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Il Battesimo

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2009 11:30
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01/11/2009 11:08

Il Battesimo

 

 

1. Dimensione storico-salvifica del battesimo

1.1. Dimensione cristologica: la pasqua di Cristo e il battesimo


La pasqua di Cristo è l’evento qualificante il battesimo: «... coloro che ricevono il battesimo, segno sacramentale della morte di Cristo, con lui sono sepolti nella morte (Rm 6,4-5) e con lui vivificati e risuscitati (cfr. Ez 2,6). Così si commemora e si attua il mistero pasquale, che è per gli uomini passaggio dalla morte del peccato alla vita»1. Il lavacro battesimale con il suo doppio movimento di immersione-emersione è immagine o ri-presentazione sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, mistero nel quale il battezzato viene inserito. Il battezzato muore in quanto viene immerso nella morte con Cristo; risorge poi a nuova vita, in quanto viene associato alla sua risurrezione.

In Rm 6,1-11, mentre da una parte viene attestato il fatto oggettivo di tale partecipazione del battezzato alla morte di Cristo, dall’altra si asserisce che la piena partecipazione alla risurrezione del Signore riguarda il futuro del credente. La novità di vita che sboccia nel battesimo non è quindi un fatto automatico, ma è qualcosa che deve crescere giorno per giorno nella vita del battezzato. Non va dimenticato che per Paolo, il cristiano, per essere salvato, deve passare per le stesse fasi del Salvatore, vivere i suoi misteri nella propria carne, farli suoi e, pertanto, deve anche essere crocifisso e morto con Cristo, per risorgere con Lui. Conseguentemente, si può dire che il momento storico in cui coincide la morte fisica con la realtà sacramentale della morte partecipata di Cristo, è, di fatto, il momento della piena realizzazione del battesimo.

Il lavacro battesimale è segno efficace del compiersi del mistero pasquale nel credente. Il battesimo è la pasqua del cristiano. Le catechesi mistagogiche dei Padri hanno caldeggiato questa dottrina e l’hanno illustrata in diversi modi; così, ad esempio, il battesimo viene interpretato come antitipo degli eventi biblici del diluvio, del passaggio del Mar Rosso e del battesimo di Gesù nel Giordano, eventi di morte e di vita che prefigurano l’evento pasquale.

La formula «battezzati in Cristo Gesù» (Rm 6,3) non ha un significato locale, ma indica unione, consociazione. Il battesimo unendoci al Corpo di Cristo, ci inserisce nell’atto redentore. È anche in questo senso che va intesa l’espressione: essere battezzati «nel nome di Gesù», espressione che troviamo più volte nei testi del Nuovo Testamento. Con essa si intende indicare il fatto che il battesimo associa ontologicamente al mistero pasquale di Cristo di cui fa rivivere la portata salvifica. L’abluzione battesimale, per effetto dello Spirito, annette organicamente il fedele al Cristo corporale, innestandolo a Lui (Rm 6,5), rivestendolo di Lui (Gal 3,27), identificandolo al suo corpo (1Cor 12,13). San Paolo parla del cristiano come di una «creatura nuova» (2Cor 5,17; Gal 6,15): Dio, che aveva creato tutte le cose per il Cristo (cf. Gv 1,3), ha restaurato la sua opera, sconvolta dal peccato, ricreandola nel Cristo (cf. Col 1,15-20).

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1.2. Dimensione pneumatologica


Gesù risorto promette agli apostoli che saranno «battezzati in Spirito Santo» (At 1,5): è il battesimo «in Spirito Santo e fuoco», già annunciato da Giovanni Battista (Mt 3,11; cf. Mc 1,8; Gv 1,33; At 11,16), il quale sarà inaugurato con l’effusione di pentecoste (At 2,1-4). In seguito gli apostoli, fedeli all’ordine di Cristo (Mt 28,19), continueranno ad amministrare il battesimo d’acqua (At 2,41; 8,12.38; 9,18; 10,48; 16,15.33; 18,8; 19,5), come rito d’iniziazione al regno messianico; ma lo amministreranno «nel nome di Gesù» e, mediante la fede nell’opera compiuta dal Cristo, esso avrà ormai il potere efficace di perdonare i peccati e di dare lo Spirito Santo (At 2,38). Coerentemente il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1213), dopo aver affermato che «il santo battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana», aggiunge che è anche «il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito».

1.2.1. Lo Spirito Santo agente e dono del battesimo

Si può dire che lo Spirito «fa’ il battesimo mediante il ministero della Chiesa», ed è al tempo stesso frutto dello stesso battesimo, come dono grazioso che è comunicato per mezzo del segno sacramentale. L’unione a Cristo morto e risorto, sigillata nel battesimo, è operata dall’azione dello Spirito Santo, che è la novità escatologica della pasqua. La benedizione dell’acqua battesimale lo afferma chiaramente nella parte epicletica della formula in cui si chiede che la potenza dello Spirito Santo discenda nell’acqua «perché coloro che in essa riceveranno il battesimo siano sepolti con Cristo nella morte e con lui risorgano alla vita immortale». È la dottrina dei Padri sia orientali che occidentali: secondo Basilio se v’è una grazia nell’acqua battesimale, «questa non viene dalla natura dell’acqua, ma dalla presenza dello Spirito»; in modo simile, Ambrogio dice che nel battesimo siamo rinati in Dio «per la potenza (virtutem) dello Spirito».

D’altra parte, nel battesimo ci viene dato lo Spirito «abbondantemente» (Tt 3,5-6), tanto che noi abbiamo bevuto di lui: «Tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito» (1Cor 12,13). Come dicevamo, lo Spirito Santo è non solo l’agente divino, che presiede a tutti gli effetti battesimali, ma è anche e soprattutto il grande dono, che il Padre fa nel momento del battesimo alla «nuova creatura», divenuta suo figlio: come il Cristo, nel mistero della sua risurrezione, venne immerso nel fiume della vita che è lo Spirito, potenza trasfigurante che fa di lui la nuova creazione, così noi nel battesimo veniamo immersi nello Spirito e diventiamo una nuova creatura.

Il battesimo nell’acqua è sempre battesimo nello Spirito, che per natura sua fonda ogni successiva esperienza dello Spirito. L’orazione di esorcismo del Rito del battesimo dei bambini (=RBB) chiede al Signore che il battezzando, liberato dal peccato originale, sia consacrato tempio della sua gloria e «dimora dello Spirito» (n. 104). Il testo liturgico fa riferimento ad una dottrina tradizionale: per Paolo il corpo del credente è tempio dello Spirito Santo che abita in lui (1Cor 3,16; 6,19-20). Nella stessa linea, Giovanni Crisostomo nelle sue catechesi battesimali afferma che dopo il battesimo i neofiti vengono accolti e baciati come templi dello Spirito, e aggiunge: «Pertanto, quando ci baciamo vicendevolmente sulla bocca, baciamo con affetto la porta del tempio».

1.2.2. Lo Spirito Santo ci rende figli di Dio

Il tema della figliolanza divina, già accennato sopra, sarà ripreso più avanti, trattando la natura e gli effetti del battesimo. Qui facciamo soltanto un breve riferimento alla sua dimensione pneumatologica. Proprio perché il battesimo è «in Cristo» e «nello Spirito», il battezzato partecipa della vita nuova che procede dal Cristo per opera dello Spirito. Questa vita nuova è una nuova creazione che ha delle dimensioni cosmiche (cf. 2Pt 3,13), ma il cui centro è l’uomo, il quale è reso vero figlio di Dio. La filiazione divina si realizza nei credenti per opera dello Spirito Santo, ed essi partecipano di questa filiazione per mezzo della fede e del battesimo: «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,26-27). Lo Spirito Santo, poi, comunica ai fedeli l’esperienza della filiazione divina in modo che essi possano rivolgersi a Dio come loro figli chiamandolo: «Abbà, Padre!» (Rm 8,15; Gal 4,6). Da parte sua, Giovanni afferma che quanti accolgono il Figlio di Dio e credono nel suo nome hanno il «potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Si tratta di una nuova nascita «non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo» (Gv 1,13), ma «da acqua e da Spirito» (Gv 3,5).

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1.3. Dimensione trinitaria: l’inabitazione trinitaria


La prima dimensione della “conversione antropologica” operata nel battesimo «nel nome della Trinità» è quella espressa classicamente dall’esperienza dell’inabitazione trinitaria. La partecipazione alla natura divina, di cui sopra, non può realizzarsi al di fuori della comunione con le tre Persone divine. Dalla certezza di essere figli si passa alla sicurezza di diventare eredi: «eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,17), chiamati a godere della sua comunione nella sua stessa casa. Figli del Padre, in analogia col Verbo Incarnato, e partecipi come lui dello Spirito Santo, siamo dunque entrati in rapporto di comunione con tutta la Trinità. Siamo stati infatti battezzati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Grazie al battesimo, entriamo in relazione con il Padre, in quanto Padre, diventandone figli; con il Figlio, in quanto Figlio, diventandone fratelli; con lo Spirito Santo, in quanto Spirito, cioè quale Dono del Padre al Figlio e agli altri suoi figli: quelli di cui Gesù è il primogenito. Lo Spirito, dono del Padre e del Figlio, impadronendosi sempre più ampiamente delle nostre facoltà operative, ci conduce a vivere una vita filiale nel Cristo, nell’intimità di un amoroso colloquio con il Padre. Il vero mistero del cristiano è proprio qui, in questo suo essersi immensamente avvicinato, grazie al battesimo, alle tre Persone divine a tal punto di intrattenere con esse misteriosi rapporti di amore.

Nell’uomo, vero figlio di Dio generato dal Padre per opera dello Spirito a somiglianza del Figlio naturale (cf. Rm 8,29; Tt 3,5), si attua una corrente di amore propriamente simile a quella ineffabile che intercorre tra il Padre e il Figlio, che è opera dello Spirito Santo. Nel nucleo della vita trinitaria, il Figlio si dà al Padre e il Padre al Figlio: da questa reciproca corrente di amore procede lo Spirito Santo. Nel figlio adottivo avviene qualcosa di simile.

La dottrina (e l’esperienza mistica da cui essa nasce) di san Giovanni della Croce illustra il pieno dispiegamento di questa novità esistenziale indotta dal battesimo. Attraverso il processo di ascesa e di purificazione, che assimila progressivamente alla morte e risurrezione del Cristo, l’anima unita e trasformata in Dio - scrive il Dottore mistico - spira in Dio a Dio la stessa spirazione divina con cui Dio spira se stesso a lei, nella quale è presente»2. E aggiunge: «Credo volesse dire questo san Paolo quando scriveva: “Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Ga14,6)».

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01/11/2009 11:18

1.4. Dimensione ecclesiologica


La Chiesa è oggetto ed è soggetto, rappresenta uno spazio di salvezza e, insieme, ha una missione da compiere. E’ divenuta classica l’espressione di Isidoro di Siviglia: « Chiesa che convoca e raduna». La Chiesa esiste solo come risultato dell’azione divina, ma, d’altro canto, essa è, in molteplici modi, soggetto di azioni.

L’evento battesimale è l’evento indispensabile attraverso il quale si storicizza tra gli uomini l’evento escatologico della salvezza, e la Chiesa, come comunità dei battezzati, è colei che, in virtù del battesimo (ricevuto e offerto), attualizza come evento tra gli eventi della storia l’evento pasquale finché il Signore venga (cf. 1Cor 11,26). Il battesimo va quindi richiesto alla Chiesa. E’ il senso del dialogo iniziale del RBB (nn. 37-38). Bisogna chiedere il battesimo alla Chiesa, perché soltanto essa può accogliere a nome di Cristo di cui è Corpo, segno e strumento della sua presenza e della sua azione salvifica nella storia.

1.4.1. Battesimo e incorporazione alla Chiesa


Abbiamo visto che grazie al battesimo, l’uomo incorporato a Cristo, è innestato, quale figlio nel Figlio, nell’interiorità del mistero trinitario. Allo stesso tempo, questo innesto “verticale” dell’uomo ha un effetto analogo sul piano “orizzontale”: l’incorporazione a Cristo è incorporazione alla Chiesa che è, appunto, il «corpo di Cristo».

Quando Pietro, il giorno della pentecoste, risponde alla folla che gli chiede: «Che cosa dobbiamo fare fratelli?», egli indica un itinerario istituzionale (conversione, battesimo, dono dello Spirito), che approda all’inserimento nella comunità: «... quel giorno si unirono a loro circa tremila persone»; e subito dopo Luca descrive la vita della prima comunità cristiana (cf. At 2,37-41). Anche Paolo mette in rilievo l’inserimento vitale nella Chiesa mediante il sacramento del battesimo: «Siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Cor 12,13; cf. Ef 4,4-5), mentre la prima Lettera di Pietro insiste sul battesimo come ingresso nel popolo sacerdotale del nuovo Israele.

Il concilio di Firenze nel Decreto per gli Armeni, dice, riferendosi al contenuto salvifico del battesimo, che «per mezzo di esso diventiamo membra di Cristo e del corpo della Chiesa»3. Sulla stessa linea, il concilio di Trento parla dei «fratelli nella fede» che Cristo, mediante il lavacro del battesimo, fece membra del suo corpo4. Né meno esplicito è il Vaticano II, secondo cui siamo «incorporati nella Chiesa col battesimo» (LG, n. 11); in questa Chiesa «gli uomini entrano mediante il battesimo come per la sua porta» (LG, n. 14; AG, n. 7). Nel primo formulario della preghiera dei fedeli del RBB (n. 99) si chiede che il bambino, illuminato dal mistero della morte e risurrezione del Signore, «rinasca a nuova vita e sia incorporato alla santa Chiesa».

1.4.2. Battesimo e maternità della Chiesa


La Chiesa non è solo il risultato dell’aggregazione per mezzo del battesimo di nuovi membri. Essa “preesiste” alle singole comunità. In questo contesto, ricordiamo il titolo della Chiesa Madre, titolo non di per sé biblico (si veda però Gal 4,26), che incomincia a farsi strada a partire dalla prassi sacramentale. È appunto specialmente nel battesimo che questa maternità ecclesiale viene cantata e celebrata. La Chiesa è Madre perché genera nelle acque battesimali nuovi figli, fecondata dallo Spirito Santo. Dal concetto di Chiesa Madre che genera figli nel battesimo si passa poi a considerare la piscina battesimale come il seno materno della Chiesa. L’origine di ambedue le immagini proviene dalla concezione del battesimo come nuova nascita (cf. Gv 3,5; Tt 3,5). Il tema della Chiesa Madre fa la sua comparsa nella letteratura patristica con Tertulliano.

I primi a collegare in modo esplicito la maternità della Chiesa e il battesimo sono stati Cipriano, in Africa, e Metodio d’Olimpo, in Oriente. Giovanni Crisostomo si rivolge ai neofiti con queste parole: «Vedo che oggi l’assemblea è più luminosa del solito e che la Chiesa di Dio è in festa per i propri figli. Come infatti una madre tenera, nel vedere i propri bambini farsi intorno a lei, si rallegra, esulta e si sente quasi sollevare dal diletto, allo stesso modo anche questa madre spirituale, nello scorgere i propri figli, gioisce e gode vedendosi come un fertile campo arato che è rigoglioso di tali spighe spirituali. Osserva con me, o amato, la dismisura della grazia. Ecco infatti in una sola notte quanti [figli] ha generato contemporaneamente questa madre spirituale»5.

In seguito, il tema della maternità spirituale della Chiesa diventa luogo comune nelle catechesi patristiche, nell’eucologia liturgica e in alcune iscrizioni dei battisteri. Il Vaticano II, fedele a questa tradizione, afferma: «La Chiesa, contemplando l’arcana santità di Maria, imitandone la carità e compiendo fedelmente la volontà del Padre, diventa essa pure madre per mezzo della parola di Dio accolta con fede; infatti mediante la predicazione e il battesimo essa genera alla vita nuova e immortale i figli che sono stati concepiti ad opera dello Spirito Santo e sono nati da Dio» (LG, n. 64; cf. PO, n. 6).

La testimonianza più antica che parla dell’acqua battesimale come utero materno è di Clemente Alessandrino, il quale afferma che «Dio ci generò dal seno dell’acqua»6. L’immagine si trova poi in alcuni Padri e in diverse liturgie. Usando un altro linguaggio, più concettuale, la Scolastica continuerà ad affermare la maternità della Chiesa nel battesimo, attribuendo un ruolo attivo in questa fecondità alla fede della Chiesa.

1.4.3. Battesimo e sacerdozio comune dei fedeli


L’iniziazione nella Chiesa per mezzo del battesimo e della confermazione è una iniziazione al sacerdozio ecclesiale dei fedeli. Come bene nota E.H. Schillebeeckx, «Già il battesimo ci introduce in questo sacerdozio della Chiesa, di cui la confermazione non è che la costituzione in potenza»7.  Subito dopo l’abluzione battesimale, il primo rito esplicativo consiste nell’atto con cui il ministro unge il capo del battezzato con il crisma e pronuncia la formula che ne indica il significato: «Dio onnipotente [...] vi consacra con il crisma di salvezza, perché inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna» (RBB, n. 71).

Nella prima lettera Pietro parla, in un contesto battesimale, del popolo sacerdotale del nuovo Israele: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato...» (1Pt 2,9). Non si tratta di un sacerdozio di ogni singolo credente, in modo individualistico, bensì di un sacerdozio posseduto da tutti insieme in modo organico. Anche Giovanni attribuisce la dignità sacerdotale e regale ai redenti da Cristo Gesù che ci ha amati e lavati dai nostri peccati nel suo sangue, e «ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6; cf. 5,9-10; 20,6). La dignità sacerdotale dei cristiani si deduce, inoltre, dall’affermazione paolina, secondo la quale, essi sono il tempio del Dio vivente (cf. 1Cor 3,16-17), una comunità che prega e che sacrifica, chiamata ad offrirsi «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1).

La dottrina biblica sul sacerdozio comune dei fedeli è stata ripresa e approfondita dai Padri. Prospero d’Aquitania sottolinea la dimensione collettiva di questo sacerdozio, quando scrive: «Tutto il popolo cristiano è sacerdotale»8. Nella descrizione della liturgia battesimale, Ambrogio afferma che il neofita, non appena uscito dall’acqua, riceve sulla testa, da parte del vescovo, l’olio profumato. Commentando questa unzione post­battesimale, il santo vescovo di Milano afferma che «...tutti siamo unti con la grazia spirituale per il regno di Dio e per il sacerdozio»9. Agostino, commentando il testo di Ap 20,6: «... saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni», scrive: «[Queste parole] non riguardano soltanto i vescovi e i preti, sebbene ormai nella Chiesa in senso proprio essi sono considerati sacerdoti. Come però a causa dell’unzione sacramentale consideriamo tutti i fedeli unti del Signore, consideriamo sacerdoti tutti i fedeli perché sono membra dell’unico Sacerdote. Di essi dice l’apostolo Pietro: “Stirpe santa, sacerdozio regale” (1Pt2,9)»10.


Giovanni Crisostomo, pur non conoscendo l’unzione post-battesimale, esalta la dignità sacerdotale dei cristiani nei seguenti termini: «Che significa mai: che ci ha unti e suggellati? Significa: che ci ha dato lo Spirito mediante il quale ha prodotto entrambe le cose, facendoci nello stesso tempo profeti e sacerdoti e re. Infatti, queste tre dignità si ricevevano nel tempo antico con l’unzione. Ma ora noi non possediamo l’una o l’altra di queste dignità, bensì tutte e tre assieme, e precisamente in grado straordinario»11.


L’eredità dottrinale dei Padri è raccolta dagli autori medioevali, i quali però non arriveranno ad una vera e propria elaborazione dei dati patristici. Il fatto che al tempo della Riforma, Lutero abbia negato il sacerdozio ministeriale o gerarchico, per esaltare il solo sacerdozio comune dei fedeli, fece sì che, in campo cattolico con la difesa di quello, questo passasse in secondo piano, generandosi così una certa diffidenza nei confronti del medesimo. Dopo il concilio di Trento, del sacerdozio dei fedeli non se ne parla quasi mai, o se ne parla in senso metaforico, fino alla sua riscoperta agli inizi del secolo XX col movimento liturgico.


Del sacerdozio battesimale, della sua natura, del suo rapporto col sacerdozio ministeriale e di alcune tendenze erronee in proposito si sono occupati Pio XI nell’enciclica Miserentissimus Redemptor, del 1928, e Pio XII nell’enciclica Mediator Dei, del 1947. Ma è soprattutto il Vaticano II a riaffermare con grande vigore la realtà del sacerdozio comune dei fedeli, che scaturisce dal battesimo, per la vita e la missione della Chiesa: «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cf. Eb 5,1-5), ha fatto del nuovo popolo di Dio “un regno di sacerdoti per Dio suo Padre” (Ap 1,6; cf. 5,9-10). I battezzati infatti vengono consacrati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, per essere un’abitazione spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano, e annunciare i prodigi di colui che dalle tenebre li ha chiamati alla sua luce ammirabile (cf. 1Pt2,4-10)» (LG, n. 10; cf. LG, n. 31; UR, n. 22).


In questa prospettiva, la dinamica pasquale e trinitaria dell’esistenza cristiana come libera inserzione nell’unità ecclesiale, vale non solo per la vita della comunità dei credenti, ma, per suo tramite vale anche come servizio per tutta l’umanità e per il cosmo intero. Di questo sacerdozio comune scaturente dal battesimo e finalizzato al servizio del mondo, vengono sottolineate tre dimensioni: dimensione sacerdotale, dimensione profetica, dimensione regale.

1.4.3.1. Dimensione sacerdotale

Occorre notare che il termine «sacerdozio», in quanto è utilizzato in questo contesto in riferimento all’intero popolo messianico, ha un duplice significato: da un lato, in un senso più generale - quello fin qui da noi sottinteso -, significa la qualifica radicale e fondamentale dell’esistenza cristiana in quanto partecipa del sacerdozio di Cristo; dall’altro, in un senso più specifico, significa il rapporto di questa esistenza con gli atti sacramentali di culto realizzati sul fondamento del sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio battesimale ha quindi una dimensione propriamente cultuale. Tommaso d’Aquino, raccogliendo il pensiero dei Padri, parla di una «deputazione» del battezzato «al culto divino».

Il culto cristiano però, essendo radicalmente cristologico, non è concepibile separato dall’esistenza “profana”: Cristo infatti non offre al Padre qualcosa diverso di sé, ma il contenuto della sua offerta è se stesso, la sua vita, con un unico atto di amore verso il Padre e verso i fratelli (cf. Eb 9,13-14; 10,11-23; 13,9-16). È in questa prospettiva che va intesa l’affermazione di LG, n. 11, quando dice che il sacerdozio comune dei fedeli «viene attuato per mezzo dei sacramenti e delle virtù». I concetti cultuali sono usati quindi in modo da superare l’aspetto di una separazione, come viene presupposto nell’ambito delle religioni, e si trasformano in concetti di vita che si riferiscono a tutti i credenti in Cristo. Tutti siamo dunque il tempio, tutti siamo sacerdoti, tutti siamo un’offerta da fare a Dio. In questo senso, l’evento Cristo significa un autentico capovolgimento della concezione cultuale tradizionale con la separazione dalla vita profana, con la separazione in luoghi e tempi sacri, in persone sacre e doni sacri.

1.4.3.2. Dimensione profetica

Cristo è il profeta atteso (Gv 6,14), l’inviato dal Padre per annunciare agli uomini la buona novella della salvezza (Lc 4,18). Cristo non è soltanto uno che annuncia la parola di Dio, ma è la Parola definitiva di Dio, il Verbo del Padre. Egli adempie quindi la sua missione evangelizzatrice con le parole e con le opere, in modo che tutta la sua vita è segnata da questa missione, fino alla morte, conseguenza della fedeltà estrema all’annuncio. Cristo, prima di ritornare al Padre, ha affidato alla Chiesa il compito di annunciare la buona novella della salvezza attraverso i secoli (Mc 16,15­16). Di conseguenza, come afferma il Vaticano II, la Chiesa «è missionaria per sua natura» (AG, n. 2).

L’incorporazione a Cristo nella Chiesa per mezzo del battesimo fa del battezzato un membro attivo della sua missione evangelizzatrice. Tutti i battezzati sono quindi in quanto tali evangelizzatori, anche se con compiti e in situazioni diversi. Il cristiano in quanto tale è chiamato a testimoniare la novità di Cristo che ha ricevuto nel battesimo, pronto a rispondere a chiunque gli chieda ragione della speranza che è in lui (cf. 1Pt 3,15). L’ecclesiologia del Vaticano II sottolinea la dimensione profetica della vita cristiana, che i battezzati laici esercitano «anche quando sono impegnati in occupazioni temporali» (LG, n. 35).

1.4.3.3. Dimensione regale

Il figlio di uomo che appare a san Giovanni al principio dell’Apocalisse, indossando la lunga veste di gran sacerdote (Ap 1,13), è lo stesso che «porta un nome scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,16). Ora i cristiani costituiscono «un regno di sacerdoti» (Ap 1,6), partecipano della dignità regale del Cristo dal momento che ogni battezzato può, liberamente e personalmente, unirsi al suo sacrificio e quindi cooperare al ritorno dell’umanità a Dio. Con il sacrificio di Cristo e quello spirituale di tutta la nostra vita, noi ritroviamo la nostra regalità perduta con il peccato.

Anche san Paolo esprime la stessa dottrina. Cristo è «Signore» (Kyrios). Questa signoria è stata raggiunta condividendo la nostra situazione di schiavitù: Fil 2,6-11 vede la signoria di Cristo come culmine della sua vicenda di umiliazione. Sulla croce il Cristo, apparentemente sconfitto dalla morte, in realtà instaura il suo «potere» sul peccato, sulla morte, sul «principe di questo mondo». L’evento battesimale, imprime al sacerdozio regale dei fedeli un’impronta radicalmente pasquale che, per sua dinamica interna è vittoria sulle forze della morte, sulle passioni, sul peccato (cf. Rm 6,12­-13).

Secondo Rm 8,19-21, la creazione stessa attende con impazienza il compiersi del regno di Cristo, in modo di «essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio». In questo contesto, LG, n. 36, invita i fedeli a distinguere accuratamente e armonizzare tra loro diritti e doveri che hanno in quanto membri della Chiesa, da quelli che godono in quanto membri della società umana, «ricordando che in ogni cosa temporale devono lasciarsi guidare dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno temporale, può sottrarsi al dominio di Dio».

[Modificato da S_Daniele 01/11/2009 11:23]
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1.5. Dimensione escatologica: il battesimo inaugura un mondo nuovo

La forza dello Spirito del Signore risorto guida la Chiesa verso il regno di Dio e attua nel già del tempo la salvezza pasquale: in questo modo i battezzati vivono nel tempo non più l’attesa ma la realtà della vittoria messianica anche se ancora nei segni del tempo e nello spazio della storia.

La morte e la risurrezione di Gesù hanno proporzioni cosmiche: significano la fine di questo mondo e l’inaugurazione della risurrezione dei morti. Non in vano alla morte di Gesù, «la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono» (Mt 27,52). Crolla il vecchio mondo, lo scheol è vinto e già irrompe la potenza del mondo futuro. Ma la Chiesa non possiede ancora pienamente il mistero pasquale e parusiaco. Il battezzato vive davvero un’esperienza universale: una comunicazione cosmica col nuovo cielo e la nuova terra, e con la nuova umanità che prende volto nella comunità ecclesiale. L’esistenza cristiana si riallaccia a una risurrezione iniziale, e si sviluppa verso una risurrezione finale. Il battesimo pone nell’uomo un seme dì risurrezione: in esso siamo risorti con Cristo ad una nuova vita per opera dello Spirito. Questa “nuova vita” però non si può sviluppare in pienezza nelle condizioni precarie del mondo presente. Gli antichi cristiani erano consapevoli della dimensione escatologica del dono battesimale, sigillo e caparra per il giorno della parusia, che essi attendevano con impazienza: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20; 1 Cor 16,22). La “nuova vita” è già tale in noi, cresce come tale, ma non è ancora pienamente dispiegata e rivelata, è «nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3,34).

In Ap 21,1-7, una voce che proviene dal trono divino proclama una serie di oracoli profetici indicando nella «città santa, la nuova Gerusalemme», l’inizio della realizzazione di un nuovo universo conforme al progetto divino, una realtà già iniziata, destinata a continuare e crescere nel futuro fino alla pienezza definitiva. In questo nuovo universo, la Gerusalemme celeste, Dio ha la sua dimora in mezzo agli uomini, ai quali è garantito il dono generoso della stessa vita divina. L’immagine dell’acqua di sorgente, simbolo della vita, indica in Giovanni il dono escatologico dello Spirito, ovvero la partecipazione alla stessa vita di Dio: «A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita». Lo Spirito è personalmente l’acqua viva che scaturisce da Cristo crocifisso come dalla sua sorgente (cf. Gv 19,34; 1Gv 5,8) e che in noi zampilla per la vita eterna (cf. Gv 4,10-14; 7,38). Il battesimo inserisce il credente in questo nuovo universo inaugurato nella pasqua, in cui gli viene offerto il dono dello Spirito per la vita eterna. Il mondo futuro non è diverso del mondo nuovo in cui introduce il battesimo. Giovanni Crisostomo ne era consapevole quando, indirizzandosi ai neofiti, affermava: «Siamo stati iscritti in un’altra cittadinanza, nella Gerusalemme celeste».

Le antiche vasche battesimali erano frequentemente ottagonali: nella tradizione biblica il numero otto è un numero perfetto che evoca l’idea della pienezza e della consumazione, cioè il mondo futuro in cui il battesimo introduce. Il rito battesimale esprime in diversi modi questa dimensione escatologica del primo sacramento, in modo particolare con la consegna della veste bianca e del cero acceso (RBB, nn. 72, 73). Teodoro di Mopsuestia, vede nella veste con cui si ricopre il neofita risalito dall’acqua, «il segno di quel mondo radioso e splendido e dei suoi costumi, in cui già [ti] introducono le figure». [12] 


Il battesimo è orientato, poi, verso la celebrazione escatologica per eccellenza, che è l’eucaristia: «Venga la grazia e passi questo mondo [...] Maran athà. Amen»
.[13] Battesimo ed eucaristia proclamano la morte del Signore «finché egli venga» (1Cor 11,26).

[Modificato da S_Daniele 01/11/2009 11:20]
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2. Natura del Battesimo

2.1. Struttura sacramentale del battesimo

Quando parliamo di “struttura sacramentale”, intendiamo parlare di quegli elementi visibili che concorrono all’esistenza e all’efficacia del sacramento, gli elementi portanti e strutturali che qualificano la celebrazione del battesimo. Nel Medioevo la Scolastica parlerà di materia e forma come degli elementi costitutivi di un sacramento: la parola di fede (forma) esprime l’azione e precisa il significato sacramentale di una materia (nel caso del battesimo, l’acqua è la materia remota, mentre la materia prossima è l’abluzione con acqua). La terminologia scolastica, se usata, lo si deve fare in modo che non restringa e cosifichi la visione biblica e patristica dei sacramenti.

2.1.1. L’acqua e il suo simbolismo

Nella Bibbia, l’acqua è protagonista di eventi grandiosi e di umili fatti privati il cui valore va molto al di là del puro avvenimento. Essa è inoltre presente nelle gesta e nelle parole dei grandi personaggi e dei profeti d’Israele.

2.1.1.1. Nell’Antico Testamento

L’acqua, presente fin dal primo inizio della creazione (Gn 1,2), è anzitutto simbolo di vita. nessuna vita è possibile senza di essa (Gn 2,5-6). Per la sua potenza fecondatrice l’acqua è benedizione divina e la sua abbondanza caratterizza sia la terra promessa (Nm 24,5-6; Dt 11,11) sia la città di Gerusalemme (Sal 46,5) sia, infine, l’era messianica (Is 41,17-18; 44,3-4). L’acqua dà vita e ristoro a uomini e bestiame, e sostiene il popolo di Dio nel suo peregrinare nel deserto (Es 17,5-7). Essa rende fecondi campi irrigati ed è capace di trasformare «il deserto in lago, e la terra arida in sorgenti d’acqua» (Sal 107,35). Ezechiele, descrivendo poeticamente l’acqua che sgorga in abbondanza dal tempio, può affermare: «Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché quelle acque, dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà» (Ez 47,9). Nel Siracide l’acqua che ristora e fa vivere è identificata con la Sapienza; chi ne beve non è mai sazio (Sir 24,20).

Ma l’acqua non è soltanto simbolo di vita, è anche simbolo di morte. Contro il suo potere distruttore l’uomo si sente impotente. Il potere sterminatore del diluvio (Gn 7,17-23) rimane l’evento paradigmatico della capacità di distruzione e di morte dell’acqua. Anche le acque del Mar Rosso che travolgono gli Egiziani (Es 14,27) sono simbolo di morte. Negli scritti profetici lo straripamento devastatore dei grandi fiumi simboleggia la potenza degli imperi che sommergeranno e distruggeranno i piccoli popoli: potenza dell’Assiria paragonata all’Eufrate (Is 8,7) o dell’Egitto paragonata al suo Nilo (Ger 46,7-8). Pure gli individui conoscono l’angoscia dell’acqua come elemento ostile (Sal 18,5) e minaccia alla loro vita (Sal 69,16).

L’acqua è poi simbolo di purificazione. L’acqua appare fin dagli inizi nei principali rituali di purificazione: sacerdotale (Es 29,4; 40,12; Nm 8,5-22; Lv 16), sacrificale (Lv 1,1-17), e legale (Lv 14, 1-32). I profeti annunciano, per i tempi ultimi, un’acqua purificatrice con cui Dio laverà ogni traccia di idolatria dal cuore degli Israeliti e li preparerà uno spirito nuovo che egli infonderà loro (Is 44,3-4; Ger 31,9; Zc 13,1-2; Ez 36,25-27). Ezechiele descrive inoltre la condizione futura come un rinnovato paradiso con fiumi pieni di acqua, con alberi i cui frutti nutrono e le cui foglie guariscono (Ez 47,1-12); allora gli uomini saranno purificati definitivamente dal peccato. La potenza purificatrice dell’acqua è messa spesso in relazione con l’acqua viva (Lv 14,1-8). Proprio per tale sua azione purificatrice, l’acqua è collegata col fuoco, come appare particolarmente in Nm 31,23.

2.1.1.2. Nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento si ritrovano i temi simbolici dell’acqua già presenti nell’Antico, ma ormai è a Cristo che essi fanno riferimento. Cristo appare negli scritti neotestamentari, soprattutto nel vangelo di Giovanni, come la sorgente d’acqua viva che dà la vita a quanti si dissetano ai suoi flutti. Dal costato trafitto di Cristo crocifisso «uscì sangue e acqua» (Gv 19,34): il sangue evoca il dono della vita e il dono di sé per la vita (cf. Gv 10,11; 15,13); l’acqua è metafora di vita rigogliosa legata al dono dello Spirito (Gv 3,5; 4,10-14; 7,37-39). Cristo è la roccia che, percossa, lascia scorrere dal suo fianco le acque capaci di dissetare il popolo in cammino verso la terra promessa. L’Apocalisse contempla l’Agnello che «sta ritto sul monte Sion» (Ap 14,1), e vede scaturire dal trono di Dio e dell’Agnello «un fiume d’acqua viva limpida come cristallo» (Ap 22,1).

Alcuni eventi dell’Antico Testamento sono letti dal Nuovo in chiave tipologica, metodo che, come abbiamo visto nella parte storica, in seguito riprenderanno e svilupperanno i Padri della Chiesa e la stessa liturgia (cf. Benedizione dell’acqua battesimale: RBB, n. 60). Per Pietro l’arca del diluvio, in cui trovarono la salvezza otto persone, è «figura del battesimo, che ora salva voi» (1Pt 3,20-21): la stessa acqua che distrugge il male e la corruzione, è quella stessa che sostiene l’arca che galleggia sopra la distruzione; Paolo evoca la nube e il passaggio del Mar Rosso, figure del battesimo, la manna e l’acqua della roccia di Meriba, figure dell’eucaristia, per invitare i fedeli di Corinto alla prudenza e all’umiltà (1Cor 10,2-4): l’Apostolo vede nell’acqua battesimale una rappresentazione del mare, abitacolo delle potenze malefiche e simbolo di morte, vinto da Cristo, come un tempo il Mar Rosso da Jhwh (cf. Is 51,10).

Cristo, presentando il suo destino di morte e risurrezione come un battesimo (Lc 12,50; cf. Mc 10,38), ha radunato attorno al battesimo (quello che egli ha vissuto e quello che ha stabilito per quanti vorranno diventare suoi discepoli credendo in lui) i significati naturali, cosmici/antropologici e storici dell’acqua ai quali abbiamo fatto riferimento sopra. Attraverso la molteplice simbolica dell’acqua i credenti in Cristo potranno partecipare al suo evento di morte e discesa agli inferi risalendo/nascendo alla vita risorta.

2.1.2. Il gesto o abluzione battesimale

La materia remota del battesimo è l’acqua naturale, come nel battesimo di Giovanni e come si deduce dalle parole di Gesù nel suo dialogo con Nicodemo (Gv 3,5). La tradizione è costante al riguardo. La Didachè prescrive di battezzare «nell’acqua viva», ma aggiunge: «Se non hai acqua viva, battezza in altra acqua; se non puoi nella fredda, nella calda. Se non avessi né l’una né l’altra, versa per tre volte sul capo l’acqua nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»14. Agostino alla domanda cos’è il battesimo di Cristo, risponde: «Lavacro dell’acqua nella parola. Togli l’acqua e non c’è battesimo ... »15. Non sono mancati coloro che, per diversi motivi, hanno respinto l’acqua come elemento del battesimo cristiano; così Catari, Valdesi e altri, le cui pratiche sono state riprovate dalla Chiesa. Il concilio di Trento condanna coloro che affermano «che la vera acqua naturale non è necessaria per il battesimo»16.

Secondo il Nuovo Testamento, il gesto battesimale è estremamente semplice: il rito avviene «dove c’è (molta) acqua» (Gv 3,22-23; At 8,36). Nel battesimo dell’Etiope eunuco, si dice: «Discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò» (At 8,38). La tradizione attesta tre modi di compiere l’abluzione battesimale: per immersione, per infusione e per aspersione. Tommaso d’Aquino, pur riconoscendo la validità dei tre modi di battezzare, preferisce il battesimo per immersione - la pratica più antica e comune ancora al suo tempo - perché «mediante l’immersione viene rappresentato più chiaramente il modello, cioè la sepoltura di Cristo»17. In seguito, in Occidente con il battesimo dei bambini si generalizza il battesimo per infusione. Dopo il Vaticano II, il RICA e il RBB parlano di «immersione o infusione», anche se si afferma che l’immersione «esprime più chiaramente la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo» (Introduzione generale, n. 22), concetto ripreso poi dal Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1239). Il gesto simbolico del battesimo per immersione diventa, quindi, somiglianza e imitazione della morte-rissurrezione del Signore: l’uomo vecchio muore per lasciar posto all’uomo nuovo (cf. Rm 6,3-5; Col 3,10; Ef 4,24).

2.1.3. La parola di fede che accompagna il gesto battesimale

Il Nuovo Testamento attesta il battesimo «nel nome di Gesù» e «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Quest’ultima formula è probabilmente uno sviluppo trinitario della formulazione cristologica, che diventa poi la formula battesimale della grande tradizione cristiana. I padri parlano frequentemente di «invocazione» alla Trinità: il battesimo, come ogni sacramento, è un’umile epiclesi alla Trinità, origine e causa di tutti i doni.

2.1.4. Il ministro del battesimo

Come afferma il CCC, «i ministri ordinari del Battesimo sono il vescovo e il presbitero, e, nella Chiesa latina, anche il diacono. In caso di necessità, chiunque, anche un non battezzato, purché abbia l’intenzione richiesta, può battezzare utilizzando la formula battesimale trinitaria. L’intenzione richiesta è di voler fare ciò che fa la Chiesa quando battezza. La Chiesa trova la motivazione di questa possibilità nella volontà salvifica universale di Dio [cf. 1Tm 2,4] e nella necessità del Battesimo per la salvezza» (n. 1256).

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2.2. Il battesimo «sacramento della fede»

L’Introduzione generale ai riti dell’iniziazione cristiana (n. 3), dopo aver affermato che il battesimo è «il sacramento di quella fede, con la quale gli uomini, illuminati dalla grazia dello Spirito Santo, rispondono al vangelo di Cristo», dice che la Chiesa considera come sua prima missione suscitare in tutti una fede autentica e operosa. E conclude: «Tendono a questo scopo sia la formazione dei catecumeni e la preparazione dei genitori, che la celebrazione della parola di Dio nel rito del battesimo e la professione di fede». Queste parole raccolgono una tradizione costante della Chiesa.

La prassi liturgica, infatti, ha sempre richiesto una esplicita professione di fede personale nell’atto battesimale: nei primi secoli in triplice forma interrogativa costituente un tutt’uno con l’immersione battesimale, oggi come domanda previa al gesto battesimale dopo la triplice rinuncia a Satana, alle sue opere e alle sue seduzioni. Sebbene la professione di fede preceda l’atto battesimale e dia l’impressione di una condizione richiesta dalla Chiesa per procedere al battesimo, essa è da considerarsi in rapporto unitario con il rito battesimale e la relativa formula trinitaria pronunciata dal ministro. Che non si tratta di una semplice dichiarazione di fede davanti alla comunità, è dimostrato, tra l’altro, dal rito della consegna («traditio») e restituzione («reddítio») del Simbolo della fede, appartenente al periodo preparatorio. La professione di fede previa al battesimo ha come oggetto il dato della fede cristiana (i “contenuti”), che il candidato deve conoscere e proclamare davanti alla Chiesa, mentre la professione di fede per interrogazione nel momento dell’abluzione battesimale ha come oggetto l’atteggiamento interiore di fede.

Nel Nuovo Testamento la fede è condizione indispensabile per la salvezza (cf. Rm 3,25.28; Eb 11,6; ecc.). Fede e battesimo poi sono esplicitamente e intrinsecamente uniti (cf. Mc 16,16; Rm 10,9-10; Col 2,12; 2Ts 2,13). Paolo attribuisce alla fede e al battesimo esattamente gli stessi effetti, e li mette in reciproco rapporto. Basta rifarsi qui ad un testo classico: «Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,26-27). In questo testo notiamo il seguente parallelismo: figli di Dio = rivestiti di Cristo; fede = battesimo. Fede e battesimo non sono due vie alternative per raggiungere la salvezza, ma si includono reciprocamente (cf. Ef 4,5; Eb 10,22). Fede e battesimo appaiono interscambievoli: se 1Pt 3,21 afferma che il “battesimo vi salva”, Ef 2,8 dice: «Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede». Possiamo affermare quindi che il battesimo si colloca nel punto di convergenza tra la gratuità dell’iniziativa redentrice di Dio e la risposta consapevole da parte dell’uomo, che muove incontro alla proposta divina con la fede.

«Il battesimo è il sacramento della fede. La fede però ha bisogno della comunità dei credenti. È soltanto nella fede della Chiesa che ogni fedele può credere. La fede richiesta per il battesimo non è una fede perfetta e matura, ma un inizio, che deve svilupparsi» (CCC, n. 1253). A questa condizione il battesimo – dono che rimane inefficace senza la libera adesione dell’uomo - potrà realizzare nel credente ciò per cui è stato istituito (la salvezza).

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3. EFFETTI DEL BATTESIMO

3.1. Il battesimo perdona «tutti» i peccati

Il vocabolario con cui il Nuovo Testamento descrive questo effetto del battesimo è estremamente vario: perdono, morte, lavacro o purificazione, liberazione e vittoria, guarigione, spogliazione, distruzione, cancellazione (del debito, della colpa), ecc. Per bocca di Ezechiele il Signore annuncia: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli» (Ez 36,25). Il perdono dei peccati come effetto del battesimo è preannunciato nel battesimo di Giovanni, che battezza con acqua «per la conversione» e parla del battesimo di Gesù come di colui che «battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11). I primi racconti del battesimo cristiano parlano del battesimo «nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati» (Al 2,38; cf. 22,16). Altri testi affermano la stessa dottrina con varie immagini: 1Cor 6,11; Ef 5,26; Tt 3,5; Eb 10,22 (lavacro); Rm 6,2.6.10-11 (morte e distruzione [del corpo] del peccato); Col 2,11 (circoncisione e spogliazione); Rm 6,6; Col 1,13; Gal 5,1 (liberazione [dalla schiavitù] del peccato).

Ma quali sono i peccati che vengono rimessi nel battesimo?

Il simbolismo dell’acqua come elemento purificatore serve ai Padri per spiegare l’effetto del battesimo, che perdona “tutti” i peccati. Un testo molto eloquente al riguardo lo troviamo in Giovanni Crisostomo: «E se anche uno è vizioso, se è fornicatore, se è idolatra, se ha commesso ogni sorta di malvagità, se ha in sé tutta la cattiveria che c’è nell’uomo, una volta sceso nella vasca delle acque, risale da queste onde divine più puro dei raggi del sole [...]. E come una piccola scintilla, caduta nell’immensità del mare, subito si spegnerebbe e diventerebbe invisibile, dalla massa delle acque inghiottita, così anche tutta la malvagità umana, una volta caduta nella vasca delle acque divine, più rapidamente e più facilmente della scintilla viene inghiottita e svanisce»18.

I Padri vedono nel battesimo il ritorno allo stato primordiale della creazione, al paradiso, da dove il peccato di Adamo aveva cacciato tutta l’umanità. Cirillo di Gerusalemme spiega al neofita che con la rinunzia a Satana gli si schiude «il paradiso che Dio piantò ad Oriente, e da cui fu cacciato il nostro progenitore caduto nella trasgressione»19.

Il battesimo perdona quindi tutti i peccati, il peccato originale e tutti i peccati personali. Nei battezzati, rimane tuttavia la concupiscenza o passione, che è conseguenza del peccato originale. Essa, che «ha origine dal peccato e ad esso inclina», resta nei battezzati per la prova, per il combattimento spirituale, ma non ha più il carattere di peccato se le si resiste. Non può dunque nuocere a quelli che «non vi acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo»20, anzi può essere occasione di meriti.

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3.2. Battesimo e nuova vita-nuova creazione, filiazione divina, divinizzazione

Perdono dei peccati e vita nuova sono da considerarsi effetti integranti e simultanei del rinnovamento battesimale.

A proposito del battesimo come nascita a nuova vita, l’Introduzione generale ai riti dell’iniziazione cristiana si esprime in questi termini: «Il battesimo, lavacro dell’acqua unito alla parola, rende gli uomini partecipi della vita di Dio e della adozione ai suoi figli. Come attestano le formule di benedizione dell’acqua, esso è lavacro di rigenerazione dei figli di Dio e di rinascita che viene dall’alto» (RBB e RICA, n. 5).

Partendo dai dati della Scrittura, i Padri hanno sviluppato la dottrina del battesimo come vita nuova, come partecipazione alla vita divina. San Paolo spiegando lo scopo dell’incarnazione del Figlio di Dio dice: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,43). Lo schiavo liberato è adottato come figlio, non solamente per l’accesso legale all’eredità, ma con il dono reale della vita divina. Se non si tratta di una semplice metafora, essere figli di Dio significa venir trasformati in lui. L’evento dell’Incarnazione manifesta e rende possibile la nuova identità che l’uomo acquisisce con la fede e il battesimo, la trascendenza della sua esistenza e del suo destino.

Giovanni, già nel prologo al suo vangelo, presenta quanti hanno accolto la Parola come coloro ai quali è dato il potere di «diventare figli di Dio», perché «credono nel suo nome» (Gv 1,12). Il quarto evangelista sottolinea poi che non si tratta di un riconoscimento puramente giuridico, bensì ontologico: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1). Eco di questa dottrina sono le parole dei riti di conclusione del RBB (n. 76): «Questi bambini, rinati nel battesimo, vengono chiamati e realmente sono figli di Dio». Diventati figli di Dio, partecipiamo della vita che è propria di Dio, della sua stessa «matura», dice Pietro (cf. 2Pt 1,4).

La riflessione sul dono della filiazione divina ha condotto i Padri ad affermare la dottrina della «divinizzazione» del cristiano per mezzo del battesimo. Questo insegnamento occupa un posto centrale nella teologia patristica, soprattutto in quella orientale. In un Discorso sull’Epifania, attribuito ad Ippolito, ma probabilmente posteriore a lui, ripreso dalla Liturgia delle Ore come lettura patristica dell’Ufficio delle letture dell’8 gennaio, si afferma che l’uomo “diviene dio attraverso la rigenerazione del battesimo”.

La «divinizzazione» è da intendersi qui come partecipazione alle qualità e ai diritti della natura divina. L’unico passaggio del Nuovo Testamento in cui si parla della partecipazione del credente alla natura divina è 2Pt 1,4: «...Con queste [la “gloria” e la “potenza” del Cristo] ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina...». Questo passaggio è uno dei pilastri della dottrina patristica della «divinizzazione» o «deificazione» dei credenti. È soprattutto partendo da questo testo che i Padri, in particolare quelli greci, hanno riflettuto sull’unione tra la natura divina e la natura umana realizzata in maniera unica nell’incarnazione del Figlio, e partecipata dai fedeli nel battesimo. Anche se già troviamo nei Padri la precisazione secondo cui il Figlio di Dio possiede la divinità per natura e il battezzato invece solo per grazia, saranno i teologi medioevali ad esporre questa dottrina in forma più coerente e sistematica. Basti citare Tommaso d’Aquino, il quale approfondisce la tematica in modo particolare nelle questioni cristologiche della parte III della Somma Teologica21.

Il tema della «divinizzazione» viene illustrato anche attraverso l’immagine del «meraviglioso scambio» tra Dio e l’uomo. Il prefazio III del Natale, facendosi eco della dottrina dei Padri, parla del «misterioso scambio che ci ha redenti». In maniera magistrale sintetizza questa dottrina la 1a antifona dei Secondi Vespri del 1 ° gennaio: «Meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità». Un pensiero simile, applicato all’eucaristia, lo troviamo nell’orazione sulle offerte della messa della notte natalizia: effetto della partecipazione eucaristica è la nostra divinizzazione, resa possibile dal momento in cui il Figlio di Dio assunse la natura umana. Come Dio nell’umanità che ha assunto è veramente uomo, così l’uomo è Dio nel dono che Dio gli ha fatto di Sé.

Il Vaticano II, anche se non adopera la parola «divinizzazione», si fa eco di questa dottrina in diversi modi: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non in base alle loro opere ma al disegno della sua grazia, e giustificati nel Signore Gesù, col battesimo della fede sono stati fatti veri figli di Dio, resi partecipi della natura divina, e perciò realmente santi» (LG, n. 40; cf. LG, n. 7; AG, n. 3).

Ogni uomo che nasce in questo mondo diventa membro di una comunità umana peccatrice, di cui è solidale nel male come nel bene. Col battesimo viene inserito in Cristo, uomo nuovo, ed è chiamato a vivere una vita nuova nella santità: la giustizia donatagli nel sacramento non è solo una realtà da conservare, ma un germe che deve crescere e svilupparsi.

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3.3. Il sigillo spirituale indelebile o «carattere» sacramentale

La dottrina del carattere sacramentale (del battesimo), per quanto fondata sui contenuti impliciti della Scrittura e della dottrina e prassi della Chiesa primitiva, si è evoluta in modo esplicito relativamente tardi.

Già nell’Antico Testamento si parla di «segno» o «marchio» in senso religioso. «Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato» (Gn 4,15). Così pure il profeta segna con un tau sulla fronte coloro che saranno risparmiati dal castigo divino (Ez 9,4; cf. Ap 9,4). In questo stesso senso sarà interpretato dalla tradizione cristiana il sangue dell’agnello sugli stipiti e sull’architrave delle case degli ebrei, segno che salverà dal flagello dello sterminio i primogeniti d’Israele (Es 12,7-13).

Nel Nuovo Testamento si parla di «sigillo » (Ef 1,13; 4,30; Ap 7,2-4) sempre in contesto battesimale: significa il passaggio dalla sfera del peccato alla sfera di appartenenza a Cristo.

Secondo sant’Agostino il battesimo, incorporando il battezzato al corpo di Cristo, che è la Chiesa, fissa in lui un marchio indelebile (il “sigillo” o “carattere battesimale”), impresso dal Cristo, che lo autentica come tale membro.

Per San Tommaso d’Aquino il battesimo garantisce un effetto fondamentale, che viene chiamato “carattere” che può essere considerato come un effetto permanente. Esso implica una potenza spirituale che abilita all’esercizio del culto divino.

Il Concilio di Trento ribadisce che il battesimo (la confermazione e l’ordine) imprimono un carattere che è incancellabile sulla terra, in modo che questi sacramenti non possono essere reiterati. Non viene detto però che cos’è precisamente questo carattere. Si dice solo che è un «segno indelebile» nell’anima22.

Se tralasciamo da parte le concezioni sviluppate dalle diverse scuole teologiche, possiamo affermare che – nonostante la molteplicità delle opinioni dei teologi – si è sviluppato in modo particolare la dimensione ecclesiologica del carattere, inteso come una certa relazione tra colui che l’ha ricevuto e la comunità ecclesiale visibile. Trasformato nel suo rapporto con Dio è passato dalla “generazione malvagia” al popolo dei redenti. Anzi, è la sua nuova situazione, l’appartenenza alla Chiesa di Cristo, a costituire il segno visibile del suo nuovo essere di fronte a Dio. Che il cristiano possa ora invocare Dio come Padre e partecipare al sacrificio eucaristico è segno della sua nuova situazione di fronte a Dio realizzata nel battesimo. Il carattere non è solo interiore né solo esteriore: concerne l’essere totale della persona trasformata dallo Spirito nell’essere  nell’agire, in rapporto a Dio e agli altri, nel presente verso il futuro.

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4.  La necessità del Battesimo (cf. CCC 1257)

4.1. Il dato biblico e la tradizione

Secondo Matteo, Cristo ha lasciato quale suo testamento un comando generale alla missione con la prescrizione di rendere tutti i popoli suoi discepoli e battezzarli nel nome del Dio trino (Mt 28,19). A questo ordine, Mc 16,16 aggiunge: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato». Nel colloquio con Nicodemo, Gesù ribadisce la necessità del battesimo quando dice: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Nel discorso di Pietro alla folla nel giorno di pentecoste, il battesimo viene presentato come requisito essenziale per ottenere la salvezza (cf. At 2,38). Le lettere apostoliche non pongono in modo esplicito la questione della necessità del battesimo, ma la salvezza appare legata alla fede in Cristo e al battesimo. In ultima analisi il problema della necessità della fede in Cristo e del battesimo per la salvezza investe la stessa figura di Cristo, nella sua unicità, definitività e normatività.

Notiamo però che sia in Marco che in Paolo, la fede è preceduta dall’annuncio. Se non c’è predicazione non c’è fede, e non c’è neppure possibilità di rifiuto della fede e della persona di Gesù: «Come potranno credere, senza averne sentito parlare?» (Rm 10,14). La fede in Cristo e il battesimo non devono essere quindi intesi come via alla salvezza in senso esclusivo. È la via ordinaria che si apre a coloro ai quali Cristo è stato annunciato come unico Salvatore, e come tale lo hanno anche riconosciuto.

In 1Tm 2,4-6, si afferma che Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti». È evidente quindi che la necessità del battesimo non può significare una limitazione o soppressione della volontà salvifica universale di Dio; egli intende salvare tutti ed elargire la grazia sufficiente alla giustificazione a motivo dei meriti di Gesù Cristo.

Alla luce di Gv 3,5 sulla necessità della rinascita spirituale, il battesimo è visto come la porta che introduce nel regno di Dio. Cipriano ricorda che ai suoi tempi il rito battesimale veniva conferito ai bambini entro gli otto giorni di vita, proprio come era fatto un tempo per la circoncisione, e aggiunge che ciò è motivato dal fatto che «a nessun uomo va negata la misericordia e la grazia di Dio». In modo simile si esprimono altri Padri.

Una prima occasione che impegnò il magistero della Chiesa ad affermare la necessità del battesimo fu la controversia tra Agostino e i pelagiani. Pelagio (+ 420 ca.) vedeva il peccato originale come un disordine dei sensi dell’uomo e non come qualcosa che toccava la sua intera natura. Appellarsi quindi al peccato originale come a una radice di debolezza morale congenita nell’uomo, era da considerarsi un comodo alibi per sottrarsi ad un serio impegno di vita cristiana. D’altra parte, l’uomo poteva cooperare alla propria salvezza, perché le sue risorse non erano state intaccate in maniera radicale. All’obiezione di Agostino che la Chiesa amministrava il battesimo ai bambini, perché fossero purificati dal peccato originale e avessero la vita eterna, i pelagiani rispondevano che i bambini avevano bisogno del battesimo non per entrare nella vita eterna, ma solo per essere ammessi nel regno dei cieli. Il XVI sinodo di Cartagine, dell’anno 418, afferma il dogma del peccato originale e sottolinea che la santità della vita cristiana non è solo questione di buona volontà, ma di grazia. Inoltre afferma la necessità del battesimo per tutti, bambini compresi. In particolare, il sinodo rifiuta la dottrina pelagiana.

Il concilio di Trento nel Decreto sulla giustificazione così spiega la necessità del battesimo: «Queste parole [prima è stato citato il brano di Col 1,12-14] spiegano che la giustificazione del peccatore è il passaggio dallo stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (cf. Rm 8,23), per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore; questo passaggio, dopo l’annuncio del vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di ciò, come sta scritto: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5)»23.

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4.2. I1 Vaticano II e la riflessione teologica attuale

Il concilio Vaticano II distingue tra coloro che accettano Cristo in modo consapevole e coloro che, non avendolo incontrato in modo significativo, non lo conoscono (LG, nn. 14, 15, 16; AG, n. 7; cf. anche la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae). Tutti però sono ordinati al popolo di Dio in vari modi. Infatti, in questi testi viene delineata una visione della Chiesa a forma di gradini o circoli concentrici. Ci sono i cristiani, prima i cattolici e poi i non cattolici che hanno accolto il vangelo e sono anche incorporati a Cristo per il battesimo. In seguito ci sono gli ebrei, i musulmani che adorano con noi il Dio unico e, infine, i seguaci delle grandi religioni asiatiche. Di tutti questi il Vaticano II afferma che sono ordinati in vari modi al popolo di Dio. Il concilio evidentemente riconosce anche nelle religioni non cristiane un orientamento alla Chiesa che non esclude i seguaci di queste religioni dalla salvezza voluta da Dio per tutti gli uomini, purché essi si sforzino «di condurre una vita retta» (LG, n. 16).

La Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo non parla soltanto degli sforzi degli uomini non cristiani, impegnati a seguire la voce della propria coscienza, ma li vede veramente inseriti nell’ordine della salvezza: «E ciò (= l’essere associati al mistero pasquale) non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (cf. LG, n. 16). Cristo, infatti, è morto per tutti (cf. Rm 8,32) e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS, n. 22).

Lo Spirito Santo, quindi, è al tempo stesso colui che collega la partecipazione al mistero pasquale all’evento battesimale e colui che, agendo misteriosamente («nel modo che Dio conosce») nella coscienza degli uomini, li introduce nel mistero della salvezza, là dove l’accesso al mistero pasquale non trova sbocco attraverso la mediazione sacramentale. Così lo Spirito Santo, sgorgato dal mistero pasquale di Gesù, associa efficacemente anche «gli uomini di buona volontà» non credenti a questo stesso mistero di salvezza. Ciò che resta discriminante, in fin dei conti, non è l’esplicita o implicita adesione a Cristo (conosciuto o non conosciuto, o anche se conosciuto, non conosciuto come il vero e unico Salvatore), ma la chiusura, nella coscienza, alla Verità e al Bene come espressione della ricerca e della presenza di Dio stesso.

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4.3. Diversi tipi di battesimo (cf. CCC 1258)

La teologia distingue diversi tipi di battesimo, in risposta soprattutto alla problematica della necessità del battesimo per la salvezza.

4.3.1.  Battesimo di sangue

Già nella Chiesa antica, fin dal secolo II, si ammetteva che la salvezza poteva essere conseguita attraverso la via non strettamente sacramentale del battesimo di (o nel) sangue. Come battesimo di sangue si considera il martirio per Cristo dei credenti non ancora battezzati. Cristo promette la vita eterna a coloro che mettono a repentaglio la propria vita per lui (Mt 10,39; cf. Gv 15,13). È dottrina dei Padri che chi muore per Cristo senza aver ricevuto il battesimo, ottiene la grazia battesimale, vale a dire la giustificazione. Tertulliano ha elaborato una vera teologia al riguardo: il martirio è da lui chiamato «seconda immersione» o lavacro di sangue; egli vede nell’acqua e nel sangue usciti dal costato di Cristo, il simbolo di questi due «sacramenti»24. In modo simile, Cirillo di Gerusalemme parla di «due fonti graziose di salvezza: quella dell’acqua che conferisce la grazia del lavacro, e quella del sangue che conferisce la grazia del martirio nelle persecuzioni. Entrambe, dell’acqua e del sangue, sono sgorgate dal costato del Salvatore...» 25.

Tommaso d’Aquino sottolinea che l’efficacia salvifica del martirio è la stessa del battesimo, che ha la sorgente nella passione di Cristo la quale, per opera dello Spirito Santo, agisce sia in questo che in quello26. Notiamo, ad esempio, che in conformità con questa dottrina la Chiesa venera come santi anche i bambini innocenti, massacrati per ordine di Erode (Mt 2,16), e la martire non battezzata Emerenziana, la quale, ancora catecumena, mentre pregava sul sepolcro di sant’Agnese, della quale era stata sorella di latte, fu lapidata dai pagani.

4.3.2. Battesimo di desiderio

Quando è moralmente o fisicamente impossibile ricevere il battesimo di acqua, il battesimo di desiderio può conferire gli stessi effetti di grazia del primo. Come testi biblici a conferma della validità del battesimo di desiderio per lo più vengono citati il caso del buon ladrone (Lc 23,43) e il discorso di Pietro presso Cornelio (At 10,47). San Tommaso d’Aquino, sviluppando la dottrina dei Padri del secolo IV, afferma che «il sacramento del battesimo può mancare ad uno nella realtà, ma essere presente nel desiderio ...» 27.

Quando il desiderio è esplicito in colui che conosce il battesimo come segno salvifico istituito da Cristo, come nel caso dei catecumeni, non si prescinde del sacramento, perché il desiderio di riceverlo è già grazia di Dio, risposta all’appello della sua offerta di salvezza (cf. CCC, n. 1259).

È contraddittorio pensare ad una forma di salvezza che prescinda dalla fede e dalla carità. Ma si possono ipotizzare una fede e una carità che ignorino senza colpa la via della Chiesa, o perché non la conoscono affatto o perché senza colpa la conoscono in modo sbagliato. L’essenziale e che tale fede e tale carità siano aperte all’aggregazione nella Chiesa di Cristo, qualora la si conosca e la si conosca in modo giusto.

Tutti i diversi tipi di battesimo di cui abbiamo parlato ricevono la loro efficacia dalla passione di Cristo e dall’azione dello Spirito Santo. La differenza sta nel segno, non nell’effetto. Perciò mentre il battesimo d’acqua è sacramento, gli altri due non lo sono. Tuttavia lo stesso effetto si esprime meglio nel battesimo di sangue, data la sua maggior somiglianza e «imitazione» della passione di Cristo e il suo più intenso impulso di amore e affetto dello Spirito in colui che versa il suo sangue. Il caso invece in cui uno non conosce il battesimo come segno salvifico, e quindi non può avere un desiderio esplicito di esso, rientra nel discorso che abbiamo fatto sopra illustrando la dottrina del Vaticano II sulla necessità del battesimo.

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Note

1
RICA, n. 6.

2 Cantico spirituale/A, strof. 38,3. L. Borriello-Giovanna della Croce (edd.), S. Giovanni della Croce. Opere complete, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 759.

3 Concilium Oecumenicorum Decreta, Dehoniane, Bologna 1991, 542.

4 Cf. ibid., 704.

5 Cf. Ep. 74,6.

6 Cf. Convivio, III, 8, 71-72.

7 E.H. Schillebeeckx, Cristo sacramento dell’incontro con Dio, p. 226.

8 Expositio psalmorum, 131: Patrologia latina 51, 381.

9 De Mysteriis, 6,30: Patrologia latina 16, 415.

10 La città di Dio, 20,10: Patrologia latina 41, 676.

11 In Ep. II ad Cor, hom. 3,5.

12 Omelia sul battesimo 3,26: A. Hamman (ed.), L’iniziazione cristiana, p. 117.

13 Didaché 10,6: A. Quacquarelli (ed.), I Padri Apostolici, p. 36.

14 Didaché 7,1-3: A. Quacquarelli (ed.), I Padri Apostolici. Collana di testi patristici, Città Nuova, p. 33.

15 De baptismo, 1,3.

16 Concilium Oecumenicorum Decreta, 685.

17 San Tommaso, Somma theologica, III, q. 66, a. 7, ad 2.

18 Le Catechesi battesimali, A 1,10-11.

19 Catechesi mistagogiche, 1, 9.

20 Concilium Oecumenicorum Decreta, 667.

21 San Tommaso, Somma theologica, III,  q. 1, ad 2; q. 23 c e ad 3; q. 32, a. 3, ad 3; q. 33, a. 3 c, ad 1 e ad 2; q. 45, a. 4.

22 Cf. Concilium Oecumenicorum Decreta, 685.

23 Concilium Oecumenicorum Decreta, 672.

24 Cf. De baptismo, 16.

25 Catechesi mistagogiche, 13,21.

26 Cf. San Tommaso, Somma theologica, III,  q. 66, aa.11 e 12.

27 Cf. San Tommaso, Somma theologica, III,  q. 68, a. 2.

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