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Nel 1009, la distruzione del Santo Sepolcro

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2009 15:22
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19/10/2009 15:22

Nel 1009, la distruzione del Santo Sepolcro

Giorgio BERNARDELLI


L’anniversario
Mille anni fa veniva scritta una delle pagine più nere dei rapporti fra cristianesimo e islam. Quando per ordine del sultano al-Hakim la grande basilica costantiniana che sorgeva sul luogo della morte e risurrezione di Gesù fu rasa al suolo
Venne poi ricostruita fra il 1042 e il 1048
Andò perduto per sempre il «Martyrium», dove ogni domenica si riunivano i cristiani per celebrare l'Eucaristia



In pochi lo sanno, ma in questi giorni ricorre a Gerusalemme un millenario molto doloroso per la comunità cristiana della Terra Santa: quello della distruzione della basilica costantiniana del Santo Sepolcro ad opera del sultano fatimide alHakim. Un fatto destinato a cambiare in maniera radicale la fisionomia dei luoghi cristiani nella Città Santa, dal momento che – anche se poi ricostruita – la basilica non avrebbe mai più ritrovato lo splendore che ebbe nella Gerusalemme del primo millennio. Un luogo – in particolare – sarebbe andato perduto per sempre: il «Martyrium», cioè la grande chiesa in cui si faceva memoria della Passione di Gesù.

A ricostruire la data esatta dell’anniversario è stato – sull’ultimo numero della rivista «Terrasanta» – l’archeologo francescano padre Eugenio Alliata. Le cronache dell’epoca raccontano, infatti, che la distruzione cominciò «il martedì il quinto giorno prima della fine del mese di Safar nell’anno 400 dell’Egira». Annota padre Alliata: «L’anno dell’Egira 400 inizia il 25 agosto 1009 ed essendo Safar il secondo mese dell’anno lunare islamico bisogna aggiungere 54 giorni per arrivare a martedì 18 ottobre, secondo il calendario gregoriano (giorno ovviamente estrapolato, trattandosi di una data anteriore all’istituzione ufficiale del medesimo)». Quella che il 18 ottobre 1009 si consumò a Gerusalemme fu una distruzione radicale: lo stesso Santo Sepolcro – racconta sempre il cronista dell’XI secolo – «fu scavato e sradicato nella maggior parte». Ma come mai mille anni fa (e quasi quattro secoli dopo la conquista araba di Gerusalemme), si arrivò a uno scempio del genere? La risposta sta nella figura del sultano al-Hakim, che regnò al Cairo dal 1000 al 1021. Fu lui a imporre una svolta nella politica dei fatimidi, dinastia appartenente alla corrente ismailita degli sciiti, che fino a quel momento aveva mostrato tolleranza nei confronti sia dei sunniti sia delle altre minoranze religiose. Al-Hakim, al contrario, tentò con ogni mezzo di imporre la propria fede. E ad essere più duramente colpiti furono soprattutto cristiani ed ebrei: il sultano, ad esempio, portò all’esasperazione la legislazione sui dhimmi. Ma fu proprio la distruzione del Santo Sepolcro il culmine della sua intolleranza religiosa. Un fatto la cui eco rimbalzò molto presto in Europa, divenendo una delle ragioni addotte per la convocazione della prima Crociata.

Quella del 1009 fu, dunque, una pagina nerissima nei rapporti tra islam e cristianesimo. Da ricordare, però, tenendo presente che lungo i secoli ce ne sono state anche altre di segno opposto. Proprio la basilica del Santo Sepolcro era stata testimone del gesto compiuto dal califfo Omar, quando nel 638, al momento della conquista araba di Gerusalemme, scelse di non entrare a pregare in questo luogo santo, in segno di rispetto verso i cristiani (un fatto questo molto importante, dal momento che se non si fosse comportato così la «madre di tutte le chiese» sarebbe stata trasformata in moschea, come tanti altri luoghi di culto cristiani in Oriente). Va inoltre aggiunto che – anche dopo lo scempio ordinato da al-Hakim – sotto il regno del suo successore al-Zahim fu comunque raggiunto un accordo tra il sultano e l’imperatore bizantino Argyropulos in forza del quale già nel 1042 poté iniziare la ricostruzione del Santo Sepolcro. Dettaglio interessante: l’intesa di dieci secoli fa prevedeva qualcosa di molto simile a quello che oggi chiameremmo il principio della reciprocità. L’imperatore, infatti, concedeva contestualmente il permesso di edificare una moschea a Costantinopoli.

I lavori di ricostruzione – terminati nel 1048 – si concentrarono solo sulla parte più venerata del complesso costantiniano: la rotonda al cui centro era posto il Santo Sepolcro. Nell’edificio antico, consacrato nell’anno 336, esistevano però anche altri due elementi distinti. Entrando dal «cardo maximo», la strada principale della Gerusalemme romana e bizantina, per prima cosa si accedeva al «Martiryum», la grande chiesa a cinque navate. Dal fondo di questo edificio sacro si entrava poi in un giardino, circondato da un triportico, dove nell’angolo di sud-est era venerata all’aperto la roccia del Calvario, dove Gesù fu crocifisso. Oltre il giardino, infine, si apriva l’«anastasis», la rotonda con al centro il Santo Sepolcro. Per dare un’idea della grandiosità dell’intero complesso basti citare il fatto che insieme queste tre parti sviluppavano un asse di circa 150 metri (tanto per dare un termine di paragone la basilica di San Pietro è lunga 186 metri, dunque non molto di più).

La scelta di concentrarsi sulla rotonda del Santo Sepolcro fu confermata dai crociati: quando nel 1099 nacque il regno latino di Gerusalemme si affermò subito l’idea di riportare la basilica all’antico splendore. Ma la struttura rimase comunque più piccola rispetto a quella costantiniana: si decise di allargare l’«anastasis», andando però a ricomprendere all’interno della chiesa solo la roccia del Calvario, che prima si trovava – invece – nel giardino. Questo spiega la fisionomia attuale della basilica, consacrata nel 1149 e poi rimasta sostanzialmente inviolata anche dopo la sconfitta dei crociati a Gerusalemme. Il «Martyrium», dunque, è il luogo santo che non c’è più. Luogo fondamentale della Gerusalemme bizantina, una comunità di cui oggi in realtà si ricorda pochissimo. Invece era proprio qui che – tra il IV e l’inizio dell’XI secolo – ogni domenica si riunivano i cristiani per celebrare l’Eucaristia. In una chiesa anch’essa ricca di simbolismi: Eusebio, nella sua “Vita di Costantino”, racconta che l’elemento principale dell’intera opera era «un emisfero collocato sulla parte più alta della basilica, cui facevano corona dodici colonne pari al numero degli Apostoli del Salvatore e ornate in cima con enormi crateri d’argento che l’imperatore aveva offerto personalmente quale bellissimo dono votivo al suo Dio». Era la morte gloriosa di Gesù che nella Gerusalemme bizantina la Chiesa qui celebrava. Fermando lo sguardo sulla sua Passione prima di correre al sepolcro vuoto della Resurrezione. Forse è proprio questa l’idea più importante che un millenario così nascosto ci può aiutare a ritrovare.


tratto da: Avvenire
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