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A Esztergom la beatificazione del vescovo Zoltán Meszlényi

Ultimo Aggiornamento: 31/10/2009 18:40
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31/10/2009 18:40



A Esztergom la beatificazione del vescovo Zoltán Meszlényi

Il martire cristiano uomo che prega perdona e ama


Martire, sacerdote, vescovo e da oggi beato. Zoltán Meszlényi, ausiliare di Esztergom e fedele collaboratore del cardinale Mindszenty, che soffrì soprusi e carcere per la fedeltà al Papa e alla Chiesa è stato proclamato beato dall'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, sabato mattina 31 ottobre, nella basilica di Esztergom. A presiedere la concelebrazione eucaristica il cardinale Péter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest, alla presenza, tra gli altri, del cardinale László Paskai, del nunzio apostolico in Ungheria, l'arcivescovo Juliusz Janusz, del presidente del Parlamento, della Corte costituzionale e della Corte suprema.

"Con il sacrificio della sua vita, egli è un testimone eroico del Vangelo di Cristo, il maestro divino, che insegnava ad amare i persecutori e a pregare per loro". Così lo ha ricordato l'arcivescovo Amato durante la celebrazione. "Il beato Meszlényi - ha proseguito il presule - ci invita a essere fedeli al Vangelo di vita e di verità. Vivere nella comunione, nella libertà e nella carità, e costruire, promuovere e testimoniare una civiltà dell'amore, della vita e della fraternità universale". "Come ogni martire cristiano - ha aggiunto - all'odio per la sua fede, egli rispose con la fortezza e la dolcezza degli innocenti. Il martire cristiano non odia e non vuole la morte dei nemici. Il martire cristiano prega, perdona e ama. Non porta divisione, ma concordia; non fa la guerra ma la pace; non disprezza né si vendica ma rispetta e onora il prossimo".

Il cardinale Erdo invece, durante l'omelia, ha ripercorso le tappe principali della vita del beato, riproponendone la testimonianza. "L'insegnamento del vescovo Meszlényi - ha detto - è eccezionalmente attuale:  anche oggi percepiamo che il nostro egoismo individuale e comunitario, la nostra miopia, il nostro desiderio di potere, i nostri odi, ci fanno cadere in una trappola da cui non possiamo liberarci con le nostre forze. Il crollo, lo sfascio delle circostanze esteriori si coniuga con l'atteggiamento umano. Non dobbiamo semplicemente affrontare le conseguenze dell'impersonale economia mondiale:  anche noi stessi, chi più, chi meno, siamo responsabili dei nostri problemi. E le difficoltà non raramente opprimono nella maniera più dura quelli che sono i meno responsabili della rovina delle proprie sorti". "Ma forse - ha proseguito - è ancora più grande il problema nel mondo dello spirito dove su molti prende sempre più potere lo sconforto, la disperazione, la depressione, il senso di mancanza di significato, oppure l'amarezza e il rancore. Da questo cerchio infernale, solo l'amore misericordioso di Dio ci può salvare. Gli eccezionali testimoni di questo amore sono quegli uomini che sono pronti a sacrificare anche la loro vita per amore di Dio, nella speranza della vita eterna. Pertanto la fedeltà dei martiri è fonte di speranza per noi". Così fu per il vescovo Zoltán, il quale animato da queste certezze, "visse la guerra". "Con tale saggezza - ha sottolineato - contemplò la pressione sempre più opprimente nei confronti degli uomini credenti e della Chiesa, l'instaurazione della dittatura comunista. Nel 1948 con parole quasi profetiche così parla:  "La profezia del Salvatore che si prepara alla morte sulle sofferenze che avrebbero aspettato i suoi discepoli... riguarda i cristiani credenti in Cristo di ogni tempo"". Ma l'approssimarsi della persecuzione "fece nascere nel cuore del vescovo Zoltán anche la comprensione nei confronti dei persecutori. "Queste persecuzioni - dice - sono state compiute da uomini fanatici". In questa epoca drammatica "è lo Spirito Santo consolatore la nostra speranza - sottolinea il vescovo - che ci insegna come si deve perseverare in difesa della verità di Cristo, come dobbiamo difendere la fede nei confronti di ogni tentazione, come dobbiamo desiderare la corona celeste"".

Venne il giorno in cui quelle parole si applicarono alla sua vita. Il 15 giugno del 1950, ha ricordato il porporato, morì János Drahos, vicario generale che aveva governato la diocesi al posto del cardinale Mindszenty che stava in prigione. "La paura scosse il clero e i fedeli, dal momento che fino ad allora, nonostante ogni difficoltà, la diocesi era stata governata in fedeltà al Papa e al proprio arcivescovo imprigionato". Occorreva eleggere un nuovo vicario capitolare per la guida della diocesi. "Solo che - ha fatto notare il cardinale - un'intollerabile pressione esterna si opponeva alla libertà dell'elezione. In ogni caso, i poteri statali desideravano l'elezione di Miklós Beresztóczy, che a quell'epoca era già l'organizzatore del Movimento della Pace". Le continue pressioni e intromissione da parte del regime "avevano portato il capitolo alla conclusione che, se avessero scelto Beresztóczy questa non sarebbe stata una scelta libera, e pertanto non sarebbe potuta essere un'elezione valida. In ogni caso, era necessario evitare che i fedeli e i preti fossero insicuri riguardo a chi fosse il legittimo pastore della diocesi". Perché, ha evidenziato il porporato, "l'unità con il successore di san Pietro non è semplicemente una formalità esteriore, ma una forza vivificante, da cui deriva la sorgente della fede e della grazia. L'unità con il romano Pontefice rafforza la Chiesa locale, così che possa essere fedele al mandato di Cristo. Questo fu il punto di vista che spinse il vescovo Zoltán Meszlényi ad accettare umilmente questo pericoloso compito, scusandosi ma accettandolo".

Il vescovo Zoltán nelle sue omelie, esortava l'assemblea a essere fedele al suo vescovo imprigionato, il cardinale Mindszenty. Per la sua fedeltà al Papa, alla Chiesa e per la sua opposizione a qualsiasi manipolazione da parte del potere politico, fu prelevato il 29 giugno del 1950. "Fu tenuto in condizioni disumane - ha detto - con le finestre aperte nel freddo invernale, costringendolo scalzo nel cortile ricoperto di scorie, senza le medicine necessarie, isolandolo severamente fino alla fine nella cella di rigore. Se il loro scopo era spezzare la Chiesa, intimorirla con questo tipo di persecuzione, anche questo conferma il martirio. Se la loro intenzione era distruggere il vescovo, nel tentativo di dominare sulla Chiesa, anche questo loro comportamento rafforzava il martirio. Pertanto, questa morte non fu un incidente casuale, ma una testimonianza assunta con spirito obbediente per la fede e per la Chiesa di Cristo".

La morte del vescovo Zoltán, ha concluso il cardinale, è stata per lungo tempo circondata dal silenzio. Il decesso fu reso noto tre anni più tardi, e con una data falsa. Ci vollero poi altri dodici anni prima che autorizzassero la ricerca del sepolcro e il trasporto dei suoi resti mortali in basilica.


(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2009)
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