L’idea che solo la celebrazione "versus populum" come forma
corrisponderebbe all’autentica liturgia cristiana favorendo la partecipazione
attiva dei fedeli; che solo questa forma sarebbe quella che più dell’altra
(versus Deum), si avvicina all’immagine originaria dell’Ultima Cena, si
sono imposte dopo il Concilio. Dappertutto si sono costruiti altari "nuovi",
demolendo o abbandonando gli altari "vecchi",e questo oggi appare come il
vero frutto della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Questa
interpretazione, purtroppo, sembra avvallata dalla stessa Nota Pastorale Cei
sull’adeguamento liturgico del 1996 a cui si fa riferimento in modo univoco
ed esclusivo per dirimere eventuali problemi in merito! Ma la Riforma
liturgica del Vaticano II non ha mai imposto una tale prassi! La perplessità
si impone alla luce dei documenti conciliari e magisteriali.
1 Cf. CEI, Commissione episcopale per la liturgia, Nota pastorale, Roma 31 maggio 1996, n. 15
2 Cfr. MESSALE ROMANO, Principi e norme, nn. 255-288, 311-312.
3 Per un approfondimento di tale questione alla luce di una retta interpretazione dei documenti conciliari e post
conciliari si rimanda: U.M. LANG, Rivolti al Signore, Siena 2006, pp.18-25.
Quando i padri conciliari esaminarono la dichiarazione che precedette
l’approvazione del n. 128 della SC, si riferivano alla liceità di una
celebrazione "versus populum" lì dove ci fosse stato un altare adatto a tale
possibilità: «Liceat sacrificium Missae celebrare versus populum in altari
apto...»4".
Questa affermazione non voleva assolutamente dichiarare che fosse l’unica
forma possibile e che l’antica forma "versus deum" fosse esclusa, come di
fatto è avvenuto nella prassi5! La n. 128 della SC indica più che altro una
revisione di quelle realtà attinenti al culto sacro, "specialmente per la
costruzione degna e appropriata degli edifici sacri, la forma e l’erezione
degli altari...". Il testo latino, difatti, così recita:
«...quae rerum externarum ad sacrum cultum pertinentium apparatum
spectant, praesertim quad aedium sacrarum dignam et aptam contructionem,
altarium formam et aedificationem...recognoscantur...».
Si fa riferimento ad una "revisione critica" (infatti il verbo usato è
recognoscere) e non ad un "cambiamento", o ad una "trasformazione di una
cosa in un’altra" (in tal caso si sarebbe usato il verbo mutare) Il rischio di
questo "fraintendimento" fu intuito già dal Card. G. Lercaro, presidente del
Consilium per l’applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia. Nel
1966, in una lettera indirizzata ai capi delle Conferenze episcopali- datata 25
gennaio-, richiama fortemente alla "prudenza" da doversi usare rispetto alla
questione del rinnovamento degli altari: «...Soprattutto perchè, per una
liturgia vera e partecipe, non è indispensabile che l’altare sia rivolto versus