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I religiosi sappiano dire no alle seduzioni del consumismo

Ultimo Aggiornamento: 08/11/2009 10:26
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08/11/2009 10:26

Il segretario di Stato alla Conferenza italiana dei superiori maggiori

I religiosi sappiano dire no alle seduzioni del consumismo


Il primato dell'essere sull'avere, che è la modalità più feconda di autorealizzazione e di creatività. Lo spirito di povertà, che non significa disprezzare i beni ma usarli con discernimento. È l'identikit del consacrato tracciato dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, sabato 7 novembre, nella basilica torinese di Santa Maria Ausiliatrice, durante la celebrazione eucaristica in occasione della 49ª assemblea generale della Conferenza italiana superiori maggiori (Cism) e del 150° anniversario della Congregazione dei salesiani di Don Bosco.
Ai provinciali di vari ordini e congregazioni religiose maschili riuniti nel capoluogo piemontese per riflettere sul tema "Povertà e comunione dei beni in un mondo globalizzato. Per una testimonianza credibile dei consacrati" il porporato ha ricordato che i religiosi "non subiscono passivamente le proposte allettanti di un diffuso consumismo, ma sanno fare a meno delle cose quando queste soffocano i valori del Regno e rendono infruttuoso l'apostolato. La nostra esistenza di consacrati - ha aggiunto - vuole evidenziare la sequela di Cristo nella povertà che è propria degli Apostoli". 
Nel santuario mariano al quale egli stesso come salesiano si sente particolarmente legato, il cardinale Bertone ha ribadito che il fondamento della vita dei consacrati è Cristo. "È in forza della sua presenza che ognuno - ha spiegato - realizza una vita di fraternità. Il religioso, la religiosa, devono sempre saper smantellare i meccanismi di difesa e di possessività che rischiano di inaridire una vera comunione fraterna, e tendere a una vita senza calcoli e paure, senza rivendicazioni e grettezze, senza infedeltà e compensazioni". Al contrario devono essere "disposti a un amore gratuito, pieno di gioia, ricolmo di vitalità, attento e discreto, forte e delicato". Del resto "rinunciare a qualche cosa, o mettere i beni in comune con altri, non significa abbandonare ciò che ci è concesso, né gettare via i doni della vita, significa invece restituire a Dio ciò che abbiamo ricevuto; restituzione che, attraverso la distribuzione, diventa ringraziamento".
Il segretario di Stato ha poi trasmesso ai convegnisti il saluto di Benedetto XVI e il suo incoraggiamento a proseguire con rinnovato slancio la loro "importante opera a servizio della diffusione del Vangelo". Da parte sua il porporato ha aggiunto l'invito a farsi continuatori fedeli degli insegnamenti dei loro fondatori e a lasciarsi guidare anche dall'enciclica Caritas in veritate. "Ciò - ha argomentato - consentirà di vivere e orientare la globalizzazione dell'umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione, affinché le coscienze siano sempre ispirate agli ideali evangelici e siano educate con senso di responsabilità alla saggia ricerca del bene comune".
Nel salutare don Alberto Lorenzelli, che oltre ad essere il presidente nazionale del Cism è anche il "padrone di casa" in quanto ispettore della grande Provincia salesiana, il cardinale Bertone si è poi soffermato sull'esempio offerto alla vita consacrata da Don Bosco e dalla sua congregazione. "Il luogo in cui siamo raccolti - ha detto - è proprio quello in cui è stato piantato il seme. Il prossimo mese di dicembre vedrà questa basilica gremita di giovani e adulti per ricordare le origini e l'impegno dei primi che decisero di stare con don Bosco e di dare avvio alla Pia Società di San Francesco di Sales, condividendo e attuando l'intuizione del "sistema preventivo", cercando di formare "buoni cristiani e onesti cittadini". Una missione - ha continuato - fatta di pazienza, di carità, di relazioni interpersonali sincere con tutti ma che ha saputo incidere e infondere nelle coscienze coraggio, fiducia nella Chiesa e nel suo centro unificatore, il Papa".
Definendo la creatività di don Bosco e dei suoi primi discepoli "strabiliante", il segretario di Stato ne ha sottolineato il profondo legame affettivo con la Vergine Maria. Così quando verso il 1862 il fondatore avvertì il bisogno di una chiesa più grande perché i suoi giovani erano divenuti troppo numerosi per quella di San Francesco di Sales, portò a compiento la sua nuova impresa sostenuto da tre impressioni che aveva colto nel suo tempo:  "La presenza manifesta di Maria nel popolo cristiano, i pericoli della Chiesa e le difficoltà del suo tempo". Ecco perché per don Bosco l'edificazione del tempio mariano "non fu soltanto un lavoro tecnico, una preoccupazione per i progetti, i materiali e i finanziamenti, ma rappresentò una singolare esperienza spirituale e una maturazione della sua mentalità pastorale. L'opera del santuario fece emergere, infatti, nell'attività apostolica salesiana una visione di Chiesa, come popolo di Dio sparso su tutta la terra". Di conseguenza "l'erezione del santuario costituì un momento spiritualmente fecondo che diede l'avvio ad uno stile pastorale fatto di audacia e di fiducia:  saper cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al Signore".
La realizzazione del grande tempio superò dunque l'idea iniziale:  "Da una chiesa per la sua casa, il suo quartiere e la sua congregazione - ha spiegato - all'idea di un santuario, meta di pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale". In definitiva si può dire "che don Bosco incominciò la costruzione come direttore di un'opera e la finì come capo carismatico di un grande movimento ancora in germe ma già definito nelle finalità e nei tratti distintivi; la cominciò come sacerdote originario di Torino e la portò a termine come apostolo della Chiesa universale. In pratica passò dalla città al mondo, da apostolo di una diocesi a messaggero e pellegrino del Vangelo oltre i confini diocesani".
Ecco allora l'interrogativo sempre attuale rivolto dal cardinale Bertone ai superiori provinciali presenti:  come dire e comunicare alle nuove generazioni tanta ricchezza? La risposta di don Bosco fu quella di stare in mezzo ai giovani con "espressioni d'amore, d'intuito pedagogico, di doti educative che toccano il giovane nella concretezza della sua vita e della sua situazione esistenziale". E poi comunicare:  "Con la parola efficace, con lo sguardo penetrante e rivelatore, con scritti semplici - ha concluso - che vanno dritti alla mente e al cuore dei giovani, educandoli alla rettitudine del pensiero, del sentimento e della volontà".


(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2009)
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