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Rapporto sulla Fede: Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger

Ultimo Aggiornamento: 18/09/2009 19:49
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18/09/2009 19:44

CAPITOLO SETTIMO

LE DONNE, UNA DONNA



Un sacerdozio in questione


Il discorso sulla crisi della morale è, per il Cardinale, strettamente legato a quello (oggi attualissimo nella Chiesa) sulla donna e il suo ruolo.

Il documento della Congregazione per la dottrina della fede che ribadiva il "no" cattolico (condiviso da tutte le Chiese dell'ortodossia orientale e, sino a tempi recentissimi, dagli anglicani) al sacerdozio femminile porta la firma del predecessore del card. Ratzinger. Questi però vi ha contribuito come consulente e, a una mia domanda, lo definirà "molto ben preparato, anche se come tutti i documenti ufficiali presenta una certa secchezza: va diritto alle conclusioni senza potere motivare tutti i passi che vi conducono con l'ampiezza che sarebbe necessaria".

A quel documento il Prefetto rinvia comunque per un riesame di una questione che, a suo avviso, è spesso male impostata.

Parlando della questione femminile in generale (e dei suoi riflessi sulla Chiesa, in particolare tra le religiose) mi sembra di avvertire in lui un rammarico singolare: "è la donna che sconta più duramente le conseguenze della confusione, della superficialità di una cultura frutto di menti maschili, di ideologie maschiliste che ingannano la donna, la scardinano nel profondo, dicendo che in realtà vogliono liberarla".

Dice dunque: "A prima vista, le istanze del femminismo radicale a favore di una totale equiparazione tra uomo e donna sembrano nobilissime, in ogni caso del tutto ragionevoli. E sembra logico che questa richiesta di ingresso della donna in tutte le professioni, nessuna esclusa, si trasformi all'interno della Chiesa in una domanda di accesso anche al sacerdozio. A molti, questa richiesta di ordinazione, questa possibilità di avere delle sacerdotesse cattoliche pare non solo giustificata ma innocua: un semplice, indispensabile adeguamento della Chiesa a una situazione sociale nuova che si è verificata".

E allora, dico, perché ostinarsi nel rifiuto?

"In realtà questo tipo di " emancipazione " della donna non è affatto nuovo. Si dimentica che nel mondo antico tutte le religioni avevano anche delle sacerdotesse. Tutte, tranne una: quella ebraica. Il cristianesimo, anche qui sull'esempio "scandalosamente" originale di Gesù, apre alle donne una situazione nuova, dà loro un posto che rappresenta uno degli elementi di novità rispetto all'ebraismo. Ma di questo conserva il sacerdozio solo maschile. Evidentemente, l'intuizione cristiana ha compreso che la questione non era secondaria, che difendere la Scrittura (la quale né nell'Antico né nel Nuovo Testamento conosce donne-sacerdote) significava ancora una volta difendere la persona umana. A cominciare, si intende, da quella di sesso femminile".

Contro un sesso "banalizzato"

La cosa, osservo, va ulteriormente spiegata: resta da vedere in che modo la Bibbia e la Tradizione che l'ha interpretata intenderebbero " mettere al riparo " la donna escludendola dal sacerdozio.

"Certamente. Ma bisogna allora andare a fondo della richiesta, che il femminismo radicale trae dalla cultura oggi diffusa, di "banalizzare" la specificità sessuale, rendendo interscambiabile ogni ruolo tra uomo e donna. Parlando della crisi della morale tradizionale, accennavo che alla radice della crisi c'è una serie di rotture fatali: quella, ad esempio, tra sessualità e procreazione. Staccato dal legame con la fecondità, il sesso non appare più come una caratteristica determinata, come un orientamento radicale, originario della persona. Maschio? Femmina? Sono domande che per alcuni sono ormai " vecchie ", prive di senso, se non razziste. La risposta del conformismo corrente è prevedibile: "maschio o femmina che si sia interessa poco, siamo tutti semplicemente delle persone umane". Questo in realtà è grave anche se sembra molto bello e generoso: significa infatti che la sessualità non è più considerata come radicata nella antropologia, significa che il sesso è visto come un semplice ruolo interscambiabile a piacere".

E dunque?

"Dunque, ne segue per logica coerenza che tutto l'essere e tutto l'agire della persona umana sono ridotti a pura funzionalità, a puro ruolo: per esempio il ruolo del "consumatore" o il ruolo del " lavoratore ", secondo i regimi. Qualcosa comunque che non riguarda direttamente il diverso sesso. Non è un caso che, tra le battaglie di "liberazione" di questi anni, ci sia stata anche quella per sfuggire alla "schiavitù della natura", chiedendo il diritto di diventare maschio o femmina a piacere, per esempio per via chirurgica, ed esigendo che lo stato nella sua anagrafe prenda atto di questa autonoma volontà dell'individuo. E non è un caso che le leggi si siano prontamente adeguate a una simile richiesta. Anche se questo cosiddetto "cambiamento di sesso" non muta nulla nella costituzione genetica della persona interessata. È soltanto un artefatto esteriore, con il quale non si risolvono i problemi ma semplicemente si costruiscono delle realtà fittizie. Se tutto non è che "ruolo" determinato dalla cultura, dalla storia e non specificità naturale inscritta nel profondo, anche la maternità è una funzione casuale: e difatti certe rivendicazioni femministe considerano " ingiusto " che alla sola donna tocchi partorire, allattare. E la scienza, non solo la legge, corre in aiuto: trasformando un maschio in femmina e viceversa, come già abbiamo visto; o staccando la fecondità dalla sessualità, mirando a far procreare a piacere con manipolazioni tecniche. Non siamo forse tutti eguali? Dunque, se necessario, si combatta anche contro la " ineguaglianza " della natura. Ma la natura non si combatte senza subirne le conseguenze più devastanti. La sacrosanta eguaglianza tra maschio e femmina non esclude, anzi esige, la diversità".

A difesa della natura

Dal discorso generale, vediamo di passare a quello che più ci interessa. Che cosa avviene quando questi orientamenti entrano nella dimensione religiosa, cristiana?

"Avviene che la interscambiabilità dei sessi visti come semplici " ruoli " determinati più dalla storia che dalla natura, che la banalizzazione del maschile e del femminile si estendono all'idea stessa di Dio e da lì si allargano a tutta la realtà religiosa".

Eppure, sembra davvero sostenibile anche per un cattolico (e un Papa lo ha recentemente ricordato) che Dio è al di là delle categorie della sua creazione; e dunque è tanto Padre che Madre.

"Questo è corretto se ci poniamo da un punto di vista puramente filosofico, astratto. Ma il cristianesimo non è una speculazione filosofica, non è una costruzione della nostra mente. Il cristianesimo non è " nostro ", è la Rivelazione di Dio, è un messaggio che ci è stato consegnato e che non abbiamo il diritto di ricostruire a piacimento. Dunque, non siamo autorizzati a trasformare il Padre nostro in una Madre nostra: il simbolismo usato da Gesù è irreversibile, è fondato sulla stessa relazione uomo-Dio che è venuto a rivelarci. Ancor meno ci è lecito sostituire Cristo con un'altra figura. Ma ciò che il femminismo radicale - talvolta anche quello che dice di richiamarsi al cristianesimo - non è disposto ad accettare è proprio questo: il carattere esemplare, universale, immodificabile della relazione tra Cristo e il Padre".

Se queste sono le posizioni contrapposte, osservo, il dialogo sembra bloccato.

"Sono infatti convinto - dice - che ciò cui porta il femminismo nella sua forma radicale non è più il cristianesimo che conosciamo, è una religione diversa. Ma sono anche convinto (cominciamo a vedere le ragioni profonde della Posizione biblica) che la Chiesa cattolica e quelle ortodosse, difendendo la loro fede e il loro concetto di sacerdozio, difendono in realtà sia gli uomini che le donne nella loro totalità, nella loro distinzione irreversibile in maschile e femminile; dunque nella loro irriducibilità a semplice funzione, ruolo".

"Del resto - continua - vale anche qui quanto non mi stanco di ripetere: per la Chiesa, il linguaggio della natura (nel nostro caso: due sessi complementari tra loro e insieme ben distinti) è anche il linguaggio della morale (uomo e donna chiamati a destini egualmente nobili, entrambi eterni, ma insieme diversi). È in nome della natura - si sa che di questo concetto diffida invece la tradizione protestante e, al suo seguito, quella dell'illuminismo - che la Chiesa alza la voce contro la tentazione di precostituire le persone e il loro destino secondo meri progetti umani, di togliere loro l'individualità e, con questa, la dignità. Rispettare la biologia è rispettare Dio stesso, quindi salvaguardare le sue creature".

Frutto anch'esso, per Ratzinger "dell'Occidente opulento e del suo establishment intellettuale", il femminismo radicale "annuncia una liberazione, cioè una salvezza, diversa se non opposta a quella cristiana". Ma ammonisce: "Tocca agli uomini e soprattutto alle donne che sperimentano i frutti di questa presunta salvezza post-cristiana interrogarsi realisticamente se questa sta davvero significando un aumento di felicità, un maggior equilibrio, una sintesi vitale, più ricca di quella abbandonata perché giudicata superata".

Dunque, dico, a suo avviso le apparenze ingannerebbero: più che beneficate, le donne sarebbero vittime della " rivoluzione " in corso.

"Sì - ripete -, è la donna che paga di più. Maternità e verginità (i due valori altissimi in cui realizzava la sua vocazione più profonda) sono diventati valori opposti a quelli dominanti. La donna, creatrice per eccellenza dando la vita, non " produce " però in quel senso tecnico che è il solo valorizzato da una società più maschile che mai nel suo culto dell'efficienza. La si convince che si vuole " liberarla ", " emanciparla ", inducendola a mascolinizzarsi e rendendola così omogenea alla cultura della produzione, facendola rientrare sotto il controllo della società maschile dei tecnici, dei venditori, dei politici che cercano profitto e potere, tutto organizzando, tutto vendendo, tutto strumentalizzando per i loro fini. Affermando che lo specifico sessuale è in realtà secondario (e, dunque, negando il corpo stesso come incarnazione dello Spirito in un essere sessuato), la donna è derubata non solo della maternità, ma anche della libera scelta della verginità: eppure, come l'uomo non può procreare, così non può essere vergine se non " imitando " la donna. La quale, anche per questa via, aveva per l'altra parte dell'umanità valore altissimo di " segno ", di "esempio"".

Femminismo in convento

Che ne è, chiedo, di quel mondo ricchissimo e complesso (spesso un po' impenetrabile agli occhi di un uomo, soprattutto se laico), il mondo delle religiose cioè: suore, monache, consacrate di ogni tipo?

"Certa mentalità femminista - risponde - è entrata anche nelle comunità religiose femminili. Questo ingresso è particolarmente vistoso, persino nelle sue forme più estreme, nel continente nordamericano. Hanno resistito piuttosto bene, invece, le claustrali, gli ordini contemplativi, perché più al riparo dallo Zeitgeist, lo spirito del tempo, e perché caratterizzati da uno scopo preciso e non modificabile: la lode a Dio, la preghiera, la verginità e la separazione dal mondo come segno escatologico. In grave crisi, invece, ordini e congregazioni di vita attiva: la scoperta della professionalità, il concetto di "assistenza sociale" che ha sostituito quello di " carità ", l'adeguamento spesso indiscriminato e magari entusiastico ai valori nuovi e sino ad allora sconosciuti della moderna società secolare, l'ingresso, qualche volta senza alcun filtro, di psicologie e psicoanalisi di ogni scuola nei conventi: tutto questo ha portato a laceranti problemi di identità e alla caduta di motivazioni sufficienti a giustificare presso molte donne la vita religiosa. Visitando in Sudamerica una libreria cattolica, ho notato che là (e non solo là!) i trattati spirituali di un tempo erano ormai sostituiti da manuali divulgativi di psicoanalisi, la teologia aveva fatto posto alla psicologia, magari la più corrente. Quasi irresistibile, poi, il fascino per ciò che è orientale o presunto tale: in molte case religiose (maschili e femminili) la croce ha talvolta lasciato il posto a simboli della tradizione religiosa asiatica. Sparite anche in diversi luoghi le devozioni di un tempo per far posto a tecniche yoga o zen".

E' stato osservato come molti religiosi abbiano cercato di risolvere la crisi di identità proiettandosi all'esterno - secondo la ben nota dinamica maschile -, cercando dunque "liberazione" nella società, nella politica. Molte religiose, invece, sembrano essersi proiettate all'interno (seguendo anche qui una dialettica legata al sesso), inseguendo quella stessa "liberazione" nella psicologia del profondo.

"Sì - dice -, ci si è rivolti con grande fiducia a quei confessori profani, a quegli " esperti dell'anima " che sarebbero psicologi e psicoanalisti. Ma costoro possono al massimo dire come funzionano le forze dello spirito, non possono dire perché, a che scopo. Ora, la crisi di molte suore, di molte religiose era determinata proprio dal fatto che il loro spirito sembrava lavorare nel vuoto, senza più una direzione riconoscibile. Proprio da questo lavorìo di analisi è risultato chiaro che l' "anima" non si spiega da se stessa, che ha bisogno di un punto di riferimento al di fuori. È stata quasi una conferma "scientifica" della appassionata constatazione di sant'Agostino: "Ci hai fatti per te Signore e il nostro cuore è inquieto sino a quando in Te non riposi". Questo andar cercando e sperimentando, spesso affidandosi a "esperti" improvvisati, ha significato pesi umani insondabili, comunque altissimi, per le religiose: sia per quelle che sono rimaste che per quelle che hanno lasciato".

Un futuro senza suore?

C'è un rapporto aggiornato e minuzioso sulle religiose del Ouébec, la provincia-stato del Canada che parla francese. Un caso esemplare, quello québécois: si tratta infatti della sola zona del Nord America che sin dagli inizi sia stata colonizzata ed evangelizzata da cattolici, che vi avevano costruito un regime di chrétienté gestito da una Chiesa onnipresente. In effetti, ancora vent'anni fa, all'inizio degli anni Sessanta, il Québec era la regione del mondo con il più alto numero di religiose rispetto agli abitanti, che sono in tutto sei milioni. Tra il 1961 e il 1981 per uscite, morti, arresto del reclutamento, le religiose si sono ridotte da 46.933 a 26.294. Una caduta, dunque, del 44 per cento e che sembra inarrestabile. Le nuove vocazioni, infatti, si sono ridotte nello stesso periodo di ben il 98,5 per cento. Risulta poi che buona parte di quell'1,5 superstite è costituito non da giovani ma da " vocazioni tardive ". Tanto che, con una semplice proiezione, tutti i sociologi concordano in una conclusione cruda ma oggettiva: "Tra poco (a meno di rovesciamenti di tendenza del tutto improbabili almeno a viste umane), la vita religiosa femminile così come l'abbiamo conosciuta non sarà in Canada che un ricordo".

Sono gli stessi sociologi che hanno preparato il rapporto che ricordano come in questi vent'anni tutte le comunità abbiano proceduto a ogni sorta di riforma immaginabile: abbandono dell'abito religioso, stipendio individuale, lauree nelle università laiche, inserimento nelle professioni secolari, assistenza massiccia di ogni tipo di " specialisti ". Eppure, le suore hanno continuato a uscire, le nuove non sono arrivate, quelle rimaste - età media attorno ai sessant'anni - spesso non sembrano avere risolto i problemi di identità e in qualche caso dichiarano di attendere rassegnate l'estinzione delle loro congregazioni.

L'aggiornamento, anche il più coraggioso, era certo necessario, ma non sembra avere funzionato, proprio in quell'America del Nord cui in particolare si riferisce Ratzinger. Forse perché, dimenticando l'ammonimento evangelico, si è cercato di mettere "vino nuovo" in "otri vecchi", in comunità cioè nate in altri climi spirituali, figlie di una Societas christiana che non è più la nostra? Dunque, la fine di una vita religiosa non significa la fine della vita religiosa che si incarnerà in forme nuove, adeguate ai nostri tempi?

Il Prefetto non lo esclude di certo, anche se il caso esemplare del Québec conferma che gli ordini in apparenza più opposti alla mentalità attuale e più refrattari alle modifiche, quelli di contemplative, di claustrali "hanno al massimo registrato qualche problema ma non hanno conosciuto una vera crisi", per stare alle parole dei sociologi stessi.

Comunque sia, per il Cardinale, "se è la donna che paga lo scotto maggiore alla nuova società e ai suoi valori, tra tutte le donne le suore erano le più esposte". Ritornando ancora a quanto già accennato, osserva che "l'uomo, anche il religioso, malgrado i problemi che sappiamo, ha potuto cercare un rimedio alla crisi gettandosi sul lavoro, tentando di ritrovare il suo ruolo nell'attività. Ma la donna, quando i ruoli inscritti nella sua stessa biologia sono stati negati e magari irrisi? Quando la sua meravigliosa capacità di dare amore, aiuto, Sollievo, calore, solidarietà è stata sostituita dalla mentalità economicistica e sindacale della "professione", questa tipica preoccupazione maschile? Che può fare la donna, quando tutto ciò che più è suo è spazzato via e giudicato irrilevante o deviante?".

Continua: "L'attivismo, il voler fare comunque cose "produttive", "rilevanti" è la tentazione costante dell'uomo, anche del religioso. Ed è proprio questo orientamento che domina nelle ecclesiologie (ne parlavamo) che presentano la Chiesa come un "popolo di Dio" indaffarato, impegnato a tradurre il vangelo di un programma di azione che consegua dei "risultati" sociali, politici, culturali. Ma non è un caso se la Chiesa è nome di genere femminile. In essa, infatti, vive il mistero della maternità, della gratuità, della contemplazione, della bellezza, dei valori insomma che sembrano inutili agli occhi del mondo profano. Senza magari essere pienamente cosciente delle ragioni, la religiosa avverte il disagio profondo di vivere in una Chiesa dove il cristianesimo è ridotto a ideologia del fare, secondo quell'ecclesiologia duramente maschilista e che pure è presentata - e magari creduta - come più vicina anche alle donne e alle loro esigenze "moderne".

E invece un progetto di Chiesa dove non c'è più posto per l'esperienza mistica, questa vetta della vita religiosa che non a caso è stata tra le glorie e le ricchezze offerte a tutti, con millenaria costanza e abbondanza, più da donne che da uomini. Quelle donne straordinarie che la Chiesa ha proclamato sue " sante " e talvolta suoi " dottori ", non esitando a proporle come esempio a tutti i cristiani. Un esempio che oggi è forse di particolare attualità".

Un rimedio: Maria

Alla crisi dell'idea stessa di Chiesa, alla crisi della morale, alla crisi della donna, il Prefetto ha da proporre, tra gli altri, un rimedio che, dice, "ha mostrato concretamente la sua efficacia lungo tutti i secoli cristiani. Un rimedio il cui prestigio sembra oggi essersi oscurato presso alcuni cattolici, ma che è più che mai attuale". E il rimedio che indica con un nome breve: Maria.

Ratzinger è ben cosciente che qui - forse più che altrove - c'è difficoltà da parte di certi settori di credenti a recuperare in pieno un aspetto del cristianesimo come la mariologia, che pure è stato ribadito dal Vaticano II come culmine della Costituzione dogmatica sulla Chiesa. "Inserendo il mistero di Maria nel mistero della Chiesa - dice - il Vaticano Il ha compiuto una scelta significativa che avrebbe dovuto ridare nuova lena alle indagini teologiche; le quali, invece, nel primo periodo postconciliare hanno registrato per questo aspetto una brusca caduta. Quasi un collasso, anche se ora appaiono segni di ripresa".

Commemorando, nel 1968, il 18° anniversario della proclamazione del dogma dell'assunzione di Maria in corpo e anima alla gloria celeste, l'allora professor Ratzinger già osservava: "L'orientamento, in pochi anni, è talmente mutato che oggi ci riesce difficile capire l'entusiasmo e la gioia che allora regnarono nella Chiesa. Oggi si cerca magari di eludere quel dogma che tanto ci aveva esaltati, ci si domanda se questa verità dell'Assunta - come tutte le altre verità cattoliche su Maria - non procuri difficoltà con i fratelli protestanti. Quasi che la mariologia fosse una pietra che ostacola il cammino verso la riunione. E ci domandiamo anche se, attribuendo il posto tradizionale a Maria, non si minacci addirittura l'orientamento della pietà cristiana, deviandola dal guardare solo a Dio Padre e all'unico mediatore, Gesù Cristo".

Eppure, mi dirà durante il colloquio, "se sempre il posto occupato dalla Madonna è stato essenziale all'equilibrio della fede, oggi ritrovare quel posto è urgente come in poche altre epoche della storia della Chiesa".

La testimonianza di Ratzinger è anche umanamente importante, essendo raggiunta attraverso un cammino personale di riscoperta, di successivo approfondimento, quasi di piena "conversione " al mistero mariano. Mi confida infatti: "Quando ero un giovane teologo, prima del Concilio, avevo qualche riserva su certe antiche formule, come ad esempio quella famosa de Maria numquam satis, "su Maria non si dirà mai abbastanza". Mi sembrava esagerata. Mi riusciva poi difficile capire il senso vero di un'altra famosa espressione (ripetuta nella Chiesa sin dai primi secoli quando - dopo una disputa memorabile - il Concilio di Efeso del 431 aveva proclamato Maria Theotókos, Madre di Dio), l'espressione, cioè, che vuole la Vergine "nemica di tutte le eresie". Ora - in questo confuso periodo dove davvero ogni tipo di deviazione ereticale sembra premere alle porte della fede autentica - ora comprendo che non si trattava di esagerazioni di devoti ma di verità oggi più che mai valide".

"Sì - continua - bisogna tornare a Maria se vogliamo tornare a quella "verità su Gesù Cristo, sulla Chiesa, sull'uomo" che Giovanni Paolo II proponeva come programma alla cristianità intera, presiedendo nel 1979 a Puebla la Conferenza dell'Episcopato latino-americano. I vescovi replicavano all'invito del Pontefice proponendo nei documenti finali (quelli stessi che sono stati letti da alcuni in modi incompleti) l'auspicio unanime di tutti i vescovi: " Maria deve essere più che mai la pedagogia per annunciare il vangelo agli uomini d'oggi ". Proprio in quel Sud America dove la tradizionale pietà mariana del popolo declina, il vuoto è riempito da ideologie politiche. È un fenomeno che si riscontra un po' dovunque, a conferma dell'importanza di quella che non è solo una devozione".

Sei motivi per non dimenticarla

Sei sono i punti nei quali - pur in modo assai sintetico e dunque necessariamente incompleto il Cardinale vede riassunta la funzione della Vergine di equilibrio e di completezza per la fede cattolica. Sentiamo.

Primo punto: "Riconoscere a Maria il posto che il dogma e la tradizione le assegnano significa stare saldamente radicati nella cristologia autentica. (Vaticano II: " La Chiesa, pensando a lei con pietà filiale e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, con venerazione penetra più profondamente nell'altissimo mistero dell'Incarnazione e si va sempre più conformando con il suo Sposo ", Lumen Gentium n. 65). È del resto al servizio diretto della fede nel Cristo - non dunque, innanzitutto, per devozione alla Madre - che la Chiesa ha proclamato i suoi dogmi mariani: prima la verginità perpetua e la maternità divina e poi, dopo una lunga maturazione e riflessione, il concepimento senza la macchia del peccato originale e l'assunzione al cielo. Questi dogmi mettono al riparo la fede autentica nel Cristo, come vero Dio e vero uomo: due nature in una sola Persona. Mettono al riparo anche l'indispensabile tensione escatologica, indicando in Maria assunta il destino immortale che tutti ci attende. E mettono al riparo pure la fede, oggi minacciata, in Dio creatore che (è tra l'altro uno dei significati della più che mai incompresa verità sulla verginità perpetua di Maria) può liberamente intervenire anche sulla materia. Insomma, come ricorda ancora il Concilio: " Maria, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede" (Lumen Gentium n. 65)".

A questo primo punto, Ratzinger ne fa seguire un secondo: "La mariologia della Chiesa suppone il giusto rapporto, la necessaria integrazione tra Bibbia e Tradizione. I quattro dogmi mariani hanno la loro base indispensabile nella Scrittura. Ma qui vi è come un germe che cresce e dà frutto nella vita calda della Tradizione così come si esprime nella liturgia, nell'intuizione del popolo credente, nella riflessione della teologia guidata dal Magistero".

Terzo punto: "Nella sua persona stessa di fanciulla ebrea divenuta madre del Messia, Maria lega insieme in modo vitale e inestricabile antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo, Sinagoga e Chiesa. E' come il punto di giunzione senza il quale la fede (come oggi succede) rischia di sbilanciarsi o sull'Antico Testamento o soltanto sul Nuovo. In lei possiamo invece vivere la sintesi della Scrittura intera".

Quarto punto: "La corretta devozione mariana garantisce alla fede la convivenza dell'indispensabile " ragione " con le altrettanto indispensabili " ragioni del cuore ", come direbbe Pascal. Per la Chiesa l'uomo non è solo ragione né solo sentimento, è l'unione di queste due dimensioni. La testa deve riflettere con lucidità ma il cuore deve essere riscaldato: la devozione a Maria ("esente da qualunque falsa esagerazione ma anche da una grettezza di mente che non consideri la singolare dignità della Madre di Dio ", come raccomanda il Concilio) assicura alla fede la sua dimensione umana completa".

Continuando nella sua sintesi, Ratzinger indica un quinto punto: "Per usare le espressioni stesse del Vaticano II, Maria è " figura ", " immagine ", " modello " della Chiesa. Allora, guardando a lei, la Chiesa è messa al riparo da quel modello maschilista di cui parlavo che la vede come strumento di un programma d'azione socio-politico. In Maria, sua figura e modello, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre, non può degenerare in una involuzione che la trasformi in un partito, in un'organizzazione, in un gruppo di pressione a servizio di interessi umani, anche se nobilissimi. Se in certe teologie ed ecclesiologie Maria non trova più posto, la ragione è semplice: hanno ridotto la fede ad una astrazione. E un'astrazione non ha bisogno di una Madre".

Sesto e ultimo punto di questa sintesi: "Con il suo destino, che è insieme di Vergine e di Madre, Maria continua a proiettare luce su ciò che il Creatore ha inteso per la donna di ogni tempo, il nostro compreso. Anzi, forse soprattutto il nostro, dove come sappiamo - è minacciata l'essenza stessa della femminilità. La sua Verginità e la sua Maternità radicano il mistero della donna in un destino altissimo da cui non può essere scardinata. Maria è l'intrepida annunciatrice del Magnificat; ma è anche colei che rende fecondi il silenzio e il nascondimento. È colei che non teme di stare sotto la croce, che è presente alla nascita della Chiesa; ma è anche colei che, come sottolinea più volte l'evangelista, " serba e medita nel suo cuore " ciò che le avviene attorno. Creatura del coraggio e dell'obbedienza è (ancora e sempre) un esempio al quale ogni cristiano - uomo e donna - può, deve guardare".

Fatima e dintorni

A una delle quattro sezioni della Congregazione per la fede (la sezione detta "disciplinare") spetta il giudizio sulle apparizioni mariane.

Gli chiedo: "Cardinal Ratzinger, lei ha letto il cosiddetto " terzo segreto di Fatima ", quello fatto pervenire a Giovanni XXIII da suor Lucia, la sola superstite del gruppo dei veggenti, e che il Papa, dopo averlo esaminato, consegnò al suo predecessore cardinal Ottaviani, ordinandogli di depositarlo negli archivi del Sant'Uffizio?".

La risposta è ìmmediata, secca: "Sì, l'ho letto".

"Circolano nel mondo - continuo - versioni mai smentite che descrivono i contenuti di quel " segreto " come inquietanti, apocalittici, annunciatori di terribili sofferenze. Giovanni Paolo II stesso, nella sua visita pastorale in Germania, è sembrato confermare (seppure con prudentì perifrasi, privatamente, con un gruppo di invitati qualificati) i contenuti non certo confortanti di quel testo. Prima di lui Paolo VI, nel suo pellegrinaggio a Fatima, pare avere accennato anch'egli ai temi apocalittici del " segreto -. Perché non si è mai deciso di renderlo pubblico, anche per evitare supposizioni azzardate?".

"Se finora non si è presa questa decisione - risponde - non è perché i Papi vogliano nascondere qualcosa di terribile".

Dunque, insisto, " qualcosa di terribile " c'è, in quel manoscritto di suor Lucia?

"Se anche ci fosse - replica, evitando di spingersi troppo oltre -, ebbene, questo non farebbe che confermare la parte già nota del messaggio di Fatima. Da quel luogo è stato lanciato un segnale severo, che va contro la faciloneria imperante, un richiamo alla serietà della vita e della storia, ai pericoli che incombono sull'umanità. È quanto Gesù stesso ricorda assai spesso, non temendo di dire: " Se non vi convertite, tutti perirete " (Lc 13,3). La conversione - e Fatima lo ricorda in pieno - è un'esigenza perenne della vita cristiana. Dovremmo già saperlo da tutta quanta la Scrittura".


Dunque, niente pubblicazione, almeno per ora?

"Il Santo Padre giudica che non aggiungerebbe nulla a quanto un cristiano deve sapere dalla Rivelazione e, anche, dalle apparizioni mariane approvate dalla Chiesa nei loro contenuti noti, che non fanno che riconfermare l'urgenza di penitenza, di conversione, di perdono, di digiuno. Pubblicare il " terzo segreto " significherebbe anche esporsi al pericolo di utilizzazioni sensazionaliste del contenuto".

Forse anche implicazioni politiche, azzardo, visto che a quanto pare anche qui - come nei due altri " segreti " - la Russia è menzionata?

A questo punto, però, il cardinale si dice indisponibile a spingersi oltre, rifiuta con fermezza di entrare in altri particolari. D'altro canto, mentre si svolgeva il nostro colloquio, da poco il Papa aveva proceduto a riconsacrare il mondo (con una menzione particolare all'Est europeo) al Cuore Immacolato di Maria, giusto secondo l'esortazione della Madonna di Fatima. Ed è lo stesso Giovanni Paolo II che, ferito dal suo attentatore un 13 maggio anniversario della prima apparìzione nella località portoghese - si recò a Fatima in pellegrinaggio di ringraziamento a Maria "la cui mano (dìsse) ha miracolosamente guidato il proiettile" e sembrando fare riferimento ai preannunci che, attraverso un gruppo dì bambini, erano stati trasmessi all'umanità e riguardavano anche la persona dei pontefici. Restando in tema, è ben noto che da anni, ormai, un villaggio della Jugoslavia, Medjugorie, è al centro dell'attenzione mondiale per il rinnovarsi di apparizioni che - vere o presunte che siano - hanno già richiamato milioni di pellegrini ma hanno provocato anche dolorose polemiche tra i francescani che reggono la parrocchia e il vescovo della diocesi locale. È prevedibile un intervento chiarificatore della Congregazione per la dottrina della fede, suprema istanza in materia, naturalmente con quell'approvazione del Papa indispensabile per ogni suo documento?

Risponde: "In questo campo, più che mai, la pazienza è un elemento fondamentale della politica della nostra Congregazione. Nessuna apparizione è indispensabile alla fede, la Rivelazione è terminata con Gesù Cristo, Egli stesso è la Rivelazione. Ma non possiamo certo impedire a Dio di parlare a questo nostro tempo, attraverso persone semplici e anche per mezzo di segni straordinari che denuncino l'insufficienza delle culture che ci dominano, marchiate di razionalismo e di positivismo. Le apparizioni che la Chiesa ha approvato ufficialmente - innanzitutto Lourdes e ancora Fatima - hanno un loro posto preciso nello sviluppo della vita della Chiesa nell'ultimo secolo. Mostrano tra l'altro che la Rivelazione - pur essendo unica, conchiusa e dunque non superabile - non è cosa morta, è viva e vitale. Del resto - al di là di Medjugorje, sul quale non posso esprimere alcun giudizio, il caso essendo ancora sotto esame da parte della Congregazione - uno dei segni del nostro tempo è che le segnalazioni di " apparizioni " mariane si stanno moltiplicando nel mondo. Anche dall'Africa, ad esempio e da altri continenti, giungono rapporti alla nostra sezione competente".

Ma, chiedo, oltre all'elemento tradizionale della pazienza e della prudenza, a quali criteri si appoggia la Congregazione per un giudizio, davanti al moltiplicarsi di questi fatti?

"Uno dei nostri criteri - dice - è separare l'aspetto della vera o presunta "soprannaturalità" dell'apparizione da quello dei suoi frutti spirituali. 1 pellegrinaggi della cristianità antica si dirigevano verso luoghi a proposito dei quali il nostro spirito critico di moderni sarebbe talvolta perplesso quanto alla "verità scientifica" della tradizione che vi è legata. Ciò non toglie che quei pellegrinaggi fossero fruttuosi, benefici, importanti per la vita del popolo cristiano. Il problema non è tanto quello della ipercritica moderna (che finisce poi, tra l'altro, in una forma di nuova credulità) ma è quello della valutazione della vitalità e dell'ortodossia della vita religiosa che si sviluppa attorno a questi luoghi".

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