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La testimonianza di un sacerdote missionario in Uganda e in Kenya

Ultimo Aggiornamento: 21/10/2009 19:30
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21/10/2009 19:30



La testimonianza di un sacerdote missionario in Uganda e in Kenya

In Africa, dove rinasce il cuore dell'uomo


di Monica Mondo


Caffè e zucchero, periferia di Nairobi. Qui c'è ancora la fattoria della baronessa Karen Blixen. Una zona strappata alla savana che in lingua locale è chiamata Matopeni, ovvero "dove c'è fango". Qualche anno fa c'era solo una cappella in legno e lamiera. Oggi, una chiesa grande e bella, con un campanile altissimo e un tetto a capanna che protegge più di mille persone, inaugurata il 29 marzo di quest'anno. Intorno alla chiesa, come sue emanazioni naturali, scuole, case di accoglienza, case di sacerdoti.

Qui vivono e lavorano don Alfonso Poppi, don Valerio Valeri e don Giuliano Imbasciati. Troviamo la parrocchia di Saint Joseph, un territorio vasto e diversificato, e il sostegno alle scuole che nascono poco a poco, grazie all'Avsi e a cooperative di genitori e insegnanti disposti a mettersi in gioco. E poi l'istituto professionale San Kizito, dove si formano meccanici, falegnami, elettricisti, tecnici informatici; il liceo Cardinal Otunga (compianto arcivescovo di Nairobi, scomparso nel 2003); la scuola primaria Urafiki (significa "amicizia"), quella de La Carovana, l'asilo Emanuela Mazzola. Nate per mettere alla prova il metodo educativo di don Luigi Giussani, in un Paese, una città dove si è capito che tocca scommettere sull'educazione per guadagnarsi il futuro. Non a caso il Kenya è in testa a tutte le classifiche:  il 95 per cento dei ragazzi frequenta la scuola primaria, il 50 per cento quella secondaria.

"Ma è una corsa all'educazione accademica, che chiede un taglio netto con le radici, la dimenticanza del passato. Che produce uno straniamento, culturale e umano", spiega don Alfonso Poppi, uno che il mestiere di educatore lo conosce bene. E adesso ha quarant'anni di Africa addosso, come una malattia, del cuore, incantato dalla sua bellezza.

La storia di questo missionario varrebbe un libro corposo. Dopo la laurea in chimica, voleva fare il professore di matematica e fisica. Poi l'incontro con i ragazzi di Comunione e liberazione, l'invito di don Giussani ad andare in Africa, dove i primi, soprattutto medici, partiti negli anni '60, avevano conosciuto l'umanità di un missionario comboniano veterano dell'Africa, padre Tiboni. "Mi resi disponibile immediatamente, con un amico di Bergamo che studiava in facoltà con me, ma si temeva che il Governo di Idi Amin Dada avrebbe espulso i sacerdoti e i volontari, e dovetti aspettare tre anni, per arrivare a Kitgum". Poppi, modenese verace, diventa sacerdote in Uganda, "perché lì avevo trovato la risposta totale alla mia vita, la pienezza del mio essere uomo". Padre Tiboni - spiega don Alfonso - "aveva dato vita a un seminario per vocazioni adulte. Mettiamoci un po' di terzomondismo anni '70, le letture di Charles de Foucauld, la scelta del "diventare come loro". Magari era una sensazione un po' idealista e confusa, ma vera. Se stai in un Paese come l'Uganda ti ci vuole una vita per capire la sua gente".

Don Alfonso studia e impara presto la lingua e le culture acholi, sul campo, di capanna in capanna, non sui libri. "Ma diventare sacerdote - continua - significa vivere l'esperienza della comunità, non solo avere una formazione teologica. Un gomito a gomito che ti impedisce di sognare idealmente. La Chiesa è comunità, è confronto quotidiano, come nel matrimonio. Così è stato per me in seminario. Io e il mio amico, i soli due bianchi, più dieci africani, di diverse tribù. Nella diocesi invece il sostegno della comunità è venuto a mancare. Tante parrocchie, lontane, disunite, si viveva in solitudine e se si aggiunge il rischio della vita! Ricordo un lungo periodo nascosto nei boschi, tra soldati, profughi. Do l'assoluzione a tutti, mi dicevo, ma chi la dà a me? Certo il buon Dio ci avrebbe pensato, ma avevo bisogno io di un luogo e un'esperienza da proporre, per essere missionario".

Nel 1985 nasce la Fraternità San Carlo. Nel 1993 don Poppi ottiene di farne parte, e ritrova una casa. In tutti questi anni di lontananza e pericoli la sua prima casa non l'ha mai lasciato. Famiglia di Sorbara, papà produttore di Lambrusco, naturalmente, allegro, spiritoso, amante della compagnia. Mamma capace di affezione, sacrificio, donazione totale. La scelta del figlio dev'essere stata difficile da accettare. "Forse - commenta - ma a me hanno fatto capire che la mia vocazione sarebbe diventata la loro, e mi hanno sempre sostenuto. "Ho imparato da mio padre, ora imparo da te" mi disse il babbo il giorno dell'ordinazione. Era l'Assunta del 1980. E quando mamma si ammalò gravemente fu lei a mandarmi via dal suo capezzale, a dirmi di tornare alla mia missione".

Uganda è guerra, odi etnici, povertà. E malattia. Verso la metà degli anni '80 l'aids diventa di pubblico dominio, non lo si può più nascondere, cresce la paura. Comincia il lavoro nelle scuole, tra la gente, un lavoro di educazione, che propone anzitutto un cambiamento nelle abitudini sessuali, nel rispetto per le donne. Oggi anche molti medici confermano che è l'unica strada, tra lo scandalo di chi cerca soluzioni più facili. E in Uganda ha dato i suoi frutti. Nasce il Meeting Point, il suo simbolo l'Icaro slanciato verso il cielo di Matisse, con quel cuore rosso che sembra pulsare. La perla più preziosa, il cuore dell'uomo, che sa cercare e conoscere la verità anche nelle circostanze più terribili. Il Meeting Point, noto oggi in tutto il mondo, è uno dei pochi luoghi dove gli ammalati di aids "guariscono", riprendono comunque fiducia e speranza. Rose Busingye, l'infermiera che strappa alle donne malate la fiducia e la malattia, ha commosso molti. Don Poppi ne è cappellano per dodici anni:  "È cominciato con un ammalato in fase terminale che ha chiesto di me. Un uomo chiuso, ostile. Che mi ha permesso una comunione estrema e totale. Così ho conosciuto l'aids e accompagnato tante persone sole e ferite dal male. Perché è sempre dalla realtà che bisogna partire, è la realtà che ti parla, cioè Dio che ti viene incontro. E va abbracciato".
 
Dopo venticinque anni di Uganda, Poppi viene chiamato in Kenya, a Nairobi. Il cardinale vuole dei missionari, c'è da far crescere una parrocchia, da aprirne altre. "È stato più difficile per me lasciare il nord Uganda che l'Italia. Sembrava poi che me la svignassi, per sfuggire alla guerra, alle rappresaglie, nel periodo più buio. Ma la vocazione era alla fraternità, la fedeltà a un carisma, non a un luogo geografico. Questo ho spiegato alla mia gente. Non avete fatto domanda per avermi. Ora Chi mi ha mandato mi vuole da un'altra parte".

Dall'Africa rurale alla metropoli. Da una cultura di accoglienza, di solidarietà, di legami radicati, di amore per la natura alle divisioni, alla solitudine di genti di diverse tribù e storie, in quartieri improvvisati e disumani. Ma don Alfonso si era formato e reso africano, e l'hanno capito subito. "Padre, mi dicono dopo la mia prima messa, da lei abbiamo risentito cose vecchie, ma come rifatte nuove, più fresche. Ha proprio ragione Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio, quando dice che il luogo privilegiato della missione sono le grandi città. Lì si gioca il futuro dell'Africa, nella mescolanza necessaria di tribù e etnie, lì la nostra occasione per testimoniare e far vivere la Chiesa e rendere le persone soggetto di un'esperienza che abbraccia la loro tribalità, ma insieme la supera, la fa entrare in una dimensione "cattolica". La parrocchia è il luogo dell'apertura, dove la fede diventa supporto solido per incontrare l'altro. Questo è il nostro imperativo. Possiamo vivere in un buco, ma abbracciando il mondo".

Pensare che don Alfonso non sognava affatto di fare il missionario. Non era un tipo avventuroso, ma l'incontro con l'avvenimento cristiano "mi ha fatto capire che se è per me, è per tutti, a qualunque latitudine. Rivivere con la fede l'umanità africana è straordinario. Tutti i valori di quella cultura sono esaltati. Quello che il Papa ha detto in Angola, in Camerun, io l'ho visto, lo vedo. L'indomabilità, la generosità, la positività anche tra i più poveri, gli ammalati. La rinascita del cuore dell'uomo".


(©L'Osservatore Romano - 22 ottobre 2009)
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