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Assemblea generale dell'ONU

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2009 06:23
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23/09/2009 18:12

Il vertice a New York conferma lo stallo nelle trattative per la riduzione dei gas serra

Lo scioglimento dei ghiacciai è più rapido dei negoziati sul clima




New York, 23. I negoziati sul clima stanno procedendo "a ritmo glaciale:  più lenti della velocità di scioglimento dei ghiacciai". Con queste parole, il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha aperto il vertice sul clima organizzato a New York in margine all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. "Adesso è il vostro momento per agire. Il destino delle generazioni future e le speranze di miliardi di persone oggi dipendono letteralmente da voi", ha detto Ban Ki-moon agli oltre cento leader mondiali intervenuti al vertice.

Gli appelli ad agire subito si sono susseguiti in quasi tutti gli interventi, compreso quello del presidente statunitense Barack Obama, ma di fatto non sono emerse soluzioni in vista della conferenza mondiale di dicembre a Copenaghen, quando si dovrà definire l'accordo internazionale che subentrerà al Protocollo di Kyoto.

Di negoziati giunti a un punto morto ha parlato il presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha proposto un vertice a novembre delle maggiori economie (che sono anche i maggiori inquinatori) per dare una spinta alla fase finale della conferenza di Copenaghen.

In questo clima di pessimismo, di parole di allarme, ma di pochi passi concreti per uscire dallo stallo, un segnale di novità è venuto dalla Cina e dal Giappone. Il presidente cinese Hu Jintao, rispondendo alle critiche di mancanza di azione che da tempo bersagliano Pechino, si è impegnato a ridurre le emissioni di anidride carbonica in misura notevole entro il 2020 con un calcolo agganciato alla unità di prodotto nazionale lordo. L'impegno è in sintonia con la convinzione della Cina che "i Paesi in via di sviluppo hanno responsabilità diverse dai Paesi sviluppati", in materia di lotta all'inquinamento, come ha detto Hu Jintao. Il presidente cinese si è inoltre impegnato a sviluppare vigorosamente le energie rinnovabili e l'energia nucleare, con un aumento del 15 per cento, sempre entro il 2020, della quota di energia non fossile nel totale del consumo energetico della Cina. Ma Hu Jintao ha anche sottolineato che "bisogna associare agli sforzi messi in atto per contrastare i cambiamenti climatici quelli destinati a promuovere la crescita dei Paesi in via di sviluppo". Il presidente cinese ha cioè riproposto la questione cruciale che minaccia di impedire risultati a Copenaghen.

Da parte sua, il primo ministro giapponese Yukio Hatoyama ha ribadito l'impegno alla riduzione del 25 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2020. Il premier ha però aggiunto che il Giappone da solo non può fermare il cambiamento climatico e che per questo motivo i Paesi sviluppati devono guidare la riduzione delle emissioni.

Obama ha ribadito l'urgenza e la gravità del problema e ha sottolineato di avere fatto nei suoi otto mesi di presidenza per affrontare la sfida climatica più di tutti i suoi predecessori. Obama ha detto che gli Stati Uniti sono impegnati a fare un investimento senza precedenti nel campo della energia pulita, ad applicare nuovi standard per ridurre le emissioni di gas inquinanti dei veicoli e a fornire assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo. "Noi continueremo a fare la nostra parte - ha detto Obama - investendo in energia rinnovabile, promuovendo una maggiore efficienza e diminuendo le nostre emissioni per raggiungere gli obiettivi posti per il 2020 ed il 2050. Ma i paesi a rapida crescita economica che produrranno quasi tutto l'aumento delle emissioni nei prossimi decenni devono anche fare la loro parte".

Tuttavia, Obama non ha indicato iniziative volte a sbloccare la situazione di stallo dei negoziati quando mancano ormai solo due mesi e mezzo alla conferenza di Copenaghen. Tra l'altro, fonti ufficiali dell'Amministrazione di Washington hanno ammesso che molto dipende anche dalle azioni di un Senato alle prese al momento con la riforma della sanità. Gli Stati Uniti, inoltre, contestano le pressioni europee per l'uso dei livelli del 1990 come base di partenza per i tagli alle emissioni e vogliono invece partire da livelli più recenti considerati più vantaggiosi.

A chiarire qual è la posta in palio ha provveduto, meglio di qualunque altro intervento, quello di Mohamed Nasheed, il presidente delle Maldive, l'arcipelago dell'Oceano indiano la cui sopravvivenza è messa a rischio dal riscaldamento globale e dal conseguente innalzamento del livello del mare. "Se le cose continueranno così noi non vivremo, noi moriremo e il mio Paese non esisterà più", ha detto Nasheed, esortando a superare le divisioni per trovare un accordo che inverta la tendenza climatica. "Non possiamo fare in modo che Copenaghen diventi un accordo per il suicidio" ha aggiunto ancora Nasheed che è anche il presidente dell'Alleanza dei piccoli Stati insulari. Quest'ultima, proprio ieri ha adottato una dichiarazione in cui i 42 Paesi membri chiedono un accordo che assicuri che il riscaldamento globale venga mantenuto sotto 1,5 gradi.



(©L'Osservatore Romano - 24 settembre 2009)
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