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Quando Pio XII faceva nascondere gli ebrei in convento

Ultimo Aggiornamento: 04/10/2009 06:59
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Quando Pio XII faceva nascondere gli ebrei in convento

La storia degli ebrei salvati dalle Oblate dello Spirito Santo

di Alessandra Nucci

ROMA, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).-

Sono molte le testimonianze, di cui molte ancora non censite, della rete di soccorsi organizzata dalla Chiesa cattolica sotto il Pontificato di Pio XII, per aiutare e salvare gli ebrei durante il fascismo e la seconda guerra mondiale.

In terra toscana, ad esempio, toccò fra gli altri alle Oblate dello Spirito Santo, l'ordine religioso fondato a fine Ottocento dalla Beata Elena Guerra, adoperarsi a favore dei discriminati razziali.

Stanti le condizioni di grave pericolo che correva chiunque si rendesse protagonista o testimone di operazioni di soccorso ai perseguitati, si aveva cura di non conservare oggetti che potessero costituire un minimo indizio o prova di tali attività.

L’unico modo dunque per far sì che non si perda ogni traccia di quella vera e propria epopea della solidarietà svolta da conventi e monasteri, congiuntamente alle iniziative di soccorso ebraico e al movimento cattolico nella Resistenza, è di raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti a quegli eventi.

E’ quanto hanno cominciato a fare già da tempo le Oblate, o “Zitine” (chiamate così a Lucca dal nome di Santa Zita, scelta come patrona e modello per la congregazione), con la relazione scritta per il trentennale della resistenza dalla Madre Generale dell’epoca, e con le testimonianze sottoscritte anche da altre suore coinvolte.

La relazione della Madre Generale, Sr. Margherita Fontanarosa, attesta che arrivarono all’Istituto di Lucca da Roma, tramite la Sacra Congregazione dei Religiosi, delle disposizioni che ingiungevano di prodigarsi “in tutte le forme possibili” ad aiutare fattivamente i perseguitati.

Le suore ebbero una conferma di tali disposizioni dall’allora Arcivescovo di Firenze, Cardinale Elia Dalla Costa, quando a lui si rivolse Suor Redenta, un’Oblata convertita di famiglia ebraica, per avere il permesso di aiutare i propri congiunti imprigionati. “Sua Eminenza non solo comprese con particolare sentimento lo stato d’animo della giovane Suora – attestava la Madre - ma rispose con energia che ‘doveva’ farlo.”

Fra le testimonianze raccolte figura quella sottoscritta nel 2003 da Alfredo Andreini, di anni novanta, che attesta anch’egli come le tante comunità religiose che si mossero lo fecero “incoraggiate anche dal Papa (Pio XII)”.

I primi perseguitati accolti dalle Zitine furono la quindicina di parenti della religiosa che si era rivolta al Cardinal Dalla Costa, comprensive di  signore, signorine e bambini, mentre gli uomini andarono in parte nella Casa delle suore a Matraia e in parte dai Padri Certosini di Farneta, destinati a pagare con la vita questa ospitalità.

Fra gli ebrei accolti vi fu la Signora Forti, zia dello scienziato Enrico Fermi, che chiese ed ottenne il permesso Ecclesiastico di farsi cattolica, così come fece il figlio professore.

L’assistenza, destinata inizialmente ai cittadini di Lucca, fu estesa anche agli ebrei di Pisa e Livorno. L’esempio di Lucca fu presto imitato dalla sede di Roma, molto più piccola ma che fu in grado di ospitare 25 donne ebree in pericolo.

Il soccorso non si limitava solo a fornire l’alloggio perché questa grande famiglia clandestina era bisognosa di tutto, a partire dal vitto: compito proibitivo in tempi in cui il mangiare dipendeva da una tessera di razionamento nominativa, che naturalmente le donne ebree non avevano.

Fu necessario anche fornire le vesti religiose per i travestimenti e l’accompagnamento nei pericolosi trasferimenti da una sede all’altra.

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Presentato all'Istituto Sturzo il volume «In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia»

I silenzi degli altri


E Paolo Mieli ripete con forza:  «I miei morti non li metto in conto a un non colpevole»

di Raffaele Alessandrini

Se lo storico medievista agnostico Léo Moulin (1906-1996) fosse stato tra i presenti che nel tardo pomeriggio di mercoledì 10, a Roma, gremivano la sala Perin del Vaga dell'Istituto Luigi Sturzo, avrebbe approvato e condiviso, con tutta probabilità, molte delle affermazioni ascoltate durante l'incontro dedicato al volume di saggi storici su Papa Pacelli di vari autori - e corredato dalle riflessioni di Benedetto XVI sul suo predecessore - curato dal direttore del nostro giornale Giovanni Maria Vian (In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia, Venezia, Marsilio, 2009, pagine 168, euro 13).

E soprattutto lo storico avrebbe applaudito a scena aperta quando il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, intervenendo sui contenuti del dibattito, al quale hanno partecipato testimoni e studiosi profondamente diversi per cultura e per storia personale, non ha mancato di chiamare in causa quanti, guardando al passato, sono soliti mettere sul banco degli accusati la Chiesa cattolica.

"Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende:  il capolavoro della propaganda anticristiana - aveva infatti detto un giorno Moulin - è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a istillargli l'imbarazzo, quando non la vergogna per la loro storia. A furia di insistere, dalla riforma sino ad oggi, ce l'hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo (...) E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro manforte.



Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero c'è, è anche vero che in un bilancio di venti secoli di cristianesimo le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi:  perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? (...) Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?".

Nel caso specifico si può ben dire come il cardinale segretario di Stato, mercoledì scorso, il "conto" lo abbia presentato ai sostenitori di quella propaganda che ha ridotto la grandiosa figura di Pio XII - nonché la complessità e la ricchezza di un pontificato durato vent'anni - alle fosche mitologie storicizzanti affiorate sul solco tracciato dall'opera teatrale Der Stellvertreter di Rolf Hochhuut (1963), e dai suoi epigoni, quelle del "Papa di Hitler" da additare al pubblico obbrobrio per i presunti silenzi, se non addirittura connivenze, di fronte alla Shoah.

"Si potrebbe, e sarebbe ormai davvero ora di fare luce - ha detto invece il cardinal Bertone - su ben altri silenzi. Sia in merito alla persecuzione ebraica sia su altre vicende rivelatrici, quelle sì, di cattiva coscienza. E per stare sull'attualità basti solo pensare al settantesimo anniversario del patto Molotov-Ribbentrop", cioè all'intesa di non aggressione germano-sovietica ratificata nel 1939, la quale, avvenuta nella quasi totale indifferenza delle nazioni, di fatto spianò la strada all'invasione nazista della Polonia e allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Il discorso evidentemente chiama in causa quanti invocano l'apertura degli archivi degli anni della guerra. Anche in questo campo la Santa Sede è molto più avanti di altre istituzioni. Al di là della monumentale opera, voluta a suo tempo da Paolo vi, della pubblicazione degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (1939-1945) in dodici volumi (1965-1981), è significativo ricordare quanto per l'occasione ha tenuto a sottolineare il cardinale Bertone sulle carte a disposizione degli studiosi dell'Archivio Segreto Vaticano che a tutt'oggi comprendono l'intero pontificato di Papa Pio xi.

Come mai - chiede il porporato - tanti storici così attenti e puntigliosi a vagliare i comportamenti e a processare le intenzioni di Pio XII non si impegnano a fondo sui documenti che testimoniano l'operato del segretario di Stato, primo e più fedele collaboratore di Pio xi, il cardinale Eugenio Pacelli? E questo proprio negli anni in cui il nazionalsocialismo si affermava in Germania e in Austria e - gradualmente ma in termini chiarissimi - dietro il fosco mito della razza e del sangue manifestava le proprie intenzioni totalitarie, l'odio per gli ebrei e per i non ariani? È davvero possibile pensare che Papa Ratti, di solito ricordato proprio per le sue nette e accorte posizioni anche in difesa degli ebrei (così come contro tutte le forme di totalitarismo e contro il capitalismo selvaggio) si affidasse per tanti anni a un uomo lontano dalla sua sensibilità?

Al dibattito sul volume curato da Vian, al quale assistevano tra gli altri anche il cardinale archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa Raffaele Farina, gli arcivescovi Pier Luigi Celata, Rino Fisichella e Gianfranco Ravasi, nonché il presidente emerito della Corte costituzionale italiana, Giovanni Maria Flick, hanno preso parte gli storici Giorgio Israel, Paolo Mieli e Roberto Pertici, moderati da Cesare De Michelis, presidente della casa editrice Marsilio.

Giorgio Israel ha sottolineato le circostanze in cui suo padre, il biologo e scrittore Saul, ebreo di Salonicco(1897-1981) - trasferito a Roma in giovane età e cittadino italiano dal 1919 - strinse amicizia con il poeta e critico letterario cristiano Giulio Salvadori (morto nel 1928), e poi come negli anni della persecuzione fosse costretto a rifugiarsi prima nel convento di Sant'Antonio a via Merulana e poi a San Giovanni in Laterano. A quel periodo, nell'aprile 1944, risale il toccante testo inedito pubblicato nel libro In difesa di Pio XII. La testimonianza di Saul Israel, ebreo osservante, è indicativa:  l'accoglienza nei conventi, il via vai di partigiani cattolici che aiutano e assistono i rifugiati, sono evidentemente segno che questa gigantesca operazione di salvataggio non può avvenire che con l'assenso del Papa.


Per Paolo Mieli la vera questione celata dietro le accuse assurde di antisemitismo è da ricercarsi invece nel deciso anticomunismo di Pio XII. Mieli che tiene a ricordare di non essere cattolico e di avere del sangue ebraico nella propria famiglia - "non poco di questo sangue è stato versato nei campi di sterminio" - anzitutto trova inconcepibile l'idea di un Pio XII ridotto dalla leggenda nera a complice di Hitler:  "I miei morti non li metto in conto a un non colpevole". Anzi, Papa Pacelli fu tutt'altro che persecutore di ebrei ma li aiutò in modo così straordinario che è difficile, volgendosi indietro, trovare eguali termini di paragone sullo scenario di quel tempo.



A rafforzare la propria opinione Mieli ricorda anche la testimonianza riconoscente di un altro grande giornalista, come Arrigo Levi che nel suo ultimo libro Un paese non basta (il Mulino) racconta come ebbe alcuni parenti salvati dall'azione provvidenziale della Chiesa cattolica. E a chi sollevava l'interrogativo - non infrequente - sui motivi che avessero indotto Pio XII a non adottare atteggiamenti esteriori di protesta dopo le deportazioni naziste degli ebrei di Roma, Mieli ricorda come Levi abbia realisticamente osservato che nell'ipotesi di un Papa andato platealmente a stracciarsi le vesti in ghetto "migliaia e migliaia di ebrei rifugiatisi nei conventi, e le suore e i frati che li avevano accolti, non si sarebbero salvati".

Quindi Mieli pone in risalto alcuni fatti che anche per gli storici non professionisti dovrebbero essere evidenti:  "I vent'anni di pontificato di Papa Pacelli sono complessi e importantissimi".
Come è possibile che una figura così rilevante - l'autore di encicliche come la Mystici Corporis, la Divino afflante Spiritu, la Mediator Dei e come la Miranda prorsus, dedicata agli strumenti di comunicazione sociale e ancora oggi straordinariamente viva e attuale - sia stato sottoposto a una così volgare banalizzazione?

A questa domanda Mieli ne ha aggiunta una seconda:  come dimenticare gli attestati di stima e di omaggio che nel dopoguerra tutte le grandi personalità del mondo ebraico riservarono a Pio XII? I motivi di questa campagna denigratoria, secondo lo storico che per due volte è stato direttore del "Corriere della Sera", sono da rintracciarsi nella coerenza di Papa Pacelli al proprio antitotalitarismo e all'impegno sviluppato dalla Santa Sede per smascherare i crimini comunisti.

La stessa accusa dei "silenzi" non regge. Meno ancora quella di collaborazionismo ricorrente nei Paesi dell'Est in chiave anticattolica. Ben altri e più gravi furono ad esempio i silenzi sulla persecuzione ebraica tenuti da Stalin. A ricordarlo è stato Roberto Pertici. Nessuna notizia filtra nell'Unione Sovietica, ad esempio tra il 1939 e il 1941, sulle persecuzioni degli ebrei polacchi. Gli ebrei russi entrati a contatto con le truppe naziste andranno inconsapevoli alla morte.

Ma non meno pesanti e gravidi di conseguenze saranno il silenzio e il disinteresse negli anni della guerra per la questione ebraica nei Paesi anglosassoni, come poi avrebbe ammesso lo storico e commentatore americano Arthur Schlesinger. A ciò si aggiunge l'influsso delle correnti storiografiche di stampo marxista o antiromano decise a fare i conti con i passati regimi e con quanto poteva apparire in qualche modo connivente col fascismo o con il nazionalsocialismo. Vi sono pagine oscure da chiudere e la cattiva coscienza di molti riveste sistematicamente di luminoso progresso ogni cultura che ponga la Chiesa cattolica sul banco degli imputati.

Di fatto, dal 1963 in poi, gli unici "silenzi" a essere condannati dall'opinione pubblica internazionale saranno quelli di Pio XII.


(©L'Osservatore Romano - 14 giugno 2009)
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