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VERSO IL SACERDOZIO a cura di mons. Massimo Camisasca

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2009 09:47
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Mons. Massimo Camisasca -

“I pericoli dello spiritualismo e dell’attivismo"

Città del Vaticano (Agenzia Fides) -

Una delle urgenze più acute della formazione sacerdotale è di aiutare colui che intende diventare prete ad evitare i rischi dello spiritualismo e dell’attivismo. Spiritualismo e burocrazia sono le due opposte tentazioni, in realtà rispecchiantesi l’una nell’altra, che impediscono alla missione della Chiesa di sorgere e svilupparsi.

La riduzione spiritualistica concepisce il Cristianesimo unicamente come rapporto individuale con Dio, dello spirito dell’individuo con lo spirito di Dio: rischio di disincarnazione che nasce dall’egoismo o dalla paura, perciò da una assenza di misericordia per l’uomo, da una dimenticanza profonda della realtà del cristianesimo, che è Dio - fatto - Uomo, Dio che si è curvato sull’uomo per salvarlo. Lo spiritualismo confina il Cristianesimo in una preghiera disincarnata, in un silenzio solipsista, in una fuga dalle responsabilità del presente.

D’altra parte l’attivismo, favorito dalla burocratizzazione della vita ecclesiale sviluppatesi dopo il Concilio Vaticano II, riduce la vita cristiana a riunioni, convegni, documenti, a una attività vissuta come un “fare per gli altri”, da cui però é assente la consapevolezza e la responsabilità di annunciare Cristo.

Nell’uno e nell’altro errore manca la bellezza di una vita comunionale vissuta, che è l’unica esperienza da cui un uomo può sentirsi mandato fino agli estremi confini del mondo. Tutti e due questi rischi nascono da una perdita di consapevolezza di che cosa sia la missione, e anzi da una perdita di consapevolezza della missione come scopo del sacerdozio e come scopo della vita cristiana.

Don Giussani, il fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, in un intervento durante la sessione plenaria della Congregazione per il Clero, tenuto il 19 ottobre 1993, sul tema: “Vita, ministero e formazione dei sacerdoti” ha affermato: «Se uno avesse domandato personalmente a Cristo: ‘Qual è il pensiero dominante su te stesso? Che cosa sei ai tuoi occhi?’, mi immagino che Egli avrebbe risposto: ‘Io sono il mandato dal Padre’. Il proprio esistere come missione. Tant’è vero che, costituendo il luogo umano per cui attraverso il suo Spirito avrebbe preso le sue vie nel mondo, questa è la parola generatrice che Cristo disse: ‘Come il Padre ha mandato me, così io mando voi’».

Una società come la nostra può essere toccata solo dalla grazia di un’umanità diversa, caratterizzata da questa autocoscienza nuova. Io sono mandato affinché, attraverso la mia umanità altri possano essere raggiunti da Colui che è stato mandato dal Padre. Se Dio si è fatto uomo, infatti, è perché l’uomo può essere toccato solo dalla grazia di un’umanità ritrovata. Se questo è vero sempre, è vero soprattutto per la società di oggi che è coperta, istante per istante, da miliardi di parole e di messaggi, in cui tutto ha un valore così relativo da essere quasi uguale a zero. Il cristianesimo non può rinunciare alla verità della sua origine, a una comunicazione personale.
Tutto può aiutare, ma niente può sostituire la comunicazione personale.

(Agenzia Fides 30/6/2006 - righe 36; parole 484)
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