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2.3.1939 Settant'anni fa veniva eletto Pio XII

Ultimo Aggiornamento: 27/09/2009 07:27
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27/09/2009 07:25


Settant'anni fa l'elezione di Pio XII

«Nulla è perduto con la pace»
Sul filo del rasoio in cerca di una mediazione


Pubblichiamo  un  estratto  dal  volume Pius XII. Friede, das Werk der Gerechtigkeit, uscito nel 1968 e riedito in italiano con il titolo Pio XII (Cinisello Balsamo, 2002, pagine 148, euro 10).

di Burkhart Schneider

Dopo lungo tempo, più di duecento anni, finalmente con Eugenio Pacelli era stato nuovamente eletto Papa un romano genuino. La sua famiglia apparteneva a quella parte del patriziato dell'Urbe che anche dopo la caduta dello Stato della Chiesa nel 1870 si era mantenuto ostentatamente in contatto con il Vaticano e mostrava un atteggiamento di opposizione verso il nuovo ordinamento italiano.

Una colta spiritualità, in cui sopravviveva la ricca tradizione di secoli, assieme a un'incontestabile dedizione alla Chiesa, secondo la quale, con una evidenza insolita per chi non sia italiano, si ponevano sullo stesso piano il servizio alla Curia e la fedeltà alla Chiesa stessa, caratterizzavano questo ambiente, numericamente ristretto ma ciò nonostante influente.
 
Il 10 febbraio 1939, dopo diciassette anni di pontificato, moriva Pio XI. Il suo successore fu eletto alla terza votazione, in un conclave eccezionalmente breve, durato meno di una giornata. Per la prima volta nella storia della Chiesa, tutti i cardinali viventi avevano potuto convenire a Roma; questa totalità non venne più raggiunta neppure nei conclavi seguenti del 1958 e del 1963. Pur essendo da ritenere la nomina del segretario di Stato a successore del Pontefice appena defunto una vera rarità della storia del papato, nel caso di Pacelli tuttavia l'evento non costituì affatto una sorpresa e il limitato numero delle votazioni occorrenti sta a indicare che in seno al collegio dei cardinali, già prima del conclave, si era affermata un'opinione pressoché unanime sulla persona del successore.

L'elezione del Pontefice, il 2 marzo 1939, doveva coincidere con le ultime fasi che precedettero lo scatenarsi della seconda guerra mondiale, ma evidentemente in quel momento non si aveva piena coscienza dell'incombente pericolo. L'impressione suscitata dall'accordo di Monaco dell'ottobre 1938, grazie al quale si era riusciti ancora una volta a evitare la guerra ritenuta allora inevitabile, era stata tanto forte che ora non si credeva a un immediato ritorno dello stesso pericolo. Questa opinione risulta chiaramente dai colloqui che il Papa ebbe nei giorni compresi fra l'elezione e l'incoronazione, il 6 e il 9 marzo, con i quattro cardinali tedeschi (Bertram di Breslavia, Faulhaber di Monaco, Schulte di Colonia e Innitzer di Vienna) intorno alla situazione della Chiesa in Germania.

Dai verbali delle riunioni risulta che in quei giorni le responsabili autorità ecclesiastiche prevedevano un lungo perdurare del terrore in Germania, suscettibile di prolungarsi per diverse generazioni. Si temeva l'inasprimento della lotta religiosa fino alla proibizione generale di ogni forma di ministero pastorale straordinario e di ogni organizzazione ecclesiastica; si valutarono i prevedibili effetti della lotta per la scuola nel corso delle future generazioni; si previde il pericolo di "affamamento" della Chiesa provocato attraverso lo strangolamento nel reclutamento del clero. Evidentemente in quella circostanza il Papa e i cardinali non presero in considerazione la possibilità di un rapido crollo del regime, condizionato da un incombente conflitto armato, unica possibilità per un sostanziale mutamento della situazione.

Questa rassegnazione, che in seguito avrebbe potuto essere qualificata come mancanza di previdenza, era tuttavia comprensibile in quel determinato momento e si fondava sull'esperienza dell'anno appena trascorso. Immediatamente dopo l'accesso del nazismo al potere vi erano state effettivamente molteplici previsioni di una rapida fine del regime, ma gli eventi successivi avevano fatto ogni volta apparire tali anticipazioni come fallaci speculazioni. Oltre a ciò, dopo l'appello di Pio XII all'opinione pubblica mondiale, le grandi potenze avevano mostrato soltanto la propria inerzia, che non consentiva alcuna speranza in una sostanziale modifica della situazione.
 

Pochi giorni dopo la situazione era cambiata radicalmente. La cinica violazione degli accordi di Monaco, con l'invasione delle truppe tedesche nella Cecoslovacchia, il 15 marzo 1939, rivelò nuovamente la spregiudicata politica di forza condotta da Hitler, e la minaccia di una guerra divenne un pericolo immediato. Nei mesi seguenti Pio XII fece di tutto, con ogni mezzo a sua disposizione, per impedirla:  i tentativi di sondaggio, la convocazione in maggio di una conferenza delle cinque potenze particolarmente interessate (Inghilterra, Francia, Italia, Germania, Polonia) a raggiungere un ordinamento stabile in Europa per la via di trattative, non ottennero, fin dall'inizio, che risposte negative. Da un lato Hitler, dopo la violazione dell'accordo di Monaco, non era più accettabile dalle potenze occidentali come partner nelle trattative; dall'altro la Germania e l'Italia si sarebbero trovate di fronte a una maggioranza contraria, di tre contro due.

Risultò ben presto evidente che la Polonia avrebbe costituito il prossimo obiettivo d'attacco per la brama di conquista tedesca. Caratteristico dello sviluppo della situazione è il caso dell'arcivescovo di Cracovia, Sapieha. Ai primi di febbraio del 1939 questi aveva chiesto la dispensa dalla carica per ragioni di età e di salute, ma il 10 febbraio sopraggiunse la morte di Pio XI e conseguentemente Sapieha poté presentare la propria domanda al nuovo Pontefice soltanto in aprile, in occasione di una visita a Roma. Nel mese di maggio però, su pressione del Vaticano, dichiarò di voler rimanere al proprio posto, in vista dell'incombente pericolo. Effettivamente Sapieha, dopo l'occupazione della sua patria, divenne poi il centro e il portavoce della Chiesa polacca perseguitata, attirandosi l'odio particolare della Gestapo.

In quelle settimane dell'estate 1939, quando un nuovo focolaio di guerra si andava rivelando nella questione di Danzica e del corridoio polacco, il Papa cercò nuovamente, questa volta in stretto collegamento con Mussolini, di mantenere la pace. Dopo che l'Inghilterra, ai primi di luglio del 1939, ebbe dichiarato ufficialmente che la promessa di aiuto data alla Polonia doveva essere considerata assolutamente seria e che perciò ogni aggressione contro la Polonia avrebbe avuto come conseguenza l'intervento dell'Inghilterra (una notizia che la Santa Sede trasmise immediatamente all'Italia, sottolineandone l'importanza), non poteva più sussistere alcun dubbio circa l'urgente pericolo di una grande guerra. I nuovi, più energici sforzi del Papa sono da considerare alla luce di questa situazione. Per parte sua il capo del Governo italiano, che si sperava di guadagnare mediante generose concessioni nell'area mediterranea da parte dell'Inghilterra e della Francia, doveva agire come moderatore di Hitler, mentre il Papa intendeva influire analogamente sulla cattolica Polonia.

In tutto questo il Vaticano era perfettamente cosciente che si trattava di un gioco sul filo del rasoio, in quanto c'era il pericolo che le intenzioni della Santa Sede potessero venir fraintese e che per i suoi tentativi di mediazione le si rimproverasse di appoggiare la politica di forza della Germania. Questo punto di vista risulta da un'annotazione del segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, Domenico Tardini, il principale collaboratore di Pio XII durante l'intero pontificato, il quale temeva appunto che dal ruolo di mediatore si potesse arguire "che la Santa Sede sembrerebbe aver favorito il gioco di Hitler (...) e procurato una nuova Monaco.

Monaco era consistito in ciò:  Hitler gridò, minacciò e ottenne quanto voleva. Così per Danzica:  le grida e le minacce di Hitler avrebbero ottenuto, auspice la Santa Sede, quel ritorno di Danzica al Reich che non si è potuto ottenere con le trattative pacifiche".
Con la conclusione del trattato russo-tedesco del 23 agosto 1939 erano, comunque, cadute le ultime esitazioni da parte tedesca. Pio XII indirizzò il 24 agosto un implorante appello al mondo, il cui testo seguiva in gran parte l'abbozzo primitivo, redatto dall'allora sostituto segretario di Stato, monsignor Montini:  "Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra". Gli sforzi delle settimane seguenti non potevano far altro che ritardare di pochi giorni il fatale corso degli eventi.

L'ultimo giorno di agosto la Santa Sede si rivolse ancora una volta a tutte le potenze interessate, ma la decisione era già avvenuta.



(©L'Osservatore Romano - 2-3 marzo 2009)
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