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Joseph Ratzinger spiega i pericoli della Teologia della Liberazione

Ultimo Aggiornamento: 23/10/2009 12:20
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23/10/2009 12:20

III. Concetti fondamentali della teologia della liberazione

Con ciò siamo giunti ai concetti fondamentali del contenuto della nuova interpretazione del cristianesimo. Poiché i contesti nei quali appaiono i diversi concetti sono diversi, vorrei, senza pretese di sistematicità, citarne alcuni.

Cominciamo dalla nuova interpretazione di fede, speranza e carità.

Rispetto alla fede, ad esempio, un teologo sudamericano afferma: "L'esperienza che Gesù ha di Dio è radicalmente storica. La sua fede si converte in fedeltà". Si sostituisce perciò fondamentalmente la fede con la "fedeltà alla storia". Qui si produce quella fusione tra Dio e storia che dà la possibilità di conservare per Gesù la formula di Calcedonia, anche se con un significato completamente mutato: si vede come i criteri classici della ortodossia non siano applicabili all'analisi di questa teologia.

Si afferma dunque che "Gesù è Dio", aggiungendo però immediatamente che "il Dio vero è solo quello che si rivela storicamente e scandalosamente in Gesù e nei poveri che continuano la sua presenza Solo chi mantiene unite queste due affermazioni è ortodosso...".

La speranza viene interpretata come "fiducia nel futuro" e come lavoro per il futuro; con ciò la si subordina di nuovo al predominio della storia delle classi.

La carità consiste nella "opzione per i poveri", cioè. coincide con l'opzione per la lotta di classe. I teologi della liberazione sottolineano con forza, di fronte al "falso universalismo", la parzialità ed il carattere di parte dell'opzione cristiana; prendere partito è, secondo loro, requisito fondamentale di una corretta ermeneutica delle testimonianze bibliche. A mio avviso qui si può riconoscere molto chiaramente la mescolanza tra una verità fondamentale del cristianesimo e una opzione fondamentale non cristiana, che rende l'insieme tanto seducente: il discorso della montagna sarebbe in realtà la scelta da parte di Dio a favore dei poveri.

Il concetto fondamentale della predicazione di Gesù è davvero il "regno di Dio". Questo concetto si ritrova anche al centro delle teologie della liberazione, letto però sullo sfondo dell'ermeneutica marxista. Secondo uno di questi teologi, il " regno " non deve essere inteso spiritualmente, né universalisticamente nel senso di una escatologia astratta. Deve essere inteso in forma partitica e volto alla prassi. Solo a partire dalla prassi di Gesù, e non teoricamente, è possibile definire cosa significa il "regno", lavorare nella realtà storica che ci circonda per trasformarla nel "regno di Dio".

Qui occorre menzionare anche una idea fondamentale di certa teologia postconciliare che ha spinto in questa direzione. £ stato sostenuto che secondo il Concilio si dovrebbe superare ogni forma di dualismo: il dualismo di corpo e anima, di naturale e soprannaturale, di immanenza e trascendenza, di presente e futuro. Dopo lo smantellamento di questi presunti "dualismi " ' resta solo la possibilità di lavorare per un regno che si realizzi in questa storia e nella sua realtà politico-economica.

Ma proprio così si è cessato di lavorare per l'uomo di oggi e si è cominciato a distruggere il presente in favore di un futuro ipotetico: così si è prodotto immediatamente il vero dualismo.

In questo contesto vorrei menzionare anche l'interpretazione del tutto deviante della morte e della risurrezione che dà uno dei leader delle teologie della liberazione. Egli stabilisce innanzitutto, contro le concezioni "universaliste", che la risurrezione è, in primo luogo, una speranza per coloro che sono crocifissi, i quali costituiscono la maggioranza degli uomini: tutti quei milioni ai quali l'ingiustizia strutturale si impone come una lenta crocifissione. Il credente partecipa tuttavia anche alla signoria di Gesù sulla storia attraverso l'edificazione del regno, cioè nella lotta per la giustizia e per la liberazione integrale, nella trasformazione delle strutture ingiuste in strutture più umane. Questa signoria sulla storia viene esercitata ripetendo nella storia il gesto di Dio che risuscita Gesù, cioè ridando vita ai crocefissi della storia. L'uomo ha assunto così il potere di Dio e qui la trasformazione totale del messaggio biblico si manifesta in modo quasi tragico, se si pensa a come questo tentativo di imitazione di Dio si è esplicato ed ancora si esplica.

Vorrei solo citare qualche altra interpretazione "nuova" di concetti biblici: l'esodo si trasforma in una immagine centrale della "storia della salvezza" il mistero pasquale viene inteso come un simbolo rivoluzionario e quindi l'eucaristia viene interpretata come una festa di liberazione nel senso di una speranza politico-messianica e della sua prassi. La parola redenzione viene sostituita generalmente con liberazione, la quale a sua volta viene intesa, sullo sfondo della storia e della lotta di classe, come processo di liberazione che avanza. Infine è fondamentale anche l'accento che viene posto sulla prassi: la verità non deve essere intesa in senso metafisico; si tratterebbe di "idealismo ". La verità si realizza nel la storia e nella prassi. L'azione è la verità. Di conseguenza anche le idee che si usano per l'azione sono, in ultima istanza, intercambiabili. L'unica cosa decisiva è la prassi. L'ortoprassi diventa così la sola, vera ortodossia.
Viene così anche giustificato un enorme allontanamento dai testi biblici: la critica storica libera dalla interpretazione tradizionale che appare come "non scientifica " Rispetto alla tradizione si attribuisce importanza al "massimo rigore scientifico" nella linea di Bultmann.


Ma i contenuti della Bibbia determinati storicamente non possono a loro volta essere vincolanti in modo assoluto. Lo strumento per l'interpretazione non è, in ultima analisi, la ricerca storica, bensì l'ermeneutica della storia sperimentata nella comunità, cioè nei gruppi politici. Se si cerca di trarre un giudizio globale, bisogna dire che quando uno cerca di comprendere le opzioni fondamentali della teologia della liberazione, non può negare che l'insieme contenga una logica quasi inoppugnabile. Con le premesse della critica biblica e della ermeneutica fondata sull'esperienza da un lato, e dell'analisi marxista della storia dall'altro, si è riusciti a creare una visione d'insieme del cristianesimo che sembra rispondere pienamente tanto alle esigenze della scienza quanto alle sfide morali dei nostri tempi. E pertanto si impone agli uomini in forma immediata il compito di fare del cristianesimo uno strumento della trasformazione concreta del mondo, il che sembrerebbe unirlo a tutte le forze progressiste della nostra epoca.


Si può quindi comprendere come questa nuova interpretazione del cristianesimo attragga sempre più teologi, sacerdoti e religiosi, specialmente sullo sfondo dei problemi del terzo mondo. Sottrarsi ad essa deve necessariamente apparire ai loro occhi come un'evasione dalla realtà, come una rinuncia alla ragione e alla morale. Però d'altro canto, se si pensa quanto sia radicale l'interpretazione del cristianesimo che ne deriva, diviene tanto più urgente il problema di che cosa si possa e si debba fare di fronte ad essa. Solo se noi riusciremo a rendere visibile la logica della fede in una maniera altrettanto cogente e a presentarla nell'esperienza vissuta come logica della realtà, cioè come forza reale di una risposta migliore, noi supereremo questa crisi.

Proprio perché le cose stanno in questo modo (cioè proprio perché pensiero ed esperienza, riflessione ed azione sono in egual misura sollecitati), tutta la Chiesa è qui interpellata. La sola teologia non basta, il solo magistero non basta: poiché il fenomeno "teologia della liberazione "segnala una carenza di conversione nella Chiesa, una carenza in essa di radicalità della fede, soltanto un di più in conversione e in fede renderanno possibili e risveglieranno quelle intuizioni teologiche e quelle decisioni dei pastori, che corrispondono alla gravità del problema.
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