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Intervento della Santa Sede alla 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2009 18:22
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22/10/2009 19:00

Intervento della Santa Sede al dibattito di politica generale della 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco

La cultura è ricerca della verità


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 10 ottobre a Parigi da monsignor Francesco Follo, Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco), sul tema "La cultura si trova là dove gli uomini si preoccupano della verità e la cercano", nell'ambito del dibattito di politica generale della 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco.

Signor Presidente della Conferenza Generale,
Signor Direttore Generale,
Eccellenze,

È per me un grande onore prendere la parola davanti a questa prestigiosa Assemblea e presentarle le felicitazioni più vive di Sua Santità Papa Benedetto XVI per la sua elezione.

Desidero altresì esprimere i ringraziamenti e l'apprezzamento della Santa Sede per i lavori della Segreteria dell'Unesco. I documenti elaborati, soprattutto i 35 C/3, C/5 e C/6, hanno richiamato la sua attenzione. Essi mostrano le realizzazioni e le sfide principali che l'Unesco deve esaminare nell'esercizio di ognuna delle sue cinque funzioni. Pongono inoltre l'accento sullo sviluppo sostenibile, come sottolineano, per esempio, alcuni temi delle Conferenze sull'educazione, al fine di cercare di dare una risposta alla gravità della crisi finanziaria, economica e sociale che il nostro mondo sta vivendo. La preoccupazione di rispondere alle domande relative alla gestione del pianeta, vale a dire della "città", si estende anche al governo degli oceani.

A tale proposito, nella sua ultima enciclica Caritas in veritate, il Santo Padre insiste sull'importanza dei valori morali che devono sottendere un'analisi della globalizzazione. Egli ritiene che "la globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace" (n. 57).

Permettetemi dunque di sottoporvi una riflessione sui principi fondamentali che sostengono tutto il progetto dell'Unesco. Se ne possono individuare tre:  la verità, la cultura e la "città". Una simile riflessione può essere utile per tutte le iniziative di cui l'Unesco è promotrice o parte attiva.

Quale relazione hanno fra di loro queste tre dimensioni, ossia la verità, la cultura e la "città"? La cultura serve da termine intermedio, da legame fra la verità e la "città". Da un lato essa permette agli uomini di vivere insieme e cementa questo stesso "vivere insieme". In effetti, non c'è comunità umana senza cultura, né cultura senza comunità umana, ossia senza "città". D'altro canto, le culture meriterebbero solo l'attenzione degli etnologi se non fossero portatrici di quelli che vengono chiamati "valori" o, per meglio dire, verità. Si tratta di fatto di verità sull'uomo, sull'insieme degli uomini, e dunque sulla "città".
"La complessità e la gravità dell'attuale situazione economica" ha scritto Benedetto XVI nella stessa enciclica, "giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore" (n. 21).

È importante prendere coscienza del fatto che l'economia è al servizio dell'uomo. L'uomo è un cittadino e la "città" è il luogo in cui gli uomini discutono della verità, il luogo in cui a volte la trovano, il luogo in cui spesso viene insegnata loro. Per favorire questo dibattito è necessaria la stabilità economica, ma la cultura - quella che i greci chiamavano paideia, dunque l'accesso dell'uomo alla sua piena umanità - non è un lusso riservato solo alle economie prospere. L'economia deve servire l'uomo e la cultura. E uno dei nobili obiettivi dell'Unesco è di proclamare e di promuovere ciò.

La cultura si trova dunque là dove gli uomini si preoccupano della verità e la cercano. È possibile ricordarne due forme. La prima sembra evidente:  è quella dell'insegnamento, o dell'educazione, che la "città" deve prodigare a quanti la costituiscono. La "città" non può riposare su approssimazioni o su errori collettivi. Se vuole essere educatrice, deve necessariamente trattare i cittadini come uomini, come persone ragionevoli e rispettabili. La seconda forma che deve suscitare l'interesse della "città" per la verità è l'apertura della mente, che è una forma dell'umiltà poiché accetta, attraverso la sua disponibilità, la ricchezza dell'altro e delle altre culture.

La Chiesa, da parte sua, si è interessata molto rapidamente e in maniera particolare allo sviluppo delle scienze. La teologia medievale aveva individuato il terreno che dovevano occupare le scienze. La prima accademia scientifica ad essere fondata è stata la Pontificia Accademia delle Scienze. È stata creata nel 1603. Fra "scienza" e "umanità" non può essere scavato un fossato, ma indubbiamente lo è stato. Noi parliamo correntemente e troppo spesso della cultura in generale e della cultura scientifica in particoalre come di due realtà separate o indifferenti l'una all'altra, anzi persino opposte. Converrebbe dunque colmare poco a poco questo fossato.

La "città" è una realtà naturale e spetta a essa emanare culture. Queste ultime tuttavia meritano di essere chiamate così solo quando accettano di essere ispirate dal rispetto dell'uomo e fondate su di esso.
Cos'è l'uomo? È una domanda vasta e complessa con la quale ogni cultura veramente umana deve confrontarsi e alla quale deve rispondere. La risposta a tale domanda sarà degna di nota solo se supererà le barriere culturali senza ignorarle. La risposta vera non può che trovarsi nell'uomo, nella sua verità. Questa verità, sempre da riscoprire, è una realtà possibile. Per esempio, noi siamo esseri umani poiché abbiamo avuto il diritto di nascere. Questa realtà genera di per sé altri diritti. Evitiamo dunque di parlare di questi diritti senza avere coscienza e senza fare riferimento al fatto che sono radicati nel profondo rispetto per l'uomo totale, dal suo concepimento fino alla sua morte naturali. Una cultura non si può dire nobile se non in funzione della sua attitudine a cogliere l'uomo nella sua verità e a riconoscergli i diritti legati alla verità del suo essere. Senza dimenticare che, come dice Papa Benedetto XVI, "l'uomo va sempre al di là di quello che di lui si vede o si percepisce attraverso l'esperienza. Trascurare l'interrogativo sull'essere dell'uomo porta inevitabilmente a rifiutare di ricercare la verità obiettiva sull'essere nella sua integrità e, in tal modo, a non essere più capaci di riconoscere il fondamento sul quale riposa la dignità dell'uomo, di ogni uomo" (Discorso ai partecipanti al convegno inter-accademico promosso dalla Académie des Sciences di Parigi e dalla Pontificia Accademia delle Scienze, Sala dei Papi, 28 gennaio 2008).

Cerchiamo dunque di non rinchiudere ogni cultura in se stessa, come se avessimo a che fare con un'entità autonoma e autosufficiente. Se la nostra istituzione, l'Unesco, ha un senso, è proprio quello di mostrare non solo che gli uomini istruiti possono conversare insieme - cosa che noi sicuramente facciamo -, ma anche e soprattutto di far comprendere che una cultura vive sempre in interazione con altre culture, e che "la" cultura è un evento più che un fatto stabilito e acquisito.

Siamo consapevoli che le grandi culture non solo hanno un valore universale, ma che dialogano anche fra loro nei diversi ambiti in cui s'incontrano e si completano. Le culture si ravvivano, poco a poco, quando accettano una interpenetrazione reciproca basata sul rispetto l'una dell'altra, e soprattutto sul rispetto dell'uomo che è padrone e soggetto della cultura. Andando oltre, è possibile dire che l'inter-culturalità esiste già, ma ha anche un dovere da realizzare maggiormente. L'interculturalità è autentica solo se permette al futuro di essere fedele al passato, in ciò che esso ha di meglio, per cercare di costruire un futuro positivo per l'uomo e per la "città".

L'Unesco potrà, forse, puntare maggiormente sul suo ruolo di agenzia "pensante" all'interno del sistema delle Nazioni Unite e rafforzare così i mezzi e gli strumenti che ha per essere un vero "laboratorio d'idee", aperto al contributo di tutti. In tal senso, è necessario riconoscere, anzi persino riscoprire, l'utilità e la necessità della riflessione filosofica, purtroppo considerata troppo spesso come la più inutile delle discipline poiché è la più libera dagli interessi particolari e di parte. È invece una disciplina utile e indispensabile perché è particolarmente al servizio dell'uomo, e dunque del bene dell'umanità intera, della "città". Promuovendo tutto ciò che contribuisce ad accrescere la dignità dell'uomo, della sua mente e della sua intelligenza, l'Unesco sarà fedele alla sua vocazione e alla sua alta missione.

Grazie per la vostra attenzione!


(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2009)
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23/10/2009 19:39

Intervento della Santa Sede alla 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco

L'educazione deve mirare all'unità della famiglia umana


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 9 ottobre a Parigi dal Sotto-Segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica, monsignor Angelo Vincenzo Zani, in occasione della tavola rotonda ministeriale sul tema "L'educazione deve mirare all'unità della famiglia umana e al suo sviluppo nel bene", nell'ambito della 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco.

Signor Presidente,
la Santa Sede dà grande importanza all'educazione e segue con particolare interesse le questioni educative. Essa condivide gli sforzi della comunità internazionale, affinché l'educazione sia per tutti di qualità e divenga un motore di sviluppo per l'intera famiglia umana. L'educazione contribuisce così alla pace, alla concordia fra i popoli e alla crescita di ogni persona.
L'educazione svolge un ruolo fondamentale in numerosi ambiti; alcuni di essi sono stati oggetto di ampie riflessioni durante le recenti Conferenze internazionali promosse dall'Unesco.
L'inclusione nell'educazione, di cui si è parlato nella 48ª Conferenza internazionale sull'educazione (Ginevra, 25-28 novembre 2008), resta una sfida e un obiettivo da raggiungere. La Santa Sede sa che è urgente favorire il maggior accesso possibile all'educazione, ma anche un'inclusione più significativa, per una vera solidarietà. Papa Benedetto XVI ha ricordato di recente che "una solidarietà più ampia a livello internazionale si esprime innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un maggior accesso all'educazione, la quale, d'altro canto, è condizione essenziale per l'efficacia della stessa cooperazione internazionale" (Caritas in veritate, n. 61). Di fatto, la problematica dell'inclusione non si limita all'ambito dell'educazione, ma riguarda anche e prima di tutto i diritti dell'uomo e gli orientamenti della politica generale di un paese. Nondimeno, l'educazione e la scuola, ma anche la formazione permanente, sono strumenti efficaci per uscire dall'esclusione.
Un'efficace educazione dell'inclusione esige una pluralità di strutture e di attori educativi, come pure una collaborazione attiva fra le famiglie, gli insegnanti, i professori e gli educatori, i giovani stessi, le organizzazioni non governative, le Chiese, le comunità religiose e altre persone che, a diversi livelli, contribuiscono al processo di formazione. Questa sinergia è un'applicazione del principio fondamentale della sussidiarietà.
La Santa Sede, da parte sua, desidera contribuire al dialogo interculturale e multireligioso, attraverso le sue istituzioni scolastiche e universitarie. Queste ultime offrono una formazione non solo professionale ma anche integrale della persona. Di fatto, la Santa Sede è ben consapevole delle crescenti possibilità insite nell'incontro fra le culture, "dando spazio a nuove prospettive di dialogo interculturale, un dialogo che, per essere efficace, deve avere come punto di partenza l'intima consapevolezza della specifica identità dei vari interlocutori" (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 26). Di fatto, i progetti educativi che s'impegnano a includere la prospettiva interculturale possono incorrere in due rischi:  quello dell'eclettismo culturale, escludendo così la dimensione critica, o, all'opposto, quello del livellamento delle culture e del conformismo dei comportamenti e degli stili di vita. Se si vuole evitare questi rischi, bisogna ricorrere a una disciplina propria di ogni dialogo che garantisca l'incontro delle diverse identità culturali, in una relazione reciproca giusta e rispettosa.
Se la dimensione religiosa e spirituale è riconosciuta come costitutiva della natura dell'uomo, il dialogo nella scuola può contribuire efficacemente a superare ogni forma di fanatismo e di fondamentalismo. Tutte queste realtà sviano le risorse umane dall'impegno per la pace e la costruzione di un paese. Consapevole di ciò, la Santa Sede continuerà a offrire il proprio contributo attraverso le istituzioni educative cattoliche. Si tratta di circa 200.000 istituti scolastici, frequentati da poco meno di 45 milioni di studenti e con circa 3.500.000 insegnanti, e di circa 1.400 università cattoliche e 800 istituti ecclesiastici.
Il degrado e l'inquinamento ambientali sono spesso l'espressione di una cultura che mina la convivenza umana. Un'educazione sempre più attenta all'ambiente deve aiutare l'uomo a correggere gli eccessi del consumismo. Occorre adottare stili di vita in cui la ricerca della verità, della bellezza e della bontà determini le opzioni personali e collettive e porti così al rispetto per la natura. In effetti, "non si tratta soltanto di trovare tecniche che prevengono i danni, anche se è importante trovare energie alternative e altro. Ma tutto questo non sarà sufficiente se noi stessi non troveremo un nuovo stile di vita, una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente possiamo disporne:  una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e del nostro stesso futuro" (Benedetto XVI, Incontro con il clero della diocesi di Bressanone, 6 agosto 2008). Per questo, il Papa nella sua ultima Enciclica ricorda che:  "servono uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d'un umanesimo nuovo, che permetta all'uomo moderno di ritrovare se stesso" (Caritas in veritate, n. 19).
L'educazione degli adulti e la formazione permanente, tema del prossimo Confintea vi, sono chiamate a favorire da una parte la crescita personale e dall'altra il servizio alla società e al bene comune. L'educazione degli adulti e la formazione permanente s'impongono come un problema urgente a causa delle trasformazioni socioculturali e dei mutamenti all'interno stesso del mondo professionale in cui l'adulto deve essere il soggetto attivo e non la vittima degli eventi. Non bisogna smettere di garantire l'equilibrio armonioso fra i diritti di ogni persona, i suoi doveri nei confronti della sua comunità di appartenenza e la sua responsabilità nelle scelte di vita (matrimonio, famiglia, educazione dei figli).
Signor Presidente, in una società globalizzata, l'educazione deve mirare all'unità della famiglia umana e al suo sviluppo nel bene, al fine di favorire una cultura rispettosa delle persone e delle comunità e aperta alla trascendenza. Una simile educazione può servire concretamente il processo d'integrazione planetaria. L'urgenza di educare alla cittadinanza attiva e responsabile (cfr Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 42), si coniuga con lo sviluppo armonioso della personalità di ogni uomo chiamato a vivere non solo con gli altri, ma anche per gli altri.


(©L'Osservatore Romano - 24 ottobre 2009)
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18/11/2009 21:50

Intervento della Santa Sede alla 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco

Per un'educazione integrale della persona umana


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 12 ottobre da monsignor Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco), alla Commissione per l'Educazione della 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco.

Signor Presidente,
Eccellenze,
In questo momento cruciale per la vita di milioni di esseri umani resi fragili dalla crisi finanziaria, economica e sociale che riguarda oggi il mondo intero, non ci si può che rallegrare nel vedere la fedeltà dell'Unesco alla sua intuizione fondatrice e il suo desiderio di partecipare con maggiore efficacia all'umanizzazione di ogni essere umano e all'educazione dei più poveri. Il mezzo scelto oggi è quello di salvaguardare e di aumentare il budget dell'Unesco destinato all'educazione, in particolare il programma "Educazione per tutti".

Dobbiamo tuttavia accontentarci nel quadro dell'Unesco di definire priorità, sebbene degne di lode, come quelle dedicate all'Africa e alla promozione delle donne? Se l'Unesco vuole poter favorire l'universalità e l'effettività delle norme etiche concernenti lo sviluppo di tutti attraverso l'educazione, e in particolare dei più bisognosi, occorre, come in altri dibattiti, che osi avviare una riflessione fondamentale sull'esigenza universale del rispetto dell'essere umano e sul tipo di educazione per tutti che ciò presuppone. Di fatto il punto debole del moltiplicarsi delle priorità definite attualmente è di ridurre il problema filosofico ed etico dell'educazione e dello sviluppo umano a questioni puramente tecniche. Solo una riflessione fondamentale su "l'educazione integrale" e sull'antropologia che tale educazione presuppone dovrebbe condurci a definire ciò che è effettivamente umanizzante per tutta l'umanità e in particolare per i più poveri e per le donne.

Ma cosa s'intende con "educazione integrale"? Adottando l'espressione "educazione integrale" ci riferiamo all'accezione utilizzata nel 1993 nel Documento finale della Conferenza mondiale sui Diritti dell'uomo organizzata dalle Nazioni Unite che chiedeva di "orientare l'educazione verso il pieno sviluppo della persona e il rafforzamento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta qui di un'educazione integrale capace di preparare soggetti autonomi e rispettosi della libertà e della dignità altrui". In questa ottica, lo sappiamo, la difesa e la promozione del diritto all'educazione, di cui l'Unesco ha fatto il suo asse principale, concerne non solo la possibilità per ogni essere umano di istruirsi, di sviluppare i propri talenti e di partecipare quindi alla vita pubblica, economica e sociale, ma anche la capacità di umanizzarsi veramente e di godere pienamente della dignità inerente a ogni persona umana. Non si tratta dunque solo di offrire un'educazione interculturale dove bambini e adolescenti di etnie, razze, culture e sesso diversi imparerebbero a rispettarsi attraverso il dialogo, anche se l'obiettivo di un'educazione interculturale tiene seriamente conto delle mancanze e degli ostacoli all'uguaglianza e alla giustizia che risultano dalla categorizzazione etnica. L'educazione integrale deve comprendere anche l'apprendimento della vita in comune, della solidarietà. Ciò passa per l'apprendimento delle responsabilità.

Una seconda accezione alla quale ci riferiamo non è molto lontana da quella proposta dall'Onu. Si tratta dell'accezione messa in evidenza dalla Chiesa cattolica per definire il suo progetto educativo come "educazione integrale per la persona umana". Questo progetto educativo mira a formare la persona nell'unità integrale del suo essere, intervenendo con gli strumenti dell'insegnamento e dell'apprendimento laddove si formano "i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita" (Paolo vi, Esortazione apostolica post-sinodale Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 19; aas 68 [1976], 18). Questo progetto educativo sostiene che, "nel contesto della globalizzazione, occorre formare soggetti capaci di rispettare l'identità, la cultura, la storia, la religione e soprattutto le sofferenze e i bisogni altrui, nella consapevolezza che "tutti siamo veramente responsabili di tutti"" (Congregazione per l'educazione cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica, 18 settembre 2007, n. 44). In questo contesto, diviene particolarmente urgente offrire ai giovani un percorso di formazione scolastica che non si riduca all'utilizzazione individualistica e istituzionale di un servizio che avrebbe come fine solo l'ottenimento di un diploma.

L'immenso vantaggio di questo progetto educativo è che già esiste in pratica nel mondo, ricco di tutta una storia e di un potere d'immaginazione e di creatività. Nonostante le effettive difficoltà economiche e politiche, questo progetto educativo è corresponsabile dello sviluppo sociale e culturale delle diverse comunità e dei popoli, di cui la scuola cattolica fa parte, condividendo le loro gioie e le loro speranze, le loro sofferenze, le loro difficoltà e il loro impegno per un autentico progresso umano e comunitario. In questa prospettiva, occorre menzionare il prezioso contributo che questo tipo di educazione integrale offre allo sviluppo spirituale e materiale dei popoli più bisognosi, mettendosi al loro servizio (cfr. Ibidem, n. 5.). Esperienze, come quella messa in atto dai Fratelli delle Scuole Cristiane in Camerun con il programma Eva (Educazione alla vita e all'amore per evitare l'Aids), mostrano tutta l'ampiezza che può assumere questa educazione integrale:  si tratta qui di educare i giovani nel loro comportamento sessuale in conformità con gli assi centrali dell'azione mondiale e regionale, tenendo conto del contesto psicoaffettivo, sociale, culturale, religioso e familiare.

Perché questa educazione integrale possa permettere ai bambini e ai giovani non solo di acquisire una maturità umana, morale e spirituale, ma anche di impegnarsi nella trasformazione della società, la Chiesa cattolica invita profondamente a riflettere sull'antropologia che la sottende:  "Si vuole dimenticare che l'educazione presuppone e coinvolge sempre una determinata concezione dell'uomo e della vita. Alla pretesa neutralità scolastica corrisponde, il più delle volte, la pratica rimozione, dal campo della cultura e dell'educazione, del riferimento religioso. Una corretta impostazione pedagogica è invece chiamata a spaziare nel territorio più decisivo dei fini, ad occuparsi non solo del "come", ma anche del "perché", a superare il fraintendimento di una educazione asettica, a ridare al processo educativo quella unitarietà che impedisce la dispersione nei rivoli delle diverse conoscenze e acquisizioni e mantiene al centro la persona nella sua identità globale, trascendente e storica" (Congregazione per l'educazione cattolica, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio, 28 dicembre 1997, n. 10). Non si può educare l'uomo quando, per esempio, lo si riduce a un'antropologia derivata da una concezione secondo la quale l'uomo non è che libertà, decisione, soggettività, separate dalla trascendenza e dalla verità. Non si può educare un essere umano quando non si riesce ad articolare l'uguaglianza dei soggetti nel rispetto delle loro differenze culturali.

Nell'area culturale occidentale, i filosofi sono spesso incapaci di comprendere l'uguaglianza nella differenza; l'uguaglianza dei sessi è esemplare di questa difficoltà. Ma non si può dire altrettanto della Bibbia e del messaggio trasmesso dalla Chiesa. Il testo fondatore che contiene "le verità fondamentali dell'antropologia", come notava Papa Giovanni Paolo II in Mulieris dignitatem, n. 6, è in questo caso quello della Genesi:  "E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gn 1, 27). La definizione dell'essere umano è percettibile solo nel riconoscimento e nel rispetto della differenza fra i due sessi. Questa differenza radicata biologicamente non è una mera delimitazione, ma ha piuttosto un senso per la persona stessa. L'uomo e la donna sono allo stesso livello, entrambi creati a immagine di Dio. La fede cristiana nutre dunque la convinzione che nessuno potrà mai negare a un essere umano, uomo o donna, il valore costitutivo che Dio gli ha concesso e che non gli toglierà mai. Esso garantisce i diritti dell'uomo grazie al suo riferirsi all'amore divino che ci fonda e che ci ricrea sempre.

Concludendo, questa educazione integrale, che è l'accesso dell'uomo alla sua piena umanità, è una via impegnativa ma necessaria. È "una necessità primordiale per la lotta contro la povertà", affinché l'economia sia al servizio dell'uomo. L'educazione è una priorità, ma deve essere integrale poiché "non basta una formazione tecnica e scientifica" per educare "uomini e donne responsabili nella loro famiglia e a tutti i livelli della società" (cfr. Benedetto XVI, Discorso ai nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 13 dicembre 2007).

L'educazione integrale è a tale titolo un cantiere aperto, difficile e necessario.
- Un cantiere aperto perché deve essere un evento, un approccio sistematico che aiuti a vivere l'educazione come incontro dialogico con altre persone (del passato e del presente) e con altre culture, e non solo come istruzione e apprendimento dei dati fissati.
- Un cantiere difficile poiché implica un approccio critico rispetto alla selezione del sapere insegnato e ai rapporti con tale sapere. Le diverse discipline non presentano solo conoscenze da acquisire ma anche valori da assimilare e verità da scoprire.
- Un approccio critico rispetto all'interpretazione dei valori fondamentali delle società occidentali secolarizzate. Il diritto della persona a ricevere un'educazione adeguata secondo la sua libera scelta deve essere garantito.
- Un approccio critico, infine, rispetto alla natura sociale dello spazio scolastico. La comunità educativa, presa globalmente, è chiamata a promuovere l'obiettivo di una scuola come ambito di formazione integrale attraverso la relazione interpersonale e la responsabilità.
- È anche un cantiere necessario, poiché la corrente di riflessione sull'educazione integrale si fa carico in particolare della contraddizione, patente nella vita politica ma poco pensata nel campo educativo, fra, da un lato, le tensioni identitarie e le discriminazioni e, dall'altro, i valori della comunione all'interno del corpo sociale e politico. È dunque una delle correnti che può alimentare la riflessione, oggi molto ricca, sull'educazione alla cittadinanza.

Grazie per la vostra attenzione.



(©L'Osservatore Romano - 19 novembre 2009)
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Intervento della Santa Sede alla 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco

L'educazione è l'essenza dello sviluppo


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 14 ottobre dal monsignor James Marvin Reinert, officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, alla Commissione per le Scienze Umane e Sociali della 35ª sessione della Conferenza generale dell'Unesco, in merito al tema dell'educazione allo sviluppo sostenibile, ai diritti umani e all'ambiente.

Nei nostri dibattiti sui Programmi Maggiori, la Santa Sede desidera affrontare tre questioni nel contesto dell'educazione. La prima, all'approssimarsi della metà del Decennio dell'Educazione allo Sviluppo Sostenibile, riguarda proprio il ruolo importante che l'educazione svolge in tutti gli aspetti di uno sviluppo veramente sostenibile.

Circa vent'anni fa fu adottata la Dichiarazione Mondiale sull'Educazione per Tutti. La Dichiarazione affermò che tutti hanno il diritto a ricevere un'educazione e ci introdusse alla comprensione del posto che l'educazione occupa nello sviluppo. Sebbene non abbia parlato di rendere veramente l'educazione uno strumento per lo sviluppo, la Dichiarazione è stata un primo passo verso la comprensione del ruolo chiave che l'educazione svolge nella promozione e nella difesa dei diritti umani, nello sviluppo sociale ed economico e nella tutela dell'ambiente, che sono tutti cosiddetti "pilastri" di sviluppo sostenibile.
Nella sua Nota di Discussione inviata dalla Segreteria di Stato alla Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo, dodicesima sessione, 20-25 aprile 2008, ad Accra, in Ghana, la Santa Sede ha dichiarato: 

"L'educazione. Essa è veramente l'essenza dello sviluppo. Solo una persona istruita può essere pienamente consapevole del valore e della dignità dell'essere umano. Quindi le persone istruite possono stabilire più facilmente fra di loro rapporti sociali basati non sulla forza e sull'abuso, ma sul rispetto e sull'amicizia. In un ambiente del genere è più facile ridurre la corruzione e sviluppare istituzioni virtuose che contribuiscano al raggiungimento del bene comune".
Il riconoscimento dei nessi fra educazione e sviluppo sostenibile rende necessario che l'unesco, in quanto agenzia-guida delle Nazioni Unite per l'educazione, continui a elaborare programmi attraverso i quali piani educativi e di alfabetizzazione possano essere messi a disposizione di ogni persona. Senza di essi, alcune persone resteranno indietro e se alcuni rimangono indietro lo sviluppo sostenibile non può essere realizzato per nessuno.

L'educazione allo sviluppo sostenibile è uno strumento per mezzo del quale possiamo creare un ambiente che "contribuisca allo sviluppo e all'eliminazione della povertà". Comprendere e raggiungere questi obiettivi può richiedere del tempo, tuttavia offrire opportunità educative a tutti avrà un impatto immediato, riconoscibile e misurabile sulle persone del mondo e sul loro sviluppo sostenibile.
"Quando la povertà colpisce una famiglia, i bambini ne risultano le vittime più vulnerabili:  quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta oggi è rappresentata da bambini. Considerare la povertà ponendosi dalla parte dei bambini induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interessano più direttamente come, ad esempio, la cura delle madri, l'impegno educativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la salvaguardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno e la difesa della famiglia e della stabilità delle relazioni al suo interno" (Messaggio di Papa Benedetto XVI sulla Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2009).

La seconda questione che la Santa Sede desidera affrontare riguarda l'educazione ai diritti umani.
Come menzionato in precedenza, nel 1990, la Dichiarazione Mondiale sull'Educazione per Tutti ha proclamato che tutti, bambini, giovani e adulti, hanno il diritto umano a un'educazione "finalizzata a far emergere il talento e le potenzialità di ogni individuo cosicché possa migliorare la propria vita e trasformare la società in cui vive":  quale migliore motivo si potrebbe trovare per spiegare la necessità di insegnare, trasmettendo la conoscenza e la comprensione dei diritti umani?

Ciò si può ottenere a vari livelli. Si può cominciare in maniera informale, rendendo le persone consapevoli dei propri diritti, comunicando quei diritti e quelle libertà fondamentali in modi che permetteranno alle persone di renderli parte della propria vita quotidiana. Questo si deve intraprendere anche a livello formale grazie a programmi educativi e curricula che migliorino la conoscenza che ha già cominciato a radicarsi nei cuori, nelle menti e nelle vite. A questo proposito, bisogna rivolgere un'attenzione speciale ai testi scolastici, accertandosi che rispettino pienamente i criteri dei diritti umani. Questo deve poi proseguire a livello sociale e politico cosicché le persone possano vedere i loro diritti rispettati e protetti. Governi e autorità devono soddisfare le necessità del loro popolo garantendo che i diritti umani vengano riconosciuti, trasmessi e intessuti in ogni fibra della vita politica, economica e sociale. Ciò si può ottenere solo quando esiste la comprensione della dignità intrinseca che noi tutti condividiamo. È, infatti, la dignità umana la forza di coesione fra le persone e la raison d'être stessa di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali. Inoltre, essa è la ragione stessa dell'insegnamento dei diritti umani ai vari livelli di educazione e nella vita.

La terza questione è radicata nell'educazione alla tutela del creato. Più avanti quest'anno, durante le prime settimane di dicembre, è previsto che Papa Benedetto XVI pubblichi il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010. Il titolo del messaggio è stato reso noto alcuni mesi fa:  "Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato". Questo Messaggio sarà un'altra voce nell'insegnamento della Chiesa cattolica a proposito della responsabilità dell'umanità verso l'ambiente.

Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, dedicato interamente all'ambiente, Papa Giovanni Paolo II scrisse del ruolo dell'educazione nel contesto della società e del mondo in cui viviamo:  "C'è dunque l'urgente bisogno di educare alla responsabilità ecologica:  responsabilità verso gli altri; responsabilità verso l'ambiente. È un'educazione che non può essere basata semplicemente sul sentimento o su un indefinito velleitarismo. Il suo fine non può essere né ideologico né politico, e la sua impostazione non può poggiare sul rifiuto del mondo moderno o sul vago desiderio di un ritorno al "paradiso perduto". La vera educazione alla responsabilità comporta un'autentica conversione nel modo di pensare e nel comportamento. Al riguardo, le Chiese e le altre istituzioni religiose, gli organismi governativi, anzi tutti i componenti della società hanno un preciso ruolo da svolgere. Prima educatrice, comunque, rimane la famiglia, nella quale il fanciullo impara a rispettare il prossimo e ad amare la natura" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 1990).

Il messaggio di quest'anno arriverà in un momento in cui l'attenzione del mondo sarà concentrata sui dibattiti e i negoziati che si svolgeranno nella Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico che si terrà a Copenaghen. La mia delegazione non può non sperare che attraverso l'educazione e la comprensione l'esito della Conferenza faccia progredire il mondo nel suo sforzo di tutelare l'ambiente e combattere il cambiamento climatico globale.


(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2009)
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