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La libertà religiosa cartina di tornasole del rispetto dei diritti umani

Ultimo Aggiornamento: 10/10/2009 05:48
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08/10/2009 19:17

Intervento della Santa Sede a Varsavia durante un incontro organizzato dall'Osce

La libertà religiosa cartina di tornasole del rispetto dei diritti umani


Pubblichiamo la traduzione italiana dell'intervento sulla libertà di pensiero, coscienza, religione e credo, pronunciato il 29 settembre a Varsavia, a nome della Santa Sede, da monsignor Anthony Frontiero, del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, durante l'incontro annuale sulla realizzazione degli impegni assunti nella "dimensione umana" dell'Osce, organizzato dall'"Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani" (Odhir) di quell'Organizzazione.

La Delegazione della Santa Sede desidera esprimere il proprio apprezzamento per la possibilità che le è stata offerta di partecipare a quest'importante dibattito. L'odierna sessione di lavoro è una verifica opportuna dell'Incontro Supplementare sulla Dimensione Umana, svoltosi a Vienna dal 9 al 10 luglio 2009. Nel suo discorso in occasione di tale incontro, una delle relatrici, la professoressa Ombretta Fumagalli Carulli, ha giustamente affermato che l'assunzione da parte degli Stati dell'impegno a favore della libertà religiosa, come proposto dal Principio vii dell'Atto Finale di Helsinki del 1975, è stata un successo notevole perché, grazie a una successiva elaborazione da parte dell'Osce, tale Principio vii è divenuto una delle più dettagliate e complete disposizioni relative alla religione che uno strumento internazionale per i diritti umani abbia mai elaborato. Ciononostante, come ha sottolineato la rofessoressa Carulli, restano da affrontare sfide significative alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo.

È evidente che alcune di queste sfide non sono nuove e si manifestano con atti di intolleranza, violenza e discriminazione quali interferenze dello Stato nella possibilità delle persone di pregare e praticare il culto, ostilità sociali o stereotipi delle religioni, requisiti di registrazione inutilmente gravosi, restrittivi o invasivi. Più di recente sono sorte altre sfide in società sempre più relativiste, in cui si tende a subordinare la libertà di religione o a sradicarla del tutto, e, a volte, a promuovere altri obiettivi presentati come se fossero diritti. In riferimento a tali sfide, la Delegazione della Santa Sede desidera ricordare la centralità della libertà religiosa come è evidenziato dagli impegni dell'Osce, i quali riconoscono che "la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Questo diritto si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana e riflette il fatto che tutti gli uomini e tutte le donne sono dotati di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità" (cfr. Dignitatis humanae, n. 2).

L'impegno dell'Osce per la libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo indica chiaramente che la fede religiosa correttamente interpretata non va considerata con sospetto o come un bizzarro ghiribizzo o un cimelio di un passato meno complesso. Gli Stati partecipanti hanno l'obbligo di rispettare e garantire a tutti gli individui soggetti alla loro giurisdizione il diritto alla libertà di religione o di credo, riconoscendo la libertà religiosa come preminente fra i diritti fondamentali e la sua tutela come cartina di tornasole del rispetto di tutti gli altri diritti umani. Lo scopo degli impegni dell'Osce per la libertà religiosa non è l'emarginazione della religione nella speranza che svanisca, ma la difesa e l'appoggio perché possa prosperare. Bisogna operare una vera e propria distinzione fra Stato e religione, ma quest'ultima non va separata dalla vita sociale e culturale. La religione offre un contributo vitale e positivo alle società in cui la detta libertà viene rispettata. Infatti, la libertà di religione è un diritto umano fondamentale e "naturale", che può e dovrebbe coesistere con l'obbligo della comunità politica di garantire l'ordine e la sicurezza pubblici. L'idea di libertà di pensiero propugnata dall'Osce a Helsinki non prevede l'esclusione dei credenti e dei valori religiosi dalla vita pubblica e dal dibattito civile. Intende, anzi, proteggere tutti, credenti e non, dalla coercizione nelle questioni religiose. Si tratta di un diritto fondamentale che tutela la dimensione trascendente dell'essere umano e, quindi, la sua dignità. Possiamo essere certi del fatto che l'impegno degli Stati partecipanti per la libertà di religione tutela il nostro diritto di mantenere privata la nostra fede. Tuttavia non persegue la privatizzazione della fede e neppure chiede ai credenti di disintegrare, in un certo senso, la propria fede prima di affrontare il dibattito pubblico o assumere le nostre responsabilità di cittadini. Promuove, anzi, il contributo che la religione può offrire alla sfera pubblica.

A proposito del rapporto fra libertà di religione e libertà di espressione non esiste alcun diritto di non essere offesi dall'espressione di convinzioni religiose profondamente radicate. Concedere un tale diritto significherebbe, infatti, limitare la libertà di espressione di gruppi e individui, inclusi quelli religiosi, e sarebbe una discriminazione contro quelle persone che esprimono un diverso punto di vista attraverso tali convinzioni.

Nel 1975, a Helsinki, gli Stati partecipanti hanno fatto un'affermazione forte, che va rinnovata di fronte alle sfide contemporanee:  la libertà di religione è importante. Quegli stessi Stati partecipanti sapevano che non tutelando la maggior parte dei valori sacri, inclusa la professione e la pratica della fede, si sarebbero rese vulnerabili tutte le altre libertà, ossia di stampa, di espressione e di coscienza. Un elenco di raccomandazioni concrete verrà presentato alla Segreteria insieme a questo testo.


(©L'Osservatore Romano - 9 ottobre 2009)
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Intervento della Santa Sede alla dodicesima sessione ordinaria
del Consiglio dei diritti dell'uomo sulla libertà religiosa

Il rispetto della libertà di religione unica risposta alla discriminazione religiosa


Pubblichiamo la traduzione italiana dell'intervento pronunciato il 30 settembre dall'arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra, in occasione della xii sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell'uomo sulla libertà religiosa.

Da qualche tempo ormai, la comunità internazionale ricerca un approccio normativo equilibrato ai diritti umani fondamentali di libertà di religione e di credo, di libertà di espressione e di rispetto per tutte le persone che nutrono convinzioni religiose o d'altro tipo. Risoluzioni e dichiarazioni stanno promuovendo disposizioni efficaci per la tutela e la riaffermazione internazionali dell'importanza del dialogo. Questi sforzi si compiono per evitare conflitti sociali, lo svilimento e l'emarginazione di individui e gruppi di credenti e azioni violente contro di loro.
Tuttavia, questa prospettiva negativa rischia anche di far perdere di vista l'importanza decisiva degli aspetti positivi della libertà di religione. Quest'ultima implica la tutela del diritto di ognuno a scegliere, professare e diffondere, individualmente o collettivamente, un credo secondo la propria coscienza, come affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dagli altri strumenti per i diritti umani, con il dovere corrispondente degli Stati di tutelare questo diritto umano fondamentale per mezzo di un corretto sistema legale. La Delegazione della Santa Sede ritiene che l'ultimo resoconto del Rapporteur Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza abbia assunto un approccio più positivo alla questione e che in esso i problemi della discriminazione di natura religiosa e dell'incitamento all'odio religioso nonché il concetto sociologico di "diffamazione delle religioni", questioni affrontate nell'ultimo Rapporto, siano contestualizzati meglio. Il Rapporteur raccomanda di ancorare il dibattito all'attuale quadro giuridico internazionale, aggiungendo che, in materia di diritto di credo, la persona umana non dovrebbe essere separata dai propri rapporti sociali. "I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l'ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve essere tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell'ordine sociale" (Discorso di Papa Benedetto XVI all'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, New York, 18 aprile 2008).
La Delegazione della Santa Sede concorda con il Rapporteur Speciale sul fatto che la risposta per combattere il fenomeno vecchio e nuovo della discriminazione basata su convinzioni e pratiche religiose può essere l'approccio integrato basato sul pieno rispetto del diritto di libertà di religione. Ben sapendo che manifestazioni di intolleranza sempre più frequenti minano i diritti delle persone di ogni religione e credo, e che praticamente tutte le minoranze religiose vengono discriminate nel mondo, la mia delegazione è convinta della necessità di una soluzione concertata. Il consenso raggiunto nella conferenza di revisione di Durban, per esempio, è un buon equilibrio fra il riaffermare l'importanza della libertà di espressione e la necessità di frenare i discorsi inneggianti all'odio. In particolare in questa dimensione relativa a emozioni profonde e un senso d'identità personale e collettivo, le leggi non sono sufficienti. È necessaria una nuova mentalità che tenga conto del crescente pluralismo nella maggior parte delle società e dell'interconnessione di un mondo gobalizzato. La tecnologia moderna (in particolare attraverso i mezzi di comunicazione sociale) può essere una fonte efficace e può contribuire a una consapevolezza maggiore della dignità e dei diritti umani della persona. Quindi la convergenza di libertà di espressione e mezzi di comunicazione sociale è fondamentalmente positiva. È solo una questione di scelta. I mezzi di comunicazione possono essere utilizzati sia per edificare e sostenere la comunità umana in tutti i suoi aspetti economici, politici, culturali, educativi e religiosi, contribuendo così al benessere e alla religiosità dell'individuo, sia per danneggiare il bene integrale della persona, incitare all'odio, emarginare e alienare le persone e stereotiparle sulla base della razza e dell'etnia, del sesso, dell'età e anche della religione.
Infatti nel rapporto fra mezzi di comunicazione sociale e religione esistono tentazioni da entrambe le parti. Spesso i mezzi di comunicazione ignorano ed emarginano la dottrina religiosa. Le idee, le pratiche, le esperienze e i sentimenti delle persone religiose vengono sminuiti e la religione viene giudicata secondo criteri secolari. Questa prospettiva può portare a un trattamento ostile di legittimi gruppi religiosi. Da parte sua la religione può giudicare negativamente i mezzi di comunicazione e incoraggiare l'esclusivismo religioso che fomenta il disprezzo e l'ostilità verso altri.
La libertà di espressione non è solo un diritto, ma anche un dovere che va rafforzato. Bisognerebbe sempre favorire la possibilità di scambiare idee e formulare opinioni. Tutelare la libertà di espressione, comunque, non è un obbligo assoluto. Normalmente dovrebbe essere esercitato per il bene della società e anche per poter godere della libertà religiosa e di credo. Tuttavia qualsiasi forma di incitamento all'odio che colpisca la persona umana e i suoi diritti è inaccettabile. Nell'esercizio del diritto e del dovere sociali di informare le persone devono tener conto di principi di etica sociale quali verità, solidarietà, tolleranza, correttezza, principi che costituiscono la pietra d'angolo della giustizia, dell'equità, del rispetto per la riservatezza, della sussidiarietà. Anche i mezzi di comunicazione sociale dovrebbero rimanere al servizio della persona. In questo contesto può essere d'utilità sottolineare che lo sviluppo integrale e il bene delle persone non è realizzabile indipendentemente dal bene comune delle collettività a cui appartengono. Il bene comune, di cui i diritti umani sono la grammatica, dovrebbe essere inteso come inclusivo dell'intera gamma dei beni fisici, intellettuali, emotivi e spirituali. Quindi, l'innata natura sociale della persona e i suoi sentimenti religiosi meritano di avere l'opportunità di crescere e di essere tutelati da ogni abuso. Se le nuove tecnologie devono essere al servizio del bene di individui e società, tutti gli utenti devono evitare la condivisione di parole e immagini che denigrano gli esseri umani, fomentano odio e intolleranza e sfruttano i deboli.
In questo frangente, quindi, è meglio evitare un approccio negativo e limitante e insistere piuttosto sugli aspetti positivi del diritto fondamentale alla libertà di religione. Un uso saggio dei mezzi di comunicazione sociale, dei metodi pedagogici e dei libri di testo può insegnare il rispetto e l'apprezzamento reciproci. Inoltre, le iniziative di dialogo e gli sforzi come quello dell'Alto Commissario per i Diritti dell'Uomo per ottenere una migliore comprensione degli articoli 19 e 20 dell'Iccpr (Patto internazionale sui diritti civili e politici) nel sistema del diritto internazionale, possono fare molto per promuovere la comprensione reciproca, sostenere la libertà di religione, di credo e di coscienza, prevenire il loro mancato rispetto. Le autorità civili dovrebbero contribuire a garantire il diritto di criticare l'attività dei mezzi di comunicazione sociale  e  facilitare  la  partecipazione di tutti, in particolare dei gruppi etnici e delle minoranze religiose, al processo decisionale delle politiche di comunicazione.
In conclusione, signor Presidente, il percorso che si aspetta indica una direzione orientata verso l'attuazione completa delle esistenti norme di tutela della libertà di religione e di credo, verso un utilizzo saggio della libertà di espressione, verso una maggiore sensibilità per il diritto di esprimere le convinzioni religiose e, di conseguenza, di dimostrare la propria identità religiosa sia come individui sia come gruppi, in privato e in pubblico, nella ricerca comune di verità e di coesistenza pacifica. In questa prospettiva le persone sono prioritarie perché i diritti umani appartengono a loro e alle loro comunità piuttosto che a idee astratte, istituzioni o territori fisici. Parimenti, l'uguaglianza di trattamento viene tutelata proteggendo le minoranze religiose da legislazioni e pratiche discriminatorie. Nella nuova arena digitale si può ottenere molto incontrando e conoscendo le tradizioni e i valori di ognuno, creando una nuova mentalità di comprensione e rispetto e cercando insieme verità, bontà, bellezza.


(©L'Osservatore Romano - 10 ottobre 2009)
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