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Il Battesimo

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2009 11:30
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01/11/2009 11:18

1.4. Dimensione ecclesiologica


La Chiesa è oggetto ed è soggetto, rappresenta uno spazio di salvezza e, insieme, ha una missione da compiere. E’ divenuta classica l’espressione di Isidoro di Siviglia: « Chiesa che convoca e raduna». La Chiesa esiste solo come risultato dell’azione divina, ma, d’altro canto, essa è, in molteplici modi, soggetto di azioni.

L’evento battesimale è l’evento indispensabile attraverso il quale si storicizza tra gli uomini l’evento escatologico della salvezza, e la Chiesa, come comunità dei battezzati, è colei che, in virtù del battesimo (ricevuto e offerto), attualizza come evento tra gli eventi della storia l’evento pasquale finché il Signore venga (cf. 1Cor 11,26). Il battesimo va quindi richiesto alla Chiesa. E’ il senso del dialogo iniziale del RBB (nn. 37-38). Bisogna chiedere il battesimo alla Chiesa, perché soltanto essa può accogliere a nome di Cristo di cui è Corpo, segno e strumento della sua presenza e della sua azione salvifica nella storia.

1.4.1. Battesimo e incorporazione alla Chiesa


Abbiamo visto che grazie al battesimo, l’uomo incorporato a Cristo, è innestato, quale figlio nel Figlio, nell’interiorità del mistero trinitario. Allo stesso tempo, questo innesto “verticale” dell’uomo ha un effetto analogo sul piano “orizzontale”: l’incorporazione a Cristo è incorporazione alla Chiesa che è, appunto, il «corpo di Cristo».

Quando Pietro, il giorno della pentecoste, risponde alla folla che gli chiede: «Che cosa dobbiamo fare fratelli?», egli indica un itinerario istituzionale (conversione, battesimo, dono dello Spirito), che approda all’inserimento nella comunità: «... quel giorno si unirono a loro circa tremila persone»; e subito dopo Luca descrive la vita della prima comunità cristiana (cf. At 2,37-41). Anche Paolo mette in rilievo l’inserimento vitale nella Chiesa mediante il sacramento del battesimo: «Siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Cor 12,13; cf. Ef 4,4-5), mentre la prima Lettera di Pietro insiste sul battesimo come ingresso nel popolo sacerdotale del nuovo Israele.

Il concilio di Firenze nel Decreto per gli Armeni, dice, riferendosi al contenuto salvifico del battesimo, che «per mezzo di esso diventiamo membra di Cristo e del corpo della Chiesa»3. Sulla stessa linea, il concilio di Trento parla dei «fratelli nella fede» che Cristo, mediante il lavacro del battesimo, fece membra del suo corpo4. Né meno esplicito è il Vaticano II, secondo cui siamo «incorporati nella Chiesa col battesimo» (LG, n. 11); in questa Chiesa «gli uomini entrano mediante il battesimo come per la sua porta» (LG, n. 14; AG, n. 7). Nel primo formulario della preghiera dei fedeli del RBB (n. 99) si chiede che il bambino, illuminato dal mistero della morte e risurrezione del Signore, «rinasca a nuova vita e sia incorporato alla santa Chiesa».

1.4.2. Battesimo e maternità della Chiesa


La Chiesa non è solo il risultato dell’aggregazione per mezzo del battesimo di nuovi membri. Essa “preesiste” alle singole comunità. In questo contesto, ricordiamo il titolo della Chiesa Madre, titolo non di per sé biblico (si veda però Gal 4,26), che incomincia a farsi strada a partire dalla prassi sacramentale. È appunto specialmente nel battesimo che questa maternità ecclesiale viene cantata e celebrata. La Chiesa è Madre perché genera nelle acque battesimali nuovi figli, fecondata dallo Spirito Santo. Dal concetto di Chiesa Madre che genera figli nel battesimo si passa poi a considerare la piscina battesimale come il seno materno della Chiesa. L’origine di ambedue le immagini proviene dalla concezione del battesimo come nuova nascita (cf. Gv 3,5; Tt 3,5). Il tema della Chiesa Madre fa la sua comparsa nella letteratura patristica con Tertulliano.

I primi a collegare in modo esplicito la maternità della Chiesa e il battesimo sono stati Cipriano, in Africa, e Metodio d’Olimpo, in Oriente. Giovanni Crisostomo si rivolge ai neofiti con queste parole: «Vedo che oggi l’assemblea è più luminosa del solito e che la Chiesa di Dio è in festa per i propri figli. Come infatti una madre tenera, nel vedere i propri bambini farsi intorno a lei, si rallegra, esulta e si sente quasi sollevare dal diletto, allo stesso modo anche questa madre spirituale, nello scorgere i propri figli, gioisce e gode vedendosi come un fertile campo arato che è rigoglioso di tali spighe spirituali. Osserva con me, o amato, la dismisura della grazia. Ecco infatti in una sola notte quanti [figli] ha generato contemporaneamente questa madre spirituale»5.

In seguito, il tema della maternità spirituale della Chiesa diventa luogo comune nelle catechesi patristiche, nell’eucologia liturgica e in alcune iscrizioni dei battisteri. Il Vaticano II, fedele a questa tradizione, afferma: «La Chiesa, contemplando l’arcana santità di Maria, imitandone la carità e compiendo fedelmente la volontà del Padre, diventa essa pure madre per mezzo della parola di Dio accolta con fede; infatti mediante la predicazione e il battesimo essa genera alla vita nuova e immortale i figli che sono stati concepiti ad opera dello Spirito Santo e sono nati da Dio» (LG, n. 64; cf. PO, n. 6).

La testimonianza più antica che parla dell’acqua battesimale come utero materno è di Clemente Alessandrino, il quale afferma che «Dio ci generò dal seno dell’acqua»6. L’immagine si trova poi in alcuni Padri e in diverse liturgie. Usando un altro linguaggio, più concettuale, la Scolastica continuerà ad affermare la maternità della Chiesa nel battesimo, attribuendo un ruolo attivo in questa fecondità alla fede della Chiesa.

1.4.3. Battesimo e sacerdozio comune dei fedeli


L’iniziazione nella Chiesa per mezzo del battesimo e della confermazione è una iniziazione al sacerdozio ecclesiale dei fedeli. Come bene nota E.H. Schillebeeckx, «Già il battesimo ci introduce in questo sacerdozio della Chiesa, di cui la confermazione non è che la costituzione in potenza»7.  Subito dopo l’abluzione battesimale, il primo rito esplicativo consiste nell’atto con cui il ministro unge il capo del battezzato con il crisma e pronuncia la formula che ne indica il significato: «Dio onnipotente [...] vi consacra con il crisma di salvezza, perché inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna» (RBB, n. 71).

Nella prima lettera Pietro parla, in un contesto battesimale, del popolo sacerdotale del nuovo Israele: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato...» (1Pt 2,9). Non si tratta di un sacerdozio di ogni singolo credente, in modo individualistico, bensì di un sacerdozio posseduto da tutti insieme in modo organico. Anche Giovanni attribuisce la dignità sacerdotale e regale ai redenti da Cristo Gesù che ci ha amati e lavati dai nostri peccati nel suo sangue, e «ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6; cf. 5,9-10; 20,6). La dignità sacerdotale dei cristiani si deduce, inoltre, dall’affermazione paolina, secondo la quale, essi sono il tempio del Dio vivente (cf. 1Cor 3,16-17), una comunità che prega e che sacrifica, chiamata ad offrirsi «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1).

La dottrina biblica sul sacerdozio comune dei fedeli è stata ripresa e approfondita dai Padri. Prospero d’Aquitania sottolinea la dimensione collettiva di questo sacerdozio, quando scrive: «Tutto il popolo cristiano è sacerdotale»8. Nella descrizione della liturgia battesimale, Ambrogio afferma che il neofita, non appena uscito dall’acqua, riceve sulla testa, da parte del vescovo, l’olio profumato. Commentando questa unzione post­battesimale, il santo vescovo di Milano afferma che «...tutti siamo unti con la grazia spirituale per il regno di Dio e per il sacerdozio»9. Agostino, commentando il testo di Ap 20,6: «... saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni», scrive: «[Queste parole] non riguardano soltanto i vescovi e i preti, sebbene ormai nella Chiesa in senso proprio essi sono considerati sacerdoti. Come però a causa dell’unzione sacramentale consideriamo tutti i fedeli unti del Signore, consideriamo sacerdoti tutti i fedeli perché sono membra dell’unico Sacerdote. Di essi dice l’apostolo Pietro: “Stirpe santa, sacerdozio regale” (1Pt2,9)»10.


Giovanni Crisostomo, pur non conoscendo l’unzione post-battesimale, esalta la dignità sacerdotale dei cristiani nei seguenti termini: «Che significa mai: che ci ha unti e suggellati? Significa: che ci ha dato lo Spirito mediante il quale ha prodotto entrambe le cose, facendoci nello stesso tempo profeti e sacerdoti e re. Infatti, queste tre dignità si ricevevano nel tempo antico con l’unzione. Ma ora noi non possediamo l’una o l’altra di queste dignità, bensì tutte e tre assieme, e precisamente in grado straordinario»11.


L’eredità dottrinale dei Padri è raccolta dagli autori medioevali, i quali però non arriveranno ad una vera e propria elaborazione dei dati patristici. Il fatto che al tempo della Riforma, Lutero abbia negato il sacerdozio ministeriale o gerarchico, per esaltare il solo sacerdozio comune dei fedeli, fece sì che, in campo cattolico con la difesa di quello, questo passasse in secondo piano, generandosi così una certa diffidenza nei confronti del medesimo. Dopo il concilio di Trento, del sacerdozio dei fedeli non se ne parla quasi mai, o se ne parla in senso metaforico, fino alla sua riscoperta agli inizi del secolo XX col movimento liturgico.


Del sacerdozio battesimale, della sua natura, del suo rapporto col sacerdozio ministeriale e di alcune tendenze erronee in proposito si sono occupati Pio XI nell’enciclica Miserentissimus Redemptor, del 1928, e Pio XII nell’enciclica Mediator Dei, del 1947. Ma è soprattutto il Vaticano II a riaffermare con grande vigore la realtà del sacerdozio comune dei fedeli, che scaturisce dal battesimo, per la vita e la missione della Chiesa: «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cf. Eb 5,1-5), ha fatto del nuovo popolo di Dio “un regno di sacerdoti per Dio suo Padre” (Ap 1,6; cf. 5,9-10). I battezzati infatti vengono consacrati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, per essere un’abitazione spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano, e annunciare i prodigi di colui che dalle tenebre li ha chiamati alla sua luce ammirabile (cf. 1Pt2,4-10)» (LG, n. 10; cf. LG, n. 31; UR, n. 22).


In questa prospettiva, la dinamica pasquale e trinitaria dell’esistenza cristiana come libera inserzione nell’unità ecclesiale, vale non solo per la vita della comunità dei credenti, ma, per suo tramite vale anche come servizio per tutta l’umanità e per il cosmo intero. Di questo sacerdozio comune scaturente dal battesimo e finalizzato al servizio del mondo, vengono sottolineate tre dimensioni: dimensione sacerdotale, dimensione profetica, dimensione regale.

1.4.3.1. Dimensione sacerdotale

Occorre notare che il termine «sacerdozio», in quanto è utilizzato in questo contesto in riferimento all’intero popolo messianico, ha un duplice significato: da un lato, in un senso più generale - quello fin qui da noi sottinteso -, significa la qualifica radicale e fondamentale dell’esistenza cristiana in quanto partecipa del sacerdozio di Cristo; dall’altro, in un senso più specifico, significa il rapporto di questa esistenza con gli atti sacramentali di culto realizzati sul fondamento del sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio battesimale ha quindi una dimensione propriamente cultuale. Tommaso d’Aquino, raccogliendo il pensiero dei Padri, parla di una «deputazione» del battezzato «al culto divino».

Il culto cristiano però, essendo radicalmente cristologico, non è concepibile separato dall’esistenza “profana”: Cristo infatti non offre al Padre qualcosa diverso di sé, ma il contenuto della sua offerta è se stesso, la sua vita, con un unico atto di amore verso il Padre e verso i fratelli (cf. Eb 9,13-14; 10,11-23; 13,9-16). È in questa prospettiva che va intesa l’affermazione di LG, n. 11, quando dice che il sacerdozio comune dei fedeli «viene attuato per mezzo dei sacramenti e delle virtù». I concetti cultuali sono usati quindi in modo da superare l’aspetto di una separazione, come viene presupposto nell’ambito delle religioni, e si trasformano in concetti di vita che si riferiscono a tutti i credenti in Cristo. Tutti siamo dunque il tempio, tutti siamo sacerdoti, tutti siamo un’offerta da fare a Dio. In questo senso, l’evento Cristo significa un autentico capovolgimento della concezione cultuale tradizionale con la separazione dalla vita profana, con la separazione in luoghi e tempi sacri, in persone sacre e doni sacri.

1.4.3.2. Dimensione profetica

Cristo è il profeta atteso (Gv 6,14), l’inviato dal Padre per annunciare agli uomini la buona novella della salvezza (Lc 4,18). Cristo non è soltanto uno che annuncia la parola di Dio, ma è la Parola definitiva di Dio, il Verbo del Padre. Egli adempie quindi la sua missione evangelizzatrice con le parole e con le opere, in modo che tutta la sua vita è segnata da questa missione, fino alla morte, conseguenza della fedeltà estrema all’annuncio. Cristo, prima di ritornare al Padre, ha affidato alla Chiesa il compito di annunciare la buona novella della salvezza attraverso i secoli (Mc 16,15­16). Di conseguenza, come afferma il Vaticano II, la Chiesa «è missionaria per sua natura» (AG, n. 2).

L’incorporazione a Cristo nella Chiesa per mezzo del battesimo fa del battezzato un membro attivo della sua missione evangelizzatrice. Tutti i battezzati sono quindi in quanto tali evangelizzatori, anche se con compiti e in situazioni diversi. Il cristiano in quanto tale è chiamato a testimoniare la novità di Cristo che ha ricevuto nel battesimo, pronto a rispondere a chiunque gli chieda ragione della speranza che è in lui (cf. 1Pt 3,15). L’ecclesiologia del Vaticano II sottolinea la dimensione profetica della vita cristiana, che i battezzati laici esercitano «anche quando sono impegnati in occupazioni temporali» (LG, n. 35).

1.4.3.3. Dimensione regale

Il figlio di uomo che appare a san Giovanni al principio dell’Apocalisse, indossando la lunga veste di gran sacerdote (Ap 1,13), è lo stesso che «porta un nome scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,16). Ora i cristiani costituiscono «un regno di sacerdoti» (Ap 1,6), partecipano della dignità regale del Cristo dal momento che ogni battezzato può, liberamente e personalmente, unirsi al suo sacrificio e quindi cooperare al ritorno dell’umanità a Dio. Con il sacrificio di Cristo e quello spirituale di tutta la nostra vita, noi ritroviamo la nostra regalità perduta con il peccato.

Anche san Paolo esprime la stessa dottrina. Cristo è «Signore» (Kyrios). Questa signoria è stata raggiunta condividendo la nostra situazione di schiavitù: Fil 2,6-11 vede la signoria di Cristo come culmine della sua vicenda di umiliazione. Sulla croce il Cristo, apparentemente sconfitto dalla morte, in realtà instaura il suo «potere» sul peccato, sulla morte, sul «principe di questo mondo». L’evento battesimale, imprime al sacerdozio regale dei fedeli un’impronta radicalmente pasquale che, per sua dinamica interna è vittoria sulle forze della morte, sulle passioni, sul peccato (cf. Rm 6,12­-13).

Secondo Rm 8,19-21, la creazione stessa attende con impazienza il compiersi del regno di Cristo, in modo di «essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio». In questo contesto, LG, n. 36, invita i fedeli a distinguere accuratamente e armonizzare tra loro diritti e doveri che hanno in quanto membri della Chiesa, da quelli che godono in quanto membri della società umana, «ricordando che in ogni cosa temporale devono lasciarsi guidare dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno temporale, può sottrarsi al dominio di Dio».

[Modificato da S_Daniele 01/11/2009 11:23]
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