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AD CATHOLICI SACERDOTII Enciclica di Pio XI sul sacerdozio

Ultimo Aggiornamento: 04/10/2009 07:39
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04/10/2009 07:34

Dispensatore dei misteri di Dio
 

Il cristiano, quasi ad ogni passo importante della sua mortale carriera, trova al suo fianco il sacerdote in atto di comunicargli o accrescergli col potere ricevuto da Dio questa grazia, che è la vita soprannaturale dell'anima. Appena nasce alla vita del tempo, il sacerdote lo rigenera col battesimo ad una vita più nobile e più preziosa, la vita soprannaturale, e lo fa figlio di Dio e della Chiesa di Gesù Cristo; per fortificarlo a combattere generosamente le lotte spirituali, un sacerdote rivestito di speciale dignità lo fa soldato di Cristo nella cresima: appena è capace di discernere ed apprezzare il Pane degli Angeli, il sacerdote glielo porge, cibo vivo e vivificante disceso dal cielo; se caduto, il sacerdote lo rialza in nome di Dio e con Lui lo riconcilia per mezzo della penitenza; se Iddio lo chiama a formarsi una famiglia ed a collaborare con Lui alla trasmissione della vita umana nel mondo, per aumentare prima il numero dei fedeli sulla terra e poi quello degli eletti nel cielo, il sacerdote è là a benedire le sue nozze e il suo casto amore; e quando il cristiano, giunto alla soglia dell'eternità, ha bisogno di forza e di coraggio prima di presentarsi al tribunale del Giudice divino, il sacerdote si china sulle membra doloranti dell'infermo e lo riconsacra e conforta con l'Olio Santo.

Dopo di aver così accompagnato il cristiano attraverso il pellegrinaggio terreno fino alle porte del cielo, il sacerdote ne accompagna il corpo alla sepoltura con i riti e le preci della speranza immortale, e ne segue l'anima sino oltre le soglie dell'eternità per aiutarla coi suffragi cristiani, se mai abbisognasse ancora di purificazione e di refrigerio. Così dalla culla alla tomba, anzi sino al cielo, il sacerdote è accanto ai fedeli, guida, conforto, ministro di salute, distributore di grazia e di benedizioni.

Ma fra tutti questi poteri che il sacerdote ha sul corpo mistico di Cristo, a vantaggio dei fedeli, uno ve n'è sul quale non possiamo contentarci del semplice accenno testé fatto: quella postestà, " che Iddio non ha data né agli Angeli né agli Arcangeli ", come dice San Giovanni Crisostomo, la potestà cioè di rimettere i peccati: " A chi rimetterete i peccati saranno rimessi ed a chi li riterrete saranno ritenuti " (Gv 20,23). Potestà formidabile, tanto propria di Dio, che la stessa umana superbia non poteva comprendere fosse possibile che venisse comunicata all'uomo: " Chi può rimettere i peccati, se non il solo Dio? " (Mc 2,7). E vedendola esercitata da un semplice uomo qual è il sacerdote, c'è davvero da chiedersi, non per scandalo farisaico, ma per riverente stupore di tanta dignità: " Chi è costui, che rimette anche i peccati? " (Lc 7,49). Ma appunto l'Uomo-Dio, che aveva ed ha " sulla terra il potere di rimettere i peccati " (Lc 5,24), l'ha voluto trasmettere ai suoi sacerdoti per venir incontro, con divina liberalità e misericordia, a quel bisogno di purificazione morale che è insito alla coscienza umana.

Quale conforto per l'uomo colpevole, trafitto dal rimorso e pentito, udire la parola del sacerdote, che in nome di Dio gli dice: " Io ti assolvo dai tuoi peccati "! E l'udirla dalla bocca di uno, che a sua volta avrà bisogno egli pure di chiederla per sé ad un altro sacerdote, non solo non avvilisce il dono misericordioso, ma lo fa apparire più grande, facendoci meglio intravedere, attraverso la fragile creatura, la mano di Dio, per la cui virtù si opera il portento. Ed è perciò che - per usare le parole di un illustre scrittore, il quale tratta anche di cose sacre con una competenza rara a trovarsi in un laico - " quando un sacerdote, fremendo in ispirito della sua indegnità e dell'altezza delle sue funzioni, ha stese sul nostro capo le sue mani consacrate; quando, umiliato di trovarsi il dispensatore del Sangue dell'alleanza, stupito ad ogni volta di proferire le parole che danno la vita, peccatore egli ha assolto un peccatore, noi alzandoci da' suoi piedi, sentiamo di non aver commessa una viltà... Siamo stati ai piedi di un uomo che rappresentava Gesù Cristo... vi siamo stati per acquistare la qualità di liberi e di figliuoli di Dio ".

E tali poteri eccelsi, conferiti al sacerdote in uno speciale sacramento a ciò ordinato, non sono in lui transitori e passeggeri, ma stabili e perpetui, congiunti come sono ad un carattere indelebile impresso nell'anima sua, per cui è diventato "sacerdos in aeternum" (Sal 109,4), a similitudine di Colui del cui eterno sacerdozio è fatto partecipe: carattere, che il sacerdote, anche tra le più deplorevoli aberrazioni in cui per umana fragilità può cadere, non potrà mai cancellare dall'anima sua. Ma insieme con questo carattere e con questi poteri il sacerdote, per il sacramento dell'Ordine, riceve nuova e speciale grazia con speciali aiuti, per i quali, se con la sua libera e personale cooperazione fedelmente asseconderà l'azione divinamente potente della grazia stessa, egli potrà degnamente assolvere tutti gli ardui doveri dello stato sublime, a cui fu chiamato, e portare, senza restarne oppresso, quelle formidabili responsabilità inerenti al ministero sacerdotale, che fecero tremare perfino i più forti atleti del sacerdozio cristiano, come un San Giovanni Crisostomo, Sant'Ambrogio, San Gregorio Magno, San Carlo e tanti altri.

Apostolo della verità e della carità

Ma il sacerdote cattolico è ministro di Cristo e dispensatore de' misteri di Dio (cf 1 Cor 4,1), anche con la parola, con quel " ministero della parola " (cf At 6,4), che è un diritto inalienabile e insieme un dovere imprescrittibile impostogli da Gesù Cristo medesimo: " Andate adunque e ammaestrate tutte le genti,... insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato " (Mt 28,19-20). La Chiesa di Cristo, depositaria e custode infallibile della divina rivelazione, per mezzo de' suoi sacerdoti sparge i tesori delle celesti verità, predicando colui che è " luce vera, che illumina ogni uomo che viene a questo mondo " (Gv 1,9), spargendo con divina profusione quel seme, piccolo e disprezzato allo sguardo profano del mondo, ma che, come l'evangelico grano di senape, ha in sé la virtù di mettere radici salde e profonde nelle anime sincere e sitibonde di verità e di renderle, come alberi robusti, incrollabili anche tra le più forti bufere (cf Mt 13,31-32).

In mezzo alle aberrazioni dell'umano pensiero, ebbro di una falsa libertà da ogni legge e da ogni freno, in mezzo alla corruzione spaventevole dell'umana malizia, si erge faro luminoso la Chiesa, che condanna ogni deviazione a destra o a sinistra della verità, che indica a tutti e a ciascuno la via diritta da seguire; e guai se anche questo faro, non diciamo si spegnesse, il che è impossibile per le promesse infallibili su cui è basato, ma venisse impedito dal diffondere largamente i suoi raggi benefici! Già vediamo coi nostri occhi dove abbia condotto il mondo l'aver rigettato superbamente la divina rivelazione e l'aver seguito, sia pure sotto lo specioso titolo di scienza, false teorie filosofiche e morali. Che se nella china dell'errore e del vizio non si è ancora caduti più in basso, lo si deve ai raggi della verità cristiana che sono pur sempre diffusi nel mondo.

Orbene la Chiesa esercita il suo " ministero della parola " per mezzo dei sacerdoti, distribuiti sapientemente per i vari gradi della sacra gerarchia, ch'essa invia in ogni plaga, banditori indefessi della buona novella, che sola può conservare o portare o far risorgere la vera civiltà. La parola del sacerdote scende nelle anime ed arreca loro luce e conforto; la parola del sacerdote, anche in mezzo al turbine delle passioni, si eleva serena ed annuncia impavida la verità e inculca il bene: quella verità che rischiara e risolve i più gravi problemi della vita umana; quel bene che nessuna sventura, nemmeno la morte, può togliere, che la morte anzi assicura e rende immortale.

Se poi si considerino ad una ad una le verità stesse, che il sacerdote deve più spesso inculcare per essere fedele ai doveri del suo ministero, e se ne ponderiamo l'intima forza, ben si comprende quanto sia grande e benefico, per l'elevazione morale e la pacificazione e tranquillità sociale dei popoli, l'influsso del sacerdote: quando, per esempio, ricorda ai grandi e ai piccoli la fugacità della vita presente, la caducità dei beni terreni, il valore dei beni spirituali e dell'anima immortale, la severità dei divini giudizi, la santità incorruttibile dell'occhio divino che scruta i cuori di tutti e " renderà a ciascuno secondo il suo operato " (Mt 16,27). Nulla di più acconcio che questi ed altri simili insegnamenti, per temperare quella febbrile avidità di godimenti, quella sfrenata cupidigia dei beni temporali, che degradano oggi tante anime e spingono le varie classi della società a combattersi come nemiche, anziché aiutarsi a vicenda con la mutua collaborazione.

In mezzo poi al cozzo di tanti egoismi, nel divampare di tanti odi, fra tanti cupi disegni di vendetta, nulla di più opportuno e di più efficace che proclamare alto il " comandamento nuovo " (cf Gv 13,34) di Gesù, il precetto della carità, la quale si estende a tutti, non conosce barriere né confini di nazioni o di popoli, non eccettua neppure il nemico.

Una gloriosa esperienza di ormai venti secoli dimostra tutta l'efficacia salutare della parola sacerdotale, che essendo eco fedele e ripercussione di quella " parola di Dio ", che " è viva ed efficace e più tagliente di qualunque spada a due tagli " (cf Eb 4,12), anch'essa arriva " sino alla divisione dell'anima e dello spirito ", suscita eroismi di ogni genere, in ogni classe e in ogni luogo, e crea l'azione disinteressata dei cuori più generosi. Tutti i benefici, che la civiltà cristiana ha portato nel mondo, si devono, almeno nella loro radice, alla parola e all'opera del sacerdozio cattolico. E tale passato basterebbe da sé a dare affidamento anche per l'avvenire, se non avessimo " una parola più sicura " (cf 2 Pt 1,19) nelle promesse infallibili di Cristo.

Anche l'opera missionaria, che manifesta in maniera così luminosa la potenza di espansione, di cui, per divina virtù, è dotata la Chiesa, è promossa ed attuata principalmente dal sacerdote, che, pioniere di fede e di carità, a costo di innumerevoli sacrifici, estende e dilata il Regno di Dio sulla terra.

Mediatore tra Dio e gli uomini

Il sacerdote finalmente - continuando anche in ciò la missione di Cristo, il quale "passava la notte pregando Dio " (cf Lc 6,12) e " sempre vive ad intercedere per noi " (cf Eb 7,25) - come pubblico ed ufficiale intercessore dell'umanità presso Dio, ha l'incarico e il mandato di offrire a Dio in nome della Chiesa, non solo il sacrificio propriamente detto, ma anche il " sacrificio della lode " (cf Sal 49,14) con la preghiera pubblica ed ufficiale; egli, con salmi, preci e cantici, tolti in gran parte dai Libri ispirati, paga a Dio ogni giorno a più riprese questo doveroso tributo di adorazione e compie questo necessario ufficio d'impetrazione per l'umanità, oggi più che mai afflitta e più che mai bisognosa di Dio. Chi può dire quanti castighi la preghiera sacerdotale allontana dal capo dell'umanità prevaricatrice e quanti benefici le procura ed ottiene? Se la preghiera anche privata ha promesse divine così magnifiche e così solenni (cf Mt 7,7-11), come quelle che Gesù Cristo le ha fatto, quanto più potente sarà la preghiera innalzata ex officio in nome della Chiesa, diletta Sposa del Redentore? E il cristiano, anche se troppo spesso immemore di Dio nella prosperità, conserva nel fondo dell'animo suo la fiducia nella preghiera, sente che la preghiera può tutto e, quasi per santo istinto, in ogni frangente, in ogni pericolo privato o pubblico, ricorre con singolare fiducia alla preghiera sacerdotale. Ad essa domandano conforto gli sventurati di ogni specie; ad essa si ricorre per implorare l'aiuto divino nelle varie vicende di questo terreno esilio. Veramente " il sacerdote sta nel mezzo tra Dio e l'umana natura, da una parte arrecando a noi i benefici di Dio, dall'altra presentando a Dio le nostre preghiere, riconciliandocelo se adirato ".

Del resto, come accennavamo fin da principio, i nemici stessi della Chiesa, a modo loro, mostrano di sentire tutta la dignità e l'importanza del sacerdozio cattolico, dirigendo contro questo i loro primi e più feroci colpi, ben sapendo quanto sia intimo il nesso che intercede tra la Chiesa e i suoi sacerdoti. I più accaniti nemici del sacerdozio cattolico sono oggi i nemici stessi di Dio: ecco un titolo di onore che rende il sacerdozio più degno di rispetto e di venerazione.
 

II. Fulgido Ornamento

La virtù e la scienza

Sublimissima dunque, Venerabili Fratelli, è la dignità del sacerdote; e le debolezze, per quanto deplorevoli e dolorose, di alcuni indegni non possono oscurare lo splendore di tale altissima dignità, come non devono far dimenticare le benemerenze di tanti sacerdoti insigni per virtù, per sapere, per opere di zelo, per il martirio. Tanto più che l'indegnità del soggetto non rende punto invalida l'opera del suo ministero: la indegnità del ministro non intacca la validità dei Sacramenti, che ripetono la loro efficacia dal Sangue di Cristo, indipendentemente dalla santità dello strumento, ossia, come si esprime il linguaggio ecclesiastico, esercitano la loro azione " ex opere operato ".

E' però verissimo che tale dignità, di per se stessa, esige in chi ne è investito una elevazione di mente, una purezza di cuore, una santità di vita corrispondente alle sublimità e santità dell'ufficio sacerdotale. Questo, come abbiamo detto, costituisce il sacerdote mediatore tra Dio e l'uomo in rappresentanza e per mandato di Colui che è " l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo " (cf 1 Tm 2,5); deve quindi avvicinarsi quanto è possibile alla perfezione di Colui di cui fa le veci e rendersi sempre più gradito a Dio con la santità della vita e delle opere; poiché, più che il profumo degli incensi, più che il fulgore dei templi e degli altari, Iddio ama e gradisce la virtù. " Diventando (gli ordinati) mediatori tra Dio e il popolo - dice San Tommaso - devono risplendere per la bontà della coscienza davanti a Dio e per la buona fama presso gli uomini ". Dall'altra parte, invece, se chi tratta ed amministra le cose sante, mena una vita riprovevole, le profana e diventa sacrilego: " Quelli che non sono santi, non devono trattare le cose sante ".

Perciò già nell'Antico Testamento, Iddio comandava ai suoi sacerdoti e ai leviti: " Siano dunque santi, perché santo sono anch'io, il Signore che li santifico " (Lv 21,8). E il sapientissimo Salomone, nel cantico per la dedicazione del tempio, questo appunto chiede al Signore per i figli di Aronne: " I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia e i tuoi santi esultino " (Sal 131,9). Orbene, Venerabili Fratelli, " se tanta perfezione e santità e alacrità - diremo con San Roberto Bellarmino - si esigeva in quei sacerdoti, che sacrificavano pecore e buoi e lodavano Dio per benefici temporali, che cosa mai non si dovrà esigere in quei sacerdoti che sacrificano l'Agnello divino e rendono grazie per benefici eterni? ". " Grande in vero - esclama San Lorenzo Giustiniani - è la dignità dei Prelati, ma maggiore ne è il peso; posti come sono in grado così elevato davanti agli occhi degli uomini, bisogna che anche si innalzino al sommo vertice delle virtù davanti agli occhi di Colui che tutto vede; altrimenti sono sopra gli altri non a proprio merito, ma a propria condanna ".

Imitatore di Cristo

E veramente tutti i titoli da Noi accennati più sopra per dimostrare la dignità del sacerdozio cattolico, ritornano ora qui come altrettanti argomenti per dimostrare il dovere che gli incombe di una sublime santità; poiché, come insegna l'Angelico Dottore, "ad esercitare convenientemente i sacri ordini non basta una bontà qualunque, ma si richiede una bontà eccellente; siccome quelli che ricevono il sacro ordine vengono costituiti per ragione di esso sopra il popolo, così siano a lui superiori anche per la santità". Infatti, il sacrificio eucaristico, in cui s'immola la Vittima immacolata che toglie i peccati del mondo, in modo particolare esige che il sacerdote con una vita santa ed intemerata si renda il meno indegno possibile di Dio, a cui ogni giorno offre quella Vittima adorabile, che è lo stesso Verbo di Dio incarnato per nostro amore. "Rendetevi conto di quello che fate, imitate quello che trattate", dice la Chiesa per bocca del Vescovo ai diaconi che stanno per essere consacrati sacerdoti. Inoltre il sacerdote è distributore della grazia di Dio, di cui i Sacramenti sono i canali; ma troppo disdirebbe a un tale distributore, se di quella grazia preziosissima egli stesso fosse privo o anche solo ne fosse in sé scarso estimatore e pigro custode. Di più egli deve insegnare la verità della fede: la verità religiosa non si insegna mai tanto degnamente e tanto efficacemente, che quando è accompagnata dalla virtù; poiché, come dice il comune effato: "Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano".

Deve annunziare la legge evangelica; ma, per ottenere che gli altri l'abbraccino, l'argomento più accessibile e più persuasivo, con la grazia di Dio, è il vedere quella legge attuata nella vita di chi ne inculca l'osservanza. E San Gregorio Magno ne dà la ragione: "Più facilmente penetra nel cuore degli uditori quella voce che ha in suo favore la vita del predicatore, perché, mostrando con l'esempio come si debba operare, aiuta a fare quello che inculca". Così appunto del divin Redentore dice la Sacra Scrittura che "cominciò a fare e ad insegnare" (At 1,1), e le turbe lo acclamavano, non tanto perché "nessun uomo ha mai parlato come quest'uomo" (Gv 7,46), quanto, piuttosto perché " ha fatto bene ogni cosa " (Mc 7,37). E al contrario " quelli che dicono e non fanno " si rendono simili agli Scribi e Farisei, a rimprovero dei quali lo stesso divin Redentore, pur salvando l'autorità della parola di Dio che annunziavano legittimamente, ebbe a dire al popolo che l'ascoltava: "Sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli Scribi e i Farisei: osservate dunque e fate tutto quello che essi vi dicono; non vogliate però agire secondo le loro opere" (Mt 23,2-3). Un predicatore che non si sforzi di confermare con l'esempio della vita la verità che annunzia, distruggerebbe con una mano quello che edifica con l'altra. E invece Iddio largamente benedice le fatiche dei banditori del Vangelo, che prima di tutto attendono seriamente alla propria santificazione: essi vedono sbocciare copiosi i fiori e i frutti del loro apostolato e nel giorno delle messe "tornando andranno con gioia portando i loro covoni" (Sal 125,6).

Sarebbe un errore gravissimo e pericolosissimo se il sacerdote, trasportato da falso zelo, trascurasse la propria santificazione per tutto immergersi nelle opere esteriori, per quanto buone, del ministero sacerdotale. Con ciò, metterebbe in pericolo la propria eterna salute, come il grande Apostolo delle Genti temeva di se stesso: "Castigo il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che dopo aver predicato agli altri, io diventi riprovato" (1 Cor 9,27); e si esporrebbe anche a perdere, se non la grazia divina, certamente quell'unzione dello Spirito Santo, che dà una mirabile forza ed efficacia all'apostolato esterno.

Del resto, se a tutti i cristiani è detto: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,48), quanto più devono i sacerdoti considerare rivolte a sé queste parole del divino Maestro, chiamati come sono con vocazione speciale a seguirlo più da vicino! Perciò la Chiesa inculca apertamente a tutti i chierici questo gravissimo dovere, inserendolo nel codice delle sue leggi: "I chierici devono condurre una vita internamente ed esternamente più santa che i laici ed essere loro di preclaro esempio nella virtù e nella rettitudine dell'operare". E siccome il sacerdote "è ambasciatore di Cristo" (cf 2 Cor 5,20), egli deve vivere in modo da potere con verità far sue le parole dell'Apostolo: "Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1 Cor 4,16; 11,1), deve vivere come un altro Cristo, che col fulgore delle sue virtù illuminava ed illumina il mondo.

La pietà sacerdotale

Ma se tutte le virtù cristiane devono fiorire nell'anima sacerdotale, ve ne sono però alcune che in modo tutto particolare convengono e più si addicono al sacerdote. E prima di tutte la pietà, secondo l'esortazione dell'Apostolo al suo diletto Timoteo: "Esercitati nella pietà" (1 Tm 4,8). Infatti, se sono così intimi, così delicati e frequenti i rapporti del sacerdote con Dio, evidentemente essi devono essere accompagnati e come imbalsamati dal profumo della pietà; se "la pietà è utile a tutto" (1 Tm 4,8), essa è utile soprattutto al retto esercizio del ministero sacerdotale. Senza la pietà, le più sante pratiche, i più augusti riti del sacro ministero saranno eseguiti meccanicamente e per abitudine; mancherà loro lo spirito, l'unzione, la vita. La pietà però, di cui parliamo, Venerabili Fratelli, non è quella falsa pietà, leggera e superficiale, che piace ma non nutre, solletica ma non santifica; Noi intendiamo la pietà soda, la quale, non soggetta alle incessanti fluttuazioni del sentimento, si fonda sui principii della dottrina più sicura, ed è quindi formata di convinzioni salde, che resistono agli assalti e alle lusinghe della tentazione. E questa pietà, se deve in primo luogo filialmente dirigersi al Padre che sta nei cieli, deve però estendersi anche alla Madre divina, e con tanto maggior tenerezza nel sacerdote che non nei semplici fedeli, quanto più vere e profonde sono le somiglianze tra i rapporti del sacerdote con Cristo e i rapporti di Maria col suo divin Figliuolo.


La castità

Intimamente congiunta con la pietà, da cui deve ricevere consistenza e splendore, è l'altra gemma fulgidissima del sacerdote cattolico, la castità, alla cui perfetta e totale osservanza i chierici della Chiesa Latina costituiti negli Ordini maggiori sono tenuti con obbligo sì grave che, trasgredendolo, sarebbero rei anche di sacrilegio.

Che se tale legge non vincola in tutto il suo rigore i chierici delle Chiese orientali, anche tra essi però il celibato ecclesiastico è in onore e, in certi casi, specialmente per i supremi gradi gerarchici, è requisito necessario ed obbligatorio.

Un certo nesso tra questa virtù e il ministero sacerdotale si scorge anche solo col lume della ragione: essendo che "Dio è spirito" (Gv 4,24), appare conveniente che chi si dedica e si consacra al servizio di lui, in qualche modo "si spogli del corpo". Già gli antichi Romani avevano intravisto questa convenienza; una loro legge così formulata: "Agli dèi accostati castamente", viene citata dal più grande dei loro oratori, aggiungendovi questo commento: "La legge comanda di accostarsi agli dèi castamente, cioè con l'anima casta, in cui sta ogni cosa; non esclude però la castità del corpo, ma questo si deve intendere così, che, essendo l'anima di molto superiore al corpo, se si deve conservare la purezza del corpo, molto più si deve custodire quella dell'anima". Nell'Antico Testamento, ad Aronne e a' suoi figliuoli fu comandato da Mosè in nome di Dio di non uscire dal Tabernacolo e quindi di osservare la continenza nei sette giorni in cui si compiva la loro consacrazione (cf Lv 8,33-35).

Ma al sacerdozio cristiano, tanto superiore all'antico, conveniva una purezza molto maggiore. Infatti la legge del celibato ecclesiastico, la cui prima traccia scritta (la quale evidentemente suppone una prassi più antica) si riscontra in un canone del Concilio di Elvira all'inizio del secolo IV, quando ancora fremeva la persecuzione, non fa che dar forza di obbligazione a una certa, diremmo quasi, morale esigenza, che sgorga dal Vangelo e dalla predicazione apostolica. L'alta stima in cui il Divino Maestro mostrò di avere la castità, esaltandola come cosa superiore alla comune capacità, il saperlo "fiore di Madre Vergine" e fin dall'infanzia allevato nella famiglia verginale di Maria e Giuseppe, il vederlo prediligere le anime pure, come i due Giovanni, il Battista e l'Evangelista; l'udire il grande Apostolo Paolo, fedele interprete della legge evangelica e del pensiero di Cristo, predicare i pregi inestimabili della verginità, specialmente in ordine ad un più assiduo servizio di Dio: "Chi è senza moglie, ha sollecitudine delle cose del Signore, del compiacere a Dio" (1 Cor 7,32); tutto questo doveva quasi necessariamente far sì che i sacerdoti della Nuova Alleanza sentissero il fascino celestiale di questa eletta virtù, cercassero di essere nel numero di quelli "ai quali è stato concesso di comprendere questa parola" (cf Mt 19,11), e se ne imponessero spontaneamente l'osservanza, sancita poi ben presto da gravissima legge ecclesiastica in tutta la Chiesa Latina: affinché - come asseriva alla fine del secolo IV il Concilio Cartaginese II - "anche noi osserviamo quello che gli Apostoli hanno insegnato e la stessa antichità ha osservato".

Né mancano testimonianze anche di illustri Padri Orientali, che esaltano l'eccellenza del celibato cattolico e che mostrano esservi stata allora, nei luoghi dove la disciplina era più severa, consonanza anche su questo punto tra la Chiesa Latina e l'Orientale. Sant'Epifanio alla fine dello stesso secolo IV attesta che il celibato già s'estendeva fino ai suddiaconi: " Colui che ancora vive nel matrimonio e attende ai figli, anche se sia marito di una sola donna, non viene tuttavia ammesso (dalla Chiesa) all'ordine di diacono, di presbitero, di vescovo o di suddiacono, ma colui soltanto che si sia separato dall'unica sua consorte o ne sia rimasto vedovo; il che si fa specialmente in quei luoghi dove i canoni ecclesiastici sono osservati con accuratezza ". Ma eloquente sopra tutti è in questa materia il Santo Diacono di Edessa e Dottore della Chiesa universale Efrem Siro, "chiamato meritamente cetra dello Spirito Santo". Questi, in un suo carme, rivolgendo la parola al Vescovo Abramo, suo amico: "Tu ben rispondi al nome che porti, o Abramo - gli dice - perché tu pure sei stato fatto padre di molti; ma poiché tu non hai una sposa, come Abramo ebbe Sara, ecco che la tua greggia è la tua sposa.

Educa i figli di lei nella tua verità, diventino a te figli di spirito e figli della promessa affinché sieno eredi nell'Eden. O frutto splendido della castità, nel quale si è compiaciuto il sacerdozio... e il corno riboccante del sacro olio ti unse, la mano sacerdotale si è posata su di te e ti ha eletto, la Chiesa ti ha scelto e ti ha amato". E altrove: "Non basta al sacerdote ed al nome di lui purificare l'anima e far monda la lingua e lavare le mani e rendere mondo l'intero corpo, mentre offre il vivo Corpo (di Cristo), ma in ogni tempo egli deve essere puro, perché è posto quale mediatore tra Dio ed il genere umano. Sia lode a Colui che ha in tal guisa voluto mondi i suoi ministri". E San Giovanni Crisostomo afferma che "perciò chi esercita il sacerdozio deve essere così puro come se fosse collocato nei cieli tra quelle Podestà".

Del resto la stessa sublimità, o per usare la frase di Sant'Epifanio, "l'incredibile onore e dignità" del sacerdozio cristiano, già brevemente da Noi esposta, dimostra la somma convenienza del celibato e della legge che lo impone ai ministri dell'altare: chi ha un officio in certo modo superiore a quello dei purissimi spiriti "che stanno al cospetto di Dio" (cf Tb 12,15), non è forse giusto che debba vivere quanto è possibile come un puro spirito? Chi tutto deve essere "in quelle cose che sono del Signore" (Lc 2,49; 1 Cor 7,32), non è giusto che sia interamente distaccato dalle cose terrene ed abbia sempre " la sua conversazione ne' cieli "? (cf Fil 3,20). Chi deve essere assiduamente sollecito della salute eterna delle anime e continuare verso di esse l'opera del Redentore, non è forse giusto che si tenga libero dalle preoccupazioni di una famiglia, che assorbirebbe gran parte della sua attività?

Ed è davvero spettacolo degno di commossa ammirazione quello, pur così frequente nella Chiesa Cattolica, dei giovani Leviti, che prima di ricevere il sacro Ordine del Suddiaconato, prima cioè di consacrarsi interamente al servizio e al culto di Dio, liberamente rinunziano alle gioie e alle soddisfazioni, che potrebbero onestamente concedersi in un altro genere di vita! Diciamo " liberamente ", poiché, se dopo l'ordinazione non saranno più liberi di contrarre nozze terrene, all'ordinazione stessa però accedono non costretti da veruna legge o persona, ma di propria e spontanea volontà.

Non intendiamo però, che quanto siamo venuti dicendo in commendazione del celibato ecclesiastico, sia così interpretato come se volessimo in certo modo biasimare e quasi redarguire la disciplina diversa, legittimamente ammessa nella Chiesa Orientale; ma lo diciamo unicamente per esaltare nel Signore quella verità che riteniamo una delle glorie più pure del sacerdozio cattolico e Ci pare risponda meglio ai desideri del Cuore Santissimo di Gesù e ai suoi disegni sulle anime sacerdotali.

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