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A venticinque anni dall'uccisione di padre Jerzy Popieluszko

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2009 18:31
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19/10/2009 18:31

Quando a Varsavia si moriva di comunismo


Nell'ambito del Festival internazionale del film di Roma, nel pomeriggio di lunedì 19, viene presentato il film Popieluszko, freedom is within us del regista polacco Rafal Wieczynski.

di Luca Pellegrini

Non deludere il popolo. Non deludere Cristo. Józef Glemp, primate di Polonia, guarda fisso negli occhi Jerzy Popieluszko in un tempo di massimo pericolo per lui, per tutti. In gioco è la vita di uno, di molti. In gioco è il futuro di una nazione. A Roma si prega e si attende; come a Varsavia, dove si combatte il comunismo e per questo si può anche morire. È sempre così, nella storia:  guardare alle cose della terra, senza mai dimenticare quelle del cielo. Il volto di Cesare può essere maligno, subdolo, cattivo:  Jerzy sente il peso dell'umiliazione fin da quando, giovane seminarista, durante il servizio di leva obbligatorio è costretto ad abbassare il capo, mai la fede. Non è lunga la strada che lo porta davanti al tribunale del potere, nella Polonia piegata dalle leggi marziali:  le luci della speranza - quella "che non si può uccidere", come scrive in un'omelia tenuta il 26 agosto del 1984 - si moltiplicano nei tanti fari di coraggio che illuminano la notte della dittatura totalitaria, mentre sussulti eroici e tradimenti drammatici si susseguono, come le manifestazioni di dissenso e le cariche della "milizia". Interrogato per l'unico crimine della sua vita, ossia amare la libertà e servire la Verità e nella verità il suo Paese e il suo popolo, il sacerdote Jerzy non si piega, ma ha paura. Le sue parole diventano forti e in quella forza, sovversive per amore:  "Per rimanere uomini spiritualmente liberi - riflette - bisogna vivere nella verità. La coraggiosa testimonianza della verità è la strada che conduce direttamente alla libertà". Quella strada è intrisa di sangue e di sofferenza.

Con questo risvolto intimo, delicato e fragile, tutto chiuso dentro le mura segrete dell'anima di un uomo che diviene anche eroe, il film di Rafal Wieczynski - presentato al festival internazionale del film di Roma - riflette e racconta una storia ancora drammaticamente viva e recente per molti. "Storia semplice e dolorosa - puntualizza - storia vera dei tempi in cui potevamo vedere cos'era bene e cos'era male. Ho la sensazione che non sia fuori luogo una nota di nostalgia per quella capacità di discernimento". Impresa non facile, chiedere ai duecento attori di un film lungo e complesso, che ha impegnato non poco le capacità produttive polacche in termini finanziari e organizzativi, svelare questa nostalgia. Lo fa dopo che i grandi episodi della storia polacca, quelli che dalla fine degli anni Settanta la colpiscono e la infiammano, sono stati descritti in modo epico e lineare, senza sbavature ed eccessi, senza sussulti di regia, inserendo anche materiali visivi di repertorio per dimostrare che, pur nella finzione, tutto è realmente accaduto. Con una mano forse troppo anonima, più documentaristica che veramente autoriale, scioperi e insurrezioni, processioni e dibattiti, svelano questa realtà, oggi probabilmente studiata dalle giovani generazioni più con la distrazione del dovere che con la passione del cuore.

L'attività pastorale di Jerzy, che affronta le difficoltà e gli avversari citando il Vangelo e amministrando i sacramenti e non impugnando armi e libelli, è sempre più assediata da questi fatti che lo costringono a uscire allo scoperto, diventando proprio lui il portavoce, forte di volontà e debole di fisico, della "patria" che non si piega e per la quale celebra le ormai famose messe. Nella durezza di un gioco in cui testimonianza e pericolo ormai sempre più collimano, il film diventa meno distaccato e impersonale, acquista spessore e umore:  un microcosmo di volti, parole, gesti, piccole e grandi forme di lealtà e di amicizia, si aggregano intorno a Popieluszko accompagnandolo nel suo faticoso e pericoloso pellegrinaggio polacco, che precipita in una cella sordida o risorge a Jasna Góra, che si sofferma nelle ore del Rosario e si affanna in quelle della battaglia:  "Combatto il male, non le sue vittime", però confessa. Questo scontro tra il sacerdote sempre più debole e il male sempre più forte non ammette soste e il film genera in crescendo una tensione e un senso di solitudine che Adam Woronowicz nel ruolo di Jerzy riesce a trasmettere con grande carisma, nella pacatezza del tono di voce e nella dolcezza dello sguardo aiutate anche dall'impressionante somiglianza fisica.

Di tutti i numerosissimi personaggi che entrano in contatto con lui il film, nella necessaria e mai distratta sintesi descrittiva, ne coglie lo spirito, quello che anima poi le azioni nascoste e manifeste. Per questo ci sono alcuni dettagli che riproducono con il massimo di verità ciò che accadde in quei giorni fatali:  il cardinale Glemp, ad esempio, rappresentando se stesso in due colloqui decisivi avuti col sacerdote, ha voluto personalmente curare la regia delle scene che lo riguardavano, pretendendo che la sceneggiatura rispecchiasse fedelmente la realtà di quanto accaduto.

Poi, nelle tenebre dell'uccisione del prete, la ricostruzione giustamente si allontana di nuovo, perché ora è la testimonianza suprema che soltanto conta.


(©L'Osservatore Romano - 19-20 ottobre 2009)
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