento ultimo del nostro grande potenziale e lasceremo che "Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne" (Amos, 5, 24).
La grande terra d'Africa possiede molte altre risorse che il mondo oggi brama e, a volte, persegue con grande avidità e spesso con violenza. Le vostre risorse sono una benedizione per questo pianeta e possono essere usate non solo per portare prosperità ai popoli dell'Africa, ma, se considerate correttamente, anche per portare quel senso di unità della terra e di interconnessione che hanno i popoli ovunque, se le risorse naturali che Dio ha messo nelle nostre mani come patrimonio comune vengono utilizzate correttamente.
Sono profondamente grato al Santo Padre di avermi invitato a questo scambio con i miei fratelli vescovi del continente africano, apprendendo da loro alcune delle loro speranze, lotte e sogni, e a condividere con loro il profondo affetto e il rispetto per la Chiesa negli Stati Uniti d'America.

In sintonia con le aspirazioni dei cattolici asiatici

Monsignor Orlando B. Quevedo, o.m.i., arcivescovo di Cotabato (Filippine) segretario generale della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (f.a.b.c.)
"A servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace" - il tema della Seconda Assemblea Speciale per l'Africa è in profonda sintonia con le aspirazioni della Chiesa in Asia.
Nonostante le grandi differenze, la Chiesa in Asia e la Chiesa in Africa hanno straordinarie somiglianze. Se il cristianesimo si è fatto strada all'epoca degli apostoli in Egitto e nel Nord Africa grazie all'opera di san Marco evangelista, molti cristiani in India fanno risalire le proprie origini all'apostolo san Matteo. Ma nel suo insieme la Chiesa in Africa è giovane, come la Chiesa in Asia. In molti Paesi di entrambi i continenti, il cristianesimo è stato portato da missionari stranieri durante il periodo della colonizzazione. Un ulteriore slancio missionario si è verificato nel XIX e nel XX secolo.
La ricchezza di culture, i tanti valori familiari tradizionali che sono autenticamente umani, le migliaia di lingue parlate, l'incontro tra cristianesimo, islam e religioni tradizionali locali sono tutte realtà importanti, molto simili sia in Africa che in Asia.
Le due esortazioni post-sinodali del compianto Papa Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa (1995) e Ecclesia in Asia (1998), hanno delle similitudini sorprendenti. Per esempio, a proposito delle sfide pastorali dei nostri giorni:  gli imperativi dell'inculturazione e del dialogo interreligioso, la promozione di un'emergente cultura relativista e materialista globalizzante attraverso gli strumenti della comunicazione sociale, l'impatto negativo della globalizzazione economica sui poveri, il declino dei valori morali nella vita sociale, economica e politica, e le continue minacce alla natura stessa del matrimonio e della famiglia, i diversi aspetti dell'ingiustizia e il violento conflitto che turba l'armonia delle società africane e asiatiche.
La Chiesa in Africa e la Chiesa in Asia stanno sollevando interrogativi analoghi di grande importanza:  che dire di noi in quanto comunità di discepoli, in quanto Chiesa? Come possiamo essere testimoni credibili di nostro Signore Gesù Cristo e del suo Vangelo? Come dovremmo rispondere alle numerose e complesse sfide pastorali che dobbiamo affrontare nella nostra missione di proclamare Gesù come Signore e Salvatore?
Secondo me la Chiesa in Africa sta esplorando le implicazioni teologiche e pastorali della Chiesa come famiglia di Dio. Noi, in Asia, guidati dalle Sacre Scritture e dal magistero vivo della Chiesa, riteniamo di essere stati condotti dallo Spirito Santo a studiare, nel contesto asiatico, la teologia della Chiesa in quanto Comunione e umile Servitore del Vangelo e delle popolazioni asiatiche. Questa ottica teologica ha aperto l'opzione pastorale del rinnovamento radicale in corso nella Chiesa in Asia, un'opzione più dell'essere che del fare. Infatti, comprendiamo che gli atti devono provenire dal cuore di una Chiesa che viene rinnovata nel mistero pasquale di Gesù nostro Signore.
Pertanto, nei suoi 35 anni di feconda esistenza, la Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia ha promosso un rinnovamento della Chiesa nel continente:  verso una interiorità spirituale più profonda; verso il dialogo con le culture asiatiche, con le tradizioni religiose e filosofiche antiche dell'Asia e con i popoli asiatici, specialmente con i poveri; verso un discepolato autentico, verso il rinnovamento del laicato per una leadership nella trasformazione sociale; verso un significato rinnovato di missione ad gentes; verso il rinnovamento della famiglia asiatica come obiettivo dell'evangelizzazione e verso un vivere credibile dell'Eucaristia nelle realtà dell'Asia.
Questo rinnovamento fondamentalmente è una chiamata di Dio che è Amore (Deus Caritas est), e che offre speranza e salvezza (Spe salvi), spingendoci ad amare nella verità (Caritas in Veritate).
Riguardo all'amare nella verità, la Chiesa in Africa e la Chiesa in Asia conoscono esperienze simili di dolore e di gioia. Il dolore:  per le molte forze di una cultura di morte, che sia l'Ecclesia in Africa sia l'Ecclesia in Asia trattano con profonda preoccupazione, quali l'aumento della povertà e l'emarginazione dei nostri popoli, gli attacchi continui contro il matrimonio e la famiglia tradizionale, le ingiustizie nei confronti delle donne e dei bambini, la nostra propensione a favorire le armi di distruzione rispetto allo sviluppo integrale, la nostra incapacità di competere con i potenti in un ordine economico globale che non è guidato da norme giuridiche e morali, l'intolleranza religiosa invece di un dialogo della ragione e della fede, il governo dell'avidità invece del governo della legge nella vita pubblica, le divisioni e il conflitto invece che la pace, e lo svilimento dell'ecologia umana e naturale. Inoltre, la frequenza di tifoni devastanti, inondazioni, siccità, terremoti e tsunami nel continente asiatico esige ora la nostra sollecitudine pastorale collettiva riguardo il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici.
D'altra parte, proviamo grande gioia e speranza nei movimenti di giustizia e pace, come mostrano la crescente consapevolezza e l'impegno di giovani e donne per la responsabilizzazione e la trasformazione sociale, l'impegno di numerosi gruppi della società civile per l'integrità nella vita pubblica e per la cura e l'integrità del creato, per la solidarietà delle persone di buona volontà provenienti da classi sociali e tradizioni religiose diverse, al fine di adoperarsi per un ordine sociale più giusto, più pacifico e più fraterno.
Il motivo della nostra gioia e della nostra speranza è il fatto che osserviamo molti fermenti positivi in seno alla Chiesa, nelle piccole comunità cristiane, tra molti uomini e donne nella vita religiosa e tra il clero, che portano tutti i valori del Regno di Dio nei nuovi areopaghi dell'evangelizzazione.
Con questi sentimenti di gioia e di speranza nel Signore, esprimo la solidarietà dei membri della Federazione delle Conferenze dei Vescovi dell'Asia a tutti i partecipanti alla Seconda Assemblea Speciale per l'Africa. Vi ringraziamo per aver accolto tanti missionari asiatici, come pure tanti lavoratori migranti nel vostro amato continente.
Con riferimento alla ix Assemblea plenaria della Fabc a Manila, consentitemi di esprimere la nostra gratitudine al cardinale Francis Arinze, Inviato speciale del Papa, e al cardinale Ivan Dias, che ha inviato l'arcivescovo Robert Sarah come suo rappresentante personale.
In modo particolare, a nome della Fabc desidero esprimere la nostra più profonda e affettuosa fedeltà al nostro amato Papa Benedetto XVI. La invitiamo, Santità, a visitare la nostra regione nel prossimo futuro.

Le Caritas dell'Oceania partecipano ai programmi di sviluppo

Monsignor Peter William Ingham >small 0vescovo di Wollongong (Australia) Presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali Cattoliche dell'Oceania (f.c.b.c.o.)
Santità, presidente delegato, relatore generale, segretario generale arcivescovo Eterovic, fratelli e sorelle di questo Sinodo.
In qualità di presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell'Oceania (fcbco), vorrei portarvi i saluti e i migliori auguri delle Chiese locali delle nostre quattro Conferenze episcopali, e più precisamente della Conferenza dei vescovi cattolici dell'Australia, della Conferenza dei vescovi cattolici della Nuova Zelanda, delle Conferenze dei vescovi cattolici di Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone e della grande Conferenza dei vescovi cattolici del Pacifico che si estende da Guam, dalle Isole Marianne, Vanuatu, Fiji, Tonga, Samoa, Kiribati e dalle Isole di Cook fino a Tahiti e a molti altri arcipelaghi.
Vorrei esprimere la nostra comunione come Federazione con il Vescovo di Roma e la Chiesa universale e la nostra solidarietà con la Chiesa delle numerose nazioni dell'Africa.
Tutte le nostre nazioni in Oceania, come molte dell'Africa, sono state colonizzate, nel nostro caso soprattutto da inglesi, francesi e portoghesi.
Come in Africa, la Chiesa esiste in Oceania grazie a missionari eroici provenienti soprattutto dall'Irlanda, dalla Francia, dalla Germania e dall'Italia.
La fede in Oceania vanta alcuni straordinari esempi di martiri e di santi, oltre a quelli che sono già stati canonizzati e beatificati, ma senza avvicinarsi alla gloriosa tradizione di santi e martiri che testimoniano la fede in Africa.
Gli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo umano sono ben lungi dall'essere raggiunti in quella zona del Pacifico chiamata Oceania. Tuttavia, proprio perché, come leader della Chiesa di tutto il mondo, cerchiamo di essere vicini ai nostri popoli, possiamo giungere a una comprensione molto pratica dei modi in cui la povertà può completamente disumanizzare l'uomo, e di come la violenza sia così distruttiva per la vita e la dignità umane. In quanto leader della Chiesa siamo acutamente consapevoli dell'ingiustizia che pone i ricchi in una posizione privilegiata che discrimina i meno fortunati, come viene realisticamente descritto nella Parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Luca, 16, 19-31).
Mi rendo conto che queste realtà, per le nazioni dell'Africa, sono ben più minacciose di quelle che affrontano le comunità in Oceania. Voglio dare atto alla generosità dei cattolici di ciascuna delle Conferenze episcopali dell'Oceania, che attraverso la Caritas Oceania e la Caritas in ognuno dei nostri Paesi, sostiene la pace umanitaria e i programmi di sviluppo della Chiesa in Africa. Allo stesso modo le popolazioni dell'Oceania sono generose verso la missione cattolica Propaganda Fide.
Eppure abbiamo tanto da ammirare e da imparare da voi, Chiesa in Africa, dalla testimonianza che offrite malgrado le schiaccianti difficoltà. Il vostro grande senso della missione di evangelizzare la vostra cultura significa che gli ostacoli posti dai governi o da altre fedi non fanno altro che intensificare la vostra fede, la vostra speranza e la vostra carità.
In Oceania, il terribile flagello dell'Hiv/Aids (Instrumentum laboris, 142) (soprattutto a Papua Nuova Guinea) e lo sfruttamento derivante dall'estrazione mineraria, sottolineano la missione della Chiesa di applicare il Vangelo di Gesù per ridurre lo stigma della vergogna sociale, per sostituire la violenza con ponti di riconciliazione, di giustizia e di pace (Instrumentum laboris, 90), per chiamare i governi civili a rispondere, per parlare a nome di chi è perseguitato e ridotto al silenzio, e per fornire istruzione e assistenza sanitaria.
In quanto leader nella fede e Pastori della comunità cristiana, grazie a Gesù, il Buon Pastore, e alla lunga e ricca tradizione di fede e cultura cattolica, abbiamo una visione più ampia della persona umana, e grazie a Gesù e alla nostra tradizione di Chiesa, una visione più ampia della giustizia, dell'amore e dell'importanza dei buoni rapporti fra le persone, le tribù e le nazioni; abbiamo una visione più ampia della riconciliazione, della pace e della cura compassionevole. Quando vi sono crisi, ingiustizia e paura, le persone si recano in massa nelle loro chiese. Ciò a sua volta sottolinea la necessità che noi, in quanto leader della Chiesa, ci concentriamo sul nostro ruolo di pastori e siamo leader attivi di speranza. In quanto cristiani ci occupiamo di speranza!
Poiché le temperature e le acque degli oceani si innalzano, saranno sempre i più poveri e i più vulnerabili a soffrire in modo sproporzionato, così come soffrono per la carestia, le inondazioni e gli scarsi raccolti, che possono generare motivi di conflitto e originare migrazioni di massa di rifugiati e richiedenti asilo. Sia in Oceania che in Africa, la Chiesa e i suoi organismi stanno facendo molto per aiutare le persone a ritrovare il proprio equilibrio in seno alle loro comunità e a gestire i rischi derivanti dalle calamità naturali. Possiamo e dobbiamo imparare gli uni dagli altri. Chiedo le vostre preghiere per Samoa e Tonga nel loro grande dolore dopo il recente terremoto e lo tsunami.
L'Australia ha iniziato nuovamente la collaborazione con l'Africa, soprattutto nelle industrie minerarie (Instrumentum laboris, 51).
Come ben sapete, l'Africa è un continente ricco di risorse naturali. Eppure vorremmo che i minatori australiani fossero responsabili verso le comunità in cui lavorano. Le miniere non devono contribuire all'instabilità e al conflitto; dovrebbero essere considerate tanto dal punto di vista del dividendo economico che da quello del dividendo di pace! Un cattolico praticante che conosco bene è dirigente di un gigante minerario australiano e viaggia molto. Lui mi garantisce che l'intento della sua compagnia è eticamente sostenibile. Afferma che il suo scopo è quello di creare una doppia situazione di vantaggio:  vantaggi tangibili alle comunità africane che lavorano per loro e vantaggi per la sua compagnia. Molti di voi sono impegnati in questo dialogo e noi dobbiamo essere al vostro fianco.
L'instabilità politica e i conflitti del Pacifico (es. Fiji, Isole Salomone, Papua Nuova Guinea) non sono paragonabili a quelli dei Paesi africani, ma identificando il ruolo della Chiesa come Corpo di Cristo per costruire ponti di pace e di riconciliazione, possiamo imparare dai vostri leader della Chiesa in Africa. I vostri successi in quanto Chiesa che promuove sforzi di pace e di riconciliazione in Africa sono assai utili alla Chiesa del mondo (Instrumentum laboris, 108).
Attualmente stiamo accogliendo in Australia e Nuova Zelanda molti africani che hanno iniziato una nuova vita dopo conflitti tribali, violenze e regimi oppressivi. Questi rifugiati vengono dal Sudan, dal Corno d'Africa, e, in misura minore, dai Grandi Laghi. Altri africani sono venuti in questa parte del mondo per studiare e alcuni sono venuti a operare come sacerdoti e religiosi. La mia diocesi e anche altre, attualmente, si stanno adoperando per accogliere candidati al sacerdozio provenienti da Paesi africani.
In Australia abbiamo una comunità profondamente multiculturale, costituita per il 60 per cento da migranti e rifugiati e dai loro figli. Ciò ha arricchito e rappresentato una sfida per l'Australia fin dalla Seconda Guerra Mondiale. La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, indetta dal Papa, viene celebrata da noi alla fine di agosto, per sottolineare la ricca varietà culturale che migranti e rifugiati hanno portato al nostro Paese e per aiutare la nostra gente ad "accogliere lo straniero" (cfr. Ebrei, 11, 13), affinché migranti e rifugiati dall'Africa o da qualsiasi parte del mondo si possano pienamente integrare nella nostra comunità australiana.
Sono lieto delle nostre conversazioni durante questo Sinodo e mi aspetto di imparare con voi e da voi.

Lavoro comune con l'episcopato europeo

Cardinale Péter Erdo, >small 1arcivescovo di Esztergom-Budapest (Ungheria) Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (c.c.e.e.)
"Voi siete il sale della terra... Voi siete  la  luce  del  mondo" (Matteo, 5, 13-14) - queste parole del Signore si riferiscono a tutti i cristiani, ma, in quest'ora della storia dell'umanità, in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle in Africa. Durante la preparazione di questa assemblea speciale si è cristallizzato l'accento singolare di questo incontro sinodale:  "la Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia, della pace".
A voi tutti porto il saluto più cordiale e il messaggio della grande vicinanza dei vescovi europei, i quali - rappresentati dai presidenti di tutte le Conferenze episcopali - si sono incontrati in questi giorni a Parigi. Abbiamo potuto rendere conto di un lavoro comune ormai consolidato con i vescovi africani nel quadro dei programmi comuni del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa e del secam. In diverse città africane ed europee si sono svolti questi lavori comuni che avevano trattato argomenti come la migrazione, la schiavitù ed altri problemi umani e cristiani. Come sapete bene, anche la terra d'Europa è una terra bagnata di sangue. Quando, dopo il crollo del muro di Berlino, gli abitanti, e specialmente i cattolici della parte occidentale e di quella orientale del nostro continente, si sono liberamente incontrati, dovevano prendere atto di tutta la complessità della nostra storia comune. Soprattutto i popoli dell'Est europeo si sentivano spesso nella loro storia colonizzati e sfruttati. Persino nei primi secoli dell'epoca moderna c'erano interi villaggi del Sud-Est europeo di popolazione cristiana che sono finiti ai mercati di schiavi dell'Oriente.
La storia recente dell'Europa ha lasciato anche molte ferite che sono ancora lontane dalla piena guarigione. Se dopo la ii Guerra Mondiale, guerra che ha estinto il più grande numero di vite umane di tutta l'umanità, i popoli dell'Occidente, per esempio i tedeschi e i francesi, con l'aiuto sostanziale di grandi uomini cattolici come Schumann, Adenauer e De Gasperi, hanno trovato la via non soltanto della pacifica convivenza, ma anche di una riconciliazione più profonda, oggi tocca alla parte centrale ed orientale d'Europa di cercare la riconciliazione dei cuori, la purificazione della memoria e la fratellanza costruttiva. Così sono molto spesso i vescovi cattolici che alzano per primi il segno della riconciliazione, come hanno compiuto per primi i vescovi tedeschi e polacchi, un grande atto di riconciliazione, che all'inizio non è stato compreso da molti gruppi delle loro società. Alcuni grandi ecclesiastici e teologi di quel tempo, come specialmente Joseph Ratzinger, hanno trovato parole appassionate per difendere quell'atto profetico. Negli ultimi anni ci sono stati simili atti di riconciliazione e di fratellanza tra vescovi di Polonia ed Ucraina, di Slovacchia ed Ungheria, ed altri. I mass media spesso non danno molto rilievo a questi avvenimenti. Forse non mancano neppure gruppi che pensano di trovare il loro vantaggio politico ed economico, sollecitando tensioni ed ostilità tra popoli, gruppi etnici o anche religioni. "La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno vinta", come scrive san Giovanni (1, 5). Cristo è la luce del mondo. Egli illumina anche le tenebre della storia umana e nessuna oscurità, nessun odio, nessun male può vincerlo. È in lui la nostra speranza. Anche se la voce della Chiesa e la testimonianza di ciascun cristiano sembrano deboli, anche se essa spesso non appare in prima pagina dei grandi mezzi di comunicazione, questa voce sottile è più forte di ogni rumore, bugia, propaganda o manipolazione. Siamo testimoni della forza dei martiri. Adesso cominciano a essere beatificati e canonizzati i testimoni dell'Agnello, uccisi per la loro fede nel XX secolo. Essi sono quelli che "vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel Sangue dell'Agnello" (Apocalisse, 7, 14). Durante le lunghe persecuzioni, la loro memoria era coperta di silenzio. Eppure, essa è rimasta viva anche nel cuore della comunità dei credenti. E adesso apriamo le fosse. È commovente vedere da una parte, quanto è rimasto dei corpi dei martiri. Ogni traslazione delle spoglie di uno di loro scuote le anime di tutti i partecipanti di queste cerimonie. La grande tensione tra l'estrema debolezza di un essere umano che è rimasto ucciso e la forza sublime della stessa persona illuminata ormai dalla gloria dei martiri, dà un fortissimo impulso spirituale alle nostre comunità.
Cari confratelli! Noi altri, cattolici d'Europa, abbiamo imparato dalla nostra storia a seguire con attenzione anche la sorte dei cristiani africani ed abbiamo imparato anche a stimare la vostra fedeltà, la vostra testimonianza, e i martiri africani che danno la loro vita - anno per anno in numero preoccupante - per Cristo e per la Sua Chiesa, così anche per noi. La Chiesa in Africa ha meritato la nostra gratitudine e la nostra profonda stima.
Il servo di Dio Giovanni Paolo II ci insegnava con forza e lucidità sulla divina misericordia. I circoli del male che sembrano a volte persino diabolici e che possono rattristare e spingere verso la disperazione intere società umane, costruendo le strutture dell'odio, della violenza, della vendetta e dell'ingiustizia tra gruppi etnici, popoli o classi sociali, non sarebbero superabili con la sola forza umana, se non ci fosse la divina misericordia che ci rende anche capaci di seguire il comandamento di Cristo:  "siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso" (Luca, 6, 36). Se il nostro Signore ci ha comandato questo, tale comando è anche garanzia della possibilità di compierla. È lui che ci darà la forza per essere misericordiosi, e rompere ogni struttura del male.
Siamo convinti che lo scambio dei doni non è un programma che vale soltanto tra la parte occidentale ed orientale d'Europa. Questo è doveroso anche tra i fedeli, tra le Chiese particolari anche a livello continentale ed universale. La possibilità della solidarietà e della determinazione di non dimenticare i fratelli bisognosi neanche in tempi di crisi è ferma tra i cattolici d'Europa. Allo stesso tempo, desideriamo studiare meglio le vostre esperienze liturgiche, catechetiche, la dinamica delle vocazioni sacerdotali, le possibilità di costruire insieme la Chiesa di Cristo in Europa, in Africa e ovunque nel mondo.
Certamente non ci illudiamo:  le grandi forze economiche e politiche del mondo, molto spesso, non agiscono secondo la logica della carità e della giustizia, e a volte sembrano dimenticare anche la vera realtà, la natura delle cose e dell'essere umano. La dignità umana, inoltre, non dipende dalla nostra efficienza, non è proporzionata al successo di questo mondo. Ogni essere umano, come tale, ha la stessa dignità inalienabile. Perché creato a immagine e a somiglianza di Dio. La dignità umana non è incompatibile con la sofferenza. Falsa sarebbe una ideologia che dicesse che per salvare la nostra dignità, sarebbe meglio morire che soffrire. Questo era l'atteggiamento dell'antichità greco-romana, non ancora illuminata dalla luce del Vangelo. L'esempio di Cristo ci insegna che la massima sofferenza può essere il momento della massima dignità e gloria. Dopo che il traditore lasciò il cenacolo, Gesù disse:  "Ora il Figlio dell'Uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se  Dio  è  stato  glorificato  in  lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua, e lo glorificherà subito" (Giovanni, 13, 31-32).
Se nel momento attuale molti nel nostro mondo non ascoltano la voce del Creatore e non sono aperti ad accettare la verità e a praticare la carità, la natura della realtà creata rimane quello che è. La giustizia e la misericordia divina si fanno valere comunque nel funzionamento del mondo e nello svolgimento della storia. Così, cari confratelli, vi assicuriamo delle nostre preghiere e della nostra solidarietà perché possiate trovare le vie per promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace e che siate un conforto anche per noi con le vostre esperienze, la vostra fede e la vostra testimonianza.


(©L'Osservatore Romano - 7 ottobre 2009)
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07/10/2009 09:23

Benedetto XVI: i cristiani devono testimoniare la speranza del Vangelo

Dopo l'intervento al Sinodo del Patriarca della Chiesa ortodossa di Etiopia



CITTA' DEL VATICANO, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Di fronte alle tragedie che attanagliano il continente africano occorre che tutti i cristiani si sforzino di dare una “testimonianza comune della speranza trasmessa dal Vangelo”.

E' l'appello risuonato questo martedì attraverso la voce di Benedetto XVI, nel giorno in cui il Sinodo dei Vescovi ha accolto la riflessione del Patriarca della Chiesa Tewahedo Ortodossa di Etiopia, Sua Santità Abuna Paulos.

“La sua presenza – ha detto il Santo Padre – è un'eloquente testimonianza delle antiche e ricche tradizioni della Chiesa in Africa. Anche al tempo degli apostoli, fra le numerose persone desiderose di ascoltare il messaggio salvifico di Cristo vi erano gli abitanti dell'Etiopia”.

“La fedeltà del suo popolo al Vangelo – ha aggiunto – continua a esprimersi attraverso l'obbedienza alla sua legge d'amore, ma anche, come ci ha ricordato, attraverso la perseveranza anche nella persecuzione e nel sommo sacrificio del martirio in nome di Cristo”.

Poco prima il Patriarca ortodosso aveva preso la parola parlando delle sofferenze patite dai cristiani in Africa e in particolare dai fedeli della sua Chiesa sottoposti a “una dura persecuzione durante la dittatura comunista, con molti nuovi martiri”.

“Io stesso, che allora ero Vescovo, ho trascorso diversi anni in prigione prima dell’esilio – ha raccontato – . Quando sono diventato patriarca, al termine del periodo comunista, c’era molto da ricostruire. È stato questo il nostro compito, con l’aiuto di Dio, le preghiere dei nostri monaci e la generosità dei fedeli”.Tra i problemi più grandi che affliggono l'Africa il Patriarca ha quindi indicato “la mancanza di accesso all’educazione” dei giovani.

Riguardo invece alla lotta contro la diffusione dell’HIV/AIDS, ha sottolineato l'obbligo morale a “incoraggiare tutte quelle esperienze che ci mostrano come guarire e resistere alla malattia, per dare speranza creando sinergia e fornendo all’Africa gli stessi trattamenti che ha ricevuto l’Europa”.

“L’Africa è stata colonizzata con brutalità e le sue risorse sono state sfruttate – ha continuato –. Le nazioni ricche che si sono sviluppate sfruttando l’Africa se ne ricordano quando hanno bisogno di qualcosa. Non hanno mai appoggiato il continente nella sua lotta per lo sviluppo”.

Il Patriarca ha poi accennato al “pesante debito globale” che grava sull'Africa e “che né questa, né la generazione futura potranno colmare”.Subito dopo ha sollecitato i capi religiosi a levare la propria voce in difesa dei ragazzi, dei bambini spesso arruolati nell'esercito, affinché “questi comportamenti vengano immediatamente abbandonati”.

Inoltre, ha continuato, sebbene l'Africa si sia “liberata dal colonialismo da tempo, esistono ancora molte situazioni che la rendono dipendente dai paesi ricchi”.

“L’enorme debito, lo sfruttamento delle sue risorse naturali da parte di pochi, la pratica agricola tradizionale e l’insufficiente introduzione di moderni sistemi di agricoltura, la dipendenza delle popolazioni dalle piogge, che incidono negativamente sulla sicurezza alimentare, la migrazione e la fuga dei cervelli colpiscono duramente il continente”, ha continuato.

Per questo, ha sottolineato, “ci si aspetta che i cristiani siano messaggeri di cambiamenti nel portare la giustizia, la pace, la riconciliazione e lo sviluppo”.
Tuttavia, ha precisato, “i capi religiosi africani non devono preoccuparsi solo delle opere sociali, ma rispondere alle grandi necessità spirituali degli uomini e delle donne d’Africa”.

“La società – ha concluso – ha bisogno degli insegnamenti dei suoi religiosi, che la aiuti a risolvere i suoi problemi in unità e a cessare di essere la vittima di un problema”.

A questo parole ha replicato il Santo Padre ricordando “che l'annuncio evangelico non può prescindere dall'impegno di edificare una società che sia conforme alla volontà di Dio, rispetti le benedizioni del creato e tuteli la dignità e l'innocenza di tutti i suoi figli”.

“In Cristo sappiamo che la riconciliazione è possibile, la giustizia può prevalere, la pace può durare! Questo il messaggio di speranza che siamo chiamati ad annunciare – ha continuato –. Questa la promessa che oggi gli abitanti dell'Africa desiderano vedere avverarsi”.“Preghiamo, dunque, affinché le nostre Chiese possano avvicinarsi nell'unità che è il dono dello Spirito Santo e rendere testimonianza comune della speranza trasmessa dal Vangelo!”, ha detto.

“Continuiamo a operare per lo sviluppo integrale di tutti i popoli africani, rafforzando le famiglie che sono il baluardo della società africana, educando i giovani che sono il futuro dell'Africa e contribuendo all'edificazione di società caratterizzate da onestà, integrità e solidarietà!”

“Che le nostre decisioni in queste settimane aiutino i seguaci di Cristo in tutto il continente a essere esempi convincenti di rettitudine, misericordia e pace e a essere una luce che illumina il cammino delle generazioni future”, ha infine concluso. 
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07/10/2009 09:25

La formazione, una necessità urgente dei cristiani in Africa

di Chiara Santomiero

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

La necessità di un supplemento di formazione ai vari livelli è stato uno dei fili conduttori degli interventi in aula di oggi.

“La I Assemblea sinodale sull’Africa – ha ricordato mons. Lucas Abadamloora, vescovo di Navrongo-Bolgatanga e presidente della Conferenza episcopale del Ghana – raccomandò la formazione dei cristiani alla giustizia e alla pace”.

“Ricopriamo spesso – ha affermato Abadamloora – ruoli politici ed economici e dobbiamo dare il nostro contributo a questioni quali educazione e salute alla luce della fede”. E’ naturale che “i cristiani appartengano sia alla chiesa sia alla società” e “impegnati su molti fronti, talvolta essi potrebbero trovare difficile sapere cosa fare e quale posizione rispettare”.

“La vita consacrata in Africa – ha sottolineato il card. Franc Rodè, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata – ha bisogno di formatori e formatrici preparati e, insieme ad essi, di una comunità educante”. I religiosi e le religiose africane “sono chiamati a vivere in pienezza il valore e la bellezza dei consigli evangelici in una cultura in cui è difficile essere testimoni di povertà, obbedienza e castità, vissuti liberamente e per amore”.

Crescono, in base ai dati forniti dal card. Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, gli istituti cattolici di istruzione. Attualmente in Africa sono presenti 12.500 scuole materne con 1.260.000 bambini; 33.250 scuole primarie con 14 milioni di alunni e 10 mila scuole secondarie con 4 milioni di alunni. Vi sono, inoltre, 23 università cattoliche con 5 facoltà di teologia e 70 istituti affiliati.

“Tutte queste istituzioni – ha affermato Grocholewski – godono di una grande stima anche per il contributo rilevante offerto all’inculturazione della fede”. E’ necessario, però, che “si rafforzi una chiara identità cattolica” lavorando, in particolare, “sulla formazione degli insegnanti”. Un auspicio è stato formulato a proposito della formazione degli operatori della comunicazione ed esperti di mass media perché a loro volta possano contribuire a “una efficace formazione delle coscienze”.

“La giustizia sociale nel mondo – ha affermato mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat e presidente della conferenza episcopale regionale dell’Africa del nord – deve cominciare dagli studenti”.

Nel Maghreb si concentrano molti studenti dell’Africa subsahariana che non hanno la possibilità di studiare altrove: “molti – ha raccontato Landel – si avvicinano al cattolicesimo attraverso la dottrina sociale della Chiesa perché avvertono che essa ha una parola importante per il mondo”. Essi non godono di alcun tipo di sostegno economico dei loro paesi e per questo Landel ha proposto l’intervento della comunità ecclesiale.

Della necessità di una “catechesi dell’unità” ha parlato mons. Michael Bhasera, vescovo di Masvingo nello Zimbabwe, contro la “dolorosa constatazione delle divisioni presenti tra i cattolici” mentre “l’Eucarestia dovrebbe essere il sistema più efficace per unire l’Africa, segno visibile di riconciliazione e di pace”. “Diamo alla Chiesa il suo vero volto di famiglia – ha affermato mons. Thomas Kaborè, vescovo di Kaya, in Burkina Faso – lavorando insieme alle comunità di base” attraverso “metodi e programmi formativi ma soprattutto una profonda conversione personale”.

In Somalia, lo scorso 9 luglio, è stata celebrata una “giornata dei martiri” per ricordare il vescovo Colombo, ucciso ai piedi della cattedrale dopo 40 anni di servizio al suo popolo, e tanti altri cattolici, protestanti, musulmani e anche di nessuna appartenenza religiosa, che hanno sacrificato la vita per la riconciliazione e la pace.

“Occorre educarci – ha proposto al Sinodo mons. Giorgio Bertin, vescovo di Djibouti e amministratore apostolico di Mogadiscio – alla celebrazione di una memoria comune dei martiri da proporre anche nelle scuole e a pregare insieme”. Insieme “per dei tavoli di discussione sulle emergenze del Paese”, cioè la lotta contro il traffico di armi, la presenza di criminali di guerra, la pirateria, ma anche “la costruzione dello Stato”, collaborando con i “musulmani di buona volontà per neutralizzare il fondamentalismo e il terrorismo”.

Dell’approfondimento pratico e concettuale dei rapporti con l’Islam si è occupato anche l’intervento di Maroun Elias Lahham, vescovo di Tunisi che ha sottolineato la presenza nell’Instrumentum laboris di un solo accenno generico alla questione e in riferimento all’Africa sub sahariana.

“Circa l’80% dei 350 milioni di arabi musulmani – ha ricordato Lahham – vive nei paesi dell’Africa settentrionale” e “la specificità delle relazioni islamo-cristiane nelle chiese dell’Africa settentrionale può attenuare le reazioni di paura e di rifiuto che cominciano a farsi sentire in alcuni paesi”.

“Sappiamo tutti – ha affermato Lahham – che la paura è cattiva consigliera”. La Chiesa cristiana in Tunisia “gode di un margine abbastanza ampio di libertà nell’esercizio del culto” ed è richiesta la collaborazione di sacerdoti e vescovi che hanno trascorso molti anni nei paesi del Maghreb per contribuire “a un nuovo modo di concepire e vivere l’Islam che sta nascendo da un movimento in atto nei paesi musulmani di pensiero critico nei confronti dell’Islam integralista e fanatico”.

Lahham ha quindi proposto all’assemblea di approfondire questa tematica estendendo alle diocesi dell’Africa del nord la partecipazione al Sinodo per il Medio Oriente previsto per l’ottobre 2010 “soprattutto per quanto riguarda le minoranze cristiane e il dialogo con l’Islam” e un dibattito sull’Islam in Africa “che tenga conto della varietà delle esperienze africane, da Tunisi a Johannesburg”.

Vescovi del Ciad: Africa, depredata dalle multinazionali

La denuncia a margine del Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano




di Mariaelena Finessi

ROMA, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

«Nonostante le sue vaste risorse naturali e le sue potenzialità, l'Africa rimane ancora oggi il continente in cui il degrado, la guerra e la malattia sono situazioni comuni e dove continua a registrarsi la percentuale più alta di vittime della povertà». Monsignor Michele Russo, vescovo di Doba e monsignor Edmond Djitangar, vescovo di Sarh e segretario speciale al Sinodo dei Vescovi sull'Africa, presentano il conto all'incontro episcopale che si sta svolgendo in questi giorni in Vaticano (4-25 ottobre): un memorandum che farà da supporto alla proposta ufficiale che sarà sottoposta al vaglio dei vescovi.
A tutto questo, aggiungono i due ecclesiastici, occorre aggiungere alcuni problemi che sembrano essere diventati «partita esclusiva dell'Africa», quali «il malgoverno, la mancanza di uno stato di diritto, i conflitti e la violenza in tutte le sue forme», conseguenza quasi ovvia dei «bassi tassi di scolarizzazione, in particolare nella scuola elementare», e poi ci sono la mortalità infantile e le malattie endemiche, tra cui la malaria e l'aids, e la dilapidazione delle risorse minerali.

Ed è proprio sulla questione dello sfruttamento selvaggio delle risorse dell'Africa che i monsignori Djtangar e Russo intendono porre maggiormente l'attenzione: «L'Africa e i suoi beni suscitano l'invidia e la rivalità delle potenze mondiali, tra queste la Francia, gli Stati Uniti d'America e, più recentemente, la Cina. «Paesi che si scontrano spesso attraverso le loro industrie o le multinazionali». Eccolo allora il paradosso, racchiuso tra «l'immensa ricchezza di questo continente e la povertà in cui langue il suo popolo».

I due vescovi raccontano l'esempio del Ciad, la terra in cui vivono, «annoverato fra i 10 paesi più poveri del pianeta, con un Indice di sviluppo umano (HDI, Human Development Index) che lo colloca al 165 ° posto sui 175 totali». Taluni indicatori illustrano chiaramente la situazione: «Il 54% della popolazione del Ciad vive sotto la soglia di povertà fissata a 2 dollari; appena l'1% ha accesso all'elettricità e il 29% all'acqua potabile mentre 6 persone su 10 hanno un significativo ritardo di sviluppo in termini di longevità, salute, istruzione e welfare».

«Per sfruttare il petrolio del Ciad – ricordano i vescovi - il Governo ha convinto tutti, anche la Banca mondiale, dicendo che si trattava di un “progetto modello" che rispettava l'ambiente, i diritti umani, che l'informazione sarebbe stata trasparente e che le risorse avrebbero contribuito a ridurre la povertà». Bene, «la Banca mondiale ha detto “si” e la gente ha creduto in questo progetto: dal 10 Ottobre 2003, il Ciad è entrato nella cerchia dei paesi produttori di oro nero». Ma cosa sta accadendo in realtà?

«Ad oggi, nessuno – lamentano – né a livello governativo né a livello locale sembra conoscere quanti barili vengono estratti ogni giorno dal sottosuolo di Kome». Si dice 220 mila barili ma forse anche 300 mila al giorno. «Il progetto iniziale, quello sottoscritto, parlava di 300 pozzi perforati, ma ad oggi voci raccontano che si è arrivati a 1000-1500 pozzi». Di fatto, «si continua a trivellare l'area e nessuno controlla, mentre sarebbe sufficiente un semplice calcolo per capire che siamo di fronte ad un enorme saccheggio».

Per dare un'idea: «L'azienda arriva ad estrarre 220 mila barili al giorno (Rendiconto ufficiale 2007) e offre al Ciad 38 dollari al barile. Ovvero ogni giorno fuoriescono dal nostro sottosuolo 8.550.000 dollari, di cui l'86% (7.353.000 dollari) è destinato alle compagnie petrolifere e solo il 14% al Ciad (1.197.000 dollari). E per noi il prezzo è fermo sempre a 38 dollari il barile, anche quando sul mercato si superano i 70 dollari». «Se la popolazione della zona petrolifera prima viveva nella povertà, oggi versa nella miseria! Ci chiediamo che peccato essa stia espiando».

Dinanzi a una tale deriva, «abbiamo il diritto di porci allora questa domanda, "A chi appartengono le risorse naturali dell'Africa?”». «Se le risorse appartengono solo ai dirigenti e alle società minerarie, la Chiesa deve tacere! Ma se le risorse naturali appartengono a tutta la popolazione, un intervento della Chiesa s'impone, «attraverso i nostri Vescovi di Africa, o attraverso il Santo Padre in persona». L'invito è a lanciare «un appello urgente».

Innanzitutto alle compagnie estere, affinché sfruttino le risorse naturali «in modo trasparente, nel rispetto dei diritti umani e dell'ambiente; perché agevolino l'accesso alle informazioni e versino un risarcimento equo alle popolazioni, tali da ripagare effettivamente le perdite e i danni da queste subiti». Guidati infine dall'etica, che facciano «dello sfruttamento delle risorse naturali un modello per lo sviluppo dell'uomo e non viceversa».

Quanto «alle vecchie potenze colonizzatrici dei paesi africani», così come le chiamano i due ecclesiastici, «lascino scegliere liberamente all'Africa il suo percorso di sviluppo; evitino di saccheggiarla; aiutino i paesi africani a promuovere la democrazia di base e il buon governo». Il suggerimento più accorato è per la popolazione del Ciad: «Siate vigili e sviluppate una coscienza civica al fine di chiedere ai manager e ai dirigenti responsabili della gestione delle vostre risorse di rendervene conto in caso di invio delle stesse all'estero».

Infine una domanda che contiene in se la soluzione a tutto questo: «Perché – si chiedono - continuare ad offrire gli aiuti all'Africa quando i suoi terreni e i suoi redditi devono poi essere sistematicamente depredati?». Chiara la risposta: «Occorre cambiare il sistema economico mondiale, sviluppato anche da noi cristiani e che è completamente alla deriva, perché interessi egoistici o statali hanno prevalso sugli interessi di un intero popolo. Con energia profetica, dobbiamo dunque trovare, per poi proporla ai grandi della terra, la strada dell'uomo, la strada di una economia per l'uomo, che rispetti cioè la sua dignità, la sua libertà, la sua autodeterminazione. E liberare infine l'Africa, dandole la possibilità di giocare su scala mondiale il ruolo che le spetta».



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La mediazione della Chiesa, indispensabile nei conflitti in Africa

Conflitti e riconciliazione al centro degli interventi al Sinodo di questo martedì



di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Poiché il Sinodo dell'Africa è dedicato alla riconciliazione, i temi come la soluzione dei conflitti sono stati in primo piano nei rapporti presentati dai Vescovi nel secondo giorno di lavori del Sinodo.

Sono stati 18 gli interventi dei presuli di vari Paesi del continente africano che hanno espresso la propria preoccupazione per i vari volti del conflitto in Africa e hanno lanciato proposte per intensificare l'opera degli agenti pastorali in materia di riconciliazione.

Per il Cardinale Polycarp Pengo, Arcivescovo di Dar-es-Salaam (Tanzania) e presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar, è urgente che le questioni conflittuali “siano affrontate coraggiosamente e acompagnate da direttive pastorali. Il conflitto affligge oggi il continente distruggendo il tessuto morale”.

Il porporato si è detto preoccupato perché nel conflitto sono coinvolti anche “molti pastori” e li ha esortati ad “avere il coraggio di denunciare l'abuso di potere, il tecnocentrismo, ecc.”.

Monsignor Fidèle Agbathci, Arcivescovo di Parakou (Benin), ha sottolineato dal canto suo che la causa del conflitto è in parte attribuibile alle divisioni familiari e alle tensioni etniche che minano l'unità continentale.

“L'Africa ha paura e vive di paura”, ha detto, aggiungendo che con la sfiducia e l'aggressione appaiono consolazioni distorte come la “divinazione” e il “sincretismo”, che minano la ricerca di Dio, motivo per il quale ha detto che è urgente una “diffusione più radiosa della luce di Cristo”.

Monsignor Simon-Victor Tonyè Bakit, Arcivescovo di Yaoundé e presidente della Conferenza Episcopale del Camerun, ha ricordato che i vari credo cristiani nel suo Paese devono riconciliarsi tra loro. “Stanno in chiesa, non si parlano, non si danno il segno della pace”, il che rappresenta una “testimonianza contraria”, per cui ha raccomandato una catechesi adeguata sul tema del perdono.

Le nuove dittature sono l'elemento che preoccupa maggiormente il Cardinale Emmanuel Wamala, Arcivescovo emerito di Kampala (Uganda), anche se in teoria il regime dittatoriale è terminato da tempo nel suo Paese. Le nuove imposizioni, ha tuttavia indicato, sono “uguali o forse peggiori delle precedenti”.Il porporato ha denunciato che non si applicano i principi democratici, e ha detto che in Uganda i leader senza principi sono le cause principali dei conflitti. Per questo, serve “una Chiesa che torni al concetto della Chiesa-Famiglia dove anche le scuole abbiano il ruolo della formazione”.

Monsignor Jean-Noël Diouf, Vescovo di Tambacounda e presidente della Conferenza Episcopale del Senegal, ha detto che nel suo Paese si sta riflettendo continuamente sul sacramento della penitenza e sulla necessità di includere la riconciliazione nelle liturgie cattoliche.La causa di tanti problemi nel suo Paese, ha segnalato, è dovuta soprattutto al contesto culturale e alla mancanza di identità che provoca lo squilibrio interiore delle persone e porta a conseguenze come il materialismo, la corruzione e l'attentato contro le famiglie, così come alla perdita dei valori e all'impoverimento dell'identità culturale africana.

Per monsignor Giorgio Bertin O.F.M., Vescovo di Gibuti, amministratore apostolico "ad nutum Sanctæ Sedis" di Mogadiscio (Somalia), la principale preoccupazione della Chiesa nel suo Paese è la persecuzione religiosa, che interessa sia i cattolici che i protestanti.

In Somalia, ha indicato, si realizzano continuamente riflessioni sulla memoria di quanti hanno dato la vita per l'evangelizzazione del Paese.Il Vescovo di Ebolowa (Camerun), monsignor Jean Mbarga, ha infine sottolineato il ruolo della Chiesa come principale mediatrice della riconciliazione, per cui serve “una Chiesa che testimoni la vita evangelica nell'uguaglianza sociale per etnie che si scontrano tra loro”.

Di fronte alla costante violazione dei diritti umani, ha concluso, la Chiesa deve avere “parole di incoraggiamento” ispirate ai “veri valori della dignità dell'uomo”.

Arcivescovo del Niger non va al Sinodo per mediare la pace

Impegnato nei negoziati per superare i contrasti tra il Governo e l'opposizione



CITTA' DEL VATICANO, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
 
Tra i padri sinodali assenti al Sinodo dei Vescovi per l'Africa c'è l'Arcivescovo di Niamey (Niger), Michel Cristian Cartatéguy, della Società delle Missioni Africane.

Il presule non si è recato a Roma per partecipare all'assise episcopale perché in questi giorni è impegnato in un'opera di mediazione per la riconciliazione nel suo Paese.

Insieme all'imam della moschea di Niamey e al sultano di Agadez, l'Arcivescovo sta infatti conducendo dei negoziati per superare i gravi contrasti tra il Governo e l'opposizione del Niger, come ha comunicato egli stesso in una lettera inviata alla segreteria generale del Sinodo. Dopo il referendum costituzionale del 4 agosto scorso, contestato dalla comunità internazionale, in Niger è nata la VI Repubblica basata su un nuovo sistema presidenziale, ricorda l'agenzia Misna. Il prossimo 20 ottobre sono previste le elezioni legislative.

L'Arcivescovo Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ha spiegato i motivi dell'assenza dell'Arcivescovo di Niamey all'apertura della II congregazione generale questo lunedì pomeriggio, commentando che per la Chiesa è una grande consolazione che l'Arcivescovo abbia un prestigio morale tale da impegnarsi insieme ad altri leader religiosi per arrivare alla pace nel suo Paese.

Nella Diocesi dell'Arcivescovo Cartatéguy ci sono 18.000 cattolici.

Una delegazione di padri sinodali in Campidoglio da Alemanno

I partecipanti al Sinodo al concerto "I giovani contro la guerra - 1939-2009"



ROMA, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Una delegazione di padri sinodali sarà ricevuta in Campidoglio dal sindaco di Roma, on. Gianni Alemanno. L'incontro è previsto per il 7 ottobre, alle ore 9:30, in vista della giornata che il Comune di Roma dedicherà all'Africa.

Il prossimo 19 ottobre, infatti, è previsto un Convegno nella Sala della Protomoteca in Campidoglio (dalle ore 9 alle ore 13), che avrà per tema "Africa: quale partnership per la riconciliazione, la giustizia e la pace?". In serata, inoltre, avrà luogo un concerto-recital (alle ore 21) presso l'Auditorium della Conciliazione, dal titolo "Africa: Croce in mezzo al mare".

I partecipanti alla II Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, assisteranno al concerto "I giovani contro la guerra - 1939-2009", previsto giovedì 8 ottobre 2009 alle ore 18:30 presso l'Auditorium della Conciliazione di Roma, alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI.

L'evento, in occasione del 70° anniversario dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e dalla Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, dall'Ambasciata tedesca presso la Santa Sede e dal KulturForum di Mainau. Patrocina il Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose. Finanziano enti italiani e tedeschi.

L'orchestra composta da giovani musicisti provenienti da 10 nazioni, proporrà brani musicali di Gustav Mahler e di Felix Mendelssohn Bartholdy, entrambi compositori ebrei di nascita, poi battezzati. Mahler e Mendelssohn, rispettivamente cattolico e protestante, proclamarono l'antisemitismo. Per l'occasione, la Congregazione generale del pomeriggio sarà sospesa alle ore 17:00.
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07/10/2009 13:24

Migrazioni, violenze contro i cristiani, conversione ecologica. Al Sinodo si affrontano i problemi dell'Africa

Il fenomeno tragico delle migrazioni, il dramma delle violenze contro i cristiani, la necessità di una “conversione ecologica”: è un quadro dell’Africa amaro quello emerso oggi pomeriggio dai lavori del secondo
Sinodo dedicato a questo continente e incentrato sui temi della riconciliazione, della giustizia e della pace. Ma a dominare la giornata è stato l’intervento del Patriarca Ortodosso etiope, Abuna Paulos, cui è seguito il saluto di Benedetto XVI. Il servizio di Isabella Piro:

Una presenza che testimonia in modo eloquente l’antichità e la tradizione della Chiesa in Africa. Così il Papa ha salutato il Patriarca Abuna Paulos, ricordando che la Chiesa etiope continua a testimoniare il Vangelo, nonostante le persecuzioni. Quindi ha aggiunto:

The proclamation of the Gospel cannot be separated from the commitment…

La proclamazione del Vangelo non può essere separata dall’impegno a costruire una società conforme al volere di Dio e che protegga la dignità dell’uomo. In precedenza, il Patriarca Paulos aveva ricordato che l’Africa è segnata, sì, da sfruttamento, pandemie e carestie, ma è anche un continente ricco di risorse che sono d’aiuto ad altri Paesi.

Tra gli altri temi trattati in Aula, il dialogo con l’Islam, in particolare nel Nord Africa. La regione, infatti, è a maggioranza musulmana, ma i cristiani godono comunque di una certa libertà. Di qui, l’auspicio che il Sinodo per il Medio Oriente del 2010 comprenda anche le diocesi nordafricane.

Quindi, si è aperta la pagina tragica delle migrazioni: un fenomeno che riguarda 10 milioni di africani e che colpisce soprattutto la Libia, Paese-ponte verso l’Europa. Poi, l’auspicio che la Chiesa in Africa stimoli una “conversione ecologica” attraverso l’educazione, così che il Paese non sia più vittima della deforestazione o dei rifiuti tossici. Infine, ricordate le violenze contro i cristiani, come quelle avvenute nella Repubblica Democratica del Congo, e il ruolo dei laici, definiti una “interfaccia” evangelizzatrice. A chiudere i lavori, l’appello di Giovanni Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.

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07/10/2009 13:35

Messaggio al Sinodo per l'Africa, dei delegati capitolari Comboniani


"A noi Missionari Comboniani, nati in Africa e per l’Africa, sta a cuore più di ogni altra cosa il futuro di questo continente e soprattutto della sua Chiesa, che - sorta dall’opera di tanti missionari provenienti da nazioni e congregazioni diverse - è chiamata da Dio ad essere sale e luce per tutta la società”. E’ quanto scrivono i partecipanti al Capitolo generale dei Missionari Comboniani, in corso a Roma, in un loro Messaggio ai partecipanti alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi. “Con gioia abbiamo visto crescere la Chiesa africana – prosegue il testo ripreso dall'agenzia Fides - solidamente fondata sulla Parola incarnata in tanti martiri e testimoni, antenati nella fede, che hanno dato la vita per Cristo e a servizio delle comunità locali. Proprio per questo nostro amore per l’Africa, per le sue popolazioni e per la sua Chiesa, auspichiamo che il vostro riunirvi in assemblea sinodale rappresenti un momento di grazia e di comunione per un profondo esame della vitalità della Chiesa stessa e del suo essere per tutti luce e ispirazione”. I Comboniani inviano il loro saluto ai vescovi, quindi sottolineano come il tema scelto sia “di capitale importanza per il futuro del continente la cui popolazione soffre immensamente a causa di complessi conflitti che si prolungano nel tempo rimanendo irrisolti”. Rilevano le situazioni di ingiustizia “per la cui soluzione è indispensabile una sincera conversione del cuore e delle culture stesse, affinchè nel riconoscimento reciproco e nel rispetto della diversità intesa come ricchezza si rendano protagoniste attive nella costruzione di una società giusta, rispettosa delle differenze, tollerante ed impegnata nella ricerca del bene comune”. A conclusione del messaggio, i delegati al Capitolo generale assicurano la loro preghiera affinché “questa sia l’occasione voluta da Dio per un profondo rinnovamento interno alla Chiesa stessa, da rafforzarla nel suo grande ruolo morale e ispiratore di una nuova cultura di fratellanza universale”, ed invocano lo Spirito Santo per intercessione di san Daniele Comboni, Patrono dell'Africa. (R.P.)

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07/10/2009 13:37

GROCHOLEWSKI


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S.Em.R. Card. Zenon GROCHOLEWSKI, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica (CITTÀ DEL VATICANO)



I centri cattolici di educazione hanno svolto un ruolo importantissimo nell'opera di evangelizzazione e hanno contribuito molto allo sviluppo sociale e culturale del continente. Proprio al livello dell'insegnamento ed educazione la Chiesa in Africa ha da affrontare la più grande sfida.

a.) L'educazione più importante è quella dei seminaristi. Riguardo ai seminari, la Congregazione per l'Educazione Cattolica (CEC) è competente nei territori delle missioni soltanto “per quanto concerne il piano generale degli studi” e non in quello che si riferisce alla “formazione”. Circa l'insegnamento nei seminari è da sottolineare che già 70 istituti sono stati affiliati a una facoltà ecclesiastica, e principalmente alla Pont. Università Urbaniana (questo è un sesto di tutti i seminari affiliati nel mondo), che è obbligata a svolgere un regolare controllo dell'insegnamento. In questa materia c'è da preoccuparsi comunque del mancato talvolta collegamento organico fra l'insegnamento filosofico, che si svolge spesso in un luogo diverso o si appoggia su un istituto non adeguato, e l'insegnamento di teologia.

Comunque i problemi più gravi concernenti la formazione del clero in Africa (adeguato discernimento, formazione spirituale ed affettiva, ecc.) esulano dalla competenza della CEC, anche se l'insegnamento e la formazione sacerdotale sono elementi strettamente legati tra di loro. Nella prospettiva della formazione si deve soprattutto esigere che in ogni nazione sia elaborata una appropriata "Ratio institutionis sacerdotalis" (richiesta espressamente dal Concilio: OT, 1) e approvata dall'Autorità competente della Santa Sede che dovrebbe redigere un adeguato regolamento generale come richiesto dalla prima Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dell'anno 1967. Ci vogliono, inoltre, le visite apostoliche regolari e qualificate nonché una preoccupazione costante per la formazione dei formatori, e in modo particolare una solida formazione spirituale di quei sacerdoti che studiano a Roma, in quanto principalmente loro saranno insegnanti e formatori nei seminari.

b.) Riguardo alle scuole cattoliche, la loro presenza in Africa è significativa: quasi 12.500 scuole materne con oltre 1.260.000 alunni; oltre 33.250 scuole primarie con circa 14.000.000 di alunni; e quasi 10.000 scuole secondarie con circa 4.000.000 allievi. Tale vasta realtà offre alla Chiesa un prezioso strumento di evangelizzazione, di dialogo e di servizio alle popolazioni del continente. È importante che queste scuole conservino e rafforzino la loro chiara identità cattolica. Ciò esige che la formazione degli insegnanti non sia solo professionale ma anche spirituale, perché considerino il loro lavoro come un apostolato da svolgere.

c.) Per quanto concerne gli istituti di studi superiori, il loro numero negli ultimi decenni si è moltiplicato. Oggi vi sono 23 Università Cattoliche, 5 Facoltà Teologiche e 3 Facoltà Filosofiche. Tutte queste istituzioni costituiscono un luogo privilegiato per evangelizzare le culture e formare uomini retti, operatori di pace, di riconciliazione, testimoni della fede. Vorrei proporre al riguardo alcuni accorgimenti utili:

- Piace sottolineare lo sforzo dato dalle facoltà ecclesiastiche al problema dell'inculturazione: questa esige una acuta saggezza evangelica ed è da affrontare seriamente alla luce dell'insegnamento della Chiesa.

- In tutte le università cattoliche, deve essere presente il pensiero teologico almeno con le cattedre dell'insegnamento teologico per i laici, della dottrina sociale della Chiesa, ecc.

- Ai tempi odierni si deve attribuire una particolare importanza a founare cattolici altamente qualificati per i mass media che “sono il nuovo areopago del nostro secolo”.

- Occorre anche intensificare la pastorale nelle università statali.

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07/10/2009 13:39

Intervento del Card. Emmanuel WAMALA, Arcivescovo emerito di Kampala, Uganda

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. Em. R. Card. Emmanuel WAMALA, Arcivescovo emerito di Kampala (UGANDA)



Mi rallegro con tutte quelle Chiese particolari che stanno “innalzando un inno di ringraziamento per la liberazione dai regimi dittatoriali”.

Quel che non riusciamo a comprendere è che una nuova stirpe di dittatori sta sostituendo quella precedente. Preferiremo chiamarli “blandi dittatori”, ma sempre di dittatori si tratta.

“La cultura dei principi democratici”, menzionata nei testi, non è quella che cercano di coltivare. Infatti non credono in alcun solido principio democratico. Credono in un unico principio e questo è quello dell’ingegneria politica. Nella maggior parte dei paesi dell’Africa, la politica esistente è una politica senza Dio. È questo stile di leadership che dà origine ai conflitti. Lo scenario politico generale nel continente africano e in Madagascar è chiaramente descritto nelle seguenti parole, n. 23: “Essi ( i nostri leader) incitano alla divisione per poter regnare (e talvolta far regnare i propri figli). In alcuni luoghi, il partito al potere tende a identificarsi con lo Stato”. Gli esempi di situazioni di questo tipo abbondano in molti paesi dell’Africa: questa è la tendenza.

Il ministero di riconciliazione che ci è stato affidato, come leggiamo in Cor 5, 18, è un compito estremamente impegnativo. Dobbiamo andare alle cause radicali dei conflitti e perfino delle guerre. Una leadership senza sani principi è, secondo me, una delle principali.

Come possiamo affrontare questo problema? Non vedo altra via d’uscita se non l’istruzione. Dovremmo influenzare le famiglie e la scuola affinché comprendano quei principi democratici fondamentali che troviamo nella dottrina sociale della Chiesa.

Le strutture esistenti nella Chiesa, a cominciare dalla famiglia, dalle piccole comunità cristiane, dalle scuole e altri organismi, sono alcuni dei fori in cui, con prudenza, può iniziare la formazione di leader con sani principi. Ed è da queste che può prendere l’avvio la riconciliazione tra gruppi di individui e tribù.

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07/10/2009 13:40

Intervento di Mons. Vincent LANDEL, Arcivescovo di Rabat, MAROCCO


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Vincent LANDEL, S.C.I. di Béth., Arcivescovo di Rabat, Presidente della Conferenza Episcopale Conférence Episcopale Régionale du Nord de l'Afrique (C.E.R.N.A.) (MAROCCO)



Studenti dell’Africa subsahariana nel Maghreb: più di 30.000.

Ingiustizia

- Essi scoprono un mondo in cui l’Islam è sociale e dove praticamente non esiste libertà religiosa per un magrebino.

- Essi scoprono l’ingiustizia vedendo assegnare le borse di studio ai potenti e alle famiglie privilegiate.

- Per alcuni di loro, la Chiesa è l’ispirazione ed essi sono la vita delle nostre comunità cristiane.

Come potrà la Chiesa aiutare questi giovani a ritrovarsi per riflettere sul proprio futuro senza scoraggiarsi?

Pace

- Questi studenti scoprono il messaggio sociale della Chiesa e tutta la sua testimonianza di pace.

- La Chiesa non deve forse compiere un’opera di evangelizzazione a partire dal compendio?

Riconciliazione

- Questi studenti e stagisti scoprono il mondo dell’Islam con il quale devono riconciliarsi ma, allo stesso tempo, si aprono su altri mondi, altre culture, altre religioni. Ciò permetterà la riconciliazione.

- Possa la Chiesa del Maghreb aiutarli ad aprirsi al mondo.

- Possa la Chiesa in Africa aiutarli a diventare cristiani responsabili.

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07/10/2009 13:41

Intervento di Mons. Jean-Noël DIOUF, Vescovo di Tambacounda, SENEGAL

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Jean-Noël DIOUF, Vescovo di Tambacounda, Presidente della Conferenza Episcopale (SENEGAL)



1. La descrizione di una liturgia di penitenza nei paesi Ndut (Senegal) in passato

Se veniva concesso il perdono, la riconciliazione era celebrata nella gioia. In caso contrario, si infliggeva talvolta la condanna a morte con l’uccisione di un rappresentante della parte avversa.

2. Le riflessioni dei membri della Conferenza Episcopale del Senegal, della Mauritania, di Capo Verde, della Guinea Bissau in cinque punti:

Primo punto: riconciliazione, giustizia e pace esigono umiltà, amore e conversione. In altre parole, “un cuore nuovo e uno spirito nuovo”.

Secondo punto: cristiani a messa e pagani nella vita. Occorre tornare a essere “discepoli” di Cristo.

Terzo punto: il turbine della globalizzazione. Occorre resistere costruendo ripari saldi, quali comunità cristiane evangelizzate ed evangelizzanti.

Quarto punto: essere “sale e luce” per preservare l’Africa dalla disgregazione e dallo scoraggiamento: custodire il Vangelo e i valori africani.

Quinto punto: un congresso eucaristico per approfondire i risultati del Sinodo.

3. Ricorrere alla pianificazione pastorale che si sta mettendo a punto nell’Africa occidentale francofona.

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07/10/2009 13:43

Intervento di Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Djibouti, SOMALIA


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Djibouti, Amministratore Apostolico "ad nutum Sanctæ Sedis" di Mogadiscio (SOMALIA)



Da alcuni anni nella ricorrenza della morte di Mons. Salvatore Colombo OFM, vescovo di Mogadiscio ucciso il 9.7.1989, ho incominciato a ricordare nella Messa non solo lui, ma anche una serie di altre persone che sono state uccise mentre erano a servizio della giustizia, della pace e dei poveri in Somalia. Tra di essi vi sono stati alcuni cattolici, come la dottoressa Fumagalli, Annalena Tonelli e Sr. Leonella; vi sono stati dei fratelli “protestanti”; vi sono stati dei musulmani somali, e sono stati la maggioranza in questo paese musulmano; vi sono state anche altre persone non appartenenti ad alcuna fede. Chiamo questa giornata del 9 luglio “giornata dei martiri della Somalia”. Essa ci serve a ricordare che molte persone di convinzioni diverse hanno sacrificato la loro vita per più giustizia, più fraternità e più pace in Somalia.

Non siamo solo noi cattolici a volere riconciliazione, giustizia e pace in Somalia o in Africa. Ci sono tante altre persone e istituzioni di buona volontà. Due domeniche fa il Vangelo ci diceva: “chi non è contro di noi, è per noi” (Mc 9, 40). Questo significa che abbiamo il dovere di collaborare con tutti.

Concretamente vi suggerisco alcuni punti non esaustivi, pensando sia alla Somalia che all'Africa: 1. fare la memoria “insieme agli altri” delle persone migliori che hanno servito al bene di un dato popolo;

2. avere dei momenti di preghiera in comune con i credenti di altre fedi a favore della pace;

3. arrestare il traffico di armi e la libera circolazione di criminali di guerra;

4. invitare la comunità internazionale a una più grande collaborazione non solo alla lotta contro la pirateria, ma anche per la ricostruzione dello stato in Somalia;

5. collaborare con i musulmani di buona volontà per isolare e neutralizzare l'opera nefasta di gruppi islamici radicali che sono la causa di problemi anzitutto per i musulmani stessi e poi per gli altri;

6. appoggiare e sviluppare l' azione della Santa Sede e dei suoi diplomatici.

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Intervento di Mons. Michael Dixon BHASERA, Vescovo di Masvingo, ZIMBABWE

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Michael Dixon BHASERA, Vescovo di Masvingo (ZIMBABWE)



I nostri fedeli cristiani sono legati da una riscontrabile cultura comune che si esprime in un gran numero di varianti. Tale eredità culturale, che ci conferisce identità, è a rischio di estinzione a causa degli eventi storici, i processi naturali e i progetti umani. La Chiesa-Famiglia di Dio in Africa non potrà mai essere autentica se la sua base culturale, che è ricca e può essere usata per risolvere tanti problemi, viene erosa.

Le sfide che dobbiamo affrontare sono determinate sia dal processo di globalizzazione sia da fattori locali. Si tratta di un insieme di problemi complessi creati dall’uomo, come la corruzione, l’avidità, l’oppressione e il totalitarismo. Nutriamo la speranza che questo Sinodo affronti questi temi in modo adeguato.

La nostra forza ci viene dal rapporto che abbiamo con Cristo. Alimentiamo tale rapporto mediante i sacramenti, in particolare il Sacramento dell’Eucaristia in cui veniamo plasmati nella famiglia di Dio e ognuno di noi è investito del compito di essere agente di riconciliazione, salvezza, giustizia e pace.

L’idea dei rapporti piace all’Africa perché nasce dal cuore delle sue culture. Partecipando ai sacramenti, siamo vincolati da un unico sangue, il Sangue di Cristo. Il vincolo sacramentale può essere più forte di quello biologico che unisce le famiglie. Ciò evidenzia i valori della famiglia africana, quali la solidarietà, la condivisione, il rispetto, l’ospitalità, lo stare insieme e la riconciliazione attraverso la giustizia riparatrice.

La Chiesa-Famiglia diventa segno visibile e vero strumento di giustizia, di pace e di riconciliazione, quando è compresa e vissuta in modo corretto. Dopo il turbamento, la riconciliazione genuina si esprime mediante la restituzione e la riparazione.

Alcuni africani ricorrono alle sette o alla stregoneria quando devono affrontare le difficoltà. Inoltre, è doloroso vedere i cattolici che si rivoltano contro i loro fratelli cattolici a causa di conflitti politici, sociali, economici e regionali. Il problema è la scarsa conoscenza del significato di Chiesa come Famiglia (di Dio). Questa Catechesi dovrebbe iniziare già in famiglia per poi continuare nelle nostre istituzioni educative, sanitarie, di sviluppo sociale e di formazione. .Quando i fedeli hanno raggiunto la comprensione di “chi siamo”, essi possono cominciare a orientarsi verso il dialogo ecumenico e promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace.

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07/10/2009 13:45

Intervento di Mons. Sithembele Anton SIPUKA, Vescovo di Umtata, SUDAFRICA

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Sithembele Anton SIPUKA, Vescovo di Umtata (SUDAFRICA)



Dopo parecchi decenni di conflitti e di tensioni, i sudafricani sono riusciti a negoziare una soluzione pacifica ai loro problemi politici in quanto nazione e hanno creato strutture e politiche democratiche che operano per la pace. Sussiste tuttavia il problema che tali principi di democrazia non sono giunti fino alle radici. Mentre il paese si è trasformato sia legalmente che politicamente, a livello umano quotidiano dei rapporti personali, le persone si comportano ancora secondo l’antico sistema, sentendosi ancora diverse e perfino nemiche fra loro.

Ciò dimostra che è più facile cambiare le strutture esteriori piuttosto che cambiare mentalità, e finché non cambiano sia le strutture esterne che le mentalità, la democrazia non può essere apprezzata e sostenuta in Sud Africa. La Chiesa, il cui obiettivo principale di evangelizzazione è il cambiamento dei cuori, può offrire un importante contributo a questo proposito.

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Intervento di Mons. Jean MBARGA, Vescovo di Ebolowa, CAMERUN


Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Jean MBARGA, Vescovo di Ebolowa (CAMERUN)



Per il presente Sinodo, la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa ha la missione di contribuire alla ricostruzione di un’Africa in preda a crisi tanto numerose quanto ricche di potenzialità, rinnovando la sua pastorale sulla base di un’ecclesiologia di apertura alle sfide della società: quale Africa per la Chiesa? Quale Chiesa per l’Africa?

Nelle sue diverse dimensioni, questa missione consiste nell’estinguere i conflitti, nel ricostruire l’Africa sulla base del Vangelo e della fede in modo che:

- laddove la fede cristiana si indebolisce o non esiste, le comunità ecclesiali testimonino la vita evangelica, la pratica ecclesiale e l’impegno sociale;

- laddove la cultura è combattuta tra tradizione e globalizzazione, la Chiesa ispiri opere culturali umanizzanti che diffondano valori autentici degni dell’uomo;

- laddove lo stato sfrutta il popolo, le comunità ecclesiali si impegnino a favore della democrazia e della buona gestione di beni e persone, della cultura della gratuità e del dono;

- laddove imperversano guerre e ribellioni, vi sia una mobilitazione di tutti per la pace.

Per essere segno e strumento di questi valori, la Chiesa-Famiglia che è al servizio sarà quindi una Chiesa che vive in pace e può dare la pace, che si evangelizza e che evangelizza la società.

- Sarà una Chiesa madre ed educatrice, che dona all’Africa una carta dei valori;

- una Chiesa avvocata e profetica, che promuove politiche, legislazioni e strutture sociali illuminate da un umanesimo africano e cristiano;

- una Chiesa mediatrice, che riconcilia le parti in contrasto, lavora alla prevenzione dei conflitti e anima costantemente il dialogo sociale;

- una Chiesa mobilitante, che promuove un apostolato associativo militante e una leadership dei fedeli laici, un clero e persone consacrate formate per la società attuale;

- una Chiesa comunicatrice, che produce, con le nuove tecnologie, opere che diffondono una cultura africana e cristiana;

- una Chiesa che agisce attraverso opere sociali e programmi pastorali adeguati, che promuovono la sanità, l’educazione e il lavoro produttivo.

Questo sinodo può proporre la creazione di missioni o di commissioni più specifiche che chiariscano e intensifichino questa ecclesiologia e questa pastorale di apertura alle sfide della società attuale.

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07/10/2009 13:48

Intervento di Mons. Thomas KABORÉ, Vescovo di Kaya, BURKINA FASO

Martedì, 6 ottobre 2009

Aula del Sinodo, Città del Vaticano



S. E. R. Mons. Thomas KABORÉ, Vescovo di Kaya (BURKINA FASO)



L’educazione alla giustizia e alla pace è una missione essenziale della Chiesa-Famiglia di Dio. I figli di Dio sono artefici di pace; “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” proclama il Signore Gesù. Se la Chiesa che è in Africa è Famiglia di Dio è un luogo di riconciliazione, di giustizia e di pace.

In un continente tanto lacerato dai conflitti e dalle lotte, è Dio che ci invita ad essere una Chiesa-Famiglia, luogo di riconciliazione, di giustizia e di pace. Per questo, i Padri del primo sinodo per l’Africa “hanno subito riconosciuto che la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane... Soprattutto, in esse ci si impegnerà a vivere l'amore universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà naturali dei clan, delle tribù o di altri gruppi d'interesse” [ Ecclesia in Africa § 89.].

Per assumere questa missione, dobbiamo dunque lavorare per trasformare le nostre Comunità Cristiane di Base (CCB). Esse devono diventare delle vere famiglie: questo vuol dire conversione “premura per l'altro, solidarietà, calore delle relazioni, accoglienza, dialogo e fiducia” [Ecclesia in Africa § 63]. Chiamiamo quindi queste Piccole Comunità, delle Comunità-famiglie. Saranno esse a dare alla Chiesa il suo volto e la sua realtà di famiglia, per farne luoghi di riconciliazione.

Il lavoro fondamentale per giungere a questa edificazione della famiglia sarà prima di tutto l’Evangelizzazione. Il primo scopo di queste Comunità-famiglie è di essere Scuole di Evangelizzazione; è necessario che tutta la Chiesa diventi una comunione di comunità-famiglia e che tutta la Chiesa sia evangelizzata, ovvero sia interiormente rinnovata e diventi un’umanità nuova. Ciò presuppone che i Pastori diventino predicatori itineranti della Buona Novella, andando di comunità in comunità.

L’Evangelizzazione sarà più una questione di testimoni che di metodo o di tecnica: “Una vera testimonianza da parte dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la testimonianza di un sincero amore reciproco” [Ecclesia in Africa § 77.].

Edificare la Chiesa-Famiglia di Dio vuol dire dunque suscitare delle Comunità-famiglie che saranno vere famiglie di Dio, luogo di integrazione fra cristiani di diverse etnie, regioni e condizioni sociali.

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