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J.Ratzinger, Benedetto XVI, spiega il Concilio Vaticano II

Ultimo Aggiornamento: 19/09/2009 08:28
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19/09/2009 08:00

Per una corretta interpretazione del Concilio Vaticano II...è un pò lungo ma credetemi, ne vale la pena.....

Consigliamo la lettura di questi altri Trhend: Il Concilio Vaticano II e la sua corretta interpretazione

Il Concilio non fu una rottura con la precedente tradizione (Monumentale discorso alla curia romana, 22 dicembre 2005) 

Le discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X
Per una corretta interpretazione del Concilio Vaticano II

L'Arcivescovo Marchetto presenta a Roma un libro sul tema



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 20 giugno 2005 (ZENIT.org).- L'arcivescovo
Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per
i Migranti e gli Itineranti, ha scritto un libro sul Concilio Vaticano II
che vuole presentare la visione corretta dal punto di vista del Vaticano del
grande concilio che ha segnato un cambiamento all'interno della Chiesa.


"Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia", edito
dalla Libreria Editrice Vaticana, vuole superare "i gravi condizionamenti
prodotti da una visione ideologica che si è imposta monopolisticamente sul
mercato delle pubblicazioni".


"La mia è una storia della storiografia del Concilio, specialmente quanto si
è scritto dal 1990 fino a oggi", ha detto il prelato a ZENIT.


L'Arcivescovo ha aggiunto che la sua è "una interpretazione che vuole essere
un contrappunto per mettere in armonia alcuni aspetti che non sono corretti,
come la contrapposizione che alcuni autori hanno fatto tra Giovanni XXIII e
Paolo VI".


Agostino Marchetto è nato a Vicenza nel 1940 ed è diplomatico di carriera.


Il libro critica ampiamente alcuni libri sui concili e soprattutto sul
Concilio Vaticano II. Tra questi, le opere pubblicate da Giuseppe Alberigo,
del Gruppo di Bologna, che secondo monsignor Marchetto parte da punti di
vista sbagliati come "lo spostamento del baricentro conciliare dall'
Assemblea alle Commissione e ai diari personali, alla tendenza a considerare
nuovi schemi che tali non sono, al giudizio di acefalia dell'assemblea
conciliare e alla visione di parte circa la libertà religiosa".


Parole di apprezzamento vengono invece riservate al nuovo Centro di Ricerche
sul Concilio Vaticano II, alla Pontificia Università Lateranense e all'
Istituto Paolo VI.


Agostino Marchetto non vuole etichettare come "rottura o rivoluzione" il
Concilio Vaticano II, che definisce un "aggiornamento" in linea con la fede
di sempre.


Alla presentazione del libro, nel Campidoglio di Roma, hanno partecipato il
cardinale Camillo Ruini, Vicario di Roma, il Senatore a vita Francesco
Cossiga, il professore e storico Andrea Riccardi, fondatore della comunità
di "Sant'Egidio", insieme a monsignor Walter Brandmüller, Presidente del
Pontificio Comitato di Scienze Storiche.


Arcivescovo Marchetto: il Concilio Vaticano II non ha segnato "il nascere di
una nuova Chiesa"
In un libro di recente pubblicazione
ROMA, martedì, 12 luglio 2005 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo Agostino
Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli
Itineranti mostra in un libro appena pubblicato le distorsioni
storiografiche esistenti nell'interpretazione del Concilio Vaticano II,
considerato come uno degli eventi più rilevanti nella storia della Chiesa
cattolica.


Nel presentare il volume "Concilio Vaticano II contrappunto per la sua
storia" (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2005, pp. 410, Euro
35,00), il 17 giugno a Roma, il Cardinale Camillo Ruini, Presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, ha detto: "A quarant'anni dalla sua
chiusura, il Concilio Vaticano II è ancora in attesa di una sua storia non
di parte ma di verità".


Marchetto definisce "scentrata" "squilibrata" e "ideologica" l'analisi del
Concilio Vaticano II fatta da alcune scuole di storici. In questa intervista
concessa a ZENIT ne spiega i motivi.


Discontinuità nella storia della Chiesa, Curia conservatrice contro teologi
progressisti, tradizione contro rinnovamento, Paolo VI che tradisce Giovanni
XXIII, questa, secondo la lettura degli eventi fatta dal professor Giuseppe
Alberigo e dai suoi collaboratori, la storia del Concilio Vaticano II. Qual
è la sua opinione in proposito?


Monsignor Marchetto: Chi legge il mio libro si renderà conto che, pur
cercando di situarmi, nell'interpretazione storica del Concilio Ecumenico
Vaticano II, tenendo conto della cornice delle "tendenze" storiografiche
generali, conservo la mia visione specifica di quello che la Chiesa
Cattolica è, anche storicamente. Vedo dunque il Vaticano II in continuità
con tutti i Concili Ecumenici, non come una stella cometa, ma facente parte
di una costellazione, pur avendo alcune sue caratteristiche. Non vi è dunque
in esso cesura, rottura, quasi il nascere di una nuova Chiesa.


E' del resto, questo, il pensiero di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di
Giovanni Paolo II e anche di Benedetto XVI, per limitarci ai Papi. Anche l'
opposizione "Curia conservatrice" e "teologi progressisti", è una
semplificazione, perché all'interno della Curia vi erano sensibilità e
tendenze non monolitiche. Un esempio? Fu il Cardinale Cicognani a sbloccare
la situazione cementata del primo schema sulla Chiesa, dando luce verde al
Cardinale Suenens (quindi a Monsignor Philips) per una stesura rinnovata,
non tutta nuova però, poiché, a detta sua, il 60% del primitivo schema
rimase nel secondo.


La contrapposizione, poi, fra Giovanni XXIII e Paolo VI, con un "concilio di
Giovanni", fino all'intersezione 1963-64, e uno di Paolo VI - che per l'
Alberigo inizierebbe nel dicembre 1963 - non ha fondamento ed è opinione del
resto non solo mia ma anche del noto Prof. Aubert. Per lui pure vi è
continuità nella linea conciliare dei due Papi del Concilio. Altri esempi
non mancano, ma la mia risposta è già lunga.


Secondo Alberigo e i suoi collaboratori (cfr. "Storia del concilio Vaticano
II", diretta da G. Alberigo, edizione italiana a cura di A. Melloni,
Bologna, Il mulino - Leuven, Peeters, 1995-2001) il "vero" Concilio Vaticano
II fu quello di Papa Giovanni XXIII, ritenuto "innovatore" e "progressista".
In questo contesto sarebbe stato centrale il lavoro svolto da Giuseppe
Dossetti. Ma il beato Giovanni XXIII può essere definito come un
progressista? E Dossetti ebbe veramente un ruolo così rilevante?


Monsignor Marchetto: Richiamo, per Papa Giovanni, oltre che il mio, il
pensiero di Monsignor Loris Capovilla, per tanti anni suo Segretario, e che
cito nel volume. Egli ha affermato che la sintesi del pontificato giovanneo
si trova nel binomio "fedeltà e rinnovamento", che certo non significa
"progressismo". Papa Giovanni - continua il Monsignore nostro - non aveva
smanie di innovazione, ma sapeva che la sola "fedeltà" avrebbe ridotto la
Chiesa a museo, mentre il solo rinnovamento l'avrebbe condotta all'anarchia.
Cercò dunque d'ispirare il concilio fra questi due principi. Per Dossetti
premetto che non mi riferisco qui all'uomo politico, né al monaco
spirituale, ma a chi criticò, per esempio, lo stesso Philips per il suo
sforzo di conciliazione fra le due correnti esistenti in Concilio, quella
con più sensibilità per la Tradizione e quella per il rinnovamento,
tradizionale o innovativo, cioè, di conservazione o di progresso - se si può
dire così. Era in fondo, quella del Philips, la linea scelta in Concilio di
conservare gli schemi preparatori (conciliari) come base di lavoro.
Diceva Philips: "non si tratta di fare trionfare le nostre idee personali,
ma di arrivare a un consenso su ciò che la Chiesa intera può oggi accettare
come espressione della sua fede comune, senza accettare compromessi sui
principi di fondo". Però all'interno di quei due "schieramenti",
legittimamente coesistenti nella Chiesa Cattolica e in Concilio, vi furono
degli estremismi. Così ci fu poi il tradizionalismo post-conciliare di
Lefebvre e l'estremismo della "scuola di Bologna" e di chi con essa sta.
Invece il Concilio cercò - ripeto - il consenso e fu la grande opera di Papa
Paolo VI, di questo martire del Concilio, come lo definì il Cardinale König.
Questa grande opera fu ostacolata dal Dossetti fino a dire, il Pontefice,
che quello di quasi "Segretario" dei Moderatori non era il suo posto.
In effetti nessuno lo aveva nominato, né si poteva stabilire una
contrapposizione fra lui e il Segretario Generale del Concilio, Mons.
Pericle Felici. In definitiva, ma rimando, meglio, alla lettura del mio
volume, non credo che in Concilio sia stato centrale il ruolo svolto da
Dossetti e dall'incipiente "officina bolognese". Ne ho avuto conferma anche
dalla lettura del Diario di Padre Congar, che ampiamente analizzo nel mio
libro, presentando la sua opera in modo alquanto diverso da come appare nei
volumi diretti dall'Alberigo.


Secondo la "Storia del Concilio Vaticano II" scritta da Giuseppe Alberigo e
dai suoi collaboratori, il Pontefice Paolo VI avrebbe tradito la spinta
progressista che veniva dal Concilio, su due temi fondamentali: la
collegialità rispetto al Primato di Pietro, e l'illeicità dell'uso dei
contraccettivi. Può spiegarci quale fu il senso profondo del contendere, e
in che modo agì il Papa Paolo VI?


Monsignor Marchetto: Come ho già in parte detto, il senso profondo del
contendere era l'icona del Cattolicesimo, un Concilio ecumenico, con la sua
ricerca del consenso, di mettere insieme (in una parola si dice:
aggiornamento) le due anime del Cattolicesimo, la fedeltà alla Tradizione e
l'incarnazione in quello che io chiamo l'oggi di Dio. E fu pensiero che
accomunò Giovanni XXIII e Paolo VI, pur nella diversità delle loro
personalità. Nel volume più volte presento l'intenzione dell'uno e dell'
altro, in comunione, in concilio. Per me, in esso, Tradizione e rinnovamento
si sono alla fine abbracciati.
Per quanto riguarda i due temi da Lei citati, il primo, la collegialità, fu
piuttosto caratteristica ecclesiale del primo millennio, e venne
"riscoperta" - diciamo così - dal Vaticano II. Essa fu posta accanto, senza
contraddizione, al primato pontificio, esercitato personalmente, che si
sviluppò specialmente nel secondo millennio.
Pure qui la congiunzione "e" si rivela essere cattolica: collegialità e
primato, anche perché non si può parlare di collegialità in senso stretto
senza che vi sia, nel collegio, il suo capo, il Vescovo di Roma. Per quanto
riguardo l'uso dei contraccettivi, sdoganati da un giudizio etico del
Magistero, dirò soltanto che l'accusa dell'Alberigo di un "silenzio
conciliare" al riguardo (il Concilio restò "muto") non è fondata, come non è
giusto parlare - e lui lo fa - di un "trauma suscitato in tutto il mondo
cristiano dall'Enciclica Humanae Vitae".


Lei ha definito "scentrata" "squilibrata" e "ideologica" l'analisi del
Concilio Vaticano II fatta dal "gruppo di Bologna". Quali sono secondo lei i
più gravi errori di valutazione?


Monsignor Marchetto: Fin dall'inizio ho definito "ideologica" l'ermeneutica
che fa capo al "gruppo di Bologna". E dove v'è ideologia si trova mancanza
di equilibrio, estremismo, visione sfuocata, scentrata. Mi limito a
riprendere quanto scrivevo a proposito delle conclusioni dell'Alberigo al V
volume della sua storia, vale a dire: la già citata contrapposizione tra
Giovanni XXIII e Paolo VI, la questione della "modernità" (in che senso?
Cosa significa?) e passaggio indebito, da questa, all'"umanità", lo
spostamento del baricentro conciliare dall'Assemblea (e relativi Acta
Synodalia) alle Commissioni (e ai diari personali), la tendenza a
considerare come "nuovi" schemi che tali non furono, il giudizio di
"acefalia" dell'Assemblea conciliare, la visione di parte circa la libertà
religiosa.
V'è poi un'ispirazione riduttiva del Synodus Episcoporum, la disparità tra i
vari atti approvati, per cui il loro grado di elaborazione e di
corrispondenza alle linee di fondo del Vaticano II sarebbe vistosamente
diseguale (e chi giudica al riguardo? - ci chiediamo), la svalutazione dei
voti dei Padri conciliari, lo svilimento del Codice di diritto canonico, e
al contrario l'amore per la "legge stralcio".
E ancora, il richiamo costante alla "settimana nera" (che nera non fu), la
critica alla Nota Explicativa Praevia, la pretesa lunga attesa trascorsa
dalle decisioni conciliari alla loro attuazione, che avrebbe giustificato
"spontaneità tumultuose", la riforma della Curia romana "in un'ottica
ecclesiologica neo-accentratrice e pertanto incoerente proprio col Vaticano
II", la necessità di un nuovo suo criterio di interpretazione, la reiterata
difesa della canonizzazione conciliare di Papa Giovanni, la svalutazione dei
testi, rispetto all'evento, la critica alla loro edizione tipica e, per
interposta persona, agli Acta Synodalia curati da Monsignor Vincenzo
Carbone.


Lei sostiene che ci sono studi e analisi molto più argomentati ed
equilibrati che spiegano il senso e raccontano la storia del Concilio
Vaticano II. Ce li potrebbe illustrare?


Monsignor Marchetto: Più che illustrare posso citare le opere, per esempio,
del Cardinale Scheffczyk dal titolo: "La Chiesa. Aspetti della crisi
post-conciliare e corretta interpretazione del Vaticano II" della Jaca
Book - con presentazione all'edizione italiana di Joseph Ratzinger - e
quella di Monsignor Vincenzo Carbone, intitolata: "Il Concilio Vaticano II,
preparazione della Chiesa al Terzo Millennio" (quaderni de " L'Osservatore
Romano" n. 42). Il Prof. A. Zambarbieri ha edito, poi, nel 1995, un
volumetto su "I Concili del Vaticano" che per me è il migliore breve studio
storico specifico finora edito sul Magno Sinodo Vaticano.
Aggiungerei l'ultimo Acerbi, quello che appare, molto critico dell'Alberigo,
dalla raccolta degli "Atti degli Incontri svoltosi presso il Seminario
Vescovile di Bergamo 1998-2001" (a cura di Gianni Garzaniga), Ed. San Paolo.
Penso di non poter tralasciare, infine, la citazione di colui che è ora
asceso al Sommo Pontificato, in alcuni suoi ricordi conciliari, che mi
fecero invocare un suo impegno a offrircene altri, vista l'importanza degli
squarci che ci dava in "La mia vita. Ricordi (1927-1977)". Ma adesso non è
più possibile.


Quali sono in sostanza gli intenti del suo libro? E' forse giunto il tempo
per poter discutere in verità e carità del Concilio Vaticano II?


Monsignor Marchetto: Scrivevo nella prefazione alla mia opera: "L'intento è
di contribuire a giungere finalmente ad una storia del Vaticano II che vinca
i condizionamenti gravi - e si capisce quindi quel mio 'contrappunto' del
titolo - posti finora, a tale riguardo, da una visione da me definita
ideologica fin dall'inizio e che si impone monopolisticamente sul mercato
delle pubblicazioni". Se il mio duro impegno e il mio andare controcorrente
per anni è riuscito a rompere un monopolio e a creare sollievo e libertà di
ricerca agli storici, per studiare il Vaticano II in una dimensione più
ampia di come si è fatto finora, ne sono profondamente lieto.
Ad ogni modo il dialogo è importante pure fra storici e la mia storia della
storiografia, sul Vaticano II degli ultimi 15 anni (che è storia legittima,
come ben si sa), vorrebbe contribuirvi. Del resto il "contrappunto" è un
richiamo alla musica, all'armonia, a un superamento dell'unilateralità.
A questo riguardo il Cardinale Camillo Ruini, alla fine della sua
presentazione del mio volume, in Campidoglio, ha affermato: "L'
interpretazione del concilio come rottura e nuovo inizio sta venendo a
finire. E' un'interpretazione oggi debolissima e senza appiglio reale nel
corpo della Chiesa. E' tempo che la storiografia produca una nuova
ricostruzione del Vaticano II che sia anche, finalmente, una storia di
verità".


ARCIV. AGOSTINO MARCHETTO
IL CONCILIO VATICANO II:
CONSIDERAZIONI SU TENDENZE ERMENEUTICHE
DAL 1990 AD OGGI
La presente nota è il testo abbreviato di un più ampio studio,
che sarà prossimamente divulgato con i più importanti organi d'informazione.


"Non dovrò certo convincere nessuno dell'importanza e del valore dottrinale,
spirituale e pastorale del Concilio Vaticano II, tanto da potersi affermare
che esso è «icona» della Chiesa cattolica stessa, cioè di quello che
specialmente è il Cattolicesimo, costituzionalmente, Comunione cioè, anche
con il passato, con le origini, identità nell'evoluzione, fedeltà nel
rinnovamento.
L'immagine che viene alla mente, per illustrare il concetto, è quella
dell'albero frondoso e forte nato da umile seme, interrato duemila anni fa,
sepolto nelle tenebre - la morte redentrice di Cristo - ed esploso, in
perenne primavera, con la sua risurrezione. La vigna del Signore ha esteso
infatti le sue radici nel mondo intero e lo ricordiamo con gioia e
gratitudine in quest'anno del nostro Grande Giubileo.


PROBLEMATICA SOGGIACENTE ALLA PUBBLICAZIONE DEI DIARI


Alla «scoperta» e valorizzazione dei Diari (di cui qualcuno fece sistematica
ricerca e raccolta, in tempo «neutro», aiutato da compiacenti «amici») è
sottostante l'impegno di molti a togliere importanza ai documenti conciliari
stessi, per noi sintesi di Tradizione ed aggiornamento, per fare prevalere
una ricerca «mirata», che fin dall'inizio abbiamo definito ideologica, la
quale «punta» solo sugli aspetti innovativi emersi in Concilio, sulla
discontinuità, insomma, rispetto alla Tradizione.
Lo testimonia specialmente un volume, fondamentale a questo proposito, dal
titolo «L'evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano
II» - a cura di Maria Teresa Fattori e Alberto Melloni - (Il Mulino, Imola
1997) che considero chiaramente rivelatore di tale sottofondo ideologico
della odierna lettura conciliare di molti. Col puntare ermeneuticamente
sulla discontinuità, in fondo si sta recuperando, per la Chiesa, l'attuale
tendenza storiografica generale, la quale privilegia, nell'interpretazione
storica, l'«evento», la discontinuità appunto, il cambiamento, ovvero il
mutamento traumatico, e ciò in contrapposizione all'antecedente indirizzo
delle famose «Annales», che guardava piuttosto al periodo lungo. Esso
sottolineava la continuità storica (per Braudel la storia è «una scienza
sociale applicata che mette in luce strutture, sistemi, modelli perenni
anche se a prima vista invisibili»). E non ci si avvede, nella Chiesa, - o
non si vuol rendersene conto - che se per avvenimento si intende non tanto
un fatto degno di nota, ma una rottura, una novità assoluta, il nascere
quasi di un nuovo essere ecclesiale, «in casu», una «rivoluzione
copernicana», insomma il passaggio da un tipo di Cattolicesimo ad un
altro, - che ne perde però le caratteristiche inconfondibili - detta
prospettiva non potrà e dovrà essere accettata, almeno per quanto concerne
la Chiesa cattolica e per la storia che tenga conto della sua specificità.
Mi riferisco alla continuità della sua realtà pur misteriosa, da preservarsi
anche nella interpretazione dei suoi documenti.


A questo proposito, leggendo i contributi alla ricerca pubblicati nel citato
volume, si rimane veramente sorpresi per le critiche, in fondo radicali,
manifestate alla precedente ermeneutica conciliare di Jedin, Ratzinger e
Kasper (con le sue quattro regole ermeneutiche, considerate astratte, in
detta opera, e quindi tralasciate, anche per la sottolineatura della
peculiarietà, fra i Concili, del Vaticano II) e dello stesso Poulat. La
scelta ha il fine di portare avanti proprio l'«evento», inteso in modo
particolare, nella linea della ideologia sopra indicata. Non è difficile
rendersi conto, liberi da pregiudizi, che in tal modo quella che fu una
posizione estrema al Concilio Vaticano II, nella cosiddetta sua
maggioranza, - la definirei «oltranzista», (contraria - o non duttile - ad
una costante e fattiva ricerca del consenso, dell'abbraccio fra Tradizione e
rinnovamento) sempre più desiderosa di imporre il proprio punto di vista,
sorda ai richiami e all'opera di «cucitura» di Paolo VI - è riuscita, dopo
il Concilio, quasi a monopolizzarne finora la interpretazione, rigettando
ogni diverso procedere, che si vitupera magari di anticonciliare.
Indicativa, a questo proposito, potrebbe essere la lettura del volumetto «Il
Vaticano II. Frammenti di una riflessione» (Il Mulino, Bologna 1996) di
Giuseppe Dossetti, il famoso «segretario» dei Moderatori, per il quale Paolo
VI ebbe a dire: «quello (di «segretario») non è il suo posto». Comunque il
vero sottofondo, in tema di «evento», appare, nell'opera alla quale sopra mi
riferivo, nello studio di E. Fouilloux dal titolo «La categoria di evento
(«il suo ritorno», come attesta E. Morin) nella storiografia francese
recente» (dagli anni `50 circa). Non vi manca, giustamente, l'analisi pure
del legame stretto dell'esistenza storica dell'evento con la «
mediatizzazione » (scrive P. Nora: «perché ci sia evento, occorre che sia
conosciuto»). E «il Vaticano II risponde(rebbe) molto bene a questa
definizione mediatica dell'evento».


L'INTENZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI PAOLO VI


Ma ritorniamo al pensiero iniziale (caratteristico in Newman), quello che
considera la Chiesa, come ogni organismo vivente, in continua crescita,
all'interno e all'esterno, pur rimanendo se stessa. Orbene un tale sviluppo
implica, di certo, molteplici problemi, che riguardano la dottrina, il
culto, la morale, la disciplina e l'apostolato. In genere, alla loro
soluzione provvede il Magistero ordinario dei Pastori, e quello pontificio
in particolare, coadiuvati dai teologi, uniti a tutto il Popolo di Dio, in
comunione con i Pastori. A volte, peraltro, la complessità della materia o
la gravità delle circostanze storiche suggeriscono interventi straordinari,
i concili generali o ecumenici, per es., i quali promuovono, nella fedeltà
alla Tradizione, lo sviluppo dottrinale, le riforme, gli adattamenti
liturgici, l'aggiornamento disciplinare e le scelte apostoliche, in
considerazione altresì del tempo in cui si vive (i famosi «segni dei tempi»,
che non costituiscono però una nuova Rivelazione).


In questa prospettiva i Papi Giovanni e Paolo ebbero un medesimo sentire,
una stessa volontà: l'aggiornamento nella fedeltà. La dimostrazione l'ho
fornita anch'io in un articolo dal titolo: «Tradizione e rinnovamento si
sono abbracciati: il Concilio Vaticano II» («Rivista della Diocesi di
Vicenza» XC (1999) p. 1232-1245. L'articolo apparirà prossimamente altresì
in «Apollinaris».)
Citerò qui soltanto un passo, in cui Paolo VI attesta: «non sarebbe dunque
nel vero chi pensasse che il Concilio Vaticano II rappresenti un distacco,
una rottura o una liberazione dall'insegnamento della Chiesa, o autorizzi o
promuova un conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò che esso ha
di effimero e di negativo» ("Insegnamenti di Paolo VI" vol.IV, 1966, p.699)


SITUAZIONE NEGLI ULTIMI DIECI ANNI


Orbene, come stiamo su questo punto, tenendo conto degli ultimi 10 anni di
ermeneutica conciliare? Non bene, diciamo subito. Vi appare in effetti uno
squilibrio, una interpretazione quasi monocorde, non nel senso di un
abbraccio fra Tradizione e rinnovamento, che è caratteristica - dicevamo -
della Chiesa cattolica e dei suoi Concili. Di fatto quel «gruppo (di
studiosi) di Bologna», guidato dal Prof. G. Alberigo, è riuscito quasi a
monopolizzare ed imporre una interpretazione - secondo noi - «scentrata»,
grazie specialmente alla pubblicazione di una «Storia del Concilio Vaticano
II», edita da Peeters/Il Mulino, prevista in cinque volumi, di cui, in
lingua italiana, ne son usciti già quattro. Basti dire, per rilevarne la
portata di influsso e le possibilità finanziarie della «società» in parola -
nonché le sue alte protezioni-, che sono in cantiere già le traduzioni in
francese, inglese, spagnolo, tedesco e portoghese. Anzi alcuni tomi in dette
lingue son già apparsi.


La gravità della conseguente situazione, nell'ermeneutica conciliare, - dal
nostro punto di vista - potrà essere rilevata dalla lettura delle mie
presentazioni dei quattro volumi finora apparsi in Italia (V. «Apollinaris»
LXIX (1996) p. 305-317 e LXX (1997) p. 331-351 ed inoltre «L'Osservatore
Romano» del 28 Agosto 1998, p. 6, e del 31 Gennaio-1° Febbraio 2000, p. 10.
Queste due ultime Note saranno pure pubblicate prossimamente su
«Apollinaris»). Non posso qui evidentemente riprendere tutto il mio forte
discorso critico. Mi limito, quindi, ad illustrazione esemplificativa, a
trascrivere qualche paragrafo della presentazione del IV volume dell'opera,
indicativo peraltro del tutto apparso finora. Ivi scrivo: «Come già misi in
evidenza per i precedenti tomi, anche questo, ponderoso e dalla consueta
bella pagina e attenta presentazione, costituisce un notevolo sforzo
enciclopedico - sottolineo enciclopedico - per quanto riguarda il magno
Sinodo Vaticano... Continua (comunque) ad aleggiare sulla presente "Storia"
un elemento che definimmo "ideologico", fin da principio, e che traspare
anche da varie animosità ingiustificate e non scientifiche contro personaggi
della minoranza conciliare - in questo pure il presente volume è monocorde -
elemento che arriva in fondo a considerare come "vero" Concilio Vaticano II
quello di Papa Giovanni, ritenuto "innovatore" e "progressista" (e tale
"assemblea sinodale"è "spinta" fino a raggiungere la soglia del settembre
1964), piuttosto che l"altro" Concilio, di Paolo VI. Invece, il magno Sinodo
fu, è, uno ed indivisibile: il Vaticano II. Nella stessa linea di soggettiva
e non fondata interpretazione appare l'idea, sottostante all'ermeneutica
sinodale di cui il volume è un esempio chiarissimo, che detto concilio
emerge sì come "evento", ma in una visione storica di novità, di rottura con
il passato, e non di continuità e di rispetto alla Tradizione, pur nel
giusto suo "aggiornamento". Infine segnalo che, come in precedenza, ...
(appaiono) interpretazioni assai dure e di parte circa il ruolo di Mons.
Felici (Segretario del Concilio), per non parlare di altri, ...senza tener
conto della "mens" papale, la stessa che si rivelerà ancor più durante
(quel)la (che tuttora, purtroppo, è chiamata) "settimana nera" (del novembre
1964)» (« LOss. Rom.» del 31 Gennaio-1° Febbraio 2000, p. 10.)


Tale espressione in effetti, pur erronea e giornalistica, continua ad essere
usata, anche se per lo più tra virgolette, sebbene ormai è riconosciuto ...
che durante quel settimanale svolgersi conciliare il Sommo Pontefice prese
giuste decisioni, altamente positive nell'economia sinodale. Così egli fece
a partire dai suoi giudizi, quali appaiono nelle «Adnotationes (manu
scriptae Summi Pontificis Pauli VI)» già del 24/ IX/64, e cioè: «Lo schema
"De libertate religiosa" non pare sia ben preparato», e del successsivo
29/IX: «Per lo schema "De libertate religiosa (1)-occorre rifarlo
(2)-associando alla Commissione qualche altra persona competente,
specialmente in Teologia e Sociolo
gia» («Acta Synodalia», VI/3, p. 418.) . È un esempio!


PER UNA CORRETTA INTERPRETAZIONE


Non voglio terminare il mio dire senza informare il lettore di due recenti
avvenimenti positivi, che fanno bene sperare in un cambiamento di tono, in
generale, nella ermeneutica conciliare futura. Concludo in tal modo non
perché voglia rispettare a tutti i costi il detto «dulcis in fundo», ma
poiché ve n'è in verità ragione.
È nato, cioè, or non è molto, un nuovo, sia pur ancora fragile, «Centro e
Ricerche sul Concilio Vaticano II», presso la Pontificia Università
Lateranense. Esso ha già pubblicato il suo primo promettente Bollettino
semestrale (Anno 1, Numero 0, del Gennaio 2000) ed organizzato, nello stesso
mese, un interessante Convegno internazionale di studio su «L'Università del
Laterano e la preparazione del Concilio Vaticano II (V. "L'Oss. Rom." del 29
Gennaio 2000).


Ma ancor più «dolce» è stato per noi il Convegno internazionale
sull'«Attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II», svoltosi in Vaticano a
fine febbraio del 2000 e indetto per il Grande Giubileo del 2000. Vi abbiamo
trovato finalmente attenzione a tante nostre preoccupazioni ermeneutiche. In
attesa degli «Atti» basterà leggere il discorso pontificio pubblicato da «
L'Oss. Rom.» del 28-29 Febbraio, p. 6-7. Ne citerò soltanto un passo, il
seguente: «La Chiesa da sempre conosce le regole per una retta ermeneuticà
dei contenuti del dogma. Sono regole che si pongono all'interno del tessuto
di fede e non al di fuori di esso. Leggere il Concilio supponendo che esso
comporti una rottura col passato, mentre in realtà esso si pone nella linea
della fede di sempre, è decisamente fuorviante».
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