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IL CELIBATO ECCLESIASTICO

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2009 14:56
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23/09/2009 14:52

I FONDAMENTI TEOLOGICI DELLA DISCIPLINA DEL CELIBATO

Nella discussione odierna sul celibato si insiste sempre di più sulla necessità di un approfondimento teologico del sacerdozio, per poter dedurre e valutare anche l'aspetto unicamente vero e completo della teologia del celibato nella Chiesa Cattolica Latina.

Per questo motivo ci rimane ancora il compito attuale ed importante di esaminare le componenti teologiche sia del sacerdozio del NT come anche, partendo da queste, del celibato dei ministri sacri. Entrambi hanno le loro radici nella Sacra Scrittura che è fonte principale della teologia cattolica e poi nella tradizione della Chiesa che svela ed interpreta le testimonianze scritturistiche.



Il sacerdozio di Gesù Cristo è un profondo mistero della nostra fede. Per comprenderlo, I'uomo deve aprirsi ad una visione soprannaturale e sottomettere la ragione umana ad un modo di pensare trascendente. In tempi di viva fede, che non solo anima ed orienta il singolo fedele ma permea e forma anche la vita di tutta la comunità credente, il Cristo-Sacerdote costituisce nella coscienza di tutti il centro vivo della vita di fede personale e comunitaria.

In tempi di decadenza del senso di fede la figura di Cristo-Sacerdote svanisce e scompare sempre di più dalla coscienza degli uomini e del mondo e non sta più nel centro della vita cristiana.

Questa immagine di Cristo-Sacerdote nella coscienza dell'uomo segue sempre il sacerdote di Cristo. Nei tempi di viva fede non torna difficile al sacerdote il riconoscersi in Cristo, identificarsi con lui, vedere e vivere l'essenza del proprio sacerdozio in intima unione con quello di Cristo-Sacerdote, vedere in lui "l'unica sorgente" e "il modello insostituibile" del proprio sacerdozio.

In un'atmosfera di razionalismo, che rimuove sempre più dalla mente dell'uomo il soprannaturale, in un tempo di materialismo che fa svanire sempre più lo spirituale, diventa sempre più difficile per il sacerdote resistere in quest'atmosfera di secolarizzazione ad una siffatta mentalità. L'identità trascendente e spirituale del suo sacerdozio si vela sempre di più e si spegne se egli non si sforza coscientemente di approfondirla e di tenerla viva in un'intima unione di vita con Cristo.

Questa situazione critica rende più che mai indispensabile per il sacerdote l'aiuto di una ascetica e di una mistica che tengano conto di tale situazione e che si scoprano in tempo i pericoli che minacciano il suo sacerdozio e che gli si mostrino le necessità e gli si forniscano i mezzi che la sua esistenza sacerdotale richiede.

L'attuale crisi di identità del sacerdozio cattolico si manifesta in tutta la sua chiarezza attraverso la rinuncia di migliaia di sacerdoti al loro ministero, attraverso una profonda secolarizzazione di molti altri che rimangono in servizio formale ed ancora attraverso la penuria di vocazioni causata dal rifiuto di seguire la chiamata. In questa situazione vi è un fondamentale bisogno di una nuova pastorale sacerdotale che tenga conto delle condizioni concrete e dei bisogni attuali, che risponda in una parola al "contesto del presente".

1. Il rapporto sacerdotale con Cristo

Basandosi su tutta la tradizione, occorre far brillare in una nuova luce l'essenza del sacerdozio cattolico. Il concilio di Trento, in una crisi simile, ha creato, attraverso la definizione dei sacramenti dell'ordine e dell'eucaristia, i presupposti di una mistica del sacerdote riportandola alla mistica di Cristo. Un J.M. Scheeben, di fronte al razionalismo teologico del secolo passato, ha spiegato in modo approfondito che l'ordinazione crea una elevazione di chi la riceve in una unione organica soprannaturale con Cristo e che il carattere che l'ordine sacro imprime per sempre rende l'ordinato partecipe di una nuova elevazione ad organo delle funzioni sacerdotali di Cristo.

In tempi recentissimi, soprattutto dal Concilio Vaticano II in poi, questo rapporto del sacerdote con Cristo è stato collocato sempre più verso il centro dell'essenza del sacerdozio e si sono così potuti approfondire ed ampliare i pronunciamenti biblici e le dottrine teologiche e canonistiche del passato sull'unione e la conformità tra Cristo e il sacerdote. Così ha acquistato nuova luce, teologicamente illustrato, l'assioma tradizionale sacerdos alter Christus.

Se san Paolo scrive ai Corinzi (1 Cor 4,1): "Così l'uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" oppure (2 Cor 5,20): "Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio", ciò si può considerare una motivazione autenticamente biblica dell'identificazione del sacerdote con Cristo.

Nel Concilio Vaticano II si esprime continuamente la stessa idea: "I vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice e agiscono in sua persona" (LG n. 21 con nota 22 ove si documenta la rispettiva dottrina della Chiesa antica). I sacerdoti a loro congiunti sono partecipi dell'ufficio dell'unico Mediatore Cristo ed esercitano il loro sacro ministero nel culto eucaristico agendo in persona di Cristo (LG n. 28 con nota 67; CD n. 28). Attraverso il sacramento dell'ordine e il carattere che esso imprime, vengono configurati con Cristo ed agiscono in suo nome (PO 2, 6, 12; OT 8; SC 7).

Dopo il Concilio si moltiplicano siffatte espressioni anche da parte della Curia Romana. La Congregazione per l'Educazione Cattolica, nelle norme fondamentali per la formazione dei sacerdoti dell'anno 1970, ha esplicitamente sottolineato con l'affermazione di principio che il sacerdote diventa, per mezzo dell'ordine sacro, un "alter Christus". E il nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 dice nel canone 1008: "Con il sacramento dell'ordine ed il carattere indelebile con cui vengono segnati coloro che lo ricevono, i ministri della Chiesa vengono consacrati e destinati ad adempiere, ognuno nel suo grado, i compiti di insegnare, santificare, e governare in persona Christi e di pascere così il popolo di Dio".

Ma in modo più intenso si è occupato del sacerdozio e dei sacerdoti il Pontefice regnante, Giovanni Paolo II, sin dall'inizio del suo pontificato. Per il Giovedì Santo di ogni anno, già dal 1979, egli indirizza un proprio messaggio ai sacerdoti. Ripetutamente si vale di ogni occasione: delle udienze, discorsi e soprattutto delle frequenti ordinazioni sacerdotali per mettere nella giusta luce teologica, pastorale, attuale la natura e l'essenza del sacerdozio cattolico e approfondire il suo significato.

Il più importante atto d'ufficio di questo Pontefice per il sacerdozio è costituito senza dubbio dalla convocazione e l'attuazione dell'ottavo Sinodo dei Vescovi, che ha avuto per oggetto la formazione dei sacerdoti. Un punto centrale delle discussioni dei Padri Sinodali era senza dubbio il concetto giusto ed attuale dell'identità del sacerdote nel mondo di oggi e in relazione con la grave crisi nella quale si agita oggi il sacerdote. Riassunto e coronamento di questi approfonditi lavori è l'Esortazione Apostolica post-sinodale, apparsa il 25 marzo del 1992, sotto il titolo "Pastores dabo vobis" circa la formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali.

Nel secondo capitolo di questa Esortazione Apostolica il Sommo Pontefice tratta "della natura e missione del sacerdozio ministeriale" e informa espressamente che gli interventi dei Padri Sinodali "hanno manifestato la coscienza del legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon Pastore" (n. 11). Il Papa conclude questa esposizione con l'affermazione veramente classica: "Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell'essere una derivazione, una partecipazione specifica ed una continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza; egli è un'immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di Cristo, espressione della sua assoluta "novità", nella storia della salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma insostituibile del sacerdozio del cristiano e, in specie, del presbitero. Il riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali" (n. 12 alla fine).

Basandoci su questa affinità naturale tra Cristo e il suo sacerdote, non ci sarà difficile individuare anche la teologia del celibato sacerdotale. Giovanni Paolo II stesso ce ne dà nuovamente la chiave:

"È particolarmente importante che il sacerdote comprenda la motivazione teologica della legge ecclesiastica sul celibato. In quanto legge, esprime la volontà della Chiesa, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità. Ma la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l'Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo e Sposo l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore" (n. 29 verso la fine).

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