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Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne?

Ultimo Aggiornamento: 22/09/2009 06:40
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Vita prenatale e setaccio genetico

Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne?



di Carlo Bellieni

Due paradossi gravano nella nostra società sul mondo della conoscenza della vita prenatale. Da una parte, avanza la scoperta della profonda umanità del nascituro, dall'altra c'è un forte impulso a stendervi sopra una cortina di pesante e imbarazzato silenzio, tanto che sui media quasi non se ne parla, per non sembrare anti-abortisti. Ma oggi molti segnali dicono che questo silenzio ha le ore contate:  vediamone alcuni.

Una donna nello Stato del Vermont ha chiesto, pochi giorni or sono, che i suoi due "feti" morti per un incidente d'auto venissero riconosciuti legalmente come bambini, perché chi ha causato l'incidente se ne assumesse le reali responsabilità. A chi nega il valore umano della vita prenatale questa richiesta di una semplice mamma non piacerà. Così come non piacerà leggere che nel South Dakota la giudice Karen Schreier ha imposto che a chi vuole abortire venga spiegato che l'aborto è la fine di una vita; e non piacerà che in Germania per gli aborti tardivi i medici, dal maggio 2009, siano obbligati a spiegarne le conseguenze psicologiche, illustrare cosa vuol dire la vita con un bimbo disabile e offrire delle alternative. Ma non piacerà nemmeno che nella laica Francia, da un anno circa, la legge permetta alle donne che perdono un bambino non ancora nato non solo di poterne avere il corpicino e seppellirlo, ma anche di dargli un nome e iscriverlo all'anagrafe, indipendentemente dall'età gestazionale del piccolo. Insomma si coglie nell'aria un vento di riconoscimento del valore e dell'essenza della vita prenatale.

Il secondo paradosso è che alla conoscenza dell'umanità prenatale fa da contraltare la contemporanea ricerca ansiosa di nuovi sistemi per passare al setaccio genetico tutti, ma proprio tutti, i bambini non ancora nati e di nuovi sistemi rapidi per interrompere le gravidanze. Si cerca di avere notizie genetiche sul nascituro sempre più precocemente - ora anche sul suo sesso direttamente dal sangue della madre - e si richiedono sistemi per abortire in modi sempre più rapidi, come se l'evidenza scientifica e umana di un aborto si facesse sentire di meno se si fa in modo più spiccio.

Ma esiste un'evidenza scientifica inesorabile che nasce da studi fatti da ricercatori in ogni parte del mondo e che mostra la piena umanità del nascituro. Recentemente il "Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition" (marzo 2009) riportava un'analisi della letteratura scientifica in cui si mostrava chiaramente come addirittura i nostri gusti alimentari si formino prima della nascita a seconda di quello che la mamma mangia e arriva attraverso il liquido amniotico al bambino, facendoglielo assaporare per lungo tempo prima della nascita. Anche l'istituto National Geographic ha realizzato un bellissimo video (In the Womb) con forti immagini nella cosiddetta tecnica "a 4 dimensioni" sullo sviluppo del bimbo prenatale, recensito con calore dal "New York Times" e disponibile, in parte, sul web. La medicina prolifera di congressi dal titolo "Il feto come paziente" - l'ultimo si è svolto nel marzo scorso a Sydney - e si moltiplicano libri, riviste e fondazioni dedicati alla medicina prenatale. Basti, ad esempio, ricordare che la rivista pediatrica "Early Human  Development"  ha  come sottotitolo "Rivista internazionale sulla continuità della vita fetale e postnatale", e il "British Medical Journal" edita una rivista pediatrica che ha una "Fetal and Neonatal Edition".

Negare l'umanità di chi non è ancora nato porta anche delle conseguenze che riguardano i bambini ormai nati e in piena crescita dopo la nascita, come la difficoltà nell'attaccamento prenatale. Il rapporto psicologico e affettivo tra mamma e bambino inizia ben prima della nascita; ogni mamma sa che può addirittura dialogare col proprio bambino non ancora nato.

La psicologa parigina Catherine Dolto ha scritto un breve saggio sulla possibilità di sfruttare questo contatto, detto aptonomia, nella quale si può coinvolgere anche il padre nel dialogo complice ed affettivo fra la madre e il "feto".
Sappiamo anche che il livello di attaccamento affettivo prenatale predice il livello di attaccamento tra mamma e bambino dopo la nascita (Anver Siddiqui, in Early Human Development, Amsterdam, Elsevier, 2000).

Esiste anche il problema della scarsa protezione fetale. "Anche se il feto non è una persona giuridica, ha lo stesso il diritto di essere non fumatore". Sono le parole di Michel Delcroix, docente di ostetricia a Lille riportate da "Le Figaro" del 21 gennaio scorso e la dicono lunga. Fumo, alcol e stupefacenti in gravidanza mettendo a gravissimo rischio la salute del "feto", rischiano di rovinare la vita di chi nasce.

Ma si fa abbastanza per mettere in guardia le donne? Si fa abbastanza per garantire loro un ambiente ecologicamente sano in gravidanza, mentre sostanze come pesticidi, solventi, metalli pesanti le circondano e ne mettono a rischio la fecondità e la prole? Sarebbe davvero facile far passare questi messaggi se si partisse dall'evidenza che in loro abita un bambino di cui sono la prima dimora, e che la mamma e la società devono garantire al piccolo ospite il massimo comfort.

C'è anche un aspetto che chiamerei il "lutto defraudato". La perdita di un bambino prima della nascita è un trauma per la madre e per il padre. Ma troppo spesso chi lo subisce non viene aiutato a elaborare il lutto, condizione forte per aiutare la salute psichica della persona. Evidentemente non si può elaborare un lutto per la morte di "qualcuno che non esiste". E questo genera traumi che talora richiedono cure particolari.

Infine, si arriva, nell'epoca della ultraspecializzazione in medicina, al paradosso che il medico della mamma deve sobbarcarsi anche della diagnosi e cura del bambino in utero, il quale solo alla nascita avrà diritto ad un proprio pediatra.

Dunque non si tratta di un problema sentito solo da chi è contrario all'aborto, ma è una questione che riguarda la salute pubblica. Anche perché di recente la rivista "Lancet" (Si deve offrire alle donne un'assistenza psicologica post-aborto, 23 agosto 2008) ha mostrato che far nascere un bambino da una gravidanza indesiderata non genera problemi psicologici maggiori che abortirlo; dunque crolla anche il mito dell'aborto come presunta salvaguardia della salute mentale.

La scienza, insomma, mostra l'umanità della vita fetale, mentre dall'altra parte la nostra società ricerca ansiosamente sempre più raffinati strumenti chirurgici o chimici per farla scomparire. È un paradosso della mentalità occidentale che offre risposte standard senza l'elasticità di ascoltare bene le richieste e talora senza fare i conti con i dati di fatto.

Ma c'è qualcuno che si domanda cosa davvero vogliono le donne? Vogliono forse sempre più strumenti per abortire o piuttosto - e tante donne lo reclamano - sempre più risorse - economiche, culturali, sociali - per abbracciare il figlio, per riconoscere la compagnia del piccolo bimbo che portano dentro di sé? Le tragiche parole della mamma del Vermont a cui sono morti i due figli-feti, sono significative e non necessitano commenti:  "Per me sono bambini:  hanno capelli, occhi, naso, labbra perfettamente formate. Hanno dita, unghie. Non so come lo Stato del Vermont possa dire che non sono bambini".


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
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18/09/2009 21:17

Per me sono bambini: hanno capelli, occhi, naso, labbra perfettamente formate. Hanno dita, unghie. Non so come lo Stato del Vermont possa dire che non sono bambini".



Parole semplici ,eppure vere!
Qdo aspettavo i miei bambini,io fantasticavo sul colore dei loro capelli ,dei loro occhi e ,insieme a mio marito, sfogliavo un giornale che illustrava con bellissime foto le varie fasi della gravidanza ...un abbozzo degli arti ,un principio di peluria sul corpicino,il ditino in bocca e provavo meraviglia per qti prodigi che via via si stavano formando.
Qdo pensavo a loro nn pensavo a dei feti,ma semplicemente a dei bambini.
Li amavo gia'i miei figli.
Li conoscevo gia'i miei bambini.
Poi vedevo i loro piedini stiracchiarsi contro la parete della mia pancia e sorridevo commossa.Ricordo con dolcezza quei momenti.
Capisco perfettamente la madre di Vermont che ha detto qte parole.
Ma il giudice a cui si rivolgera' per chiedere giustizia la capira'?
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Due libri sulla questione femminile

Donne tra differenza e uguaglianza


di Giulia Galeotti

Un'indagine Istat di qualche settimana fa, ha rivelato che il 31 per cento dei bambini e dei ragazzi italiani tra i 6 e i 17 anni riceve settimanalmente la paghetta dai genitori. Se però il 32, 7 per cento dei maschi la riceve regolarmente a fronte del 29, 2 per cento delle coetanee, ai primi viene comunque dato più denaro che alle seconde. Una duplice discriminazione quindi.

Che la discriminazione tra i sessi sia ancora esistente nei Paesi occidentali non è certo una novità. Seppur tra tanti cambiamenti, venirne a capo non sembra ancora facile:  i continui studi che tentano, ciclicamente, di indagarla offrono spunti su cui riflettere, ma (per ora almeno) nessuna reale soluzione. Tra i saggi oggi presenti in libreria, segnaliamo il testo del sociologo francese Alain Touraine, Il mondo è delle donne (Milano, il Saggiatore, 2009, pagine 248, euro 20) e quello di Anne Stevens, docente di European Studies a Birmingham, Donne, potere, politica (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 332, euro 32).
Sebbene le argomentazioni dei due studiosi non convincano sempre e del tutto, un primo elemento piuttosto interessante (e confortante) è il fatto che entrambi danno per scontato il rifiuto dell'ideologia del gender, quella ideologia, oggi di gran moda, secondo cui le differenze tra femmine e maschi non avrebbero alcun fondamento in natura, essendo socialmente costruite. I fautori del gender dicono che, per eliminare la discriminazione, sia necessario superare il dato biologico:  solo così si potrà perseguire la vera uguaglianza e l'effettiva parità tra i sessi.

Eppure, come gli studi scientifici hanno dimostrato e continuano a dimostrare, parlare di identità maschile e di identità femminile ha senso innanzitutto proprio dal punto di vista biologico. Oltre che infondata, la teoria del gender sottintende una visione estremamente pericolosa, ritenendo che la differenza sia sinonimo di discriminazione. Eppure, il principio di uguaglianza non richiede affatto di fingere che tutti siano uguali:  solo nella misura in cui l'esistenza della differenza venga effettivamente riconosciuta e considerata, si potrà realmente dare a tutti, allo stesso modo e in pari grado, piena dignità e uguali diritti.
Nulla di nuovo, sia chiaro:  è da tempo che il diritto e la filosofia vanno ribadendo come l'autentico significato del principio di uguaglianza risieda non nel disconoscere le caratteristiche individuali, fingendo un'omogeneità che non esiste, ma, al contrario, stia proprio nel dare a tutti le stesse opportunità. Il laico Norberto Bobbio affermava che gli uomini non nascono uguali:  è compito dello Stato metterli in condizione di divenirlo. Come ribadiscono, tra gli altri, la Chiesa cattolica e parte del femminismo, la vera uguaglianza si verifica non solo quando soggetti uguali vengono trattati in modo uguale, ma anche quando soggetti diversi vengono trattati in modo uguale. La parità tra i sessi non si ottiene certo facendo entrare le donne in una categoria astratta di individuo, ma si raggiunge partendo dal presupposto che la società è composta da cittadini e da cittadine.

Certo, è indubbio che fino a oggi la differenza tra i sessi, quasi sempre e quasi ovunque, ha assunto la forma di una gerarchia tra uomini e donne, in cui è sempre stato preordinato il maschio. Si tratta, però, di piani diversi:  la subordinazione non sta nella natura, ma nell'illecito uso che di essa si è fatto e si continua a fare. È su questo illecito uso, ancora presente, che dobbiamo concentrarci, come tentano di fare sia il saggio di Alain Touraine che quello di Anne Stevens. Entrambi dedicano molte osservazioni alla politica che è forse oggi, soprattutto nei Paesi occidentali, il luogo più clamoroso della disparità tra i sessi. A fronte di un corpo elettorale pariteticamente composto da uomini e donne, i rappresentanti eletti infatti sono in massima parte maschi. Il tema, a cui si è tentato di dare anche spiegazioni storiche, è complesso e spinoso. Eppure è indubbio che la democrazia richieda la contestuale presenza in politica sia degli uni che delle altre.

Ovviamente esiste una grande varietà di posizioni su come risolvere, in concreto, il problema della scarsa rappresentanza femminile. Persiste la convinzione che dovrebbero essere gli stessi partiti ad autodisciplinarsi affinché le liste elettorali rispondano effettivamente a un principio democratico, assicurando una rappresentanza tendenzialmente paritetica in società composte da donne e uomini. Intervenendo così - e non imponendo invece le quote per legge - i partiti sarebbero infatti obbligati a investire nella formazione di una classe politica competente e preparata composta da entrambi i sessi.

La politica, però, è solo uno degli aspetti della disparità ancora in atto. Anne Stevens analizza anche il mondo del lavoro - segregazione verticale e orizzontale, disparità retributiva - lo stile di vita, le aspettative sociali e l'impiego del tempo - "in media le donne passano un'ora al giorno in più degli uomini nelle occupazioni domestiche":  viene da chiedersi dove sia questo paradiso! Qui è sufficiente un solo esempio concreto:  le domande rivolte alle vittime di violenza sessuale sono ancora oggi umilianti, in modo non paragonabile a quelle rivolte alle vittime in altri processi penali.

Tra i nodi affrontati da Alain Touraine, invece, ne segnaliamo due. Il primo è quello, urgente e grave, della spaventosa violenza di cui le donne sono vittime - come la cronaca nera attesta pressoché quotidianamente - un vero allarme sociale rispetto al quale ci si dovrebbe interrogare seriamente a diversi livelli. L'altro, è relativo al fatto che la maggior parte delle giovani donne di oggi rifiuta di definirsi femminista, esprimendo fastidio, o addirittura inquietudine, rispetto al termine. Touraine spiega questa presa di distanza con il fatto che per le donne di oggi il femminismo "è completamente integrato al mondo politico". Tale vicinanza lo avrebbe definitivamente sminuito, trattandosi di una generazione che nutre una completa sfiducia nella capacità della politica di migliorare le cose. Una politica, inoltre, che viene percepita come intrinsecamente debole essendo fondata sulla (falsa) uguaglianza, quando le giovani donne di oggi sanno che maschi e femmine uguali non sono. Touraine, però, rifiuta di qualificare il movimento delle donne come rivoluzionario - definendolo, all'opposto, democratico. Ad avviso di chi scrive però, la qualifica di rivoluzionario non è tanto questione di metodo, quanto di risultato.

Nella certezza che il femminismo tout court non esista - si pensi, su tutte, alla contrapposizione tra femminismo dell'uguaglianza e femminismo della differenza - e nella consapevolezza che anche il femminismo ha avuto i suoi limiti ed ha compiuto i suoi errori, non si può tuttavia negare che il cambiamento profondo della vita delle donne, nel corso della seconda metà del Novecento, abbia rivoluzionato radicalmente, nel bene e - forse - un poco anche nel male, la società nel suo complesso. Oltre alle stesse donne.


(©L'Osservatore Romano - 21-22 settembre 2009)
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