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Cinquant'anni fa moriva monsignor Giulio Belvederi, fondatore della comunità delle suore benedettine di Priscilla

Ultimo Aggiornamento: 29/09/2009 18:24
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Cinquant'anni fa moriva monsignor Giulio Belvederi, fondatore della comunità delle suore benedettine di Priscilla sulla via Salaria

L'amico delle catacombe


di Fabrizio Bisconti

Chi riesce a fendere il traffico convulso del quartiere Salario e approda all'isola verde di villa Ada, può imbattersi in un palazzetto d'epoca che introduce discretamente in uno dei monumenti più suggestivi della "Roma sotterranea cristiana".

Si tratta delle catacombe di Priscilla, che desumono la denominazione dalla matrona romana, appartenente alla nobile famiglia degli Acilii Glabrioni, che donò il suo praedium sulla via Salaria nova a una comunità cristiana, la quale scavò un'esteso cimitero ipogeo a cominciare dai primi anni del iii secolo. Qui trovarono degna sepoltura molti martiri, come Felice e Filippo, figli della matrona Felicita, e alcuni pontefici, come san Silvestro, sulla cui tomba venne eretta una basilica ancora oggi officiata, seppure abbondantemente ricostruita. Lungo le gallerie della catacomba scorrono le più antiche immagini dell'arte cristiana:  dall'annunciazione alla natività, dall'adorazione dei magi al banchetto eucaristico. Questa semplice, ma ricca pinacoteca della salvezza è valorizzata dalle accurate visite coordinate dalle Suore Benedettine di Priscilla che, da sempre, rappresentano un modello per chi voglia presentare i monumenti paleocristiani come testimonianza concreta ed efficace della "catechesi primitiva".

La comunità di Priscilla ricorda, in questi giorni, il padre fondatore monsignore Giulio Belvederi, morto proprio cinquant'anni orsono, il 28 settembre del 1959. Pochi giorni prima, il 10 settembre, gli aveva fatto visita il suo caro amico Papa Giovanni XXIII. Quell'amicizia risaliva all'esordio del Novecento, quando i due giovani sacerdoti erano approdati a Roma per perfezionare gli studi. Giulio Belvederi proveniva da Bologna, dove era nato nel 1882, e fu incoraggiato dallo zio, il cardinale vicario Pietro Respighi, molto sensibile alla riscoperta e alla valorizzazione delle antichità cristiane, che lo coinvolse nella realizzazione di un Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. Monsignor Belvederi fu letteralmente avvolto dall'amore per i primi cimiteri cristiani, talché pensò di fondare, in quei fervidi anni Venti del secolo scorso, l'associazione "Amici delle catacombe", per attuare il suo apostolato, tutto basato sulla storia, sulla liturgia, sull'archeologia e sullo studio dei primi secoli.
Il vero miracolo del monsignore bolognese è rappresentato, come si diceva, dalla creazione della comunità delle suore oblate benedettine che non si sarebbero occupate soltanto delle visite in catacomba, ma che avrebbero gestito, sino agli anni Ottanta del secolo scorso, una raffinatissima tipografia e una fototeca specializzata sugli argomenti catacombali.

La storia di monsignor Belvederi e delle Benedettine di Priscilla meriterebbe ben altro respiro, ma chi conosce la discrezione, la semplicità, l'essenzialità della comunità della via Salaria sa bene che queste poche parole basteranno per rendere merito a una figura di primo piano nel panorama religioso e culturale del secolo scorso e per sottolineare l'entusiasmo con cui le suore di monsignor Belvederi continuino con dedizione il percorso tracciato dal padre fondatore, che guardava alle risultanze delle indagini archeologiche nelle catacombe come a strumenti formidabili di apostolato, fede e catechesi. Chi si occupa di archeologia cristiana non può non essere passato per la casa di via Salaria, non solo per studiare, visitare, restaurare e scavare le catacombe, ma per aver stampato articoli o saggi nella storica tipografia o per ritirare le riproduzioni fotografiche dei monumenti, contenute in un archivio ricco e aggiornato, ora consegnato ai responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, ben consapevoli di aver ricevuto un piccolo tesoro.


(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009)
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Cacciava gli anticlericali a colpi di cero


di Giulio Andreotti

Nel diario personale di Giovanni xxiii alla data del 10 settembre 1959 è scritto:  "Uscendo da San Pietro proseguii per via Salaria per visitare il mio caro Mons. Giulio Belvederi, gravemente malato. Grande emozione per tutti. Lo incoraggiai uti frater fratrem". 
Era l'ultimo atto di una solidarietà nata negli anni giovanili romani e tale da far sì che la sera stessa dell'elezione papale don Angelo chiamasse al telefono l'amico don Giulio intrattenendolo a lungo quasi per alleggerirsi dalla comprensibile emozione. Due personalità moderne provvidenzialmente sfuggite ai rigori dell'antimodernismo fanatico perché chiamate subito a prestar servizio sacerdotale extra urbem, come segretari dei vescovi:  il primo a Bergamo e l'altro a Bologna.
Il distacco dai suoi famigliari nel 1900 era stato reciprocamente duro; e dopo il quadriennio romano e l'ordinazione sacerdotale, nel bivio tra la permanenza a Roma e il ritorno a Bologna, era comprensibilmente titubante. A decidere fu la richiesta del suo arcivescovo, che pregò il Respighi di rinunciare al nipote, volendolo come suo collaboratore. Don Giulio vide nel ritorno la risposta alla sua vocazione primaria. Del resto anche a Bologna avrebbe potuto studiare e insegnare. E così fu, con intensità e grande successo.
Don Giulio, trasferitosi in seminario, insegnò Sacra Scrittura e lingua ebraica, continuando però nello studio dell'archeologia sacra, con una eco che andava ben oltre il seminario e la città. Accanto all'insegnamento moltiplicava le sue attività sia nella cura spirituale del celebre Collegio degli Spagnoli sia nella redazione del quotidiano cattolico, di cui era la penna più nota e apprezzata. Come dignità canonica fu importante anche il ruolo di primicerio del Capitolo della Cattedrale, ma il soggetto non si lasciava attrarre dalle pompe e dai ruoli gerarchici.
La fondatrice della Gioventù cattolica femminile, Armida Barelli, dovendo scegliere un assistente centrale propose don Belvederi, che di fatto ricoprì tale incarico senza peraltro la definitiva formalizzazione. Forse non senza qualche obiettivo fondamento qualcuno non gradiva la assoluta indipendenza intellettuale di questo sacerdote; e ne temeva anche le posizioni schiettamente irruenti dinanzi alle ingiustizie e all'ignoranza. Ne sapeva qualcosa la pattuglia di anticlericali che disturbavano durante la processione del Corpus Domini. Più di una volta il canonico Belvederi utilizzò il cero - che era lieto fosse di dimensioni consistenti - per far saltare il cappello dei petulanti provocatori. In tutta la sua vita non confuse mai la virtù della prudenza con l'adagiamento al quieto vivere e a qualunque forma di viltà.
Una svolta decisiva avvenne nel 1922. Dopo gli otto anni di pontificato di Giacomo Della Chiesa fu eletto Pio xi, che aveva avuto modo di apprezzare Belvederi nella Biblioteca Ambrosiana e aveva conosciuto il suo lavoro nella Gioventù femminile e specialmente la connessione tra ricerche bibliche e archeologiche e formazione spirituale dei giovani.
Volendo il Papa dar vita a un Istituto di Archeologia cristiana la candidatura di don Giulio Belvederi era la più naturale. Staccarsi da Bologna dopo ventidue anni così intensi non era facile, ma, a parte la sua vocazione specifica di studioso, lo attrasse il caldo invito del Collegio Capranica che lo volle come padre spirituale.
Si deve al binomio Kirsch-Belvederi la creazione dell'Istituto e il suo prestigioso avvio. Belvederi realizzò anche la sua vecchia idea di una associazione di "Amici delle catacombe" che ebbe subito l'approvazione del Papa, con un discorso che riassumeva la tematica belvederiana dell'apostolato fatto attraverso la liturgia e lo studio della Chiesa dei primi secoli.
Di un attivismo entusiasmante, raccolse le adesioni e i mezzi necessari per costruire su alcune catacombe case di accoglienza per i pellegrini. Quella di Priscilla diverrà la pupilla dei suoi occhi; con una comunità di suore oblate benedettine, particolarmente vocate - anche con una piccola tipografia specializzata - alla divulgazione dei valori catacombali. Don Giulio Belvederi promosse anche la nascita di altri due insediamenti delle sue oblate benedettine:  a Casperia-Montefiolo nel reatino e a San Felice Circeo. Nel contempo, morto Orazio Marucchi, era stata offerta a Belvederi la cattedra di Archeologia presso l'Università Urbaniana di Propaganda Fide.
Schivo da ogni esteriorità, Belvederi fu sorpreso per un incarico straordinario che il Papa volle dargli nel 1927:  lo inviò come suo rappresentante a portare a Madrid la berretta cardinalizia che il Re di Spagna doveva imporre all'arcivescovo di Toledo monsignor Segura y Sáenz. Accompagnato da monsignor Luigi Traglia (suo grande amico, più tardi vicario di Roma) svolse questa missione senza essere coinvolto da quelle vanità cui anche anime molto belle non sfuggono. Questa missione straordinaria fu l'unica parentesi in una vita tutta dedita all'apostolato, alla ricerca, alla coltivazione di rapporti spirituali con la legione degli ex alunni di Propaganda e del Collegio Capranica.
Don Giulio morì il 28 settembre 1959, dopo aver avuto venti giorni prima lo straordinario conforto della visita del Papa, che anche nei giorni successivi volle manifestargli tenera amicizia inviandogli più volte monsignor Loris Capovilla, il quale celebrò anche la messa funebre nella chiesa parrocchiale di San Saturnino, rinnovando la partecipazione del Papa espressa con un messaggio ai familiari alla notizia della morte.
Giovanni XXIII volle fare di più. Volle andare a pregare di persona presso la tomba del "Nostro Padre" nel monastero sabino di Montefiolo.


(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009)
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