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Achille Ratti, il prete alpinista che diventò Papa

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2009 17:51
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Achille Ratti nunzio apostolico in Polonia

Diplomazia da sesto grado superiore


In occasione del novantesimo anniversario dell'ordinazione episcopale di Achille Ratti e della sua nomina a nunzio apostolico in Polonia, si è svolto a Desio un incontro nel corso del quale è stato presentato il volume Achille Ratti, il prete alpinista che diventò Papa di Domenico Flavio Ronzoni (Missaglia, Bellavite, 2009, pagine 264, euro 25) e il nunzio apostolico in Polonia ha pronunciato una prolusione della quale pubblichiamo ampi stralci.
 

di Józef Kowalczyk
Arcivescovo Nunzio Apostolico in Polonia

Prefetto della Biblioteca Vaticana, il prelato Achille Ratti fu nominato visitatore apostolico per la Polonia il 25 aprile 1918 con la lettera apostolica In maximis. Non aveva allora ancora esperienza diplomatica, ma possedeva altre importanti caratteristiche:  competenza e autorità scientifica, padronanza del diritto canonico, talento organizzativo e capacità di prendere rapide ed opportune decisioni. Il 19 maggio 1918 lasciò Roma e, attraverso Milano, Monaco e Berlino, raggiunse Varsavia la sera del 29 maggio.

In Polonia erano noti la sua passione per l'alpinismo e i risultati conseguiti in quest'ambito, come per esempio il raggiungimento della punta Dufour (4634 metri) o la prima traversata - insieme a don Luigi Grasselli - del colle Zumstein (4450 metri) del Monte Rosa nel 1889 e la salita al Monte Bianco nel 1890 con discesa verso l'Italia per una nuova via che ancora oggi porta il nome "Via Ratti-Grasselli".

Bisogna qui ricordare che egli giunse in Polonia prima ancora della fine della prima guerra mondiale, quando il popolo polacco, dopo 123 anni di inesistenza dello stato, sperava in un prossimo riacquisto dell'indipendenza. In realtà, la ottenne l'11 novembre 1918.

All'inizio l'ambito territoriale della sua giurisdizione avrebbe dovuto comprendere solamente la metropoli di Varsavia, ovvero quello che era il Regno di Polonia - costituito nella spartizione russa del 1815, al posto del Ducato di Varsavia, come parvenza di libertà della Polonia - ma don Ratti non protestò, quando venne nominato "Visitatore Apostolico per la Polonia", poiché questo titolo, come affermò, rispondeva maggiormente alle aspirazioni dei polacchi, tendenti alla costituzione di una Polonia collegata ai territori di tre spartizioni. Egli tuttavia cercò di non evidenziare questo titolo, per evitare eventuali pretese e obiezioni da parte delle altre nazionalità e in particolar modo dei lituani. Le competenze del visitatore apostolico non comprendevano il territorio polacco, occupato in precedenza da Prussia e Austria, per i quali continuarono a essere competenti le nunziature di Vienna e di Monaco. Tuttavia alla fine della prima guerra mondiale, fedeli, ecclesiastici e vescovi - prima nella parte di territorio occupato dall'Austria (novembre 1918) e successivamente in quella sotto l'influenza della Prussia (inizio del 1919) - iniziarono a rivolgersi a Ratti come visitatore apostolico dotato di ampie competenze, con diversi tipi di problemi e anche con richieste di grazie, dispense e interventi.

Già come visitatore apostolico, s'impegnò molto per conoscere bene il Paese nel quale era stato inviato e la sua complessa situazione prima della spartizione. Dopo aver ottenuto l'autorizzazione dalle autorità occupanti tedesche e austriache a spostarsi liberamente nel Regno di Polonia, compì il primo viaggio al santuario mariano di Jasna Góra (luglio 1918), in seguito visitò la diocesi di Kielce. Nel corso dei successivi viaggi (novembre 1918), visitò le diocesi di Sandomierz, Cracovia, Lublino, Podlasie, Breslavia e Plock. Non visitò solamente la diocesi di Sejny, per la quale non ottenne l'autorizzazione dalle autorità militari tedesche. Su invito dei rappresentanti della diocesi di Chelm, che gli avevano riferito la situazione religiosa della loro regione e gli avevano chiesto aiuto, per contrastare la propaganda del rito greco cattolico condotta dalle autorità ucraine e dall'arcivescovo greco cattolico Andrzej Szeptycki, il visitatore Ratti il giorno 17 settembre 1918 giunse a Chelm. Nella chiesa locale celebrò una messa con solenne Te Deum e impartì ai partecipanti la benedizione papale. Visitò anche l'ospedale locale, il convento e la nuova scuola elementare. Nel rapporto per la Sede apostolica - basandosi sulle proprie osservazioni e sui documenti analizzati - il visitatore dichiarò non necessario, promuovere il rito greco cattolico in quella regione.

Sulla strada del ritorno, il 18 settembre 1918, Ratti si fermò a Dêblin e, su richiesta del vicario militare austriaco, celebrò una messa per i soldati e la gente del posto. Successivamente, pose particolare attenzione alle attività pastorali per i soldati. Nei primi mesi della Polonia indipendente risolse il problema piuttosto complesso, relativo alla nomina dell'ordinario militare polacco. Quando il 4 febbraio 1919 il primo ministro del governo polacco (Ignacy Jan Paderewski) chiese a Ratti il consenso per la nomina temporanea del vescovo Gall come ordinario militare, prima che si formalizzasero le relazioni diplomatiche tra la Repubblica polacca e il Vaticano, già il giorno seguente informò il primo ministro, che il Papa aveva designato il vescovo Gall come ordinario militare in Polonia, con tutte le prerogative relative a questo ruolo.

Nella relazione sulla visita apostolica nel territorio del Governatorato generale di Lublino, merita di essere evidenziata la considerazione sulle relazioni tra occupanti e la popolazione nei territori occupati dall'Austria e dalla Germania. Ratti, già all'inizio del viaggio, si accorse che esse si differenziavano in modo sostanziale. Sotto l'occupazione tedesca una barriera alta e fredda divideva occupanti da occupati, invece sotto l'occupazione austriaca, era possibile osservare dei segni chiari di benevolenza.

Alle iniziative di Ratti si deve l'accelerazione del processo di riconoscimento formale dello stato polacco, da parte della Sede apostolica. All'inizio Papa Benedetto xv avrebbe dovuto formalizzare il riconoscimento in presenza di un'apposita delegazione della Polonia. Tuttavia, a causa del ritardo dell'arrivo della delegazione a Roma, Ratti decise di non indugiare a lungo e il 30 marzo 1919, a nome della Sede apostolica, consegnò a Varsavia a Paderewski "il formale riconoscimento del rinato Stato Polacco e del suo governo".

Il 6 giugno 1919 si concluse la missione del visitatore apostolico e Ratti fu nominato primo nunzio apostolico nella rinata Polonia. Importante anche aggiungere che egli il prelato Ratti sapeva che le autorità polacche stavano appoggiando la sua designazione come nunzio apostolico. Alla luce di questa situazione già il 30 novembre 1918 pregò il segretario di Stato di inviare al suo posto, a Varsavia, qualcuno più adatto, più giovane e capace di orientarsi nelle sfumature e nei meandri delle attività diplomatiche. Tuttavia la Sede apostolica fu di altro parere e indicò proprio lui per l'adempimento di quest'incarico che presentava non comuni difficoltà. Si può pensare che proprio l'efficacia dell'attività fino a quel momento svolta da Ratti come visitatore apostolico, fece sì che Papa Benedetto xv e il suo segretario di Stato il cardinale Gasparri non avessero dubbi su chi affidare l'incarico.

Achille Ratti fu elevato alla dignità di arcivescovo titolare di Lepanto e nominato nunzio apostolico. Le lettere credenziali furono consegnate al Capo dello stato polacco, Józef Pilsudski, il 19 luglio 1919. Il 28 ottobre, nella cattedrale di Varsavia, ricevette la consacrazione episcopale dalle mani dell'arcivescovo di Varsavia Aleksander Kakowski. Come nunzio apostolico, Ratti collaborò strettamente con l'arcivescovo di Varsavia, risolse positivamente alcune "sommesse" controversie relative all'incarico di decano del corpo diplomatico, al quale aspirava il deputato francese Eugenio Pralon. Attraverso il suo intervento nei confronti del governo, l'ambasciata polacca fu promossa al rango di ambasciata di prima classe presso la Sede apostolica, e la nunziatura apostolica a Varsavia fu portata allo stesso rango delle nunziature di Vienna, Parigi e Madrid, diventando nunziatura di prima classe.

Uno dei compiti, che la Sede apostolica aveva affidato al proprio rappresentante in Polonia, era quello di tentare di regolamentare le relazioni tra Stato e Chiesa. Il principale ostacolo sulla via della normalizzazione delle relazioni tra Stato e Chiesa, era determinato dalla mancanza di una costituzione del Paese. Nonostante questo iniziarono i lavori finalizzati alla stipulazione di un concordato. Vale la pena ricordare che una delle ultime azioni del nunzio Ratti, prima di lasciare la Polonia, fu la convocazione della "Commissione Papale" il 23 maggio 1921, composta da rappresentanti dell'episcopato e ordini religiosi maschili, con l'incarico di preparare un progetto di concordato.

È poco noto che nel 1921, nel 600° anniversario della morte di Dante Alighieri, il nunzio chiese a Ulrico Hoepli, noto editore di Milano, di fornire la biblioteca universitaria di Varsavia di pubblicazioni sul sommo poeta. Hoepli spedì quindici volumi della propria casa editrice, che comprendevano i capolavori di Dante e gli studi sul poeta. Grazie a questa iniziativa, l'università di Varsavia ebbe la possibilità di partecipare alle commemorazioni dell'anno di Dante. Dopo la partenza di Ratti dalla Polonia, il rettore ed il senato accademico dell'università di Varsavia, invitarono l'uditore della nunziatura Ermenegildo Pellegrinetti, al presidio generale del comitato d'onore della Polonia (Prezydium Generalnego Polskiego Komitetu Honorowego) per commemorare Dante. Il 9 novembre 1921 il senato accademico dell'università assegnò all'arcivescovo di Milano, Ratti, il titolo di dottore honoris causa.

Il nunzio Ratti si impegnò per lo sviluppo della scienza cattolica. Tramite i suoi interventi presso il segretario di Stato e il dicastero della curia romana, fu istituita e sviluppata l'Università cattolica di Lublino (fondata nel 1918) e anche le facoltà teologiche delle università statali di Varsavia, Vilnius e Poznan. Dedicò anche molta attenzione alla vita degli ordini religiosi, e nel 1920 contribuì a istituire una nuova diocesi a Lódz, definita, nella corrispondenza con la Sede apostolica, come la Manchester polacca.

Non si dovrebbe dimenticare che dal 20 aprile al 12 dicembre 1920, il nunzio Ratti ebbe anche il ruolo di alto commissario della Chiesa dei territori plebiscitari dell'Alta Slesia, della Prussia e della Masuria. Ruolo questo molto delicato e inoltre limitato dalle numerose riserve da parte del segretario di Stato, che in realtà si esplicarono in una passiva osservazione dell'andamento della situazione. Il cardinale Gasparri suggerì indirettamente al nunzio che, nell'espletamento di una missione così delicata, avrebbe dovuto parlare e agire il meno possibile. Non ci si può meravigliare che in tale scottante situazione politica, lo svolgimento di questo ruolo, causò al nunzio Ratti, dispiaceri e incomprensioni, anche se adempì all'incarico con onestà e piena fedeltà. Durante la guerra polacco-bolscevica il nunzio fu uno dei pochi diplomatici, che rimase a Varsavia rafforzando e sollevando lo spirito dei difensori della capitale nell'agosto del 1920. Quest'atteggiamento del nunzio fu riconosciuto non soltanto dagli abitanti di Varsavia. Durante la prima seduta del parlamento del 24 settembre 1920, dopo la fine dell'invasione bolscevica, le autorità statali tramite il primo ministro, espressero pubblicamente la gratitudine alla Sede apostolica e al suo rappresentante, per il sostegno morale dato durante i giorni di maggior pericolo per la popolazione.

Il 18 aprile 1921 il segretario di Stato Gasparri, lo informò che Papa Benedetto xv, aveva intenzione di metterlo alla guida dell'arcidiocesi di Milano. La sua missione come nunzio terminò ufficialmente con la lettera papale del 16 maggio 1921. Il 4 giugno il nunzio Ratti lasciò Varsavia. Il governo polacco, avendo apprezzato i suoi meriti per la nazione, lo premiò con la medaglia dell'Aquila Bianca, a lui consegnata il 2 febbraio 1922, qualche giorno prima, (e qualcuno dice nello stesso giorno), della partenza per il conclave, nel quale fu nominato Papa.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 ottobre 2009)
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Il «gran Papa alpinista»


Anche il Gran Lombardo non se ne dimenticò se all'inizio del terzo capitolo di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957), rievocando l'Italia in apparenza disciplinata sotto il regime del Mascellone, ricorda le "lunghe teorie di nerovestite" che, "affittato er velo nero da cerimonia a Borgo Pio, a piazza Rusticucci, a Borgo Vecchio, si attruppavano sotto ar colonnato, basivano a Porta Angelica, e poi traverso li cancelli de Sant'Anna, p'annà a riceve la benedizzione apostolica da Papa Ratti, un milanese de semenza bona de Saronno de quelli tosti, che fabbricava li palazzi. In attesa de venì finarmente incolonnate loro pure:  e introdotte dopo quaranta rampe de scale in sala der trono, dar gran Papa alpinista".

L'inesattezza sul luogo di nascita conta meno delle altre caratterizzazioni. Accanto alla professione di bibliotecario, sin dall'inizio del pontificato il tratto che più colpisce in Achille Ratti è infatti la sua passione alpinistica, tòpos obbligato per memorialisti e biografi (da Novelli a Galbiati, da Confalonieri al recente Chiron), subito consacrato negli Scritti alpinistici del sacerdote Dottor Achille Ratti (ora S. S. Pio Papa XI), curati da Giovanni Bobba e Francesco Mauro ed editi a Milano nel 1923 dagli stampatori Bertieri e Vanzetto.

Venuto alla luce nel cinquantenario della sezione milanese del Club Alpino Italiano (Cai) con cinque scritti redatti per la rivista mensile dello stesso Cai, il volume ebbe particolare fortuna con traduzioni in inglese (1923, con prefazione del grande alpinista Douglas Freshfield), spagnolo, tedesco e francese (1925), mentre del 2007 è persino una versione ungherese. La riproposizione in anastatica degli Scritti alpinistici costituisce la seconda parte del bel volume di Domenico Flavio Ronzoni, Achille Ratti, il prete alpinista che diventò papa (Missaglia, Bellavite, 2009), pubblicato in un anno quasi troppo denso di anniversari rattiani:  il settantesimo della morte (1939), l'ottantesimo della firma dei Patti Lateranensi (1929), il novantesimo della nomina a nunzio apostolico in Polonia e dell'ordinazione episcopale (1919), il centoventesimo dell'ascensione al Monte Rosa (1889) e il centrotrentesimo della prima messa (1879).

Nella prima parte del volume - introdotto dal vescovo di Ventimiglia-San Remo Alberto Maria Careggio, e da Annibale Salsa e Carlo Lucioni, rispettivamente presidente nazionale e presidente della sezione milanese del Cai - Ronzoni ricostruisce i tratti dell'alpinismo praticato da don Ratti, col suo "impareggiabile amico e ormai vecchio compagno di escursioni alpine" Luigi Grasselli (1847-1912); e al tempo stesso lo inserisce in un quadro più vasto, quello dell'alpinismo ottocentesco nel quale un ruolo non trascurabile svolse il clero e il mondo cattolico, da Pierre Chanoux ad Amé Gorret, da Antonio Stoppani a Pier Luigi Frassati.

Il Papa anche sul soglio pontificio non dimenticò la sua antica passione se il 20 agosto 1923, scrivendo al vescovo di Annecy per proclamare san Bernardo di Mentone patrono degli alpinisti, affermò senza mezzi termini che "tra tutti gli esercizi di onesto diporto nessuno più di questo (...) può dirsi giovevole alla sanità dell'anima nonché del corpo. Mentre, col duro affaticarsi e sforzarsi per ascendere dove l'aria è più sottile e più pura si rinnovano e si rinvigoriscono le forze, avviene pure che coll'affrontare difficoltà d'ogni specie si divenga più forti pei doveri anche più ardui della vita".

A conferma del valore innanzitutto morale della pratica alpinistica, quasi sei anni dopo, commentando il 13 febbraio 1929 a studenti dell'Università Cattolica di Milano la recentissima firma dei Patti Lateranensi, Pio XI ebbe a confidare che "qualche volta siamo  tentati  di pensare (...) che forse a risolvere la questione ci voleva proprio  un Papa  alpinista, un alpinista immune  da  vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue". (paolo vian)



(©L'Osservatore Romano - 26-27 ottobre 2009)
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