131, del 545, essa attribuisce a Roma una primazialità proprio nell'ambito di
quel collegio pentarchico che, nel suo complesso, rappresenta, a fronte della
regalità, la funzione del sacerdozio. Nell’epistola apologetica del patriarca
Giovanni VI a papa Costantino, del 713, la prerogativa di Roma di essere la
«testa del sacerdozio cristiano» viene giustificata con il ricorso all'espressione «a
termini di normativa canonica»: ciò implica la sua dipendenza da un determinato
organigramma che la Chiesa si era già autonomamente attribuito, prescindendo
apparentemente dall'apostolicità petrina, sulla base di un sostanziale adattamento
delle sue strutture alle categorie storico-culturali dell'impero.
Valore analogo hanno le metafore della vetta, o della cima, e della sorgente,
applicate sempre a Roma, nel riordino legislativo giustinianeo, e sempre in
relazione non già alla Chiesa, ma al sacerdozio. Il duplice attributo papale di
«scaturigine e culmine del sacerdozio» verrà compendiato, nel secolo
successivo, in un titolo che esprime, con tutta l'intesità del genitivo accrescitivo,
il grado di eccellenza assoluta nel sacerdozio riconosciuto al patriarca
dell'Antica Roma: egli viene infatti salutato, nel libello presentato dagli igumeni
greci di Roma alla sinodo lateranense del 649, come