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Celebrare “verso il popolo” o “dare le spalle al popolo”

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2009 23:15
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03/11/2009 13:23

L’idea che solo la celebrazione "versus populum" come forma

corrisponderebbe all’autentica liturgia cristiana favorendo la partecipazione

attiva dei fedeli; che solo questa forma sarebbe quella che più dell’altra

(versus Deum), si avvicina all’immagine originaria dell’Ultima Cena, si

sono imposte dopo il Concilio. Dappertutto si sono costruiti altari "nuovi",

demolendo o abbandonando gli altari "vecchi",e questo oggi appare come il

vero frutto della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Questa

interpretazione, purtroppo, sembra avvallata dalla stessa Nota Pastorale Cei

sull’adeguamento liturgico del 1996 a cui si fa riferimento in modo univoco

ed esclusivo per dirimere eventuali problemi in merito! Ma la Riforma

liturgica del Vaticano II non ha mai imposto una tale prassi! La perplessità

si impone alla luce dei documenti conciliari e magisteriali.

1 Cf. CEI, Commissione episcopale per la liturgia, Nota pastorale, Roma 31 maggio 1996, n. 15

2 Cfr. MESSALE ROMANO, Principi e norme, nn. 255-288, 311-312.

3 Per un approfondimento di tale questione alla luce di una retta interpretazione dei documenti conciliari e post

conciliari si rimanda: U.M. LANG, Rivolti al Signore, Siena 2006, pp.18-25.

Quando i padri conciliari esaminarono la dichiarazione che precedette

l’approvazione del n. 128 della SC, si riferivano alla liceità di una

celebrazione "versus populum" lì dove ci fosse stato un altare adatto a tale

possibilità: «Liceat sacrificium Missae celebrare versus populum in altari

apto...»4".

Questa affermazione non voleva assolutamente dichiarare che fosse l’unica

forma possibile e che l’antica forma "versus deum" fosse esclusa, come di

fatto è avvenuto nella prassi5! La n. 128 della SC indica più che altro una

revisione di quelle realtà attinenti al culto sacro, "specialmente per la

costruzione degna e appropriata degli edifici sacri, la forma e l’erezione

degli altari...". Il testo latino, difatti, così recita:

«...quae rerum externarum ad sacrum cultum pertinentium apparatum

spectant, praesertim quad aedium sacrarum dignam et aptam contructionem,

altarium formam et aedificationem...recognoscantur...».

Si fa riferimento ad una "revisione critica" (infatti il verbo usato è

recognoscere) e non ad un "cambiamento", o ad una "trasformazione di una

cosa in un’altra" (in tal caso si sarebbe usato il verbo mutare) Il rischio di

questo "fraintendimento" fu intuito già dal Card. G. Lercaro, presidente del

Consilium per l’applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia. Nel

1966, in una lettera indirizzata ai capi delle Conferenze episcopali- datata 25

gennaio-, richiama fortemente alla "prudenza" da doversi usare rispetto alla

questione del rinnovamento degli altari: «...Soprattutto perchè, per una

liturgia vera e partecipe, non è indispensabile che l’altare sia rivolto versus

populum: nella Messa, l’intera liturgia della parola viene celebrata dalla

sede, dall’ambone e dal leggio, quindi rivolti verso l’assemblea; per quanto

riguarda la liturgia eucaristica, i sistemi di altoparlanti rendono la

partecipazione abbastanza possibile. In secondo luogo si dovrebbe pensare

seriamente ai problemi artistici e architettonici essendo questi elementi

protetti in molti paesi da rigorose leggi civili. ...»6 La lettera del Card.

Lercaro segue naturalmente l’Istruzione Inter Oecumenicis, preparata dallo

4 CONCILIORUM OECUMENICORUM DECRETA, Sacrosanctum Concilium, n. 128, p. 842.

5 Cf. F. GIL HELLÍN (ed.), Concilii Vaticani II Synopsis: Sacrosanctum Concilium, Città del Vaticano 2003, p. 389

6 Traduzione da G. LERCARO, L’heureux dévloppement, in «Noto» 2, 1966, p. 160.

stesso Consilium ed emanata il 26 settembre 1964, contenente un capitolo

(cap.V) sulla progettazione di nuove chiese e altari7. É facile dedurre che un

simile richiamo fosse dovuto al reale rischio che si procedesse a un tentativo

di interpretazione assolutistica e unilaterale. Lo stesso Ratzinger ritiene

questa prassi (nel suo senso unilaterale), il frutto di un fraintendimento8, che

si pone in assoluta discontinuità con la prassi liturgica della Chiesa e che ha

introdotto "paradossalmente" una sorta di clericalizzazione liturgica "quale

non si era mai data in precedenza"9.

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