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Segnali di speranza dall'Africa

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2009 11:09
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01/10/2009 11:09

Molti scienziati e agricoltori africani chiedono la possibilità di studiare, ricercare e utilizzare le nuove biotecnologie vegetali. Lei cosa ne pensa?

Monsignor Okolo: Nel 1984, quando ero in Italia, un tecnocrate romano mi disse: “La tecnologia non si esporta”. Non ero d’accordo con lui. Credo che la tecnologia moderna dovrebbe essere globalizzata, soprattutto per agevolare lo sviluppo nei Paesi africani. Conviene che gli scienziati e gli agricoltori africani siano ammessi anche loro a queste scoperte sulle biotecnologie vegetali. D’altra parte, è vero che alcuni di noi non hanno fiducia negli organismi geneticamente modificati, comunque conviene lasciare aperta la scienza alle buone possibilità. In molte parti dell’Africa la terra è cosi fertile e abbondante che non ha bisogno di queste modifiche genetiche. Gli scienziati africani non hanno urgenza nelle ricerche e nell’utilizzo delle nuove biotecnologie vegetali; hanno piuttosto bisogno di consolidare l’amore reciproco, di ottenere i materiali adeguati di lavoro e informazioni di base circa i prodotti. Per ora nient'altro. Gli anziani dicono: ‘Un bimbo deve imparare a fare i primi passi prima di provare la corsa, altrimenti si cade’.

A ottobre avrà luogo a Roma il secondo Sinodo per l’Africa. Quali, secondo lei, i temi più rilevanti che dovranno essere affrontati?

Monsignor Okolo: I temi presentati per la riflessione durante il Sinodo sono tutti rilevanti: la giustizia, la riconciliazione e la pace – dipende dalla parte dell’Africa in cui uno si trova, oppure in che settore si lavora, oppure il contesto di interesse particolare. Siccome questa intervista si concentra sullo sviluppo agricolo, vorrei soffermarmi un attimo sui nn. 137-145 dell’Instrumentum laboris proposto per la prossima II Assemblea Speciale per l’Africa (del Sinodo dei Vescovi).

Facendo le visite pastorali negli angoli più lontani e nascosti di questi Paesi, ci si rende conto di come le azioni dei fedeli contribuiscano eloquentemente a creare situazioni e condizioni per far valere la giustizia, per incoraggiare la riconciliazione, in cui essi si presentano come artigiani della pace. Molte volte i sacerdoti, i religiosi e i cristiani devono negoziare direttamente con i ribelli, anzi vivono con loro. La fiducia di cui gode la Chiesa è frutto del lavoro quotidiano dei fedeli mossi dallo Spirito di Dio.

Una famiglia cristiana che vive secondo i valori dell'amore, del perdono, della collaborazione, si impegna verso l’autosufficienza economica e diventa un focolare di pace, di serenità e d’armonia, diventa un esempio per gli altri. Nei punti elencati nel documento citato, infatti, nella politica, nelle forze armate, nelle iniziative economiche, nelle strutture dell’educazione, come agenti di sanità, nei contesti culturali, nei mass media e negli organismi nazionali e internazionali, i fedeli laici sanno testimoniare ciò che vivono interiormente – l’amore divino e umano. Lo sviluppo umano passa attraverso questo atteggiamento di vero amore. Questo è un messaggio eloquente che si evidenzia anche in molti cristiani africani. E’ vero che non tutti raggiungono tale ideale, ma non si possono negare gli sforzi e i successi.

Ci sono delle difficoltà; ci sono delle sfide. Quali sono le soluzioni che lei proporrebbe?

Monsignor Okolo: Sopra ho menzionato alcune difficoltà. Ora vorrei proporre tre soluzioni principali: (1) Formazione nella catechesi. (2) Maggiore investimento nella pubblica istruzione, nell’educazione formale ed informale. (3) Formazione dei paramedici (junior medical cadres) e investimento nell’approvvigionamento di mezzi per l'assistenza sanitaria. I nostri primi missionari avevano lavorato con questi tre mezzi: educazione morale, istruzione e sanità. Per impegnarsi nello sviluppo bisogna essere sani nello corpo e nello spirito. Per sviluppare e migliorare la condizione del popolo bisogna educarlo moralmente attraverso la catechesi, formarlo nelle scuole e curare il corpo. Per allargare l’orizzonte è assolutamente necessario aprire gli occhi agli sviluppi mondiali; per assumere il modello cristiano ci vuole la catechesi fondamentale.

Qual è la situazione dei cattolici nella Repubblica Centroafricana e in Ciad?

Monsignor Okolo: Nella Chiesa in Centroafrica ci sono alcuni problemi fondamentali, ma si stanno prendendo le misure concrete in vista di una soluzione della crisi, con la collaborazione della Chiesa locale in quel senso.

In Ciad, i cattolici si rallegrano dei loro progressi – a livello sia numerico che qualitativo. Anche se la Chiesa costituisce una grande minoranza, si rileva che la società apprezza il contributo dei fedeli per la pace e l’unità. Un nuovo Vicariato Apostolico è stato appena eretto, con un gesuita francese come primo Vicario Apostolico. Il territorio confina con il Darfur, ed è una regione turbolenta. Ci sono anche altre iniziative concrete che si sviluppano in altre Diocesi. Sono piccoli passi, ma nella direzione giusta. Ci sono problemi relativi a una Chiesa giovane, ma si sanno affrontare queste sfide, con discrezione, determinazione e senso ecclesiale.

Quali i rapporti con l’islam?

Monsignor Okolo: Mi sorprende che, delle volte, la stampa estera non registri il buon rapporto che si sviluppa tra i cristiani e i musulmani in molti Paesi africani. Le pubblicazioni che si trovano rilevano piuttosto lo scontro tra le persone. Devo dire che in Ciad e nella Repubblica Centroafricana i rapporti tra musulmani e cristiani sono buoni. L’insicurezza politica oppure i problemi sociali non riguardano essenzialmente la religione, ma derivano da altri motivi, ad esempio culturali ed etnici, che alle volte possono incidere anche sulla religione. Vorrei però affermare che nei due Paesi menzionati i conflitti fra seguaci delle diverse religioni sono rari. D’altra parte, la linea di demarcazione religiosa spesso segue le origini etniche e gli orientamenti culturali, ed è una separazione che viene normalmente rispettata.

Sul versante positivo, si rileva che ci sono vari aspetti di collaborazione interreligiosa, di natura informale, nei contesti di vita popolare. Le feste sono celebrate insieme; si scambiano gli atti di carità e di sostegno.

Per concludere, credo che molti Paesi africani in difficoltà apprezzino il sostegno che ricevono dai Paesi più sviluppati. Non si può pensare che gli africani siano tutti pigri, fannulloni, sempre in attesa di aiuto. D’altra parte, c’è ancora molto da fare per far crescere quell’amore fraterno che aiuterebbe molti Paesi africani a condividere tranquillamente le risorse che Dio ha donato loro, talvolta in abbondanza. C’è da fare per ispirare la saggezza nello sfruttare con responsabilità le risorse naturali e le energie che invece vengono sprecate nelle lotte di potere. L’educazione religiosa e la formazione culturale sarebbero la strada sicura in cui cercare l’uscita sia a lungo termine che nell’immediato.
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