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Il culto delle immagini

Ultimo Aggiornamento: 30/10/2009 09:23
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30/10/2009 09:14

Conversazioni gentilmente forniteci dall'autore e tenute durante delle trasmissioni a Radio Maria

Il culto delle immagini 

In questa conversazione affrontiamo un tema che viene utilizzato spesso da cristiani non cattolici e dati Testimoni di Geova per alimentare  l’accusa che la Chiesa Cattolica avrebbe tradito l’insegnamento del Vangelo, avrebbe inquinato, addirittura abbandonato la vera fede in Dio.


 L’argomento riguarda il cosiddetto “culto delle immagini”, vale a dire, per essere precisi: l’utilizzo di immagini, di dipinti, di statue per alimentare nei cristiani la venerazione che si deve alle persone che vi sono rappresentate: Gesù, Maria, gli Angeli e i Santi. L’utilizzo delle immagini sacre richiama alla mente il “culto dei santi" e anche su questo spenderemo una parola nell’ultima parte della nostra conversazione.


Mi faccio guidare, per questa conversazione, dal bel libretto di Padre Nicola Tornese intitolato: “Immagini e santi”; opuscolo che fa parte di una bella collana preparata da Padre Tornese per aiutare i cattolici a rispondere alle obiezioni e alle contestazioni dei Testimoni di Geova.


Va detto, per amor di verità che l’utilizzo delle immagini sacre viene contestato anche da buona parte del mondo protestante. Quello che diremo stasera ci deve aiutare in primo luogo a chiarire bene che cosa insegna la dottrina cattolica e poi, in secondo luogo, ad avere qualche argomento da opporre alle contestazioni, per scoprire l’errore e per smontarle definitivamente.
Poi ci porremo la nostra solita, ma sempre opportuna domanda: come si comportavano i primi cristiani, come si comportavano i seguaci di Cristo nei primi secoli della storia della Chiesa, quando non esistevano né Testimoni di Geova né Protestanti? Faremo dunque una breve incursione nella storia.


Veniamo subito, allora, a conoscere che cosa insegna la dottrina riguardo l’uso delle immagini sacre.

Una solenne, importante risoluzione circa l’utilizzo delle immagini è stata presa nel Secondo Concilio di Nicea, che è stato celebrato nell’anno 787. Questo Concilio è stato convocato proprio per discutere l’argomento che stiamo trattando.


Come si è arrivati alla convocazione di questo Concilio? Nell’anno 730, l’imperatore d’Oriente Leone III Isaurico proibisce il culto delle immagini, proibisce l’utilizzo delle famose Icone, che era allora diffuso in tutto il mondo cristiano. Questa proibizione imperiale, emanata dall’autorità politica, scatena una terribile devastazione, che porta alla distruzione di preziosissime icone, di magnifiche opere d’arte, che furono insensatamente distrutte, con un odio particolarmente feroce.


L’autorità religiosa, il Patriarca di Costantinopoli, Germano, si oppone a questa misura imperiale, ma viene destituito e i difensori delle immagini sacre vengono duramente perseguitati. La persecuzione dura anche sotto gli imperatori che succedettero a Leone III.


Finalmente, nell’anno 787 viene convocato a Nicea un Concilio ecumenico che sancisce l’assoluta liceità di rappresentare per immagini la figura di Gesù, di Maria Sua Madre, degli Angeli e dei santi.


Il secondo Concilio di Nicea spiegava che, attraverso le immagini, chi le contempla viene invitato ad imitare i personaggi rappresentati: Gesù, Maria, gli Angeli e i Santi. Quindi, le immagini sacre sono uno strumento che deve aiutare il cristiano ad imitare coloro che vi sono rappresentati.


E non solo: le immagini sacre servono anche per decorare i luoghi dove si celebra il culto e servono –questo accadeva soprattutto in epoche passate – a migliorare la conoscenza di episodi biblici, tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento.
La lotta contro l’utilizzo delle immagini, tanto nella liturgia quanto nella pietà popolare scoppia nuovamente nel XVI secolo, dopo la rivolta di Martin Lutero, che ha dato il via alla nascita del variegato e multiforme mondo protestane. Nella grande famiglia protestane, soprattutto i calvinisti si distinsero per la distruzione di molte statue e di molte immagini nelle chiese che essi occuparono, dopo la rivolta contro la Chiesa di Roma.


A fianco del mondo protestane, da non confondersi con i Protestanti, va detto che anche i Testimoni di Geova sono decisamente contrari alla venerazione delle immagini.


Qual è il motivo di questa contrarietà?


Noi crediamo che la causa della avversione di protestanti e Testimoni di Geova è da ricercare in una lettura parziale, distorta e quindi errata della Bibbia.


Qui noi cattolici siamo chiamati a stare molto attenti; stiamo attenti a come viene posta la contestazione.


Di solito, chi vuole dimostrare che Dio è contrario all’utilizzo e alla venerazione delle immagini, e dunque che noi cattolici ci poniamo contro la volontà di Dio, ci leggerà i versetti 2,3,4 e 5 del capitolo 20 del Libro dell’Esodo. E dopo la lettura di questi versetti si passa facilmente alla classica contestazione: la Chiesa Cattolica, utilizzando immagini e statue, disobbedisce al comando di Dio.


Prima di farci impressionare da queste osservazioni, ascoltiamo bene che cosa è scritto in quei versetti biblici: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idoloimmagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.”


A questo punto, capite bene cari amici, che noi cattolici sembriamo spacciati. Dopo una prima, superficiale lettura di questo brano biblico sembra che non vi sia via di scampo. Ci sorge subito spontanea una domanda: e tutte le immagini che abbiamo nelle nostre chiese e nelle nostre case di Gesù, di Maria e dei santi? E tutte le statue di Gesù, di Maria, degli Angeli e dei santi che adornano le chiese? Dopo quello che abbiamo letto, che è scritto addirittura nella Bibbia, non siamo forse di fronte alla prova che la Chiesa ha disobbedito al comando di Dio?


A questa domanda, più che legittima, dobbiamo dare una risposta. Intanto, bisogna leggere tutta la Bibbia, non solo qualche brano. Infatti, noi abbiamo i versetti 2, 3 e 4 del capitolo 20 del Libro dell’Esodo. Subito dopo, nel versetto 5, il Signore spiega perché ha dato quel comando: “Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai”.


Ecco il motivo per il quale Dio proibisce l’uso delle immagini. Dio non proibisce le immagini in quanto tali, non proibisce l’utilizzo delle immagini sacre, ma proibisce l’idolatria, che era, ed è, un peccato gravissimo.


Che cosa si intende per idolatria: mettere al posto del vero Dio un “idolo” e adorarlo. Ecco la ragione per la quale Dio proibisce di fare immagini: perché gli Ebrei correvano seriamente il pericolo di considerarle idoli e di adorarle; correvano il pericolo di prestare alle immagini, alle statue di creature del cielo o della terra quel culto che è dovuto solo a Dio. Era un pericolo concreto, visto che gli Ebrei erano circondati da popoli idolatri.


Dunque, noi cattolici sosteniamo questa tesi: non proibizione totale delle immagini, ma proibizione dell’idolatria. Se leggiamo bene tutti i passi della Sacra Scrittura che proibiscono la costruzione di statue e di immagini, ci accorgeremo che la Bibbia condanna solo e sempre la raffigurazione e l’adorazione delle immagini e delle divinità pagane, ossia degli idoli, in contrasto con l’adorazione dell’unico vero Dio.


A questo punto, capite bene, bisogna portare le prove che dimostrano la veridicità della dottrina cattolica. Siamo sicuri di interpretare bene il comando di Dio?


Si, siamo sicuri. E le prove ci sono date sempre dalla Sacra Scrittura. Proprio la Bibbia insegna che Dio non proibisce, sempre, per qualunque ragione, di costruire immagini. Anzi, nella Bibbia si legge che Dio ha addirittura ordinato di costruire immagini e statue.


Restiamo nel libro dell’Esodo. Leggiamo, al capitolo 37, che Mosé, convocò “tutti gli uomini di ingegno” – e la Bibbia ci dice che questi uomini di ingegno, questi artisti “il Signore [li] aveva dotati di saggezza e di intelligenza, perché fossero in grado di eseguire i lavori della costruzione del santuario, fecero ogni cosa secondo ciò che il Signore aveva ordinato”  (36,1).

Bene: che cosa aveva ordinato il Signore? Aveva ordinato di adornare con statue e immagini l’Arca dell’Alleanza. Il libro dell’Esodo, ci svela un preciso, chiarissimo comando del Signore. È Jahvè che parla e ordina: “Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. Fa’ un cherubino ad una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio alle sue due estremità. I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio”  (Es. 25,18-21)


Ma allora, come si può vedere molto bene da questo brano, il Signore ordina di scolpire e fare statue di cherubini, cioè di angeli, per adornare i luoghi di culto. Vedete bene che quando non c’è il pericolo di idolatria, costruire statue per il culto corrisponde alla volontà di Dio.


Non solo: sempre nel Libro dell’Esodo  si legge che uno di quegli artisti che il Signore aveva dotati di saggezza e di intelligenza disegnò due cherubini sul “velo di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto” (Es. 36,35).  Quindi, si capisce bene che non solo le statue, ma anche i disegni, le “immagini” di creature sono gradite a Dio, quando sono utilizzate per il culto e non v’è pericolo  di idolatria.


Basta questo esempio per rispondere definitivamente alle contestazioni. Noi cattolici possiamo star tranquilli: quando, nelle nostre chiese, troviamo statue di cherubini o di angeli e vediamo quadri che li raffigurano, siamo in perfetta sintonia con il volere di Dio, espresso molto bene nel Libro dell’Esodo.


Basta questo esempio – dicevo – ma non ci accontentiamo, non ci fermiamo qui. La Bibbia ci offre altre informazioni che possiamo utilizzare per rinforzare le ragioni della nostra fede e per rispondere alle contestazioni.


Che la proibizione di scolpire statue di creature riguardasse solo quegli oggetti che sarebbero diventati idoli, è dimostrato anche da un altro episodio chiarissimo.


Lo troviamo nel Libro dei Numeri, al capitolo 21. Il popolo d’Israele è uscito dall’Egitto e si trova nel deserto, in cammino verso la terra promessa. La durezza del viaggio causa una protesta contro Dio e contro Mosé. Il Signore punisce questo grave peccato di ribellione contro la sua volontà mandando in mezzo al popolo serpenti velenosi che, dice la Bibbia: “mordevano la gente e un gran numero di Israeliti morì”  (Nm 21,6).


La punizione del Signore ottiene il pentimento del peccatore. Il popolo si rivolge di nuovo fiducioso a Mosè e riconosce il proprio peccato. Mosé allora intercede presso Dio pregando e  il Signore gli ordina: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita”  (Nm 21,8).


Vedete bene che il Signore, in questa occasione, ordina esplicitamente di costruire un oggetto che raffigura una creatura terrestre – il serpente -; naturalmente, in questo comando del Signore non c’è nessuna contraddizione  con l’ordine dato da Dio di non costruire alcun oggetto che raffigurasse creature terrestri.


Perché non vi è contraddizione? Perché la proibizione di costruire oggetti riguardava – come abbiamo detto- solo gli idoli; la proibizione voleva evitare – come abbiamo detto – il pericolo che questi oggetti diventassero idoli e fossero adorati al posto di Dio.
Anche  qui è lecito porsi molto onestamente la domanda: stiamo interpretando bene la Sacra Scrittura? Si, e la prova è data dal fatto che quello stesso serpente costruito per ordine di Dio viene distrutto, sempre per ordine di Dio, quando gli Ebrei cominciano ad adorarlo, a bruciargli incenso, a dargli un nome idolatrico: Necustan (2 Re 18, 4).


Vedete amici: uno stesso oggetto può essere voluto da Dio se serve al culto e distrutto da Dio se diventa un idolo. Altro che proibizione assoluta di fare immagini, come sostengono i contestatori della dottrina cattolica.


Facciamo un passo avanti nella nostra riflessione. Visto che la Bibbia illustra chiaramente la legittimità di costruire statue e di farsi immagini che richiamano la grandezza di Dio, chiediamo alla storia di dirci come sì sono comportati i primi cristiani


La prima risposta che la storia ci dà riguarda il luogo di culto più importante di Israele, il Tempio, costruito dal grande re Salomone. Il Primo Libro dei Re descrive come Salomone ha costruito il tempio e ci dice che Salomone è stato lodato da Dio (9,3).

E la storia ci dice che Salomone fece porre nel tempio statue di metallo fuso che rappresentavano 12 buoi, poi ancora statue di leoni, di buoi e di cherubini. Come vedete, per adornare un luogo di culto, quando non vi è pericolo di idolatria, il Signore gradisce che si costruiscano statue e si realizzino dipinti.


Ora, nessuno che abbia un pò di conoscenza della dottrina cattolica, può accusare i cattolici di adorare le statue che sì trovano nelle nostre chiese. Non vi è il pericolo di adorare statue e dipinti, di considerare Maria, gli Angeli e i Santi come se fossero Dio e di metterli al posto di Dio.

La storia ci offre altre informazioni. Pensate alle molteplici pitture delle catacombe, alla sculture dei sarcofagi cristiani e alle statue di Gesù Buon pastore dell’antichità cristiana: ci dicono chiaramente che i cristiani hanno usato le immagini fin dalle origini della loro storia, fin dai tempi della Chiesa primitiva.


Lo scrittore e filosofo cristiano Tertulliano, vissuto nel secondo secolo (ca. 155 — ca. 222 convertito al cristianesimo, grande difensore e grande apologeta, prima -purtroppo - di diventare lui stesso eretico, ci parla delle immagini del Buon Pastore con le quali i cristiani adornavano i calici (De pudicitia. 7,10).


Siamo in epoca antichissima e già i cristiani si facevano immagini di Gesù Buon Pastore. Ma allora, questo vuoi dire che quando nelle nostre chiese fanno bella figura dipinti e statue di Gesù Buon Pastore, noi cattolici non facciamo altro che imitare i primi cristiani.


Lo storico Eusebio di Cesarea, vissuto a cavallo del terzo e quarto secolo (ca. 265 -ca. 340), dice dì avere visto con i propri occhi le immagini dipinte dì Gesù e dei santi apostoli Pietro e Paolo (Historia ecciesiastica, VII, 18). Evidentemente, i cristiani di quel tempo - e siamo in tempi antichissimi - utilizzavano le immagini di Gesù e dei sarti.


E questo ci consola: non solo noi cattolici, utilizzando immagini sacre, obbediamo al comando di Dio ma: imitiamo anche i primi cristiani

Proseguiamo nella nostra riflessione. Nella Chiesa cattolica l’uso delle immagini e della statue è strettamente connesso con la pratica della venerazione dei santi.


Voi sapete bene che in buona parte del mondo protestante e nel mondo dei Testimoni di Geova questa venerazione dei santi, cosi come la insegna la Chiesa cattolica, viene contestata.


I riformatori protestanti, specialmente Zwingli e Calvino. già nel XVI secolo, ritenevano che il culto dei santi fosse una invenzione puramente umana, senza basi bibliche.


Come rispondere? Cominciamo con il dire che nella Bibbia sono chiamati “santi” tutti quelli che hanno fatto la scelta cristiana, tutti i membri della comunità di Cristo. Tutti siamo santi perché Dio ci ha scelti, chiamandoci alla fede, separandoci dal mondo e dagli altri uomini. Santo vuoi dire infatti “separato”.


Ma noi restringiamo il discorso a quei santi che sono già in Cielo: uomini e donne che si sono distinti per avere praticato le virtù cristiane in modo eroico. E’ lecito — ecco la nostra domanda — venerare questi santi? Oppure questo va contro la volontà di Dio?

      La Bibbia, se ben letta, risponde chiaramente che è del tutto legittimo venerare i santi, pregarli, chiedere la loro intercessione. Ma noi cerchiamo la risposta a questa domanda nel campo della storia della Chiesa, della Chiesa primitiva. Come si comportavano primi cristiani? Quelli a cui tutti fanno riferimento come esemplari?


      Dobbiamo sapere che fin dai primissimi tempi della Chiesa il martirio, cioè il donare la vita per la fede, era considerato come la massima espressione dell’amore a Dio e della fede. Il martire era considerato un eroe e tutta la comunità cristiana circondava di venerazione — come facciamo oggi noi cattolici — il corpo e la tomba del martire.


Il Libro degli Atti degli Apostoli, che possiamo considerare, oltre che Libro Sacro, anche la prima storia della Chiesa, narra, al capitoLo 8, che dopo il martirio di Santo Stefano, “Persone pie seppellirono Stefano e fecero grande lutto per lui”.


Nella chiesa primitiva, proprio come facciamo noi cattolici, veniva ricordato l’anniversario della morte del martire e lo si pregava perché intercedesse presso Dio in favore dei vivi.

Non mancano i documenti, il primo che la storia ci ha tramandato ricorda il ‘giorno del martirio” di San Policarpo, che fu martirizzato il 23 febbraio dell’anno 155 a Smirne, nell’odierna Turchia.


Questo documento è stato scritto probabilmente nell’anno 177 dalla Comunità di Smirne e si intitola Martirio di San Policarpo”. E’ un documento che chiarisce bene la distinzione tra la adorazione da tributare a Cristo, perché è Dio e la venerazione da tributare ai martiri, perché sono stati discepoli e imitatori di Cristo.


Leggiamo: “Noi adoriamo lui [il Cristo] perché è Figlio di Dio, i martiri invece li amiamo come discepoli e imitatori del Signore (...). Pertanto il centurione, visto l’accanimento dei Giudei nella contesa, fece portare in mezzo il corpo e lo fece bruciare secondo costume pagano. Così non solo più tardi potemmo raccogliere le sue ossa, più preziose delle gemme più insigni e più stimabili dell’oro, e le collocammo in luogo conveniente. Quivi per quanto ci sarà possibile, ci raduneremo con gioia e allegrezza, per celebrare, con l’aiuto del Signore, il giorno natalizio del suo martirio, per rievocare la memoria di coloro che hanno combattuto prima di noi, e per tenere esercitati e pronti quelli che dovranno affrontare la lotta”  (Dal martirio di San Policarpo, cc. 17 e 18).


Da questo prezioso e antichissimo documento appare chiaramente che nei primissimi tempi - siamo poco dopo la metà dei secondo secolo – i cristiani veneravano i martiri. i santi, raccoglievano e custodivano le loro reliquie: proprio come facciamo oggi noi cattolici.


I cristiani dei primi tempi raccoglievano. con religiosa pietà, quando ere possibile, le sacre spoglie dei martiri per seppellirle onoratamente, e poi celebravano il dìes natalis, cioè il giorno del martirio, con la Messa.


La storia ci trasmette molti altri dati. Abbiamo già parlato di santo Stefano, i! primo martire e abbiamo visto che persone pie raccolsero il suo corpo per seppellirlo e fare un grande lutto. Abbiamo già visto San Policarpo.

Lo storico Eusebio di Cesarea ci racconta che il senatore romano Astirio, presente al martirio del soldato Marino, “si pose sopra e spalle il cadavere,  lo avvolse in scintillante e preziosa veste e con magnifica pompa lo collocò in una tomba conveniente” (Hist. Eccl., VII; 16).


A Cartagine i cristiani, dopo la morte di San Cipriano , presero di notte il corpo del martire e lo accompagnarono fra ceri e fiaccole con preghiere in solenne corteo fino al sepolcro.

I cristiani si radunavano sulla tomba, o, se questo non era possibile per via della persecuzione o per altre ragioni, per commemorare i martiri con la celebrazione eucaristica e con altri riti liturgici.

San Cipriano voleva che si tenesse conto del giorno della morte dei confessori della fede per celebrare la loro memoria. Si sa del martire Pionio arrestato in casa mentre celebrava il natalizio di San Policarpo.

Molti altri esempi si potrebbero portare. Resta un fatto, con il quale chiudiamo questa nostra conversazione. Utilizzare immagini sacre, venerare i santi che vi sono rappresentati è cosa gradita a Dio, non contraria all’insegnamento della Bibbia e in sintonia con quello che i cristiani hanno sempre fatto, fin dai tempi della Chiesa primitiva. Noi cattolici possiamo dunque star tranquilli: le contestazioni non scalfiscono la nostra fede.

Grazie e a risentirci. a Dio piacendo. la prossima volta.


Giampaolo Barra.
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30/10/2009 09:18

CHE COSA SONO LE IMMAGINI SACRE?

 Sono raffigurazioni (statue, pitture, mosaici, sculture…) di contenuti religiosi, che vengono effettuate con vario materiale e con diversi stili. In particolare esse rappresentano Dio, Gesù Cristo, lo Spirito Santo, la Madonna, i Santi.

 DI CHE COSA SI SERVONO LE IMMAGINI RELIGIOSE?

 Si servono di elementi  che provengono da questo mondo, nelle sue diverse componenti: umano, animale, vegetale, materiale. Ma tali elementi sono lì dipinti per indicare qualcos’altro: rimandano a realtà che non appartengono a questo mondo visibile. Sono riflesso, segno del divino, del religioso, dello spirituale, del soprannaturale.

 CHE TIPO DI PASSAGGIO ESIGONO LE IMMAGINI SACRE?

 In esse l’uomo è sollecitato a passare dal visibile all’invisibile, dal significante al significato, dal mondo creato a Dio. Per questo noi chiamiamo simboliche le immagini religiose. Sono un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra il fedele e il mistero.

  DA QUANDO ESISTONO LE IMMAGINI SACRE?

La scelta di rappresentare contenuti della fede cristiana con immagini risale a molto tempo addietro. Fin dai primi secoli, i cristiani realizzavano e utilizzavano immagini sacre. Una antica e autorevole testimonianza in tal senso sono le catacombe, ove anche oggi si possono ammirare ad esempio varie raffigurazioni di Cristo e della Beata Vergine Maria. “Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio).

 PERCHE’ ALCUNE RELIGIONI PROIBISCONO LE IMMAGINI?

 L’Ebraismo e l’Islamismo ad esempio proibiscono di raffigurare Dio, in quanto  vogliono in tal modo evidenziare la totale invisibilità, l’infinita diversità e superiorità di Dio rispetto alle sue creature: Dio è il totalmente Altro. La rappresentazione del sacro in immagini costituisce per tali religioni  una profanazione.

 L’ANTICO TESTAMENTO PROIBISCE LE IMMAGINI?

 Nell’Antico Testamento, Dio aveva ordinato: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra” (Es 20,2-4). Tale “ingiunzione divina comportava il divieto di qualsiasi rappresentazione di Dio fatta dalla mano dell’uomo. Il Deuteronomio spiega: “Poiché non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo” (Dt 4,15-16). È il Dio assolutamente trascendente che si è rivelato a Israele. “Egli è tutto”, ma, al tempo stesso, è “al di sopra di tutte le sue opere” (Sir 43,27-28). Egli è “lo stesso autore della bellezza” (Sap 13,3).   

Tuttavia, fin dall’Antico Testamento, Dio ha ordinato o permesso di fare immagini che simbolicamente conducessero alla salvezza operata dal Verbo incarnato: così il serpente di rame, l’arca dell’Alleanza e i cherubini” (CCC, n. 2129-2130). “Farai dunque un’arca (...), la rivestirai d’oro puro (...). Farai due cherubini d’oro (...), fa’un cherubino ad una estremità e un cherubino all’altra estremità” (Es 25,10-22). “Il Signore disse a Mosè: fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita” (Num 21,7-8).

QUANDO NELLA STORIA DEL CRISTIANESIMO FURONO PROIBITE LE IMMAGINI?

 1) Quando ci fu l’iconoclastia, e cioè quel Movimento religioso, sviluppatosi a Bisanzio tra l’VIII e il IX secolo, che considerava idolatrico il culto delle immagini sacre (Cristo, la Vergine, i santi) e predicava la loro distruzione. La venerazione delle immagini (iconolatria) in Oriente aveva dato vita a forme di fanatismo. La disputa divenne politica quando l’imperatore bizantino Leone III Isaurico, abbracciata decisamente l’iconoclastia (726), cominciò a perseguitare gli iconoduli (adoratori di immagini), chiuse monasteri e chiese ribelli (confiscandone le terre e distribuendole a contadini-soldati) e tentò di imporre anche a Roma la distruzione delle immagini sacre.

Ma il secondo Concilio di Nicea, nel 787, decise a favore delle immagini: “Noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata Signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti”.

In Oriente, furono reintrodotte le immagini a partire dall’843, quando l’imperatrice Teodora nominò Metodio patriarca di Costantinopoli.

 2) Successivamente, nei primi decennio del 1500, le immagini furono nuovamente proibite, e questa volta da Lutero. Ma il Concilio di Trento con un decreto del 1563 approvò e giustificò il culto delle immagini e condannò quanti affermavano il contrario.

 SU QUALI FONDAMENTI SI BA-SANO LE IMMAGINI RELIGIOSE?

 Le immagini religiose hanno vari fondamenti complementari:

 Fondamento antropologico:

In quanto essere unitario, e cioè costituito di corpo e anima, l’uomo si esprime attraverso segni, parole, gesti, simboli. Egli percepisce le stesse realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. Dante nel Paradiso (Canto 4, versi 42-46) afferma che l’intelletto non può afferrare la vera natura di Dio senza il sensuale, o la mente può solo afferrare la parte sensuale che l’intelletto può allora elaborare così come è.

 Fondamento sociologico

 1) In quanto essere sociale, bisognoso e desideroso di relazionarsi agli altri, l’uomo ha bisogno di comunicare con gli altri, e lo fa per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni, di immagini.

 2)Per di più oggi viviamo in un mondo particolarmente attento alle immagini, le quali hanno un ruolo particolarmente rilevante nella vita della persona e della società. Non per nulla si parla di civiltà dell’immagine per indicare la società attuale, ed è il motivo per cui, oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra può “esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio).

 Fondamento teologico:

 1) esiste una stretta relazione  tra il mondo creato e Dio il suo creatore.

Il mondo, nella visione cristiana, infatti è stato creato da Dio, che ha voluto così manifestare e comunicare la sua bontà, verità e bellezza. Pertanto Dio parla all’uomo attraverso la creazione visibile, la quale è un riflesso, sia pure limitato, dell’infinita perfezione di Dio.

 2)L’uomo è stato creato a immagine di Dio. L’uomo stesso è il simulacro di Dio. E dunque per conoscere Dio, l’uomo ha a disposizione se stesso: conoscendo maggiormente se stesso nel suo essere immagine di Dio e nel suo agire conformemente a tale immagine, conosce maggiormente Dio. E nello stesso tempo, è anche altrettanto vero che conoscendo Dio nel suo essere e nelle sue opere, l’uomo conosce maggiormente anche se stesso.

 3) Dio si è reso visibile in Gesù Cristo. Essendo Egli il Figlio Unigenito di Dio, unito intimamente a Dio Padre - “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Egli ci fa conoscere in maniera piena, perfetta e definitiva Dio Padre: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9). Gesù Cristo è l’Immagine perfetta visibile del Dio invisibile.

“Un tempo, Dio, non avendo né corpo né figura, non poteva in alcun modo essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho visto di Dio” (San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus oratio, 1, 16: PTS 17, 89 e 92).

 Dunque l’Incarnazione di Cristo giustifica nel cristianesimo il realizzare, il possedere, il venerare le immagini religiose.

 GESU’ HA UTILIZZATO SEGNI E SIMBOLI UMANI PER ESPRIMERE IL DIVINO?

 Gesù, oltre che essere Egli stesso Colui nel quale si rende presente e visibile Dio, si serve spesso, nel suo predicare e operare qui sulla terra duemila anni fa, delle realtà provenienti dalla creazione per far conoscere, annunciare e comunicare i misteri del regno di Dio. Si pensi anche solo al significato simbolico delle sue parabole e dei suoi miracoli. Cristo inoltre ha utilizzato elementi e segni provenienti dal mondo per  istituire i sacramenti della Chiesa.

 L’IMMAGINE UMANA E’ LIMITATA RISPETTO AL DIVINO?

 Certamente occorre ricordare che qualunque immagine materiale non potrà mai esprimere pienamente l’ineffabile mistero di Dio: la realtà significata (religiosa, spirituale) supera sempre l’immagine umana. Tuttavia qualcosa di questo mistero l’elemento materiale lo fa realmente intuire e percepire.

 Gli aspetti profani, nel momento in cui diventano veicolo di trasmissione di contenuti religiosi, vengono sì colti e rappresentati nei loro aspetti positivi; ma nello stesso tempo hanno bisogno di essere purificati, e soprattutto di essere arricchiti e completati. E ciò avviene con i contenuti cristiani, che le immagini contengono e trasmettono. In tal senso anche le mitologie e le favole popolari sono assunte, purificate e trasfigurate dalla fede cristiana, per diventare immagini religiose.

 QUALE SCOPO HANNO LE IMMAGINI RELIGIOSE?

 Le immagini religiose:

 1) facilitano l’accesso, la comprensione e la trasmissione di contenuti a persone appartenenti a lingue, età e culture diverse: sono facilmente leggibili  e, pertanto, rispetto alla parola e allo scritto, raggiungono un maggior numero di persone

 2)se  viste, capite, interpretate, gustate con la speciale luce che proviene dalla fede cristiana, è possibile allora cogliere il particolare messaggio catechistico, che gli artisti hanno voluto trasmettere con le immagini religiose.

 IN CHE SENSO LE IMMAGINI HANNO UNA FINALITA’ CATECHISTICA?

 Poiché esiste una stretta correlazione tra l’immagine e il simbolo, e tra il mondo visibile e quello invisibile, diventa logico e giustificato l’annunciare il mistero di Dio servendosi  di immagini simboliche. Si comprende così il fiorire, lungo i secoli, dell’iconografia cristiana, dove l’intento evangelizzante e catechistico s’accompagna anzi s’intreccia strettamente con l’aspetto pittorico ed estetico. Attraver-so l’immagine si vuol trascrivere il messaggio evangelico, che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola.

 “Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio). Anzi la storia ci insegna che i cristiani, per annunciare il messaggio evangelico e catechizzare le persone, si sono serviti in una maniera speciale, prima ancora dei catechismi scritti, della cosiddetta Biblia pauperum, e cioè delle immagini, dei catechismi  visivi, catechismi fatti di immagini e di rappresentazioni iconografiche (si vedano ad esempio le molteplici e stupende immagini realizzate nelle basiliche e nelle chiese lungo i secoli).

 “Immagine e parola s’illuminano così a vicenda. L’arte «parla» sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile.

Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis. Mentre testimoniano la secolare e feconda tradizione dell’arte cristiana, sollecitano tutti, credenti e non, alla scoperta e alla contemplazione del fascino inesauribile del mistero della Redenzione, dando sempre nuovo impulso al vivace processo della sua inculturazione nel tempo” (Papa Benedetto XVI, Discorso di presentazione del Compendio alla Chiesa e al mondo, 28-6-05).

 Sono una forma particolare di catechesi popolare, libri aperti senza parole per tutti, un ponte tra il fedele e il mistero,  mentre adornano, decorano gli spazi sacri, rendendoli più accoglienti e invitanti alla preghiera.

 LE IMMAGINI SONO ANCHE UN INVITO ALLA PREGHIERA?

 Certamente. L’arte e l’iconografia cristiana, oltre che essere strumenti al servizio dell’evangelizzazione e della catechesi, sono sempre stati e lo sono tutt’ora anche un invito alla preghiera: “La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. È una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna apre il mio cuore a rendere gloria a Dio” (San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus oratio 1, 47). La contemplazione delle sacre immagini, unita all’ascolto della Parola di Dio, aiuta a imprimere nella memoria del cuore il mistero che viene percepito, sollecitando a trasformarlo in preghiera e a testimoniarlo in quella novità di vita, che proviene dalla fede cristiana e che ha il suo centro in Cristo.

 LE IMMAGINI RELIGIOSE IN CHE RAPPORTO STANNO CON CRISTO?

 Nell’iconografia cristiana tutte le immagini hanno come finalità principale quella di annunciare la persona, il messaggio, l’opera di Cristo, essendo Lui il Rivelatore perfetto di Dio Padre e il Salvatore unico e definitivo dell’uomo e del mondo. “L’immagine di Cristo è l’icona per eccellenza. Le altre, che rappresentano la Madonna e i Santi, significano Cristo, che in loro è glorificato” (Compendio, n. 240), e, annunciando Cristo, aiutano a far nascere e crescere la fede e l’amore verso di Lui. Venerare i Santi  significa riconoscere che Dio è la fonte, il centro e il culmine della loro santità: i santi hanno accolto, con l’aiuto dello Spirito Santo, la santità di Dio nella fede e a tale santità divina hanno docilmente corrisposto con una vita santa, seguendo e imitando Cristo, l’immagine per eccellenza del Dio invisibile.

 Per questo quando entriamo in Chiesa, bisogna ricercare anzitutto il tabernacolo, ove, se risulta accesa la lampada eucaristica, è presente Cristo-Eucaristia in modo vero, reale, sostanziale: Corpo, Sangue, Anima e Divinità. L’omaggio del nostro saluto e della nostra preghiera va indirizzato pertanto anzitutto a Lui, prima ancora e più ancora delle immagini dei santi, immagini che invece sono fatte di materia.

 CHE TIPO DI CULTO SI DA’ ALL’IMMAGINE?

 Non di adorazione (riservato unicamente a Dio), ma di venerazione.

Nel Codice di Diritto Canonico, si legge al riguardo: “ Per favorire la santificazione del popolo di Dio, la Chiesa affida alla speciale e filiale venerazione dei fedeli la Beata Maria sempre Vergine, la Madre di Dio, che  Cristo costituì Madre di tutti gli uomini, e promuove inoltre il vero e autentico culto degli altri Santi, perché i fedeli siano edificati dal loro esempio e sostenuti dalla loro intercessione. (…) Sia mantenuta la prassi di esporre nelle chiese le sacre immagini alla venerazione dei fedeli; tuttavia siano esposte in modo moderato e con un conveniente ordine, affinché non suscitino la meraviglia del popolo cristiano e non diano ansa a devozione meno retta” (nn. 1186-1188).

 CHI VENERIAMO NELL’IMMAGINE?

 Il cristiano venera:

-         non l’immagine in se stessa, la quale è semplicemente un oggetto materiale (una statua, un’immagine, un simbolo, un amuleto): se si venerasse l’oggetto, si cadrebbe  nell’idolatria;

-         ma colui che l’immagine intende rappresentare, la ‘Persona’ che le immagini riproducono: Gesù Cristo, la Madonna , i Santi.

 In effetti, “l’onore reso ad un’immagine appartiene a chi vi è rappresentato” e “chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto” (San Basilio Magno, Liber de Spiritu Sancto, 18, 45: SC 17bis, 406 ). L’onore tributato alle sacre immagini è una “venerazione rispettosa”, non un’adorazione che conviene solo a Dio: “Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse, ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si volge all’immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende alla realtà che essa rappresenta” (San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 81, a. 3, ad 3).

 FRA LE IMMAGINI, QUAL E’ LA PIU’ IMPORTANTE?

 E’ l’immagine del crocifisso. Infatti la croce è:

 Strumento della passione di Cristo e della sua glorificazione, come egli stesso ebbe a dire nell’imminenza della sua passione: “Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui e ben presto lo glorificherà” (Gv 13,12).

Segno:

-         dell’attualità della salvezza, e anche della speranza di salvezza in Cristo

-         della dimensione originale, tipica del cristiano

-         dei valori cristiani che caratterizzano certe società e culture

-         «del Figlio dell’uomo»(Mt 24,30) che comparirà nel cielo alla fine dei tempi

-         di vittoria ultima e suprema del bene sul male (cfr. Gal 6,14).

Richiamo alla sofferenza che comporta la sequela di Cristo: “Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).

 IN CHE SENSO LE IMMAGINI RELIGIOSE ANTICIPANO «NUOVI CIELI» E «TERRA NUOVA»?

Le immagini religiose, con la loro bellezza e il loro splendore, ci offrono un anticipo sulla realtà futura: ci presentano un qualcosa che prefigura quella trasfigurazione che, alla fine di tutti i tempi, il mondo intero un giorno riceverà da Dio. Infatti “dopo il giudizio finale, lo stesso universo, liberato dalla schiavitù della corruzione, parteciperà alla gloria di Cristo con l’inaugurazione dei «nuovi cieli» e di una «terra nuova» (2 Pt 3,13). Sarà così raggiunta la pienezza del Regno di Dio, ossia la realizzazione definitiva del disegno salvifico di Dio di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10). Dio allora sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28), nella vita eterna” (Compendio, 216).

   Il Primicerio della Basilica dei SS.Ambrogio e Carlo in Roma 


 

Mons. Raffaello Martinelli 



Nota:

Testo prelevato dal Sito: http://www.sancarlo.pcn.net/index.htm

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30/10/2009 09:23

LA BIBBIA PROIBISCE L'USO DI IMMAGINI?


Il comandamento che manca

I cattolici spesso si sentono in imbarazzo quando, parlando con cristiani protestanti o membri di qualche setta, vengono rimproverati per l'uso delle immagini di Gesù Cristo, della Vergine Maria o dei Santi, sia nel culto come nella devozione privata. Dicono che è proibito dalla Bibbia e dalla Legge di Dio.
È vero questo? Per rispondere dobbiamo prima vedere cosa dice la Bibbia.
Racconta il libro dell'Esodo che quando Mosè, dopo aver guidato il popolo d'Israele nel deserto, giunse ai piedi del monte Sinai, Jahveh si presentò a lui in mezzo a tuoni, fulmini, tremore della terra e dense nubi, e gli diede i dieci comandamenti.
Tutti ne conosciamo più o meno l'elenco. Pochi però sanno che in realtà il secondo comandamento diceva: "Non ti farai scultura e alcuna immagine né di quello che è su in cielo, né di quello che è quaggiù sulla terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai, perché io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso" (Es 20,4-5).
Allora era vero?


Ciò che diceva la legge

Se proseguiamo la lettura della Bibbia, questo sembra trovare conferma. Infatti, in molte altre occasioni viene proibito agli israeliti di fabbricare immagini e figure, tanto di Jahveh che di qualsiasi altra divinità. Il Levitico, ad esempio, terzo libro della Bibbia, ordinava: "Non fatevi idoli, non erigetevi statue o stele; non ponete nella vostra terra pietre lavorate per prostrarvi davanti ad esse" (Lv 26, l ).
In un'altra parte della Bibbia si parla ancor più ampiamente: "Non prevaricate facendovi una figura scolpita di qualsiasi simulacro, immagine di maschio o di femmina, immagine di qualsiasi animale terrestre, immagine di qualsiasi uccello che vola nel cielo, immagine di qualsiasi rettile che striscia sul suolo, immagine di qualsiasi pesce che si trova nell'acqua, sotto la terra" (Dt 4,16-18). Era così grave questo fatto, da venir colpito con una maledizione: "Maledetto colui che fa un idolo scolpito e fuso, abominio per il Signore" (Dt 27,15).
Come si vede, era proibita dalla Legge di Dio ogni raffigurazione di piante, di animali o di esseri umani nel culto.
Seguendo questo precetto, molte chiese cristiane attualmente respingono le immagini nel loro culto e biasimano coloro che ne fanno uso.


Ciò che il popolo viveva

Nonostante le categoriche disposizioni bibliche, il popolo ebraico non fece del tutto a meno delle immagini. Vari passi della Bibbia stanno a indicare che erano tollerate, e persino permesse nell'Antico Testamento. Più ancora: in alcuni casi Dio stesso ha prescritto la costruzione di immagini sacre..
Per esempio durante Ia traversata del deserto, allorché Jahveh comandò di costruire l'arca dell'alleanza in cui venivano custodite le tavole della Legge, ordinò che da ciascun lato si collocasse l'effige dorata di un cherubino, essere angelico con fattezze metà di animale e metà di essere umano (Es 25,18). Anche il candelabro di sette braccia, collocato all'interno della Sacra Tenda, aveva incisioni con fiori di mandorlo (Es 25,33).
Queste opere non erano frutto di decisioni umane. Secondo la Bibbia era stato Dio a riempire del suo Spirito l'artista Bezaleel fornendogli abilità e talento per idearle (Es 31,1-5).
In altri episodi della storia d'Israele vediamo pii personaggi utilizzare per il culto, senza alcuna riserva, immagini e oggetti con figure. Gedeone, ad esempio, uno dei giudici più importanti d'Israele, fabbricò con anelli e altri oggetti d'oro una figura di Jahveh, alla quale gli israeliti tributavano culto (Gdc 8,24-27). E Mica, un ardente e pio jahvista, fece un'effige d'argento di Jahveh e fondò un santuario per tributarle culto (Gdc 18,3 I). Persino lo stesso re Davide, amato e benedetto da Dio, teneva tranquillamente in casa immagini della divinità (1 Sam 19,11-13).


Un tempio senza prevenzioni

Dalle descrizioni bibliche il maestoso tempio di Gerusalemme costruito da Salomone, sembra essere stato ornato con raffigurazioni e sculture, a cominciare dalla stanza interna più sacra, chiamata Santo dei Santi, dove due enormi cherubini scolpiti nel legno più pregiato si ergevano accanto all'arca dell'alleanza (I Re 6,23).
L'interno era completamente decorato con immagini di cherubini, oltre che di palme e di altri ornamenti arborei (1 Re 6,29). E per sostenere il grande deposito di acqua per le purificazioni all'ingresso del tempio, vennero costruiti dodici magnifici tori di metallo rivolti ai quattro punti cardinali (1 Re 7,26).
I capitelli delle colonne del Tempio avevano forma di gigli e duecento melagrane scolpite si aggrappavano attorno a ciascuna (1 Re 7,18-2O). I recipienti per le abluzioni liturgiche erano rivestiti con immagini di leoni, buoi e cherubini (1 Re 7,29). Il tutto con l'approvazione di Dio stesso.
E come se non bastasse, il grande serpente di bronzo che Mosè aveva foggiato nel deserto per ordine di Jahveh, per guarire quanti, morsi dai serpenti, l'avessero guardato, rimase per duecento anni esposto nel Tempio fino a che non venne eliminato dal re Ezechia (2 Re 18,4).
Quando il tempio di Gerusalemme fu distrutto nel secolo VI a.C., il profeta Ezechiele ebbe una visione del futuro tempio. Di esso descrive i cherubini e le palme che Io avrebbero ornato (Ez 41,18).
La quantità di immagini, pitture, statue e decorazioni che riempivano il grandioso tempio di Dio in Gerusalemme, era addirittura incredibile.


Non una sola voce

Nonostante il secondo comandamento, nella Bibbia non troviamo alcun profeta antico che censuri le immagini. Essi, che erano le sentinelle di Dio, ed alzavano la voce contro qualsiasi peccato del popolo, e non concedevano la più piccola deviazione, rimasero in silenzio per secoli.
Neppure i grandi Elia ed Eliseo, acerrimi difensori dell'ortodossia, le riprovarono. Nemmeno Amos, la cui unica missione fu quella di andare a predicare presso il tempio della città di Betel, dov'era stata collocata la statua di un toro che adornava l'altare di Jahveh, parlò contro le immagini. Recriminò soltanto contro il lusso, l'avarizia e la crudeltà del popolo, senza fare cenno al vitello del Tempio.
Come la mettevano allora con la proibizione? Sembrava non essere in vigore. O perlomeno non era così assoluta.
Qual era la motivazione che fondava il rifiuto delle immagini? La Bibbia in realtà non dà alcuna ragione e il popolo d'Israele non disse mai di conoscerne i motivi. Un solo testo, nel libro del Deuteronomio, cerca di dare una spiegazione: "Poiché dunque non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull'Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita" (4,15). Vale a dire, quando Dio aveva loro parlato dalla montagna, udirono soltanto la sua voce senza vedere alcuna immagine.
Questa però non è una vera spiegazione. É solo un motivo storico, che ci porta di nuovo a chiedere: perché non apparve quel giorno nessuna immagine sul monte Sinai? E non c'è risposta.


Si sospetta una ragione

Anche se la Bibbia non lo dice, possiamo ipotizzare il motivo della proibizione delle immagini grazie alla conoscenza dell'ambiente religioso antico.
Tutti i popoli che erano in contatto con Israele ritenevano che l'immagine non solo fosse un simbolo della divinità, ma che questa abitasse lì realmente. L'immagine era in un certo modo lo stesso Dio che rappresentava.
Così, secondo la mentalità orientale primitiva, nell'immagine della divinità risiedeva un Fluido personale divino.
Quando qualcuno creava un'immagine, il dio doveva venire a risiedere in essa, dal momento che ogni immagine costituiva in certo senso una epiclesis, cioè una invocazione a Dio perché venisse ad abitarla. Era una specie di "doppione" della divinità simbolizzata.
Per questo la Bibbia racconta che quando Rachele. sposa di Giacobbe, rubò gli idoli al padre Labano, egli si lamentò perché gli avevano sottratto i suoi dei, non le immagini (Gli 31,30). E Mica, già ricordato, accusa la tribù dei dainiti di avergli rubato il suo dio, mentre essi se ne sono andati soltanto con un'immagine (Gdc 18,24).


La voce, sì

Si capisce allora, quanto fosse facile cadere in un'idea magica della divinità. Disporre dell'immagine era come avere i poteri del dio, esercitare una specie di dominio su di lui, manipolarlo a proprio piacimento, possedere un dio a misura d'uomo.
Questo poteva mettere seriamente in pericolo l'identità di Jahveh. Egli si manifestava liberamente e spontaneamente dove voleva, molto al di sopra delle forze delle sue creature, e indirizzava il corso della storia secondo la sua volontà.
Fin tanto che questa idea non era in pericolo, non ci furono difficoltà. Ma a partire dal secolo VIII a.C., il popolo d'Israele cadde fortemente nelle tentazioni. Allora i profeti si fecero sentire. Eccome!
Osea fu il primo a denunciare i sacrifici e l'incenso offerti dal popolo alle immagini delle divinità straniere, per ottenerne i favori.
Isaia, un po' più tardi, userà feroce ironia nei confronti del culto magico. Con la metà di una pianta, dice, accendono un fuoco per scaldarsi e cuociono un arrosto per saziarsi e con l'altra metà fanno un dio, che adorano e pregano: "Salvami, perché sei tu il mio dio". La satira è spietata.
Geremia ed Ezechiele, nei secoli VII e VI a.C., censurarono anche il più piccolo simbolo della divinità, come una pietra o un pezzo di legno, perché non s'illudessero di poterlo manipolare.
Non era ancora giunto il tempo in cui l'uomo avrebbe potuto adorare Dio in forma umana.


Quando Dio fabbrica immagini

Passarono i secoli. L'ambiente greco andò formando persone meno dedite alla magia e più influenzate dal pensiero filosofico e razionale. Questo contribuì a ridurre la concezione feticista delle immagini divine.
Inoltre, Israele venne a comprendere che Jahveh era l'unico Dio di tutti i popoli e non esistevano divinità distinte per le altre nazioni. Pertanto qualsiasi immagine, altare, preghiera o culto che si fosse celebrato in qualsiasi luogo e lingua, era destinato solo a lui. Così, il pericolo che si adorassero divinità diverse scomparve.
Lo stesso Dio, che si era mantenuto invisibile fino a quel momento, di fronte ad una tappa più matura dell'umanità volle farsi un'immagine perché tutti lo potessero contemplare. E se nell'Antica Alleanza si era rivelato al popolo senza alcuna immagine, nella Nuova Alleanza ritenne necessario averne una ed essere visto. Per questo nella notte di Natale gli angeli daranno ai pastori questo segno della nuova rivelazione: "Troverete un bambino avvolto in panni e adagiato in una mangiatoia" (Lc 2,12).
Dio stesso volle, ora che non c'era più pericolo, avvicinarsi agli uomini attraverso una figura, quella di Cristo, perché lo vedessero, ascoltassero, toccassero e percepissero.


Non è più necessario

San Paolo, che era vissuto per un periodo sotto la Legge antica, comprese molto bene la nuova disposizione e poté parlare di Cristo come dell'”immagine di Dio" (2 Cor 4,4). In uno splendido inno canta Cristo "immagine del Dio invisibile" (Col 1.15). Gesù, parlando un giorno con l'apostolo Filippo, gli aveva anticipato: "Chi vede me, ha visto il Padre" (Gv 14,8).
Dunque, se Dio stesso ha voluto non continuare a restare celato e farsi vedere attraverso un'immagine, chi siamo noi per proibire la sua raffigurazione?
Come si vede, il comando circa le immagini nell'Antico Testamento aveva uno scopo pedagogico e pertanto era temporaneo.
Trascorsi i secoli e venuto meno il pericolo passò anche il comandamento. Così intesero la cosa i cristiani fin dall'antichità. Per questo iniziarono a fare immagini di Cristo e a rappresentare scene della sua vita, come aiuto al popolo per accostarsi a Dio. I cimiteri, le chiese e i templi si popolarono di figure per l'importanza che avevano sul piano psicologico, come aiuto nella preghiera. Con l'andar del tempo divennero la Bibbia dei bambini e degli analfabeti. […]


Lutero stesso

I protestanti, quando si separarono dalla Chiesa cattolica nel secolo XVI, reagirono contro le esagerazioni nel culto delle immagini e provocarono la distruzione di molte di esse. Senza dubbio, Lutero, l'iniziatore di questo movimento, non fu così intollerante. Al contrario, riconobbe la loro importanza, in una lettera del 1528 scriveva: "Penso che quanto riguarda le immagini, i simboli e le vesti liturgiche... e cose simili, lo si debba lasciare alla libera scelta. Chi non le vuole, le lasci in disparte. Quantunque, le immagini ispirate alla Scrittura o a storie edificanti mi sembrano molto utili". E in un altro passo affermava che le immagini erano "il vangelo dei poveri".
Lutero intuì molto bene ciò che molti protestanti non vogliono capire: non si tratta di adorare un'immagine, ma di adorare Dio attraverso l'incentivo che l'immagine può offrire. Credere che quando uno s'inginocchia davanti a un'immagine stia sciupando l'adorazione che deve offrire a Dio solo, è avere una mentalità primitiva, continuando a pensare che abbia il fluido di altre divinità, e non si è ancora venuti fuori dall'Antico Testamento.
Se vogliamo applicare a oltranza il secondo comandamento, non possiamo neppure accendere la televisione, perché in tal modo vengono prodotte immagini con l'aiuto della moderna tecnologia.


L'immagine obbligata

Quando Gesù, il Figlio di Dio, prese forma umana. mostrò la dimensione temporale del comandamento in questione e l'utilità delle raffigurazioni tangibili per la catechesi e la preghiera. Ciò che colpì i contemporanei di Cristo fu il fatto di averlo visto, contemplato e toccato, come diceva Giovanni (l Gv 1,1).
Se è necessario evitare la superstizione e gli errori nell'uso delle immagini, non lo si può fare basandosi sulla loro proibizione nella Bibbia, come erroneamente pensano alcune sette e chiese. Ma c'è un'immagine che non possiamo far a meno di costruire: quella di Cristo in noi.
Paolo scrivendo ai Romani dichiarava che "coloro che da sempre egli [Dio] ha fatto oggetto delle sue premure, li ha anche predeterminati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (8,29). Non coltivare questa immagine vorrebbe dire sciupare il nostro destino.
Ogni azione, ogni opera che realizziamo, ogni contributo alla giustizia nel mondo, al bene comune, alla solidarietà, va cesellando in modo luminoso ed esatto l'immagine di Gesù Cristo nelle nostre vite. Alla fine deve riuscire quasi perfetta. Gesù stesso lo aveva chiesto: "Voi dunque sarete perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,48).


Nota:

Tratto da A. A. Valdés, Cosa sappiamo della Bibbia? Vol. 2, pp. 45-54
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