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Vaticano II, rottura o continuità?

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 17:03
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21/09/2009 16:57

Vaticano II, rottura o continuità?



L'ermeneutica del Vaticano II

Convegno della «Revue thomiste» e l’Institut Catholique de Toulouse




Vaticano II: Rottura o continuità - le ermeneutiche presenti, questo il titolo scelto dai teologi dell’Ordine Domenicano di Tolosa per analizzare le problematiche ingenerate soprattutto da quella che ormai sembra aver preso il nome di “ermeneutica del Concilio”. L’ormai celebre discorso del Sommo Pontefice alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, fa scuola tra i teologi che cercano di ricondurlo ad un’attitudine pratica di analisi e di commento dei testi conciliari, visto il monito proveniente da tanta Cattedra.
Il convegno si è tenuto nelle giornate del 15 e 16 maggio nella sala Leone XIII dell’ “Institut Catholique de Toulouse”, alla presenza di alcuni dei nomi più noti del tomismo francese come il Padre Serge-Thomas Bonino o.p., direttore della “Revue Thomiste”, Padre François Daguet o.p., direttore dell’ “Ista”, Padre B.-D. de la Soujeole o.p., organizzatori dell’incontro e dell’ambiente teologico romano come Padre Charles Morerod o.p., decano della Facoltà di Filosofia dell’Angelico e Segretario della Commissione Teologica Internazionale, davanti ad un pubblico di un centinaio di persone, composto in larga parte da ecclesiastici. E’ stata notata la ridotta partecipazione delle comunità dipendenti dalla commissione “Ecclesia Dei”, solo due giovani sacerdoti della Fraternità San Pietro e due membri dell’Istituto del Buon Pastore rappresentavano il clero secolare “tradizionalista”, con un padre domenicano di Chéméré e alcuni monaci benedettini di Fontgombault, di Triors, di Randol e della nuova comunità italiana dei Benedettini dell’Immacolata. L’assenza dei membri della Fraternità S. Pio X è stata rilevata con dispiacere, da parte degli stessi organizzatori.

Questo Convegno segna una tappa di grande rilievo nello studio del Vaticano II e delle problematiche ad esso connesse, gli interventi, visti i contenuti e visto il prestigio dei relatori, resteranno di fondamentale importanza in quell’analisi che ormai si impone ai teologi su questa controversa pagina della storia della Chiesa; anche tenendo conto dei differenti punti di vista delle scuole teologiche o dei gruppi di pensiero, la lettura degli atti di questo Convegno diverrà irrinunciabile per chiunque voglia occuparsi del Concilio Vaticano II; tanto i fautori della continuità, quanto i fautori dell’ermeneutica della rottura, difficilmente potranno prescindere da queste analisi approfondite del problema anche se non necessariamente per condividerle.

Una larga parte degli interventi di queste giornate di studio si è concentrata sulla questione, teorica, dell’ermeneutica in generale e sul problema della sua applicazione al testo conciliare (Padre T. D. Humbrecht, Padre G. Narcisse, Prof. F.X. Putallaz); I Padri Domenicani, con sfumature diverse, hanno proposto un’ “ermeneutica della continuità” come soluzione alle derive nate dall’ermeneutica della rottura (ermeneutica di “rottura” in senso progressista o ermeneutica di “rottura” in senso tradizionalista con l’opposizione che ne scaturisce), i Padri hanno anche difeso il testo conciliare da tutti gli abusi fatti in suo nome, rivendicando un “ritorno alla verità del testo” e non alle intenzioni degli uni o degli altri, alle interpretazioni personali o agli effetti disastrosi del post-Concilio. Alcuni rari interventi sembravano tuttavia lasciare la porta aperta ad un abbandono del “fissismo conciliare”.

Eccezion fatta per alcuni cantilenanti e non sempre gradevoli ritornelli contro coloro che nel post-Concilio sollevarono vere obiezioni teologiche (sono corsi i nomi non solo di Mons. Lefebvre, ma anche della Scuola Romana), e eccezion fatta per un conferenza sui generis sulla liturgia ( che si è accontentata di sintetizzare, con scarso rigore storico-scientifico, gli argomenti del movimento liturgico degli anni cinquanta), dobbiamo rilevare che l’esame onesto e chiaro di certe difficoltà del testo del Vaticano II è stato tale da permettere di disegnare un quadro sereno dei dibattiti, che da circa cinquant’anni agitano il panorama della teologia post-conciliare e che finora avevano determinato soltanto un dialogo tra sordi, tra mille opposizioni di barricata.

A questo proposito ci permettiamo alcune considerazioni di cui ci assumiamo la paternità e che non vogliamo mettere sulla bocca dei relatori, benché a nostro avviso esse siano presenti, ma purtroppo solo implicitamente, come le conclusioni non dette di molti interventi. In effetti le premesse poste a Tolosa riguardano tanto la novità “sorprendente per la storia” di un Concilio che non condanna, quanto la sua “natura inabituale”, per citare lo storico Alberigo (cfr. l’introduzione di Padre Laffay e l’intervento del Prof. L. Perrin); gli studi hanno affrontato le complesse fasi di redazione dei documenti conciliari così come le influenze teologiche esercitate sui Padri, che non sempre si erano resi conto della portata dei testi sottoscritti (cfr. testimonianza in sede di dibattito di Padre C. Morerod in relazione alle dichiarazioni dei padre Torrell e il contributo di padre P. H. Donneaud sul pensiero di H. Kung, quest’ultimo già prima dell’approvazione del testo conciliare avrebbe previsto un’interpretazione personale, eterodossa ma non ancora dichiarata, sfruttando il tenore ambivalente di certi testi di cui era ispiratore). Inoltre in più d’un passaggio nasce il problema, non solo dell’intenzione dell’autore, ma anche della reale intelligibilità dei testi (Padre L. T. Somme ha ampiamente dimostrato le difficoltà del Magistero postconciliare nell’interpretazione della nozione di “coscienza” partendo da Lumen Gentium 16 e 25 e da Gaudium et Spes 16 ; Padre de la Soujeole ha dimostrato come l’ interpretazione del “subsistit in” di Lumen gentium 8, abbia fatto correre in cinquant’anni fiumi d’inchiostro, con addirittura sette pronunciamenti magisteriali di chiarimento, senza arrivare a tutt’oggi ad una soluzione dirimente e senza permettere di nutrire speranze per una soluzione rapida della questione).

E’ necessario dunque chiedersi come sia stata possibile un’ “ermeneutica della rottura”, che è stata la corrente teologica dominante dopo la fine del Concilio, la quale si appella ancor oggi al testo conciliare per fondare le sue teorie; pur accettando la mala fede delle interpretazioni di certi teologi di rottura, bisogna riconoscere che un processo analogo sarebbe impensabile, in ragione della chiarezza delle espressioni, per un testo del Vaticano I o del Concilio di Trento. La considerazione deve infine portare anche sulle finalità del Magistero ecclesiastico: trasmettere il deposito, difendere il deposito dagli attacchi, ma anche spiegare il deposito, in altri termini un testo magisteriale ha generalmente il compito di porre fine alle diatribe e non di ingenerarne altre. L’assenza di una terminologia chiara in tanta parte del testo conciliare rinvia dunque a riflettere sull’opportunità di un’opera di revisione, di spiegazione, di interpretazione autentica.

Un dichiarato ritorno alla precisione della terminologia scolastica, così come l’impiego della teologia tomista, non soltanto faciliterebbe la comprensione universale dei testi, ponendo ostacoli insormontabili alle ermeneutiche non ortodosse, ma aprirebbe anche la strada ad una vera intelligenza della dottrina cattolica per i nostri contemporanei. Un tale rinnovamento tomista della teologia conciliare è ciò che invocano in definitiva gli organizzatori del Convegno e siamo convinti dell’opportunità di quest’appello. Tuttavia questo lavoro presuppone, a nostro avviso, per essere realmente proficuo, la convinzione dell’opportunità di mettere mano non solo all’interpretazione, ma anche alla lettera del testo conciliare.



Stefano Carusi – Matthieu Raffray

disputationes-theologicae
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