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Vaticano II, rottura o continuità?

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 17:03
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Vaticano II, rottura o continuità?



L'ermeneutica del Vaticano II

Convegno della «Revue thomiste» e l’Institut Catholique de Toulouse




Vaticano II: Rottura o continuità - le ermeneutiche presenti, questo il titolo scelto dai teologi dell’Ordine Domenicano di Tolosa per analizzare le problematiche ingenerate soprattutto da quella che ormai sembra aver preso il nome di “ermeneutica del Concilio”. L’ormai celebre discorso del Sommo Pontefice alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, fa scuola tra i teologi che cercano di ricondurlo ad un’attitudine pratica di analisi e di commento dei testi conciliari, visto il monito proveniente da tanta Cattedra.
Il convegno si è tenuto nelle giornate del 15 e 16 maggio nella sala Leone XIII dell’ “Institut Catholique de Toulouse”, alla presenza di alcuni dei nomi più noti del tomismo francese come il Padre Serge-Thomas Bonino o.p., direttore della “Revue Thomiste”, Padre François Daguet o.p., direttore dell’ “Ista”, Padre B.-D. de la Soujeole o.p., organizzatori dell’incontro e dell’ambiente teologico romano come Padre Charles Morerod o.p., decano della Facoltà di Filosofia dell’Angelico e Segretario della Commissione Teologica Internazionale, davanti ad un pubblico di un centinaio di persone, composto in larga parte da ecclesiastici. E’ stata notata la ridotta partecipazione delle comunità dipendenti dalla commissione “Ecclesia Dei”, solo due giovani sacerdoti della Fraternità San Pietro e due membri dell’Istituto del Buon Pastore rappresentavano il clero secolare “tradizionalista”, con un padre domenicano di Chéméré e alcuni monaci benedettini di Fontgombault, di Triors, di Randol e della nuova comunità italiana dei Benedettini dell’Immacolata. L’assenza dei membri della Fraternità S. Pio X è stata rilevata con dispiacere, da parte degli stessi organizzatori.

Questo Convegno segna una tappa di grande rilievo nello studio del Vaticano II e delle problematiche ad esso connesse, gli interventi, visti i contenuti e visto il prestigio dei relatori, resteranno di fondamentale importanza in quell’analisi che ormai si impone ai teologi su questa controversa pagina della storia della Chiesa; anche tenendo conto dei differenti punti di vista delle scuole teologiche o dei gruppi di pensiero, la lettura degli atti di questo Convegno diverrà irrinunciabile per chiunque voglia occuparsi del Concilio Vaticano II; tanto i fautori della continuità, quanto i fautori dell’ermeneutica della rottura, difficilmente potranno prescindere da queste analisi approfondite del problema anche se non necessariamente per condividerle.

Una larga parte degli interventi di queste giornate di studio si è concentrata sulla questione, teorica, dell’ermeneutica in generale e sul problema della sua applicazione al testo conciliare (Padre T. D. Humbrecht, Padre G. Narcisse, Prof. F.X. Putallaz); I Padri Domenicani, con sfumature diverse, hanno proposto un’ “ermeneutica della continuità” come soluzione alle derive nate dall’ermeneutica della rottura (ermeneutica di “rottura” in senso progressista o ermeneutica di “rottura” in senso tradizionalista con l’opposizione che ne scaturisce), i Padri hanno anche difeso il testo conciliare da tutti gli abusi fatti in suo nome, rivendicando un “ritorno alla verità del testo” e non alle intenzioni degli uni o degli altri, alle interpretazioni personali o agli effetti disastrosi del post-Concilio. Alcuni rari interventi sembravano tuttavia lasciare la porta aperta ad un abbandono del “fissismo conciliare”.

Eccezion fatta per alcuni cantilenanti e non sempre gradevoli ritornelli contro coloro che nel post-Concilio sollevarono vere obiezioni teologiche (sono corsi i nomi non solo di Mons. Lefebvre, ma anche della Scuola Romana), e eccezion fatta per un conferenza sui generis sulla liturgia ( che si è accontentata di sintetizzare, con scarso rigore storico-scientifico, gli argomenti del movimento liturgico degli anni cinquanta), dobbiamo rilevare che l’esame onesto e chiaro di certe difficoltà del testo del Vaticano II è stato tale da permettere di disegnare un quadro sereno dei dibattiti, che da circa cinquant’anni agitano il panorama della teologia post-conciliare e che finora avevano determinato soltanto un dialogo tra sordi, tra mille opposizioni di barricata.

A questo proposito ci permettiamo alcune considerazioni di cui ci assumiamo la paternità e che non vogliamo mettere sulla bocca dei relatori, benché a nostro avviso esse siano presenti, ma purtroppo solo implicitamente, come le conclusioni non dette di molti interventi. In effetti le premesse poste a Tolosa riguardano tanto la novità “sorprendente per la storia” di un Concilio che non condanna, quanto la sua “natura inabituale”, per citare lo storico Alberigo (cfr. l’introduzione di Padre Laffay e l’intervento del Prof. L. Perrin); gli studi hanno affrontato le complesse fasi di redazione dei documenti conciliari così come le influenze teologiche esercitate sui Padri, che non sempre si erano resi conto della portata dei testi sottoscritti (cfr. testimonianza in sede di dibattito di Padre C. Morerod in relazione alle dichiarazioni dei padre Torrell e il contributo di padre P. H. Donneaud sul pensiero di H. Kung, quest’ultimo già prima dell’approvazione del testo conciliare avrebbe previsto un’interpretazione personale, eterodossa ma non ancora dichiarata, sfruttando il tenore ambivalente di certi testi di cui era ispiratore). Inoltre in più d’un passaggio nasce il problema, non solo dell’intenzione dell’autore, ma anche della reale intelligibilità dei testi (Padre L. T. Somme ha ampiamente dimostrato le difficoltà del Magistero postconciliare nell’interpretazione della nozione di “coscienza” partendo da Lumen Gentium 16 e 25 e da Gaudium et Spes 16 ; Padre de la Soujeole ha dimostrato come l’ interpretazione del “subsistit in” di Lumen gentium 8, abbia fatto correre in cinquant’anni fiumi d’inchiostro, con addirittura sette pronunciamenti magisteriali di chiarimento, senza arrivare a tutt’oggi ad una soluzione dirimente e senza permettere di nutrire speranze per una soluzione rapida della questione).

E’ necessario dunque chiedersi come sia stata possibile un’ “ermeneutica della rottura”, che è stata la corrente teologica dominante dopo la fine del Concilio, la quale si appella ancor oggi al testo conciliare per fondare le sue teorie; pur accettando la mala fede delle interpretazioni di certi teologi di rottura, bisogna riconoscere che un processo analogo sarebbe impensabile, in ragione della chiarezza delle espressioni, per un testo del Vaticano I o del Concilio di Trento. La considerazione deve infine portare anche sulle finalità del Magistero ecclesiastico: trasmettere il deposito, difendere il deposito dagli attacchi, ma anche spiegare il deposito, in altri termini un testo magisteriale ha generalmente il compito di porre fine alle diatribe e non di ingenerarne altre. L’assenza di una terminologia chiara in tanta parte del testo conciliare rinvia dunque a riflettere sull’opportunità di un’opera di revisione, di spiegazione, di interpretazione autentica.

Un dichiarato ritorno alla precisione della terminologia scolastica, così come l’impiego della teologia tomista, non soltanto faciliterebbe la comprensione universale dei testi, ponendo ostacoli insormontabili alle ermeneutiche non ortodosse, ma aprirebbe anche la strada ad una vera intelligenza della dottrina cattolica per i nostri contemporanei. Un tale rinnovamento tomista della teologia conciliare è ciò che invocano in definitiva gli organizzatori del Convegno e siamo convinti dell’opportunità di quest’appello. Tuttavia questo lavoro presuppone, a nostro avviso, per essere realmente proficuo, la convinzione dell’opportunità di mettere mano non solo all’interpretazione, ma anche alla lettera del testo conciliare.



Stefano Carusi – Matthieu Raffray

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I Grandi Temi del Convegno





Per coloro che volessero approfondire e come ulteriore invito alla lettura degli Atti offriamo in maniera rapida e non certo esaustiva alcuni spunti di studio che abbiamo trovato interessanti e stimolanti per ciascun intervento, abbiamo fatto un lavoro di scelta antologica che non rende onore alla complessità delle relazioni, ma che vuole sollecitare alla ricerca sui temi “caldi” dibattuti; per quanto possibile abbiamo cercato di distinguere i commenti critici nostri dall’opinione non sempre concorde del relatore, scusandoci anticipatamente se l’architettura globale di ogni conferenza non può essere resa nell’ampiezza che merita, lacuna che sarà colmata dalla pubblicazione degli Atti. Se uno solo dei nostri lettori potesse essere spinto a queste poche linee alla ricerca o alla “disputatio” avremmo raggiunto il nostro scopo.


Invito al dibattito costruttivo

Al Padre Augustin Laffay è toccata la prolusione che ha sottolineato fin dai primi momenti del congresso la “singolarità” del Concilio Vaticano II, definito come “novità sorprendente per la storia”, utilizzando la frase dello storico Alberigo è stata sottolineata la “natura non abituale” del Vaticano II, che fa si, vista l’assenza di condanne, che non si sappia come avvicinarlo a Trento e al Vaticano I; il relatore ha tuttavia sostenuto il “carattere obbligatorio di ciascun documento per ciascuno di noi”, ma ha anche invitato alla disputa teologica senza timori reverenziali o falsi pudori, ricordando che San Tommaso non giudicò cosa scandalosa inserire tra i primi articoli della Summa il quesito “videtur quod Deus non sit”.



Ermeneutica e Interpretazione

Il Padre Humbrecht o.p., ha quindi esordito con un’esposizione epistemologica sull’interpretazione dell’ “ermeneutica” mettendo in guardia dall’approccio fenomenologico moderno, per cui il fenomeno diventa principale rispetto all’oggetto, la modernità non guarda all’oggetto, ma solo alla relazione oggetto-soggetto, in una prospettiva che non sarebbe più d’interpretazione, ma di creazione; il metafisico ha anche messo in guardia dall’illusione che si possa conoscere la realtà senza essere affatto influenzati da alcuno spirito soggettivo o da fattori storici e culturali. E’ stato affermato che “gli effetti non giudicano la causa”, in altre parole lo sfascio della civiltà cristiana a partire dagli anni sessanta non è sufficiente per mettere il Concilio sul banco degli imputati. A questo proposito, vorremmo anche attirare l’attenzione sull’intervento di Padre Somme, che ha fatto notare la necessità di stabilire il tipo di rapporto causale tra Vaticano II e crisi della Chiesa; in altre parole il Vaticano II con le sue premesse non poteva che causare la crisi nella Chiesa, nel quadro di una causalità necessaria, oppure gli avvenimenti del post-Concilio sono frutto di una contingenza storica indipendente dal testo conciliare e dipendente piuttosto dal pensiero moderno, nel quadro di una causalità accidentale? O forse i due aspetti ed è il nostro avviso, sono sicuramente da distinguere, ma restano nel loro rapporto reciproco inseparabili. Causae sunt ad invicem causae.



Il Concilio nella storia e nella storiografia

Il convegno ha poi abbordato la parte storico-teologica relativa al Concilio con una conferenza di Padre H. Donneaud o.p., che nel trattare della struttura di Lumen Gentium ha esposto la successione dei capitoli II e III, che sembra voler descrivere la Chiesa in una prospettive “dal basso”, si è poi soffermato sull’attitudine ermeneutica della rivista “Concilium” con un dotto riferimento al pensiero ecclesiologico di Küng il quale, già prima della redazione finale del testo conciliare, sembrava prevedere di oltrepassarne la lettera nel senso della sua personale interpretazione. Sempre di carattere storico l’intervento del Prof. L. Perrin incentrato sulla scuola di Bologna che pretese, sotto la guida di Alberigo, di fare una “storia totale” del Vaticano II, che avrebbe quasi dovuto assurgere a vulgata univoca e irreformabile degli avvenimenti conciliari, il ruolo e il pensiero di personaggi come Dossetti, Padre Ruggeri, Peter Hünermann e Alberto Melloni sono stati trattati sotto l’aspetto storico-critico, con numerose citazioni. L’accento è stato messo sul concetto, caro ad Alberigo, del “Concilio-evento”, sul fatto che “l’avvenimento sia superiore alle decisioni”, trattandosi di un “messaggio superiore”, per usare un termine dello stesso Alberigo; a volte sembra che si voglia evocare uno “spirito del Concilio”, che diventa quasi qualcosa di preternaturale, quasi uno “spirito sussistente”, di dubbia natura, che accompagna sempre il Concilio a prescindere dai testi.


Tradizione, progresso o evoluzione?

Il pomeriggio di venerdì si è aperto con l’intervento del Padre G. Narcisse o. p., sull’ “Ermeneutica della Tradizione”, il quale, tra il fissismo tradizionalista e il progressismo estremo ha proposto una via media sostenendo che nel pensiero tomista l’argomento di ragione e quello d’autorità si integrano vicendevolmente; ha fatto seguito l’intervento di Padre E. Durand o.p., il quale ha insistito sul fatto che i testi conciliari facciano spesso riferimento a frasi come “il Concilio dichiara”, “il Concilio professa”, “noi proclamiamo”, unitamente alla constatazione che molta parte del testo conciliare è costituita da contenuti in sé dogmatici; in sede di dibattito ci siamo permessi di sollevare il problema relativo alla presenza di contenuti dogmatici nel Concilio, ma che a nostro avviso, non sono tali in virtù del pronunciamento conciliare, che non ha carattere dogmatico, ma in virtù della loro natura dogmatica, che può evincersi tanto dalla Rivelazione che da pronunciamenti dogmatici precedenti (rinviamo all’articolo di Mons. Gherardini); nel nostro intervento abbiamo fatto notare che resta ancora aperto il problema della possibilità e dell’opportunità di modifiche al testo conciliare, nel rispetto del ruolo dell’autorità pontificia. Ci fa piacere far conoscere ai nostri lettori la grande apertura alla disputa teologica, che, su questo punto specifico, abbiamo riscontrato tra i relatori e l’assemblea, anche nella distanza delle posizioni; è innegabile che grazie al Regnante Pontefice la disputa accademica abbia assunto dei contorni più vasti, la tradizionale apertura alla “quaestio” dell’Ordine Domenicano ha fatto il resto.
Nella seconda parte del pomeriggio il Rev. Prof. F. Frost ha introdotto il tema dello sviluppo del dogma ponendo l’accento sulla rispondenza tra “Dei Verbum” e il pensiero del card. Newmann, questi sarebbe tra i precursori di quegli accenti teologici che attribuiscono un notevole ruolo, nel progresso della conoscenza di un dogma, alla “percezione intima”, e “alle credenze intime del popolo”; confessiamo che abbiamo ascoltato attentamente, ma non senza qualche riserva, poiché, senza evacuare il ruolo dello Spirito Santo nell’ “intelligentia fidei”, abbiamo tendenza a vedere il processo piuttosto sotto l’angolo dell’ “infallibilitas in credendo” del popolo cristiano guidato dalla gerarchia, che non sul piano della “conoscenza intima”. Resta interessante lo sviluppo del legame tra Newman e Dei Verbum. Ha concluso la giornata di studio Padre F. Daguet o. p., sulla difficilissima problematica della salvezza eterna di coloro che non sono nella Chiesa Cattolica, l’impostazione era incentrata tra i due grandi principi paolini per cui la salvezza è solo in Gesù Cristo, ma la salvezza è anche rivolta ad ogni uomo; il problema diventa complesso allorquando bisogna riconoscere la possibilità dell’opera soggettiva della Grazia nell’infedele, ma al tempo stesso riconoscere che ben poca cosa si possa dire su questo tipo di opera divina, data la sua oscurità. Né mai può essere evacuato il ruolo di mediazione della Chiesa anche in quest’economia straordinaria della salvezza. E’ il problema dei membri “in voto” della Chiesa che il relatore ha definito “membri invisibili” della Chiesa che resta e deve restare visibile.


Alle 18 e 30 è seguita la Messa sulla tomba di S. Tommaso, officiata da Mons. Le Gall, Arcivescovo Metropolita di Tolosa, con la predicazione di Padre Serge Thomas Bonino, sull’attitudine di S. Tommaso davanti ai concili e ai testi conciliari, l’autorevolezza del teologo e le doti dell’oratore fanno si che esprimiamo il voto sincero che questo testo compaia negli atti del Convegno.
Una conferenza serale di Padre J.M. Garrigues, o.p., sulla Chiesa come soggetto integrale della liturgia ha concluso gli interventi, non nascondiamo che su più punti siamo su posizioni molto distanti rispetto a quelle che sono state esposte, tanto dal punto di vista storiografico che teologico-pastorale. Nello specifico non crediamo all’opportunità di una sintesi artificiale o di una via media tra il rubricismo degli anni cinquanta e le derive liturgiche post-moderne, ma pensiamo che la soluzione sia nella “tradizione autentica”, che non necessariamente è sinonimo di “tradizione vivente” coi suoi archeologismi.



La Coscienza, la Libertà Religiosa, la Chiesa e la Società

Nella mattina di sabato Padre L. T. Somme ha abbordato il problema della “coscienza morale” nelle discussioni conciliari e nel Magistero posteriore; il noto specialista di morale, che insegna a Friburgo, ha analizzato i testi dei capitoli 3 e 14 di Dignitatis Humanae, dei capitoli 16 e 25 di Lumen Gentium e soprattutto l’attuale capitolo 16 di Gaudium et Spes, quest’ultimo affrontato attentamente specie nella genesi laboriosa della sua redazione. La seconda parte della relazione è stata incentrata sui problemi connessi alle interpretazioni distorte di questi testi che portarono lo stesso Paolo VI ad interventi di precisazione nell’enciclica Humanae Vitae, né l’autore ha tralasciato di trattare il problema relativo all’accezione del termine “coscienza” nei vari passaggi del testo conciliare; l’uso del termine coscienza è usato in modo equivoco? Si intende con esso il concetto di “giudizio”, “decisione”, “stato d’animo”, “conoscenza”? La coscienza analizza la realtà e esprime un giudizio su di essa o diventa coscienza-creatrice della realtà? Il relatore ha concluso ribadendo che S. Tommaso non fa un trattato della coscienza, ma un trattato sulla prudenza. La chiave dell’interpretazione è forse nel ritorno ad un concetto chiaro della virtù di prudenza piuttosto che nell’ermeneutica complessa del concetto di coscienza, sia esso visto in senso tomista o newmaniano.
L’intervento di Padre J. d’ Amécourt, ha portato su “Dignitatis Humanae, continuità o rottura?” interessante la prospettiva sviluppata in relazione all’esercizio della virtù di religione nello stato di natura, specie in relazione all’atto cultuale e sacrificale; più complesso diventa determinare il ruolo del potere civile, nell’economia della nuova legge, di fronte ai culti e alle false religioni tra diritto naturale, diritto della Verità Divina e prudenza politica.
Padre M.-B. Borde o.c.d., ha avuto l’onere della spiegazione della relazione Chiesa-società civile nel Vaticano II, spiegando le diverse prospettive ecclesiologiche: la tradizionale che parla di “societas supernaturalis” e “societas perfecta” e la dicitura recente e sostanzialmente nuova che fa della Chiesa “una promotrice dell’unità del genere umano”, in una prospettiva che, in certe ermeneutiche teologiche di frontiera, diventa esclusivamente d’ordine naturale.


Ecumenismo

E’ stata quindi la volta del decano di filosofia dell’Angelico Padre Charles Morerod, o. p., che ha parlato sul dialogo ecumenico e sulle opzioni ermeneutiche ad esso connesse, ha esordito con il dato storico della novità dell’ecumenismo al Vaticano II, specie se rapportato all’atteggiamento decisamente ostile ad ogni dibattito ecumenico espresso da Pio XI e ancora condiviso, nel 1957 dallo stesso Mons. Giovan Battista Montini, allorquando si occupava del gregge di Milano. Tuttavia uno sguardo sereno sulla storia della Chiesa rivela la costante preoccupazione del dibattito teologico finalizzato al ritorno all’ovile della pecorella smarrita (ci permettiamo di ricordare che Padre Morerod è uno dei massimi specialisti nello studio delle discussioni che ebbero luogo fra Lutero e il Card. Gaetano, verificatesi laddove il Pontefice inviò il teologo forse più capace dell’epoca per ascoltare le rimostranze di Lutero e correggerne gli errori, nella speranza che volesse tornare nel seno della Chiesa); l’autorevole teologo ha anche aggiunto che oggi siamo altresì in presenza di un irenismo dai contorni utopici, “utopici” poiché, a ben guardare, dopo quarant’anni i problemi coi Protestanti sono ancora tutti sul tavolo. Il teologo ha anche affrontato il problema metodologico, ponendo l’accento sulla frase di Congar che, relativamente al “ritorno alla Chiesa indivisa”, ebbe a dire che “la riforma del Concilio fu antiscolastica”.


Stato e Chiesa

La questione dei rapporti fra Stato e Chiesa è stata oggetto in sala di un acceso dibattito: quale il ruolo della Chiesa, quale il suo potere giuridico sugli stati, quali i limiti dell’intervento pontificio sui governanti, che non può essere, come vorrebbero i Gallicani di ieri e di oggi, un solo potere di “consiglio” (cfr. la condanna dei Quattro Articoli del 1689); il Papa può dirigere l’azione dei capi di stato, con potere veramente giuridico, in vista del fine soprannaturale che ordina il fine naturale? Quali i limiti di quest’azione? Inutile dire che le contingenze storiche che oggi sembrano impedire l’esercizio di un tale potere non rientrano affatto nella discussione, se non nell’ordine prudenziale. Il pubblico ha fatto notare tanto il pensiero di S. Tommaso in proposito, specie nel “Commentario delle Sentenze” e nel “de Regno”, tanto il valore delle affermazioni della bolla pontificia “Unam Sanctam”, oggi forse liquidata con una disinvoltura eccessiva, così come per il Sillabo.


Come bisogna esprimersi in teologia

Nel pomeriggio Padre B. D. de la Soujeole si è concentrato sul problema del “vocabolario” e delle “nozioni”, tanto nei testi conciliari quanto nel magistero posteriore, il teologo ha affermato che le novità di stile nel Vaticano II sono innegabili anche se a volte c’è un voluto ricorso alla terminologia scolastica, in ragione della formazione di molti Padri. Il relatore ha affermato che studi probanti concordano sul fatto che per comprendere correttamente tanto la dottrina della giustificazione del Concilio di Trento quanto la “Dei Filius” del Vaticano I, la conoscenza della terminologia scolastica si rivela indispensabile, di qui l’importanza della precisione dei termini in teologia. Diversamente, nel Vaticano II, viste le rimostranze antiscolastiche di alcuni Padri contro gli schemi preparatori, si fu costretti a modificare il lavoro precedente giungendo ad uno stile piuttosto “eclettico”, che fece ricorso spesso a moduli espressivi d’ordine “narrativo” e non teologico-sistematico. Riguardo all’annoso problema del “subsistit in” Padre de la Soujeole ha affermato che da cinquant’anni fior di teologi si domandano come debba essere interpretato, il Magistero stesso è dovuto intervenire sulla questione almeno sette volte, in considerazione delle difficoltà interpretative, le quali davano luogo a differenti correnti di pensiero. Ancora oggi il problema dell’interpretazione di questo passaggio sembra non del tutto chiuso. Il relatore ha anche fatto notare che il nuovo modo di esprimersi sulla Chiesa è in parte condizionato anche dalla rinuncia, nei testi del Vaticano II, alla tradizionale distinzione tra potere d’ordine e potere di giurisdizione. A nostro avviso questa rinuncia è stata causa di notevole confusione teologica, tuttavia l’opinione dell’oratore è alquanto differente dalla nostra.


Come bisogna “interpretare” in filosofia

L’ultimo magistrale intervento è del Prof. F. X. Putallaz che è intervenuto sull’ “ermeneutica”: cosa intendere per “ermeneutica”, cosa intende il mondo moderno. Da tempo l’ “arte dell’interpretazione” ha preso una piega “kantiana”, per cui l’essere conosciuto si riassorbe nel soggetto. Con Schleiermacher si afferma che la “non comprensione” è primaria, l’ermeneutica diventa quindi la ricostruzione del testo fino a capire ciò che l’autore ha detto, ma la comprensione di ciò che l’autore ha detto diventa una “quasi-divinazione”. L’analisi è proseguita percorrendo il pensiero di Dilthey e di Heidegger, fino a Gadamer nel quale l’ermeneutica diventa ormai interpretazione soggettiva che sfonda nell’arbitrario. Il relatore non ha potuto affrontare il concetto di ermeneutica in Paul Ricoeur pur denunciandone la fondamentale importanza nella questione. All’opposto il filosofo del diritto, l’italiano Emilio Betti, aveva sviluppato un’ermeneutica talmente legata alla lettera del testo da escludere il ruolo dell’interpretazione giuridica secondo la “mens legislatoris”, nei due casi il problema è nell’assenza di senso dell’analogia. La soluzione è per il prof. Putallaz nel limitare le ermeneutiche ad una dimensione “regionale” (e non universale), ribadendo che l’ermeneutica deve essere aperta alla metafisica e all’analogia, nel quadro della filosofia del reale e non nel quadro del solo “soggetto pensante”.

Il Prof. Putallaz, rispondendo ad una domanda, ha voluto sottolineare che se vogliamo tornare alla “realtà” del discorso del Papa del 22 dicembre 2005, il termine “ermeneutica della continuità” non è presente, mentre si fa riferimento a “ermeneutica della rottura” e “ermeneutica della riforma”.

P. Perrier, o. p., ha concluso il convegno con una sintesi sugli interventi.


[Modificato da Cattolico_Romano 21/09/2009 17:00]
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Intervista a Padre Christophe Hery dell'Istituto del Buon Pastore




La nostra redazione ha posto alcune domande al Padre Christophe Héry, Assistente Generale dell’Istituto del Buon Pastore. Padre Héry, noto ai più come l’Abbé Héry, è stato ordinato sacerdote da Mons. Lefebvre il giorno precedente alle consacrazioni episcopali, nel 1988 per la Fraternità San Pio X; ha svolto il suo ministero a Marsiglia, Parigi e in molti altri centri della Francia, è uno dei volti più noti fra i fondatori dell’Istituto del Buon Pastore, stimato per l’imparzialità dei suoi studi teologici, annovera fra le sue ultime monografie “Non-lieu sur un schisme”, che potrebbe tradursi col titolo “Uno scisma, non vi è luogo a procedere”, in esso analizza, con l’acribia che gli è congeniale, e con ricche pagine di ricerca, tutte le accuse di scisma rivolte ai noti eventi del giugno 1988.



Padre Héry, nel 2006 lei è stato uno dei protagonisti principali dell’erezione dell’Istituto del Buon Pastore, che ci interessa particolarmente per la sua posizione teologica, del tutto singolare. Vorrebbe parlarcene in una maniera accessibile e precisa al tempo stesso?

A partire dalla sua creazione a Roma l’8 settembre 2006 come Istituto di diritto pontificio, il Buon Pastore è sotto i riflettori a causa del suo rito liturgico esclusivamente tradizionale. Ma è soprattutto la sua posizione teologica che interroga molti, in rapporto al Concilio Vaticano II. Alcuni chiedono che al Concilio sia dato un’ “assenso senza equivoci”. Ma non ci sono equivoci nella nostra posizione. Si tratta di una missione di vigilanza teologica. Essa è da iscrivere nella chiarezza del pensiero del Papa. Di fronte al “falso spirito del Concilio”, che Egli ha esplicitamente rifiutato il 22 dicembre 2005 davanti alla Curia Romana come causa di “rotture”, “in larghe parti della Chiesa”, Benedetto XVI afferma che è venuto il momento di sottoporre il testo del Vaticano II a una rilettura per darne una interpretazione autentica, la quale è ancora di là da venire.
In questa prospettiva siamo invitati per i nostri “impegni fondatori” (firmati il giorno della fondazione), a partecipare in maniera costruttiva ad un lavoro critico. Il dibattito fondamentale soffocato da quarant’anni, si apre finalmente nel seno della Chiesa senza spirito di sistema né di rivincita, sui punti di discontinuità dottrinale posti dal Concilio Vaticano II, sui quali ci sono riserve.


Come è possibile una tale “critica costruttiva”, visto che il Vaticano II è un atto di magistero autentico, in pratica intoccabile?

Il Concilio è certamente un atto di magistero autentico. Ma non è intoccabile, poiché la “ricezione autentica” del Concilio, secondo il Santo Padre, non ha ancora avuto luogo, o non è soddisfacente; ciò significa dunque che può essere ritoccato, per mezzo di un processo d’interpretazione. Esiste uno spazio di libertà lasciato alla controversia teologica sul testo del magistero conciliare, restando salva la Tradizione dogmatica e apostolica…


Non è forse mettere la Tradizione al di sopra del Magistero?

La Tradizione non è né al di sopra, né al di sotto del Magistero. Nel citato discorso del 25/12/2005, il nostro Papa ha fustigato “l’ermeneutica della discontinuità”, la quale oppone il magistero conciliare alla Tradizione. In effetti il magistero autentico non dispone mai della Tradizione a suo piacimento e non è al di sopra di essa: quando stabilisce in maniera infallibile, è ciò che io chiamo la Tradizione “in atto”. Quando non stabilisce in maniera infallibile, come la maggior parte del Vaticano II, il magistero (anche autentico) deve essere interpretato e ricevuto, senza rottura con la Tradizione, dunque alla luce di quest’ultima.


Potrebbe precisarci come la ricezione di un concilio permette di farne la critica costruttiva?

Il problema posto dal Vaticano II è che esso non assomiglia affatto ai precedenti concili. Quest’ultimi presentavano degli insegnamenti, delle definizioni del dogma, delle condanne di errori opposti, che obbligavano la fede. All’inverso, rinunciando per principio pastorale a qualsiasi pretesa dogmatica (all’infuori della ripresa di qualche punto anteriormente definito dal magistero solenne), il Vaticano II non s’impone alla Chiesa come oggetto d’obbedienza assoluta per la fede (cfr. can. 749), ma come oggetto di “ricezione”.
Ora, la ricezione induce un processo d’interpretazione. Per un tale “corpus” di testi, quest’ultima richiede lavoro, e soprattutto tempo. Il Cardinale Jean-Pierre Ricard a Lourdes, il 4 novembre 2006, ha precisato: “Il Concilio deve ancora essere recepito” (cioè re-interpretato). E ha indicato la direzione da seguire : applicarsi ad “una rilettura serena della nostra ricezione del Concilio” e non “una lettura ideologica”, specialmente per “riprenderne i punti che meritano ancora di essere presi in considerazione”. La qual cosa significa una vasta operazione di messa in questione (nel senso scolastico); di chiarimento (nel senso di discernimento) tra ciò che vale la pena di essere salvaguardato e ciò che non ne vale la pena; inoltre un’interpretazione corretta di ciò che possa o debba essere salvaguardato.


Quale sarà per voi il criterio di questo discernimento e di questa interpretazione?

Il “setaccio” da usare è chiaramente, non già la filosofia odierna, ma la coerenza, la compatibilità o la continuità del Magistero con la Tradizione. La Tradizione in atto (fede e sacramenti) include l’insegnamento solenne dei concili anteriori e dei Papi. Essa costituisce, oggi come ieri, il legame essenziale e attivo della comunione fra cattolici. Salva restando l’autorità di Roma – e la possibilità per la teologia di progredire in maniera critica cercando delle risposte a dei problemi nuovi, che non si ponevano, per esempio, durante il Vaticano I.


Vorrebbe dire che il Vaticano II fornisce un’opportunità di riflessione critica e di approfondimento per la Chiesa?

E’ innegabile che il Vaticano II pone alla Chiesa le questioni essenziali della modernità: la coscienza, la libertà religiosa, la verità, la ragione e la fede, l’unità naturale o soprannaturale del genere umano, la violenza e il dialogo con le culture, la grazia e le aspettative degli esseri umani, ecc. Non ci si può accontentare oggi di risposte di ieri, quest’ultime devono prendere in considerazione le nuove problematiche. Ma il Concilio è datato 1965 e oggi non è più un discorso chiuso su se stesso. Noi lo riconosciamo per ciò che è : un concilio ecumenico che rileva del magistero autentico, ma non infallibile in ogni punto e, in ragione proprio delle sue novità, si scontra con certe difficoltà nella sua continuità con il Vangelo e la Tradizione.


Quello che ci ha chiarito sarebbe dunque il senso della formula dell’impegno, che avete sottoscritto il giorno della fondazione del vostro Istituto: “A proposito di alcuni punti insegnati nel Concilio Vaticano II o concernenti alcune riforme posteriori della liturgia e del diritto, e che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, noi ci impegniamo ad un’attitudine positiva di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica evitando la polemica. Questa attitudine di studio vuole partecipare, per mezzo di una critica seria e costruttiva, alla preparazione di un’interpretazione autentica dalla parte della Santa Sede su questi punti del Vaticano II” ?

In effetti, noi abbiamo ottenuto questa libertà di contribuire, stando al nostro posto, inizialmente per mezzo di studi e pubblicazioni interne all’Istituto, a questo lavoro titanico di designazione dei testi e delle teorie che pongono problemi da quarant’anni, concernenti non solo il Concilio ma anche le riforme liturgiche (o altre), che lo hanno seguito.
Stiamo preparando degli studi sulla liturgia e sui punti di litigio classici del Concilio. L’organizzazione di sessioni di lavoro e lo scambio con altri interlocutori è la tappa successiva.


La Fraternità San Pio X potrebbe anch’essa avere un ruolo simile al vostro in questo lavoro di “proporre al Papa”, che resta sempre l’unico soggetto del supremo potere magisteriale?

Certamente! Dopo la revoca delle scomuniche dei quattro vescovi della Fraternità San Pio X, immaginiamo che le discussioni dottrinali, finora segrete e informali, possano organizzarsi con l’avallo del Santo Padre, e permettere agli interlocutori di far valere e di scambiare le argomentazioni teologiche che nutrono la critica tradizionalista.


Seppure in una prospettiva di “continuità”, gli approcci “ermeneutici” sono oggetto di posizioni differenziate. Quale metodo di lavoro adottare?

In effetti, l’ermeneutica è essa stessa oggetto di un dibattito preliminare. Un tale lavoro supporrebbe anzitutto la definizione del metodo e dei principi ermeneutici. Si tratta di salvare il testo del Concilio alla lettera, costi quel che costi, come un blocco infallibile, sacro e ispirato fino all’ ultimo “iota”, ad immagine della Bibbia? Un tale postulato potrebbe portare ad una forma di fondamentalismo conciliare, rovinoso per la Chiesa. Si tratta piuttosto di ritrovare lo spirito del testo, aldilà della lettera? Ma il Santo Padre stesso ha scartato la rivendicazione invocatrice di questo “spirito del Concilio”, indefinibile e causa di tante “rotture” (pratiche, dottrinali, liturgiche) nel seno della Chiesa. Si tratta allora di ritrovare l’intenzione dei Padri Conciliari, redattori del testo? Qui nasce una seria difficoltà pratica: il testo del Concilio Vaticano II è un “patchwork”, il risultato di un compromesso nel seno di un’assemblea, tra differenti gruppi di lavoro spesso in opposizione tra loro, ciascuno dei quali ha cercato di “tirare a sé” il senso, tra una frase e l’altra….. Non resta allora altro che andare a ritrovare l’intenzione di Paolo VI? Oppure quella della Chiesa? Ma l’intenzione della Chiesa non può essere che tradizionale. E inoltre, la Chiesa non si è ancora espressa in maniera “autentica” sul senso che deve essere dato ai testi maggiori del Concilio, che pongono gravi difficoltà per la trasmissione della fede. E’ per questo che il papa Benedetto XVI, nel suo discorso del 22/12/2005, afferma che bisogna rivenire non solo al testo del Concilio, ma anche sul testo del Concilio. Sarà la base del nostro lavoro critico.


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21/09/2009 17:03

Questo interessante Trhend è strettamente connesso a Le discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X quindi vivamente ne consiglio la lettura.
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