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Domenica V dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2009 22:31
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26/09/2009 22:31

Commento al Vangelo del 27 settembre
Gesù è il buon samaritano
V Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il precursore
25.09.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Un anonimo pellegrino medievale ha inciso sul muro, ora diroccato, del cosiddetto “Albergo del Buon Samaritano” sulla strada per Gerico queste parole in latino: «Se persino sacerdoti e leviti passano oltre la tua angoscia, sappi che Cristo è il Buon Samaritano, che avrà sempre compassione di te e nell'ora della tua morte ti porterà alla locanda eterna». Una antichissima tradizione legge la parabola del Buon Samaritano come “icona” di Gesù, Dio di com-passione. La parabola è preceduta da una domanda circa ciò che è necessario per entrare nella vita eterna - amare Dio e il prossimo - e una successiva domanda: chi è il mio prossimo? Questa domanda è tipicamente giudaica. L’ebreo si metteva al centro e da lì definiva il prossimo in base a cerchi concentrici: dalla famiglia al clan, al popolo. Al di fuori gli infedeli. Al termine della parabola Gesù cambierà la domanda: Chi è stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Prima di definire chi sia il prossimo si tratta di diventare ed essere realmente prossimo dell'altro. Ad una catalogazione fredda e distaccata si oppone una relazione dinamica: farsi prossimo. Il prossimo non esiste già, prossimo si diventa quando si fa un passo verso... Discendeva... Tra Gerusalemme e Gerico vi sono 27 km con un dislivello di più di mille metri nel deserto montuoso di Giuda. Il verbo discendere è anche il termine tecnico per indicare il rientro ai propri villaggi dopo l'annuale visita al tempio (Mc 3,22; Lc 2,51; Gv 2,12; 4,47). E’ il momento triste in cui si lascia la gloria del Tempio per il deserto della vita di ogni giorno.

Un sacerdote e un levita

Un sacerdote... e un levita... La scelta di due uomini addetti al Tempio comporta una vena polemica, la stessa dei profeti che rimproveravano un culto solo esteriore non accompagnato dalla giustizia e dall’amore. Gesù ignora le motivazioni di questa omissione di soccorso. Probabilmente il timore di contrarre impurità toccando un ferito o peggio un cadavere con conseguenze anche economiche per sé e la propria famiglia, non avrebbe infatti percepito le decime e i riti di purificazione erano complessi e costosi. Due volte si usa il verbo (antiparelthen) passò oltre dall'altra parte, rappresentazione del girare alla larga da quel corpo. Invece un Samaritano... Sappiamo che quando Gesù vorrà darci un esempio di cammino verso la fede sosterà a lungo in dialogo proprio con una donna Samaritana. Quando vorrà darci un esempio di gratitudine dirà che l’unico dei dieci lebbrosi guariti che torna a ringraziarlo è un Samaritano. E quando vorrà manifestarci l’amore di Dio operante in Lui quasi si nasconderà sotto le fattezze del buon Samaritano. Eppure, lo sappiamo, Samaritano allora equivaleva a bastardo, infedele, indemoniato. L'insulto scagliato dai Giudei contro Gesù suona così: «Non diciamo con ragione che tu sei un samaritano e hai un demonio addosso?» (Gv 8,48). E invece Gesù si identifica proprio con un Samaritano! Una provocazione davvero eloquente. Ne ebbe compassione... il verbo qui adoperato fa riferimento alle viscere del grembo materno, esprime quindi l’amore “viscerale” e “materno” di Dio per le sue creature (Is 49,15). Questo verbo è nei Vangeli sempre e solo attribuito a Gesù nei confronti dei sofferenti. Luca lo adopera per il padre del figlio prodigo e per la commozione di Gesù di fronte al figlio della vedova di Nain. L’amore del Samaritano è attivo: fascia le ferite, vi versa vino e olio secondo la tecnica del pronto soccorso orientale, lo carica sulla sua cavalcatura. La prova d'amore conosce la generosità e la premura: per due volte si ripete il verbo “prendersi cura” (vv.34 e 35). Un amore che conosce il realismo e la concretezza. Il Samaritano estrae dalla sua cintura o dal turbante due denari, la paga di due giornate di lavoro di un operaio, pronto a coprire anche le spese ulteriori. Un amore personale: è ripetuto otto volte il pronome personale: «passandogli accanto, lo vide... gli si fece vicino, gli fasciò le ferite... caricatolo… lo portò... si prese cura di lui... Abbi cura di lui».

Il vero prossimo

La fraternità cristiana non conosce più distinzioni di clan, barriere razziali o nazionali: il fratello non è più il solo figlio di Abramo ma è ogni figlio di Adamo. Essere prossimo non è “evitare”, ma “farsi vicino”, non è tracciare frontiere ma abbracciare. Essere prossimo è anche la vera santità. Il sacerdote e il levita incarnano la sacralità glaciale che distanzia e separa, il Samaritano incarna la santità che condivide la sofferenza per sollevarla. Gesù è il Samaritano. Infatti: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). E la perfezione è «essere misericordiosi come misericordioso è il Padre celeste» (Lc 6,36), amarsi «come Lui ci ha amati» (Gv 15,12). Il volto di Dio che la Bibbia ci presenta è quello di colui che è “irrazionale” non nella vendetta come lo è l’uomo (Gen 4,23-24) ma nel perdono e nell’amore. La parabola del buon Samaritano è anzitutto il ritratto di Dio e del suo Cristo, e per conseguenza del vero discepolo.
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