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VERSO IL SACERDOZIO a cura di mons. Massimo Camisasca

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2009 09:47
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Mons. Massimo Camisasca - Il sacerdote:

l’uomo di Dio al servizio degli altri uomini

Città del Vaticano (Agenzia Fides) -
 
La vocazione è innanzitutto un’iniziativa di Dio verso la nostra vita. Ciò vuol dire che il sacerdote è, sopra ogni altra cosa, un “Uomo di Dio”: un uomo che Dio sceglie. Un’affermazione questa che, però, può essere sottoposta a diversi fraintendimenti. Dire che il sacerdote è un uomo scelto da Dio non significa che è una persona che vive chiuso nel suo Mistero. Insomma, uno “con la testa fra le nuvole”, che non ha nulla da dire al mondo e agli uomini del mondo, perché - partecipando di un altro mondo - non è interessato a questo mondo e non ha niente di rilevante da comunicargli. Evidentemente non è questo il significato di “Uomo di Dio”.

Il sacerdote, invece, è una persona che impara a guardare il mondo così come Dio guarda il mondo e gli uomini. Ma questo è un processo di lungo periodo. Non a caso Gesù, per educare i suoi discepoli ad entrare nello sguardo di Dio, ha dovuto convivere anni con loro: non sono certo bastate una o due lezioni. E questa convivenza non è stata comunque sufficiente. Se non ci fosse stato lo Spirito di Dio che avrebbe detto loro a poco a poco tutto quanto, quest’immedesimazione con lo sguardo di Dio, vissuta nel tempo della predicazione degli apostoli non sarebbe stata sufficiente. Quest’entrare nello sguardo di Dio è certamente un’opera dello Spirito nella nostra vita, che ci apparenta lentamente, ma in modo reale con il pensiero di Dio.

Ma qual è la, lenta e faticosa, strada da percorrere? Bisogna partire con la lettura e la meditazione della Scrittura in quanto letta dalla Chiesa, la scrittura che ci viene presentata dal messale e dal breviario. Attraverso la Scrittura impariamo a comprendere cosa interessa a Dio in ciò che accade. E di conseguenza impariamo anche noi a vedere quello che è portatore di pace, di gioia, di comunione nelle cose che accadono e non di divisione, di lacerazione, di negazione, di violenza e di tristezza.

La seconda strada sono gli scritti dei Santi. E’ lì che vediamo l’itinerario che hanno compiuto per entrare nello sguardo di Dio.

La terza via è la conversazione con gli amici che mi aiutano in questa direzione. In questo modo si sperimenta che io sono stato scelto: che Dio ci ha amati per primo. Ecco perché Egli ha mandato il suo Figlio per me. Se non c’è questa esperienza personale dell’amore, la vita sacerdotale non è possibile. Il sacerdozio è propriamente l’esperienza dell’amore ricevuto, dell’amore personale, ricevuto da Cristo che si dilata in esperienza della Chiesa come propria sorte personale. “Questa è la mia eredità, il mio calice”, dice il salmo: il sacerdote come un uomo di Dio sente la vita della Chiesa come propria sorte personale.

Ma il sacerdote è anche un uomo per gli altri uomini. Vale a dire è donazione. Chi vuol trattenere qualcosa per sé è meglio che non diventi sacerdote. La vita sacerdotale che cos’è se non la partecipazione alla vita di Gesù? E la Sua vita è stata donazione. Egli ha dato se stesso senza misura. La sua unica misura è stata quella di non aver avuto misura. Qui si comprende come il fondamento della vita sacerdotale sia nei sacramenti, perché i sacramenti sono proprio l’espressione della donazione senza misura che Gesù vive: Gesù continua a donare se stesso.

Per tutte queste ragioni il sacerdote può essere uomo di Dio per gli altri uomini solo se se attinge continuamente da Gesù, cioè dai sacramenti, la forza e la misura della propria donazione. Sappiamo che la donazione di Gesù realizza uno scambio: Egli dà a noi tutto se stesso e prende su di sé tutto il nostro male. Questa è anche la vita sacerdotale, che consiste nel portare i pesi degli altri. Ma ciò non sarebbe mai possibile se ciascuno di noi non si affidasse completamente nelle braccia di Gesù.

(Agenzia Fides 10/11/2006; righe 41, parole 650)
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