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IL CELIBATO ECCLESIASTICO

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2009 14:56
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23/09/2009 14:47

4. La testimonianza dei Padri e degli scrittori ecclesiastici

Prima di dedicarci a questa dobbiamo pero seguire ancora altre fasi dello sviluppo nella Chiesa Occidentale.

Alla categoria dei testimoni più importanti della fede e della tradizione, nei primi periodi della storia della Chiesa, appartengono i Padri e gli scrittori ecclesiastici. Per la continenza del clero è opportuno sentire per primo sant'Ambrogio. Nella sua sede milanese in qualità di Consularis Aemiliae et Liguriae, eletto vescovo, Ambrogio è diventato presto uno degli uomini più importanti nella Chiesa dell'Occidente. Per quanto concerne il nostro argomento questo pastore, particolarmente sensibile per gli obblighi giuridici a motivo del suo precedente ufficio civile, aveva delle idee molto chiare. Egli dice che anche i ministri dell'altare che erano sposati prima di essere tali non dovevano dopo la loro ordinazione continuare l'uso del matrimonio, anche se quest'obbligo non era sempre osservato come avrebbe dovuto essere nelle regioni più remote. Di fronte all'Antico Testamento si tratta di un nuovo comandamento del Nuovo Testamento perché i sacerdoti di questo sono obbligati ad una preghiera ed a un ministero santo, costante e continuo.

San Girolamo conosceva bene la tradizione sia dell'Occidente come anche dell'Oriente e ciò per esperienza personale. Egli dice, nella sua confutazione di Gioviniano, che è del 393, senza insinuare alcuna distinzione tra Oriente ed Occidente, che l'apostolo san Paolo, nel noto passo della sua lettera a Tito, ha detto che un candidato all'ordine sacro sposato doveva aver contratto matrimonio una volta sola, doveva aver educato bene i suoi figli, ma non poteva più generare altri figli in seguito. Doveva pertanto sempre dedicarsi alla preghiera e al servizio divino e, di conseguenza, non solo per un tempo limitato, come nell'Antico Testamento: Si semper orandum et ergo semper carendum matrimonio.

Nella sua dissertazione "Adversus Vigilantium" del 406 san Girolamo ripete l'obbligo dei ministri dell'altare di vivere sempre continenti. A questo proposito dice che questa è la prassi della Chiesa dell'Oriente, dell'Egitto e della Sede Apostolica, dove si accettano solo chierici che sono celibi e continenti oppure che, se sposati, hanno prima rinunciato alla vita matrimoniale. Già nel suo "Apologeticum ad Pammachium" aveva detto che anche gli apostoli erano vel virgines vel post nuptias continentes; e: Presbiteri, episcopi, diaconi aut virgines eliguntur aut vidui aut certe post sacerdotium in aeternum pudici.

Sant'Agostino, dal 395/6 vescovo di Ippona, non solo conosceva bene l'obbligo generale del clero maggiore alla continenza, ma aveva partecipato ai Concili di Cartagine ove tale obbligo era stato ripetutamente affermato, riconducendolo agli stessi apostoli e ad una tradizione costante del passato. Nessun suo dissenso manifestato in queste occasioni è noto. Nella sua dissertazione "De coniugiis adulterinis" afferma che anche uomini sposati, se improvvisamente e perciò quasi contro le loro volontà sono stati chiamati a far parte del clero maggiore ed ordinati, sono tenuti alla continenza diventando così un esempio per i laici che devono vivere lontani dalle loro mogli e sono perciò esposti alla tentazione di commettere adulterio.

Del quarto grande padre della Chiesa Occidentale, Gregorio Magno, quale testimone della continenza dei ministri sacri abbiamo già parlato, esaminando le testimonianze dei Romani Pontefici.

Dalla prassi disciplinare occidentale finora accertata consegue che la continenza dei tre ultimi gradi del ministero clericale nella Chiesa si manifesta quale obbligo che viene riportato agli inizi della Chiesa e che è stato accolto e trasmesso come patrimonio della tradizione orale. Dopo il tempo delle persecuzioni e soprattutto a causa delle conversioni sempre più numerose che esigevano anche numerose ordinazioni, avvengono anche delle trasgressioni più generali di un tale obbligo contro le quali pero i concili e le sollecitudini dei Romani Pontefici procedono con sempre maggior insistenza per mezzo di leggi e disposizioni scritte. In esse compaiono subito anche le conseguenze contro i trasgressori, che consistono nella sospensione o espulsione dal ministero sacro.

Tutto ciò non appare mai come innovazione, ma viene riferito piuttosto alle origini della Chiesa. Siamo perciò autorizzati a considerare una tale prassi, conformemente alle regole del giusto metodo giuridico storico, come vero obbligo vincolante, tramandato dalla tradizione orale anche prima che venisse fissato da leggi scritte. Chi volesse affermare il contrario non solo peccherebbe contro un metodo scientifico cogente, ma taccerebbe di bugiardi tutti i testi unanimi che abbiamo ascoltato poiché di ignoranza non li si potrebbero accusare.

5. Evoluzione dell'argomento nei secoli successivi

Su questa base accertata dalla prassi della Chiesa Antica possiamo ora seguire lo sviluppo del celibato ecclesiastico nei successivi secoli e in un primo momento nell'Occidente.

Non vi può essere dubbio che anche nei successivi tempi venissero ancora scelti molti sacri ministri tra gli uomini sposati. I numerosi Concili della Spagna e della Gallia lo dimostrano, poiché essi insistono ripetutamente e senza interruzione sull'obbligo della continenza per tali ministri.

Le sanzioni diventano talvolta più miti: così, per esemplo, quando nel Concilio di Tour del 461 non si infligge più la scomunica a vita ma solamente l'esclusione dal servizio ecclesiastico.

D'altra parte si accentua sempre di più la preoccupazione della Chiesa di provvedere con candidati celibi per gli ordini maggiori e di ridurre sempre di più quelli sposati, perché l'esperienza aveva dimostrato il pericolo permanente della debolezza umana di fronte all'obbligo assunto proprio da parte di questi ultimi candidati.

Un'altra disposizione che si doveva continuamente ricordare e rinnovare era il divieto di coabitazione tra ogni sorta di chierici maggiori e donne che non davano il pieno affidamento di osservanza della continenza.

Assai significative per un giudizio complessivo sulla disciplina celibataria nell'Europa medievale sono le rispettive disposizioni della Chiesa Insulare (Irlanda-Britannia). I Libri Penitenziali che rispecchiano fedelmente vita e disciplina vigenti in questa Chiesa, sono molti aspetti particolare, dimostrano senza lasciare spazio a dubbi, gli stessi obblighi anche per il clero maggiore insulare in antecedenza sposato. Chi di loro continuava l'uso del matrimonio con la sposa veniva ritenuto colpevole di adulterio e punito adeguatamente. Se questi obblighi tanto gravosi venivano richiesti ed osservati sostanzialmente anche nella Chiesa Insulare nella quale vigevano i rudi costumi della gente di cui gli stessi Libri Penitenziali ci danno una viva dimostrazione, abbiamo un'ottima prova che il celibato era anche là possibile, ma probabilmente solo a motivo di una venerabile tradizione che nessuno metteva in dubbio.

Accanto ai pericoli generali ordinari che minacciavano sempre e dappertutto la continenza degli ecclesiastici, ci sono nella storia della Chiesa tempi, circostanze e regioni ove emergono pericoli straordinari, che provocavano in modo del tutto particolare le autorità della Chiesa. Difficoltà di questo genere erano causate ripetutamente da eresie alquanto diffuse. Un esempio è l'arianesimo dei Visigoti operante ancora anche dopo la loro conversione al cattolicesimo nel loro regno nella penisola iberica. Il Concilio di Toledo del 569 e di Saragozza del 592 hanno dato delle norme esplicite in questo senso per i chierici provenienti dall'arianesimo.

6. La riforma gregoriana

Ma una delle crisi più gravi colpì la continenza degli ecclesiastici in tutte le regioni della Chiesa Cattolica Occidentale che furono coinvolte nei disordini che hanno reso necessaria la Riforma Gregoriana. Erano le regioni di quelle parti dell'Europa ove era penetrato più o meno diffusamente il cosiddetto sistema beneficiale ecclesiastico, che dominava poi sostanzialmente tutta la vita pubblica e in seguito anche quella privata nella Chiesa e nella società ecclesiastica.

I beni patrimoniali del beneficio ecclesiastico, che erano collegati con tutti gli uffici sia superiori che inferiori della Chiesa, rendevano il detentore del beneficio e perciò anche dell'ufficio largamente indipendente economicamente e con ciò spesso anche professionalmente, poiché anche l'ufficio che seguiva il beneficio non poteva più essere tolto se non con grande difficoltà. Il conferimento del beneficio-ufficio, che avveniva spesso attraverso laici che ne avevano il diritto - proveniente dalla chiesa propria in senso stretto e lato, - portava negli uffici ecclesiastici, vescovi ed abati fino ai parroci, candidati spesso impreparati o addirittura indegni. La concessione e assegnazione degli uffici da parte di laici potenti, che in questo affare badavano di più ai propri interessi secolari e profani che a quelli spirituali e religiosi della Chiesa, portava agli altri due mali fondamentali nella vita ecclesiastica di allora: la simonia, ossia la compera degli uffici, e il nicolaismo, vale a dire la larga violazione del celibato ecclesiastico.

Dopo il fallimento di riforme regionali, i Papi cominciarono a occuparsi di questa situazione calamitosa nella Chiesa su base europea. Essi riuscirono, soprattutto con l'impegno decisivo di Gregorio VII, a venire a capo di questo grave pericolo che aveva coinvolto tutti gli alti gradi della gerarchia ecclesiastica.

Così proprio questo pericolo diventò un impulso non solo di reintegrazione dell'antica disciplina celibataria, ma anche di un tentativo efficace di domarlo attraverso una scelta e una formazione migliore dei candidati per cui si limitava sempre maggiormente l'accettazione di uomini sposati, cercando cos' di tornare ad una generale osservanza di questo obbligo di continenza.

Un'altra conseguenza importante di questa riforma è la disposizione, decisa solennemente nel secondo Concilio Lateranense dell'anno 1139, che i matrimoni contratti dai chierici maggiori, come anche quelli dei consacrati attraverso voti di vita religiosa non fossero più solamente illeciti ma anche invalidi. Ciò ha causato un fraintendimento ancor oggi molto diffuso, e cioè che il celibato ecclesiastico fosse stato introdotto solo dal Concilio Lateranense II. In realtà si è reso solo invalido ciò che era già sempre proibito. Questa sanzione nuova conferma dunque piuttosto un obbligo esistente da molti secoli.

7. Il celibato nel diritto canonico classico

Quasi allo stesso tempo iniziano vita ed attività della scienza del diritto della Chiesa. Il monaco camaldolese Giovanni Graziano ha composto attorno al 1142 a Bologna la sua "Concordia discordantium canonum" chiamata poi semplicemente Decreto di Graziano, nel quale egli ha raccolto tutto il materiale giuridico del primo millennio della Chiesa e ha messo d'accordo, o ha almeno cercato di farlo, le varie e differenti norme. Con lui si inizia la scuola del diritto della Chiesa che si associa a quella parallela del diritto romano e che si chiamerà la scuola dei glossatori, vale a dire degli interpreti delle raccolte di diritto ecclesiastico (e del diritto romano) e dei suoi testi legali.

In questo Decreto di Graziano si tratta naturalmente anche della questione e dell'obbligo della continenza dei chierici e lo si fa precisamente nelle Distinzioni (della prima parte del Decreto) dalla 26 alla 34 e poi ancora dalla 81 alla 84. Lo stesso avviene anche nelle altre parti del Corpus Iuris (Canonici) che ora viene formandosi, in occasione della promulgazione delle rispettive leggi.

Per poter comprendere bene le spiegazioni che i canonisti hanno dato di queste leggi dobbiamo considerare da una parte che essi, così come anche i loro colleghi romanisti, non hanno sviluppato una ricerca e conoscenze storico-giuridiche - cosa che si è fatta solo in seguito nella scuola dei culti, cioè nella scuola giuridica umanistica dal secolo XVI in poi. Non dobbiamo perciò meravigliarci se i glossatori ossia la scuola giuridica dassica non ha, neanche nella canonistica, conosciuto una critica, in senso proprio, delle fonti e dei testi.

Per il nostro tema questa consapevolezza è importante poiché in Graziano ci imbattiamo subito con il fatto che nella questione del celibato ecclesiastico egli ha accettato quale fatto veramente accaduto al Concilio di Nicea la favola storica di Paphnutius e che egli, insieme al canone 13 del Concilio Trullano II del 691, ha accettato acriticamente la differenza tra la prassi celibataria della Chiesa Occidentale e Orientale. Mentre essa non costituisce per lui nessun motivo di giustificazione per la prassi differente nella Chiesa Latina, egli e la scuola classica di diritto canonico riconoscono la motivazione principale dell'obbligo differente in materia di continenza del clero maggiore Orientale. Ritorneremo su questa differenza nella trattazione storica del celibato nella Chiesa Orientale.

Ora dobbiamo dire che, proprio a causa di questa noncuranza critica, i dubbi già esistenti allora in Occidente riguardo a tale invenzione, che già Gregorio VII ed altri riformatori ed al loro seguito, soprattutto Bernoldo di Costanza, avevano riconosciuta, non hanno fatto una impressione decisiva sulla scuola canonistica, la quale, del resto, ha riconosciuto anche le deliberazioni del Concilio Trullano II come pienamente valide per la Chiesa Orientale; nello stesso Concilio, come vedremo, è stata fissata la disciplina celibataria della Chiesa Bizantina e delle sue dipendenze.

Non esiste, pero, per i canonisti medievali, come già detto, nessun dubbio sulla obbligatorietà, per la Chiesa Occidentale, della continenza di tutto il clero maggiore. E ciò certamente perché erano ben conosciuti da loro i documenti esaminati sopra dei Concili occidentali, soprattutto dei Concili Africani (Graziano non dimostra pero di conoscere il can. 33 di Elvira), dei Romani Pontefici e dei Padri. Tutti i canonisti sono generalmente d'accordo che la proibizione di sposarsi per i ministri maggiori sia da attribuirsi agli apostoli, al loro esempio ma, in parte, anche alla loro disposizione.

Alcuni attribuiscono il divieto dell'uso del matrimonio contratto prima dell'ordinazione agli apostoli, altri a disposizioni legislative posteriori, soprattutto ai Pontefici Romani cominciando da Siricio. Essi cercano di spiegare su quali ragioni si basa tale divieto, pero con motivazioni in parte contrastanti. Alcuni lo riferiscono ad un voto, espresso o tacito, o all'ordine annesso o solennizzato dalla legittima autorità. Di fronte alla difficoltà che nessuno può imporre ad alcuno un votum si cerca di trovare la soluzione nella constatazione che non lo si impone alla persona ma all'ufficio che ha annesso una tale condizione; che la Chiesa possa fare ciò non vi è nessun dubbio da parte di tutti i canonisti, che lo spiegano anche con ragionamenti assai interessanti e convincenti.

La dottrina che convince più facilmente dice che attraverso una legge questa disposizione può essere unita, soprattutto dai Romani Pontefici, all'ordine sacro e che ciò è stato realmente fatto: per i vescovi, per i sacerdoti e per i diaconi, sin dai primi tempi della Chiesa, dai Concili e dai Romani Pontefici. Per i suddiaconi è stato deciso definitivamente solo da Papa Gregorio I. Nessuno dei canonisti medievali dubita che questo obbligo vincola illimitatamente sin dal momento della sua introduzione. Si noti particolarmente il fatto che alcuni glossatori si riferiscono esplicitamente a norme puramente tradizionali quali fonti di obbligo della continenza clericale, le quali erano già esistenti prima della loro prescrizione legislativa, e che una dispensa da un obbligo proveniente da un voto non era possibile neanche per il Papa. Per questo molti si decidevano per la teoria della causa efficiente che proveniva da una legge perché da una legge generale il Papa potrebbe dispensare. Un buon numero di loro è pero del parere che una tale dispensa possa essere data solo in singoli casi ma non per tutti, perché ciò equivarrebbe all'abolizione di una obbligazione contro lo status ecclesiae, cosa che anche al Papa non sarebbe possibile.

Dopo questa sintetica esposizione del pensiero dei glossatori sul celibato ecclesiastico, rettamente inteso, vigente nella Chiesa Occidentale, gioverà riferire almeno qualche testo importante sul nostro tema che possa considerarsi particolarmente rappresentativo della loro dottrina.

Ce lo dà Raymundo da Peñafort, il quale ha composto anche il Liber Extra di Papa Gregorio IX, parte centrale del Corpus Iuris Canonici, e può perciò essere assunto quale uomo di fiducia del Pontefice ed insieme rappresentante qualificato della scienza canonistica, già abbastanza matura, di allora. Per quello che riguarda origine e contenuto dell'obbligo di continenza di uomini sposati prima dell'ordinazione sacra egli dice: "I vescovi, i sacerdoti e i diaconi devono osservare la continenza anche con le loro spose (di prima). Questo hanno insegnato gli apostoli con il loro esempio e anche con le loro disposizioni come dicono alcuni secondo i quali la parola "insegnamento" (Dist. 84, can. 3) può essere interpretata in maniera varia. ciò è stato rinnovato nel Concilio di Cartagine, come nella citata disposizione cum in merito di Papa Siricio".
 
Dopo le altre spiegazioni riassuntive Raymundo viene a parlare delle ragioni dell'introduzione di tale obbligo: "La ragione era duplice: sia la purezza sacerdotale, affinché così possano ottenere in tutta sincerità ciò che con la loro preghiera chiedono a Dio (Dist. 84, cap. 3 e dict. p.c. 1 Dist. 31); la seconda ragione è che possano pregare senza impedimenti (1 Cor 7,5) ed esercitare il loro ufficio; perché non possono fare le due cose insieme: cioè servire la moglie e la Chiesa".

8. La continuità della dottrina della Chiesa nell'epoca moderna

La continua vita sacrificata di un tale gravoso impegno può essere vissuta solo se nutrita da una fede viva poiché la debolezza umana si fa anche continuamente sentire. La motivazione soprannaturale può venire compresa in continuità solo da una tale fede, sempre coscientemente vissuta. Dove viene meno la fede diminuisce anche la forza di perseveranza, dove muore la fede muore anche la continenza.

Prove sempre nuove di questa verità sono tutti i movimenti eretici e scismatici che si susseguono nella Chiesa. Una delle prime conseguenze presso i loro seguaci è sempre la rinuncia alla continenza clericale. perciò non può meravigliare il fatto che anche nelle grandi eresie e defezioni dall'unità della Chiesa Cattolica del sec. XVI, ossia dai Luterani, Calvinisti, Zwingliani, Anglicani si rinuncia subito al celibato ecclesiastico. Gli sforzi di riforma del Concilio di Trento per ristabilire la vera fede e la buona disciplina nella Chiesa Cattolica dovettero perciò occuparsi anche degli attacchi alla continenza dei ministri sacri.

Dalla storia di questo Concilio si sa già con certezza che soprattutto imperatori, re, principi ma anche rappresentanti della stessa Chiesa si sono impegnati per ottenere un alleggerimento o una dispensa da questo obbligo nella buona intenzione di recuperare i ministri sacri che avevano lasciato la Chiesa Cattolica. Ma una commissione istituita dai Romani Pontefici per trattare questa questione venne, a motivo di tutta la tradizione precedente, alla conclusione di dover mantenere senza compromessi questo impegno celibatario: la Chiesa non potrebbe rinunciare ad un obbligo, valido sin dall'inizio e poi sempre rinnovato.

Per motivi pastorali si diede l'autorizzazione speciale per la Germania e per l'Inghilterra che i sacerdoti apostati, dopo la rinuncia ad ogni convivenza ed uso matrimoniale, potevano essere assolti e reintegrati nel loro ministero nella Chiesa Cattolica. Se rifiutavano questo ritorno poteva essere sanata l'invalidità del loro matrimonio, ma essi rimanevano sempre esclusi da ogni ministero sacro.

È da notare che i Padri del Concilio di Trento non solo rinnovarono tutti gli obblighi rispettivi, ma si rifiutarono anche di di chiarare la legge del celibato della Chiesa Latina una legge puramente ecclesiastica, come si erano anche rifiutati di comprendere la Madonna nella legge universale del peccato originale.

Ma la decisione più radicale del Concilio di Trento per la salvaguardia del celibato ecclesiastico fu la fondazione dei seminari per l'educazione dei sacerdoti, che è stata decisa dal noto canone 18 della Sessione XXIII ed imposta a tutte le diocesi. In questi seminari dovevano essere scelti i giovani per il sacerdozio, formati e fortificati per questo ministero.

Questa prescrizione provvidenziale, che veniva lentamente attuata ovunque, ha offerto alla Chiesa tanti candidati celibi per i gradi superiori del ministero dell'ordine sacro che da allora in poi si è potuto fare a meno di ordinare gli sposati: ciò che era stato il desiderio espresso da molti padri del Concilio.

Da allora il consenso finora dominante del celibato che comportava per l'ordinato sia l'obbligo di continenza completa dall'uso del matrimonio contratto prima dell'ordinazione come anche il divieto di nozze future, molto diffuso nella mentalità dei fedeli, si è ristretto a quest'ultimo, sicché oggi si intende sono il celibato ecclesiastico comunemente solo la proibizione di sposarsi.

La Chiesa è sempre stata ferma nel conservare la sua tradizione riguardo al suo celibato anche nei tempi duri successivi. Una chiara testimonianza ne è la Rivoluzione della fine del secolo XVIII e dell'inizio del secolo XIX. Anche qui si è di nuovo adottata la prassi del secolo XVI: i sacerdoti che si erano sposati durante la Rivoluzione dovevano decidersi: o rinunciare al matrimonio civile invalidamente contratto oppure far sanare dalla Chiesa l'invalidità. Nel primo caso potevano essere riammessi al ministero sacro, nel secondo erano esclusi per sempre da questo ministero come aveva già deciso la prima legge scritta in materia a noi nota, quella del Concilio di Elvira.

La Chiesa si oppose anche a tutti gli altri tentativi che si fecero per abolire il celibato dei ministri sacri, come gli sforzi fatti nel Baden-Würtemberg sotto Gregorio XVI oppure dal movimento Jednota della Boemia sono Benedetto XV.

Significativa è di nuovo l'abolizione immediata del celibato presso i Vecchi Cattolici dopo il Concilio Vaticano I. Non meno chiara è l'opposizione della Chiesa contro i tentativi sempre più rinnovati dopo il Concilio Vaticano II di ordinare sacerdoti "viri probati" cioè uomini sposati senza esigere la rinuncia all'uso del matrimonio oppure di permettere il matrimonio dei preti.

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